L’Anno della stella vanoliana di Giacomo Bazzani

Prefazioni di Meo Sacchetti Ruth Vanoli

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ISBN 978-88-944740-0-8

9 788894 474008 “Mi domando -disse- se le stelle brillano perché un Stella che cammini nello spazio senza fine giorno ciascuno possa ritrovare la propria” fermati un istante solo un attimo ascolta i nostri cuori (Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe) (Antonello Venditti) Quando mi hanno proposto di scrivere la prefazione di questo volumetto, che raccoglie con un lavoro certosino gli articoli più significativi di Giacomo Bazzani, narratore ed amico della nostra “Vanoli family”, ho accettato volentieri, anche se un po’ stupito... In primo luogo perché, come ben avrete imparato a cono- scermi, io sono una persona molto sintetica, essenziale, e per questo motivo non aspettatevi un lungo preambolo... in secondo luogo perché, quando si tratta di parlare della mia squadra, preferisco sempre più il campo alle parole. Ed in questo caso il concetto di campo vorrei estenderlo a tutto il contesto, alla Società con il presidente Aldo Vanoli in primis, a tutti i collaboratori, tecnici e non che hanno aiutato la squadra a comprendere il valore di giocare per la nostra realtà ed i nostri colori.

Questo senso di appartenenza e questo piacere di stare insieme ci ha permesso di raggiungere risultati al di là delle aspettative e del valore del singolo atleta, il quale ha avuto sicuramente una motivazione in più per cercare di dare il meglio di se stesso. Tutti voi, che li avete incondizionatamente supportati ed incitati. Mi auguro che questo ambiente, accogliente ma in modo discreto, possa sempre rimanere un valore aggiunto, caratterizzarsi per la sua sportività e continuare ad aiutarci a fare gruppo per nuove sfide che via via andremo ad affrontare, sempre con lo spirito giusto e col piacere di condividerle.

“Mi domando -disse- se le stelle brillano perché un A presto per una nuovaStella entusiasmante che cammini stagione... nello spazio senza fine giorno ciascuno possa ritrovare la propria” fermati un istante solo un attimo ascolta i nostri cuoriMeo Sacchetti (Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe) (Antonello Venditti)

“Ma se io avessi previsto tutto questo...” (citazione dall’ultimo capitolo di questo testo, dal momento che l’ho appena letto) le emozioni non sarebbero state così grandi, un po’ come vivere una partita di cui non si conosce già il risultato.

Il giorno in cui conobbi Giacomo Bazzani, chiedendo chi mai fosse il Ciranone nostro ai tifosi accalcati a fine gara attorno al campo e andando a cercarlo con mio stupore in mezzo ai tifosi della curva e non al tavolo della stampa, il mio intento era di stringergli la mano, abbracciarlo e ringraziarlo per la passione, l’acume e l’ironia, per la giusta misura di chi sa come vanno le cose del mondo, eppure per lo stile scanzonato e la giocosa profondità, perché, alla fine, o forse all’inizio, di un gioco il nostro stava scrivendo (ma, alle volte, non solo, così come si fa con le grandi passioni, inneschi o pretesti per altro) invece, se non ricordo male, gli dissi qualcosa come: “il lunedì mattina, la prima cosa che faccio è legge- re i suoi articoli... o, meglio, per fortuna che ci sono i suoi articoli..” Chissà cosa avrà pensato... Se quel giorno, il 7 maggio 2017, giorno dell’ultima del campionato di LBA 2016/2017 contro Reggio Emilia, il giorno degli striscioni “grazie per questi 8 anni”, “non sarà una retrocessione a spegnere una passione”, avessi immaginato ciò che accadde dai giorni successivi, non sarebbe così emozionante oggi rileggersi questi artico- li apparsi su Sportgrigiorosso. Sì, perché la condizione ottimale per leggersi questi testi è esserci stati, e riattivare precise emozioni vissute.

Perché nell’anno della stella, nel testo in cui si vuole celebrare una incredibile annata sportiva (ma non solo) ricordare questo antefatto? Perché è nel giorno delle vacche più magre (sportivamente parlando) che io e Giacomo ci siamo conosciuti e non è poca cosa sapere da dove arriviamo, qual è l’inizio delle storie, e chi lo può sapere meglio di lui? Perché è tanto esemplare quanto accaduto che sembra uscito dalla penna di un narratore di iperboli o da un cantastorie come il Cirano. E perché abbiamo condiviso i momenti difficili è giusto trattenere il fiato e magari emozionarsi pensando quanto è stato importante gioire tutti insieme in questa “annata dai pianeti allineati” e ricordarlo rileggendo queste righe. Perché le storie per diventare tali devono essere raccontate. Per questi e tanti altri motivi ringrazio Giacomo, che racconta qui della gioia sportiva che vale di più se condivisa e che la racconta conoscendo lo spirito e il valore delle cose, sempre, nel bene e nel male, con il coraggio di chi si mette in gioco in prima persona, l’entusiasmo di un appassionato di pallacanestro e la giusta misura di chi ama lo sport.

Ruth Vanoli L’ANNO DELLA STELLA VANOLIANA

Avvertenza per l’uso

Narrarvi debbo, come si confà, del perchè di sto titolo. Presto detto; all’inizio della stagione, la decima nella massima serie per la Vanoli, il solito neurone di nord-ovest ha partorito la ciofeca di collegare l’importante fatto con l’uso in voga in un noto sport minore di affibbiare una stella alla squadra che inanella il decimo scudo. Come vedete niente di che. Solo che, ma guarda che curiosi sono gli dei del basket, l’anno della stella vanoliana è pure coinciso con una stagione che è già sta- ta infiocchettata con millanta aggettivi: strepitosa, clamorosa, straordinaria, eccezionale, sorpren- dente, stupefacente, incredibile, strabiliante, sbalorditiva, meravigliosa, affascinante, incantevole.

Vista la rilevante circostanza, nel solito neurone di nord-ovest è sgorgata pure l’idea, che sulle prime doveva rimanere “domestica”, di raccogliere e mettere in fila una dietro all’altra per vedere l’effetto che fa, un po’ di lagne che hanno accompagnato questa stagione storica per il basket cremonese. Siccome si trattava di un bel lavoraccio, al Ciranone vostro è venuto subito dopo in mente di coinvolgere nella faccenda la pasionaria del tifo biancoblù, al secolo Giovanna Visioli, la quale si è messa di buzzo buono è si è riletta, bontà sua, un fracasso di articoli segnalando quelli secondo lei “degni” di una eventuale pubblicazione. Mi ha pure riferito che si è divertita un sacco e mezzo.

Quindi è toccato rileggerli pure a me; non è una cosa che faccio spesso, e quando la faccio è soprattutto per correggere gli strafalcioni che qualcuno dei miei 12 lettori amabilmente ha la gentilezza di farmi notare. Devo onestamente confessarvi che mi sono divertito anch’io, ma non per la rilettura in sé, ma perché mi è toccato rivivere le emozioni che questa strepitosa, clamorosa, straordinaria, eccezionale, sorprendente, stupefacente, incredibile, strabiliante, sbalorditiva, me- ravigliosa, affascinante, incantevole stagione ci ha regalato. E qualche pelo più o meno sparso è ritornato a fare la ola.

Divertimento per divertimento mi son detto: ma vuoi vedere che si diverte anche il popolo vano- liano? Ecco quindi il perché del presente volumetto, che non ha altre ambizioni che quella, per l’appunto, di rimembrare i 9 mesi passati in apnea per seguire le mirabolanti imprese dei regàs, e, naturalmente, di vincere il premio Strega... Il risultato di tutto sto rebelotto sono i 20 articoli che trovate, compresi i cinque, e cioè tutti, delle “cronache fiorentine”, che sono parsi “rappresentativi” di tutta la stagione. Vi stupirà il primo, scritto il 22 Agosto 2017, e vi domanderete che accidenti c’entra con tutto il resto. Beh, sarà un inguaribile romantico ma il Ciranone vostro in quella incredibile estate ci vede decisissimamente piantato il seme che, opportunamente innaffiato per 12 mesi, è rigogliosamente fiorito nell’anno della stella vanoliana.

Raccontata la genesi, corre l’obbligo di sottolineare che tutto ciò non sarebbe stato possibile senza Fabio Tuminello, Alex Everet e Simone Manini, rispettivamente Direttore, Editore e Art Director, Editor, Content director, Redattore, fotografo, operatore, tappabuchi, one man band di

1 Sportgrigiorosso, ai quali va il mio più fraterno ringraziamento per aver imbarcato, ormai quasi cinque anni or sono, uno anche più fuori di melone di loro tre messi assieme, così come tocca ringraziare pure Silvia Cocchetti che in questa banda di squinternati positivi mi ci ha fatto entrare. Detto di Giovanna Visioli che ha fatto davvero un miracolo (faccenda a cui peraltro è abituata perché solita far apparire pullman da tutte le parti), devo ringraziare anche Ruth Vanoli e il Meo Nazionale che hanno accettato di “prefarre” sta roba, e il fatto che non c’abbiano pensato su un attimo ha riempito il Ciranone vostro di legittimo orgoglio, come se il premio Strega l’avesse vinto per davvero. Un particolarissimo ringraziamento lo devo a Bartolomeo Vurchio, l’autore delle foto che “ingentilisticono” tutta la faccenda, perché ha terminato la sua fatica su un letto di ospedale. Ho la presunzioncella di ritenere che ciò gli abbia un po’ sollevato il balelotto, ma del resto non volevo rinunciare alle sue foto perché, oltre ad essere di prima, pare che “parlino” essendo dei sorpren- denti “carpe diem” (esempio lampante la foto che vedete in questa pagina).

2 Last but non least debbo ringraziare pure la mia dolce Gigia per avermi supportato e sopportato in tutti questi anni. Voi non avete idea di quante “sere-quasi-notti” ha dovuto sorbirsi il Ciranone suo che proprio a due metri dalla camera da letto ticchettava sul PC; un ticchettio che di giorno senti e non senti, ma di “sera-quasi-notte” assomiglia parecchio ad una scarica di mitragliatrice.

A volte trovo qualcuno dei miei 12 lettori che mi chiede come faccio a mettere giù le mie lagne. Semplice; ho la mia personalissima musa, e cioè la debordante passione per il gioco più bello del mondo. Iniziata una cinquantina di anni fa, messa in naftalina per qualche lustro, riapparsa negli anni della A2 e poi progressivamente riesplosa in tutto il suo prorompente entusiasmo grazie al decennio vanoliano culminato nell’anno della stella.

Ma per spiegarmi meglio ricorro, parafrasandola, alla famosa “chiusa” dell’introduzione che Giovannino Guareschi scrisse per la seconda raccolta dei racconti di Don Camillo. Da ragazzo andavo spesso alla Palestra Spettacolo che mi appariva come un fiume inguadabile e mi domandavo: “chissà se da grande riuscirò a passare sull’altra riva!”. Sognavo di conquistare una palla da basket. Oggi ho sessant’anni, ho conquistato la palla da basket, e quando vado a sedermi sulla riva di un palazzetto masticando un ideale filo d’erba penso: “si sta meglio qui su questa riva”. E ascolto le storie che il gioco più bello del mondo mi racconta e non mi resta che trasformarle in pixel. È parecchio probabile che, dopo questa, penserete: “il Ciranone nostro più diventa vecchio e più diventa svanito”. Invece non è vero perchè io sono sempre stato svanito. Grazie a Dio

3 LA GENESI DEL’ANNO DELLA STELLA VANLOLIANA

22 Agosto 2017 E la chiamano estate... breve storia di una “resurrezione”

“Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla.” (Ennio Flaiano).

Scomodando Monsieur De Lapalisse si potrebbe attaccare affermando che il “riveder le stelle” non è durato i programmati tre anni bensì gli imprevistissimi (il neologismo fa decisamente schifo e dubiterei pure della sua correttezza grammaticale ma ha il pregio di rendere l’idea e ciò basta e avanza) 87 giorni, e cioè dal 30 Aprile ore 20 o giù di lì quando la bomba della disperazione del Puma si è infranta sul ferro di Masnago sancendo la retrocessione matematica, al 26 Luglio ore 19,30 o giù di lì quando un flemmatico Franco Frattini ha pronunciato la sentenza di “morte” per La Juve Caserta e di conseguenza di “resurrezione” per la Vanoli. Non saprei se, come dice il grande Ennio Flaiano, tutte le stagioni girano attorno all’estate; se ricorderemo questa estate in autunno, se la invocheremo in inverno o se la invidieremo in prima- vera. Quello che è certamente certo è che “questa”, e solo “questa”, estate rimarrà impressa nelle menti degli appassionati cremonesi di basket e non solo per le temperature a volte roventi. Ed allora al Ciranone vostro è venuto in mente di stilare, a modo suo ovviamente, una specie di vademecum per memorizzarne, o se volete celebrarne, i passaggi più importanti. Avvertenza: sarò, per forza di cose, un ciccinnino lungo; a laonde per cui armatevi di santa pazienza e aspettate la fine per mandarmi, se del caso, a quel paese.

30 Aprile 2017: la retrocessione. E iniziamo dalla fine, e cioè dal già citato ferro sputante la bomba del Puma di cui si diceva e che ha fatto scaldare i remi al buon Caronte, da mò in attesa in riva al celeberrimo fiume per imbarcar- ci tutti quanti, squadra, staff tecnico e dirigenziale, il centinaio di persone presenti al fattaccio ed il paio di migliaia rimaste a soffrire a casa, nell’altrettanto celeberrima barchetta per traghettarci verso gli inferi della A2. Oddio, fu una giornatina movimentata anche per il buon Caronte perché, ad un certo punto, stac- catosi da Pesaro dove andava in onda il più scandaloso quarto giocato dall’Olimpia negli ultimi 20 anni abbondanti (e cioè da sempre perché, se la memoria non mi inganna, l’introduzione dei 4 periodi di gioco data proprio 20 anni fa; se sbaglio mi corriggerete...) si trovò un po’ frastornato vedendo invece che all’estremo ovest lo stesso periodo stava via via mostrando una disperata rimonta vanoliana che, se riuscita, avrebbe costretto il poveraccio a rimettere via la barchetta ancora per una settimana. Seguendo il mio consiglio si è fermato un po’ nelle Terre di Canossa per fare due chiacchiere con Matilde ed Enrico, due tipi di sua conoscenza perchè pure loro ospiti a suo tempo della bagnarola, ma dando sempre un occhio dalle parti di Varese. Un fremito ai tre liberi, di cui due ciccati, di Darius Johnson Odom che avrebbero dato il primo e forse definitivo vantaggio alla Vanoli, e poi di fretta e furia una volata a destinazione, giusto in tempo per imbarcarci tutti quanti, alcuni pian- genti calde lacrime. Non mi soffermo oltre perché per chi c’era, per chi non c’era, e per chi quel giorno lì inseguiva la sua chimera, è stata una giornataccia da espellere dal calendario.

4 7 Maggio: ultima di campionato La settimana che precede la sfida con Reggio Emilia, utile solo ai “fagolosi” per ottenere il miglior piazzamento possibile ai PlayOff, passa quasi mestamente. Il rischio di una figuraccia di fronte all’ex Yellow People era davvero concreta, ma a palazzo succedono due cose: la prima una cla- morosa dimostrazione di affetto nei confronti di Aldo Vanoli fu Guerino da Soncino; difficile pigliare una standing ovation dopo una retrocessione, ma il popolo vanoliano decide di regalarla al “suo” presidente il quale certamente non ha mai avuto dubbi sull’andare avanti anche in caso di retrocessione, ma forse, proprio grazie a ciò, mi ci gioco le ciribiciaccole, stabilisce pure che ne vale ancora di più la pena.

La seconda una prova tutta cuore e sostanza dei ragazzi che “asfaltano” (cit. Max Menetti, coach “fagoloso”) Reggio Emilia senza tanti fronzoli ma con molta sostanza, alimentando tra l’altro più di un rimpianto. Se si può dire che una retrocessione sia bella, questa è stata una di quelle.

5 9 Maggio: Paolo Lepore sollevato dall’incarico Qualcuno si chiederà perché metto anche sta cosa. Il motivo c’è e passo brevemente a spiegarlo andando come al solito in direzione ostinata e contraria. Paolo Lepore da Avellino è stato parte importante della storia vanoliana per quasi un decennio. Assistente con allenatori diversissimi tra di loro per approccio baskettaro, convinzioni tecnico-tat- tiche e carattere (se qualcuno se li fosse dimenticati: Stefano “Serie A” Cioppi, “Artiglio” Caja 1, quel gran bel tomo del nostro Tomo Mahoric, “Artiglio” Caja 2, Gigione Gresta e Messere Cesare Pancotto da Porto San Giorgio), ha ricevuto parecchio dalla Vanoli ma ha dato anche tanto, e quando è stato il momento non ha esitato un attimo a prendersi una responsabilità enorme perché si sentiva “cucita addosso questa maglia” (cit.). Una scelta che poteva è può ancora costargli molto cara in termini professionali; altri, al suo posto e legittimamente, avrebbero aspettato gli eventi per vedere che aria tirava a farsi due calcoli, lui no. Naturalmente se tutto fosse andato bene sarebbe diventato l’eroe ed invece, siccome è andata male, è diventato per molti il capro espiatorio ricevendo critiche certamente legittime ma pure insulti gratuiti al limite della querela. La società, ovviamente, non poteva fare altro che prendere quel- la decisione e Paolo credo lo sappia benissimo; c’è però in giro gente a cui (e il Ciranone vostro è tra queste) non è stata di certo indifferente la sua generosità. Si, Paolo è stato forse imprudente, sicuramente non supportato dall’esperienza necessaria, magari pure un ciccinnino presuntuoso, ma tutte ste cose sono decisa- mente seppellite dalla stupenda ed incosciente generosità con cui ha affrontato una prova da far tremare i polsi, nella quale ha dato proprio tutto quello che aveva e, tra l’altro, fallendola, alla fine della fiera, per tre, diconsi tre, maledettissime rimesse (quella di Cantù e le due con Sassari nei più sciagurati ultimi 56 secondi che la storia del basket ricordi). Io sono tra quelli (e credo non si sia così pochi) che hanno voluto bene a Paolo e che gliene vogliono tutt’ora per quello che ha fatto, e il cui ricordo se lo terranno ben stretto. Ad maiora Paolo, e magari chissà che un domani... Scusate, ma c’avevo sta roba ferma tra il gargarozzo e il piloro da un sacco di tempo, e non si decideva ad andare né su né giù. Ora che ho “evacuato” va decisamente meglio.

10 Maggio - la conferma del Condor e il giuramento della salamella La società però non sta di certo ad innaffiare gerani e la sua prima mossa è la riconferma ufficiosa (l’ufficialità arriverà verso fine mese) di Andrea “Condor” Conti come General Manager. E al Ciranone vostro iniziano nuovamente a prudere le mani perché se questa scelta non è stata una garanzia io sono la regina delle foche monache, che peraltro pare proprio non siano per nulla in via di estinzione al contrario invece di dirigenti competenti e sul pezzo come, per l’appunto, il nostro Condor. Ma il prurito aumenta vertiginosamente in serata a Soncino dove, invitati dalla società, ci si ritrova in un paio di centinaia di persone per “festeggiare” la retrocessione “ma senza drammi e pensando

6 già al futuro” (cit. Ciccio Barbieri su Provincia). Protagonista assoluta una salamella fuoriserie cucinata come Dio comanda dal “Kaukenas de noialtri”, al secolo Marco Zanotti, e sarà stato il fumo della griglia che faceva tanto “Robespierre” ma al Ciranone vostro, il quale ogni tanto è preso alla sprovvista dal ricordo di avere sul groppone una inutile laurea in Storia, è sovvenuto il “giuramento della pallacorda”. Correva il 20 Giugno 1789 e i deputati del Terzo Stato, capitanati da Joseph-Ignace Guillotin (divenuto poi macabramente famoso come inventore di una forca che verrà chiamata, per l’appunto, ghigliottina), lasciarono il luogo dove si svolgevano gli Stati Generali, quel giorno chiusi dal Re a detta loro pretestuosamente, e si riunirono in una sala attigua adibita al gioco della pallacorda (che sarebbe poi l’antenato prossimo del tennis) e giurarono so- lennemente «di non separarsi mai e di riunirsi ovunque le circostanze l’avrebbero richiesto, fino a che non fosse stata stabilita e affermata su solide fondamenta una Costituzione per il regno francese». Dio vi punirà per quello che state pensando adesso; non sono state le birre trangu- giate quella sera a farmi venir in mente sta roba, ma la netta sensazione che quella sera i presenti abbiano, magari inconsciamente, stipulato un giuramento forse più prosaico ma del tutto simile a quello dei deputati francesi del Terzo Stato: per l’appunto il “giuramento della salamella”, e cioè: “di adoperarsi, ognuno per le proprie responsabilità e possibilità, per arrivare a riveder le stelle”. Se non ci credete potete anche smettere di andare avanti, ma visto come è andata a finire mi sa che vi conviene proseguire.

15 Giugno: prima “bomba atomica”; il Condor fa “maraMeo” a tutti e ci regala il coach del triplete Stabilizzato lo staff dirigenziale, ecco che inizia la ricerca dell’allenatore. Tanti i nomi che girano; dagli iniziali Ciani, Dalmonte, Dell’Agnello ed un accenno addirittura a Menetti, si passa a candidature che paiono più solide come quelle di Moretti e Cavina; per un paio di settimane i loro nomi tengono banco. Quel furbacchione del Condor il 14 Giugno dichiara a Provincia: “Un giorno al nuovo coach”. Ci avrebbe raccontato poi cosa è successo “quel” giorno, sta di fatto però che il giorno dopo, e cioè il 15, mentre tutti quanti aspettano Moretti o Cavina, salta fuori come un autentico fulminaccio nel cielo più sereno di questo mondo e pure dell’altro il nome di Meo Sacchetti. Il primo ad annusare l’aria è il nostro personalissimo cane da trifola, al secolo Andrea Ferrari, che pubblica la bomba su Sport Grigiorosso verso le 5,30 di mattina. In giornata la faccenda viene perfezionata con tempi da orologio svizzero; Brindisi verso le 13 comunica la rescissione del contratto e nel pomeriggio dopo le 16 la Vanoli annuncia, urbi et orbi, che Meo Sacchetti è il nuovo allenatore della Vanoli. Il “giuramento della salamella” inizia a dare i primi frutti. Lo si nota 6 giorni dopo (21 Giugno) alla presentazione ufficiale del nuovo coach a Spazio Comune in Piazza Stradivari. Non riesco a trovare una parola più calzante di “pandemonio”,

22 Giugno: Vanoli firma Flavio “Valore Aggiunto” Fioretti Da giorni viene data per fatta ma l’ufficialità arriva solo ora; ed è un assistente per Meo con fiocchi, controfiocchi e barbìs. Che non si limiterà a dare una mano alla prima squadra ma si occuperà pure della Cremona Basket Academy, e cioè un progetto strategico che meriterebbe una articolessa a parte. Arriva da Capo d’Orlando e da giorni si vocifera che si porterebbe dietro un altro personaggino...

7 26 Giugno: primo acquisto e “bombetta nucleare tattica”; arriva ManDrake Diener Ed in effetti ecco i primi effetti collaterali “sacchettiani”. Un suo “pretoriano” storico firma per la Vanoli; trattasi nientedopodomaniche di Drake Diener il quale, via Capo d’Orlando come il neo assistant coach, e pur di ritornare alla corte del “suo” coach”, sceglie di scendere di categoria; ma forse non sapeva che il “giuramento della salamella” incombeva con tutta la sua potenza salvifica. E inizia a circolare, o meglio, già circolava la voce di una reunion cuginesca con l’altro Diener, Travis.

4 luglio/25 luglio: il roster prende forma E qui l’affare si ingrossa perché il vero capolavoro contian/vanoliano avviene in questi giorni che, dal 14 luglio, si intrecciano con quelli dell’attesa del ripescaggio. Le voci su una JuveCaserta con l’acqua alla gola circolavano già da un po’, dopo un’iniziale ventata di ottimismo, ma di questo parleremo dopo. Adesso si deve costruire un roster per la A2 e con un filotto degno del miglior Scuro la Vanoli si assicura: (4 Luglio), Michele Ruzzier (5 Luglio), Mauro Portannese (13 Luglio), Giulio “Mio Ragazzone Bolognese” Gazzotti (23 Luglio) e, last but not least, Travis Diener (25 Luglio). Già così, con i 6 giocatori firmati sembrerebbe un roster illegale per la A2, al punto che inizia a circolare l’idea che lo staff Vanoli avesse già in saccoccia la certezza del ripescaggio. Una faccenda da classificare, senza star tanto a pensarci su, nella ca- tegoria delle stupidaggini. Piuttosto da registrare che il 9 Luglio in tre (Meo Sacchetti, Andrea Conti e Jacopo Torresi) scollinano l’Atlantico per recarsi negli States; visita tradizionale, dicono. È un appuntamento da non mancare perché in quei giorni, nelle Summer Leagues, c’è il gotha della pallacanestro mondiale, ripetono. Ma poi vedremo che non sarà così, o meglio non solo; intanto lo Yul Brinner de noialtri, al secolo Jacopo Torresi, avrebbe il neanche tanto segreto compito di tastare le con- dizioni di Travis Diener, ma poi gli altri due furbacchioni sono là per mettere giù le trappole che potrebbero venire utili nel caso in cui...

8 13 Luglio/26 Luglio - i 13 giorni che sconvolsero Cremona “Il caso in cui”. E qui calma e gesso perché sti 13 giorni non hanno avuto di certo gli effetti descritti nei “dieci giorni che sconvolsero il mondo” di John Reed, ma comunque un po’ di scon- quasso nelle coronarie dei cremonesi l’hanno portato. Il 13 Luglio arriva la seconda bomba atomica dell’estate; la ComTec boccia il bilancio della JuveCaserta e l’assemblea di Lega, nella riunione del giorno dopo, delibera la non ammissione al campionato della squadra campana, spedendo tutto il malloppo alla Federazione per la necessaria ratifica della decisione prevista per venerdì 14 Luglio. E visto che siamo in tema di Rivoluzione Francese, il 14 Luglio arriva la presa della Bastiglia Vanoliana; pure la Federazione ratifica la delibera della Lega e Caserta sprofonda ufficialmente non si capisce bene dove. Ma non è ancora finita perché Caserta ha il diritto (sacrosanto) di ricorrere al collegio di garanzia del Coni per far annullare la ratifica della FIP. La seduta viene fissata per il 26 Luglio, ed in questi 12 giorni assistiamo a veri e propri fuochi di artificio da parte di Iavazzi e di Marino, rispettiva- mente presidente di Caserta e Sindaco della città della Reggia, i quali, soprattutto il primo, cercano di alzare delle evidenti cortine fumogene arrivando pure ad accusare la Vanoli di scorrettezza per la sua partecipazione in giudizio. Come sempre il comportamento della società è, come dire, sobriamente vigile, nel senso che non risponde alle evidenti provocazioni di Iavazzi limitandosi a precisare che è stato lui ad avocare in giudizio la Vanoli e non viceversa. E si arriva al 26 Luglio. Fino alle 19,00 non si sa una beneamata fava; mi sa che non sbaglio di molto a dire che tutto il popolo vanoliano era attaccato a PC, tablet, smartphone e diavolerie varie come un assetato ad una fonte nel deserto. Alle 19.13 uno squarcio nelle tenebre ed è ancora il nostro Andrea Ferrari a darlo; e qui parte la leggenda di un prudente punto interrogativo digitato nel titolo ma non salvato. La notizia arriva da Bergamo che esulta per il ripescaggio in B e quindi, per la proprietà transitiva, pure la Vanoli lo sarebbe; ma bisognerà attendere le 19.50 per l’uffi- cialità. Credo anche in questo caso di non sbagliare se dico che tutto il popolo vanoliano si ricorda cosa stesse facendo quando ha saputo la notizia. E tanto per farvi notare l’aspettativa che la faccenda aveva creato vi racconto costa si stava facendo la mia dolce Gigia ed io: si era alla cena di una associazione politico-culturale che nulla ha a che fare col basket; si era un trentina ma una metà abbondante con il cellulare in mano, voglia di cenare zero e tensione allo spasimo. Fino al grido liberatorio: “e la Vanoli lalalallala e la Vanoli lalalallala e la Vanoli lallalallallaaaaa”. Più della metà di una associazione politico-culturale che nulla a che fare col basket che “blocca” una cena perché “vuole” sapere. Chiamatelo entusiasmo...

Appendice: 27 Luglio/... fine della storia, e inizio di un’altra... Il day after della “resurrezione” inizia subito col primo colpo di mercato Iu.Es.Ei: arriva Elijah Johnson. Ma non finisce qui per il 29 Luglio è la volta diKelvin Martin, e il 1° agosto quella di Landom Milbourne. In pratica in 6 giorni chiuse tre trattative; evidentemente le “trappole che potrebbero venire utili nel caso in cui...” lo sono state davvero utili. Per il centrone si è dovuto aspettare un po’ di più ma alla fine è arrivato il botto finale;Henry Sims sembra davvero un rega- lone che Aldo Vanoli e Davide Borsatti hanno voluto farsi e farci. Pare sia più semplice risolvere una equazione della relatività generale che far arrivare uno Iu.Es.Ei in Europa, ma prima poi anche il ragazzone del Maryland arriverà e anche lui si metterà agli ordini del fischietto di Meo che, dalle notizie che ci giungono da Carisolo, sembra stia già spopolando. 87 giorni, 2.088 ore la maggior parte delle quali passate in apnea o quasi per una serie forse irri- petibile di emozioni... E la chiamano estate...

9 OTTOBRE, OVVERO “I REGNI SORGONO E I REGNI CADONO”

Lunedì, 01 Ottobre 2018

Eh si, correva l’anno 1981 e capitò al Ciranone vostro una delle parecchie fulminazioni sulla via di Damasco che gli sono toccate in sorte nella sua non breve vita. Quella volta si trattò di una fulmi- nazione musicale perché sto cianciando dell’album “Ottobre” degli U2, uscito il 12 ottobre 1981 e nei cui solchi (allora il vinile, appena imbastardito dalle musicassette, regnava incontrastato... bei tempi) era tracciata l’omonima canzone. La quale omonima canzone, dopo una introduzione di solo pianoforte da peli che fanno la ola, attaccava, e finiva, così: Ottobre“ e gli alberi sono spogliati di tutto ciò che indossano. Che m’importa? Ottobre e i regni sorgono e i regni cadono ma tu vai avanti e avanti”. Fine; più splendidamente ermetica di una poesia di Ungaretti.

Siccome mi tocca tirare le fila della preseason vanoliana, capita che si sia affacciato nel solito neurone di nord-ovest sto capolavoro (oh, de gustibus neh?). E perché mai? Perchè si parla di alberi spogliati e di regni che sorgono e regni che cadono, e cos’è mai ottobre per il basket se non la prova del nove di tutte le illusioni, apparenze, certezze, convinzioni, opinioni, verità o supposte tali che da sempre la preseason dello sport più bello del mondo dispensa a piene mani? L’ha straripetuto anche il Meo Nazionale in questi giorni; l’ultima volta nell’intervista di Ciccio Barbieri su La Provincia di stamane che inizia con un sintomatico virgolettato: “Il precampionato è sempre illusorio e non bisogna farsi prendere la mano, anche se qualche buona risposta l’ab- biamo avuta”. Insomma, arriva finalmente il campionato, e cioè si inizia a fare sul serio e quando si inizia a fare sul serio la musica cambia.

Ora, tutto ciò è sacrosanto, ed è cosa buona e giusta prendere quello che è arrivato da questa preseason vanoliana con le dovute pinze. Però ci sarebbe un bel però, e cioè i numeri, e quindi diamoli sto numeri, cosa che peraltro al Ciranone vostro riesce benissimo. 11 Amichevoli, alcune abbordabili, altre impegnative ed una (Darussafaka) decisamente non alla portata, ci raccontano di 937 punti fatti (media 85,18) e 841 subiti (media 76,45); di un Tre Demps in doppia cifra in nove su undici partite (media 16 punti tondi tondi) con le due al di sotto messe al servizio della combriccola nelle partite forse più significative, e cioè quelle del torneo di Jesolo con Venezia e Bologna. Ci raccontano pure di 8 vittorie e 3 sconfitte; una, come già detto, contro una “montagna troppo alta da scalare” (cit.) e le altre due con Cantù e Bologna combattute fino all’ultimo e perse l’una a causa di un giocatore quella sera in versione stellare (tale Tony Mitchell da Swainsboro, Georgia, Iu.Es.Ei), e l’altra a causa del solito trio in grigio che pare ne abbia combinate, nel momento topi- co, peggio di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno messi assieme.

Ci raccontano anche di altre “buone risposte”; prima di tutto Wesley Saunders (142 punti per lui; media 12,91 che per un sesto uomo proprio così schifo non fanno). Il giovanotto di L.A., piano pianino, sta diventando il classico Gianburrasca, e cioè il rompicoglioni che al momento giusto viene buttato dentro per sparigliare il banco; si lo so, è ancora lontano dall’essere l’altro Gianbur- rasca de noialtri, e cioè Tyrus McGee, ma direi che il solco è decisamente tracciato. Indi Drew Crawford; è stato il botto Vanoli del mercato e si è confermato il giocatore solido che ci si aspettava; 118 punti in 9 partite (media 13,11) ma soprattutto tanta leadership e personalità fuori e dentro il parquet.

10 Poi Peyton Aldridge, forse ancora un po’ grezzo ma con un talento cristallino (122 punti per lui, con il picco di un bel ventello abbondante con Torino; media 11,09); se riesce a diventare un po’ più “cattivo” sarà un gran valore aggiunto. Infine la pattuglia italiana; tutti confermati e tutti confermatisi “certezze”; sugli scudiGiampaolo Ricci (148 punti, secondo realizzatore vanoliano, media 13,45) che ha sostituito egregiamente, considerando che non è esattamente il suo lavoro, il centrone di cui si parlerà fra un po’.

Lascio per ultimi, e volutamente, Travis Diener e Mangok Mathiang. Per il biondino di Fond du Lac inutile spendere tante parole; ha già incantato e mi sa che, in quella che probabilmente sarà la sua ultima stagione, c’ha la mezza idea di volersi/ci regalare momenti di basket stellare; complice anche qualche guaio fisico ha rifiatato un po’ nelle ultime uscite, ma potete scommetterci che è più pronto che mai. Per il ragazzone Australian-Sudanese invece è ancora troppo presto per dare giudizi; sicuramente i mezzi per spazzolare a dovere il pitturato li ha, ma qui mi fermo e, non avendolo ancora visto all’opera, mi fido del giudizio dato in proposito dalMeo Nazionale: “Fino a questo momento ha fatto vedere solo della potenzialità. È veloce, in difesa fa il suo dovere ma sotto canestro deve darci più consistenza” (dalla già citata intervista di stamane su La Provincia).

Avendo toccato il tasto “difesa” due paroline due anche su sto fondamentale è d’obbligo. Quest’an- no pare che si abbia una squadra che difende come gli dei del basket comandano, il che favorisce ancora di più il gioco in campo aperto del Meo Nazionale, noto a tutti, con una evidente sempli- ficazione, come “ciapa e tira”. Sarà che il Ciranone vostro è un sentimentalone del due, ma qui ci vede lo zampino di un noto “ministro della difesa” e cioè Flavio “Valore Aggiunto” Fioretti, che sarebbe in grado di insegnare come si difende a chiunque gli capiti a tiro. Bene, tutto bene quindi? Non esattamente. Il tiro dalla distanza non è più, come nelle prime uscite, l’unica arma nella faretra di questa squadra ma è pur sempre il terminale offensivo più frequente, e se date un’occhiata alle percentuali non sono di certo da capogiro neppure nelle ultime convin- centi prestazioni; si va dal 30% con Bologna al 37,5% con Reggio.

Anche i black out che si sono materializzati nelle prime uscite con parziali negativi clamorosi sono sicuramente scemati ma si ripropongono ancora; a volte sto squadra chiude il rubinetto e buonanotte al secchio. La cosa positiva è che l’ultimo clamoroso black out si è verificato nel primo tempo dell’amichevole con la Bakery Piacenza, poi sempre meno. Probabilmente hanno sortito l’effetto voluto gli urlacci che il Meo Nazionale è stato costretto a cacciare nell’intervallo dell’amichevole piacentina. Testimoni oculari, anzi, auricolari, posti a circa 800 metri dall’impor- tante avvenimento, narrano di aver compreso agevolmente che trattavasi di cazziatone coi fiocchi.

E comunque arriva finalmente il campionato, e cioè la prova del nove di tutte le illusioni, apparen- ze, certezze, convinzioni, opinioni, verità o supposte tali che da sempre la preseason dello sport più bello del mondo dispensa a piene mani. E si inizia con i vice campioni dell’Italia, i quali vice campioni d’Italia sono dati da tutte le illusioni, apparenze, certezze, convinzioni, opinioni, verità o supposte tali che da sempre la preseason dello sport più bello del mondo dispensa a piene mani come un po’ in affanno. Sarebbe decisissimamente il caso di non fidarsi; ma credo non ci sia bisogno neanche di dirlo perché dal Meo Nazionale in giù in Vanoli c’è gente che non sta di certo a pettinare le bambole e sa benissimo che “i regni sorgono e i regni cadono ma tu vai avanti e avanti”. Il che è bello e istruttivo (cit.)

11 Trento - Vanoli 99 a 104 UNA STREPITOSA OUVERTURE PER L’ANNO DELLA STELLA VANOLIANA

Lunedì 8 Ottobre 2018

Non so tu popolo vanoliano, ma il Ciranone tuo fa una fatica del diavolo a mettere in fila le emozioni forti che ha immagazzinato durante questa leggendaria partita. Ma siccome gli tocca ci prova ugualmente. Partirei dal fatto che la partitona di Trento, un autentico spot per lo sport più bello del mondo, ci ha detto alcune cosette. La prima: questa squadra pare abbia le palle di gra- nito; se fosse capitato (ed è capitato) solo l’anno scorso di essere sotto ad un giro di lancette dalla fine non si sa- rebbe riusciti a raddrizzarla nemmeno con le cannona- te (è successo, se ricordate, solo con Brescia a palazzo, in un’altra gara da sballo). Invece negli ultimi giri di lancette dell’ul- timo quarto e del primo overtime siamo stati lì lì per crollare ma i regàs sono riusciti a riprendere gagliardamen- te la faccenda. Roba da uomini tosti, di quelli “che non devono chiedere mai”.

La seconda: si è parlato spesso nella preseason della propensione difensiva di questa squadra, e stasera, soprattutto nel primo tempo, la Vanoli ha dato dimostrazione che quella che sembrava poco meno di una certezza è stata, e si spera continui ad essere, la vera arma in più. Lasciare Trento a 31 punti nel primo tempo è tantissima roba; la Vanoli era in pratica padrona del parquet e solo una inopinata quanto disgrazia- ta percentuale del tiro dalla lunga (18%, no dico diciotto per cento frutto di un terribile 3 su 17), non ha permesso di mettere quasi in ghiaccio la partita già alla pausa lunga. Sarebbe bastato infatti un abbordabilissimo 35%, e cioè tre bombe in più, per chiudere il primo tempo sul + 15. E tra l’altro nessuno avrebbe avuto proprio nulla da eccepire.

La terza: nel secondo tempo Trento è rientrata prepotentemente in partita ma dall’altra parte ha trovato una squadra che ha retto l’urto “da squadra”. Salta su infatti come un bel ceffone di quelli tosti il fatto che i cinque in campo, chiunque essi fossero, abbiano giocato l’uno per l’altro. Que- sta, che il Ciranone vostro chiamerebbe “unità di intenti”, è, assieme alla propensione difensiva,

12 l’altra bella novità della Vanoli di quest’anno, ed è forse la novità più bella. Mi dicono che i regàs hanno già legato molto anche fuori dal campo; non so se sia vero ma quello che so è che è parso evidente come in campo si cercassero e si trovassero ad occhi chiusi, soprattutto nella loro parte di parquet. Sta faccenda, popolo vanoliano, è davvero una gran bella storia.

La quarta: dicono che questa squadra abbia meno talento di quella dell’anno scorso, e il primo a dirlo è niente dopodomani che il Meo Nazionale, il quale però, ai microfoni di Eurosport, ha subito aggiunto “ma con più voglia di sbucciarsi i gomiti”. Il Ciranone vostro ci andrebbe cauto; vero, siamo più volitivi, più pronti ad affrontare situazioni di emergenza e più reattivi quando sotto pressione e l’abbiamo abbondantemente constatato. Ma uno che ti sfiora la tripla doppia (Wesley Saunders: 29 punti, 10 falli subiti e 8 rimbalzi per 40 di valutazione) se non ha talento difficilmente ci riesce, e per altri due che ti mettono il primo il ventello e il secondo lo sfiora (Drew Crawford e Peyton Aldridge), vale lo stesso discorso. Pure la premiata ditta “produttori di assist”, presidente Travis Diener e amministratore delegato Michele Ruzzier (12 assist in due), in fatto di talento non scherza (il primo poi lo potrebbe ven- dere a tonnellate). Vogliamo poi parlare pure della garra del Pippo Ricci di stasera? E quindi ok, saremo meno, come dire, appariscenti della stagione passata ed è sacrosantamente vero che sostituire due tipi come Drake Diener e DJO non è impresa facile, ma io credo che anche quest’anno in quanto a talento non siamo messi poi così male.

Rimescoliamo tutto questo, diamogli una bella scrollatina come facevano le nostre nonne per asciugare l’insalata, e salta fuori che questa squadra, almeno stasera, ha dimostrato di avere una fame belluina. Come tanti falchi feroci si sono attaccati all’aquila tridentina e non l’hanno più mollata. L’aquila tridentina ha cercato di scrollarsi di dosso questa fastidiosissima zecca che gli triturava i cicisbei, e ad un certo punto pensava di esserci riuscita ma è arrivato proprio lì il capolavoro del falchi padani che hanno menato il fendente decisivo negli ultimi 180 secondi del secondo overtime. I falchi padani ci hanno così regalato una vittoria che entra di diritto negli annali vanoliani, e l’hanno stampata come ouverture dell’anno della stella vanoliana. Una ouverture alla Guglielmo Tell che ha tutta l’aria di trasformarsi nella marcia trionfale dell’Aida; ma calma, stiamo calmi, ragazzi calma, l’avventura è appena iniziata e ce n’è ancora di strada da fare, ma il primo pezzet- tino ci ha strepitosamente ha indicato la via giusta.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

13 Premio Reverberi al Presidente Aldo Vanoli Lettera spalancata al presidente 2.0

Martedì, 13 Novembre 2018

Caro presidente È da ieri, quando mi è esplosa in faccia la notizia del premio Reverberi “Oscar del Basket” che si è portato a casa, che mi è sovvenuto di rimettere in funzione il mio neurone di nord ovest, ancora claudicante per via del week end pistoiese con annessi e connessi di emozioni, e di scriverLe una nuova lettera aperta, ma che dico aperta, spalancata come quell’altra. Poi, complice un pasticcio della TIM che ha coinvolto mezza Italia, sono ritornato tra i “vivi” solo poco fa e quindi eccomi. La ricorda la prima? Era il 10 Febbraio 2017; due terzi di stagione e la Vanoli arrancava in fondo alla classifica. Allora chi mi fece partire l’embolo fu un “genio” che sui social Le chiese di chie- dere scusa. Mi domandai e gli domandai perché mai Lei dovesse chiedere scusa; ne uscì fuori, praticamente di getto, una tiritera che è una delle poche cose che non mi pento di aver scritto

Ora invece le circostanze sono completamente diverse; ora si tratta di celebrarLa come si deve. C’è da giocarci l’ultimo euro che tra chi adesso, dopo lo spettacolino messo su in queste prime sei partite, pronostica una finale di play off per la Vanoli di quest’anno (così ci scrivono a Sport Grigiorosso), c’è pure il “genio” di cui sopra. Potrei finirla qui e dire che è questa la Sua vitto- ria, e cioè quella di aver riconquistato un popolo intero (cosa mai facile; non ci riuscì neppure Napoleone) facendolo innamorare di nuovo della Sua creatura. Ma sarebbe troppo semplice e spiccio; quello che Le vuole dire il Ciranone Suo va oltre, parecchio oltre. Perché leggo a chi è stato assegnato il premio in passato e scopro che Lei è in compagnia di gente che ha fatto la storia del basket nazionale; è questa la circostanza che mi ha fatto ripartire l’embolo, per cui si metta (e mettetevi) comodo/i che inizia la lagna. Lei, oltre che la cronaca, è già da un po’ la storia del basket cremonese e da ieri pure di quella nazionale. I motivi sono talmente tanti che finirei la volta del mai, possono però essere concentrati in tre; cercherò di riassumerli brevemente, a beneficio pure della memoria corta di alcuni.

La rinascita del basket cremonese Quando, se non ricordo male, 13 anni fa Lei decise di accettare l’invito che Secondo Triboldi Le fece di entrare nel basket, non sapeva probabilmente nemmeno di che colore fosse la palla a spicchi. Poi è stato talmente conquistato da questo gioco, che è il gioco più bello del mondo, da decidere, nella famosa torrida estate 2013 in seguito alla rinuncia di Secondo Triboldi, di caricarsi sulle spalle tutta la baracca e di andare avanti. È già stato detto e ridetto ma vale la pena ricordarlo; parecchi hanno beneficiato di quella deci- sione anche se ancora oggi non riescono a metter bene a fuoco la faccenda; e ci pensa il Ciranone Suo a rinfrescare la memoria. L’esplosione del basket nel territorio cremonese di questi ultimi anni è dovuta anche alla circo- stanza di avere stabilmente una squadra nel massimo campionato. Il dato di fatto è che oggi le varie società cittadine e provinciali ad ogni livello, giovanile e non, non fanno più la fatica di un tempo a trovare ragazzi che si approcciano al basket, ed è rinata perfino una società cittadina di basket femminile. Certo c’è ancora tanta strada da fare e ci vuole lungimiranza, costanza e intraprendenza, ma il solco è tracciato e a tracciarlo, alla fine della fiera, è stato Aldo Vanoli fu Guerino da Soncino.

14 Lo spettacolo del basket a pochi metri Tralasciando gli anni di vice presidenza, Lei ha fatto vedere dal vivo al populo baskettorum cremonensis fior di campioni che altrimenti avrebbe visto solo al “pischer”. Ne cito solo alcuni: i due rookies ancora ben presenti a tutti, Cameron Clark e James Bell; il ritorno del Cuso e nello stesso anno il suo sostituto, quel cavallo assolutamente pazzo di Ed Daniel, per non parlare dei vari Jazzmarr Ferguson e Kenny Hayes. L’anno dopo i primi play off con Deron Washington, Elston Turner e Tyrus McGee. Ha riconsegnato al basket nazionale fior di talenti facendoli rin- vigorire con la tranquillità della provincia; un nome su tutti: . Ha riportato e portato a Cremona due poeti del basket: Travis e Drake Diener. E ci ha fatto assaporare l’opera di due autentici “sapienti” del basket nazionale; Messere Cesare Pancotto da Porto San Giorgio ed il Meo Nazionale; così diversi tra di loro ma così unici.

Non ci sono santi e nemmeno fanti: lo spettacolo visto al PalaRadi in questi anni è merito, alla fine della fiera, diAldo Vanoli fu Guerino da Soncino.

15 La semina nei giovani e la “cultura del basket” Da un paio d’anni è partita pure una faccenda che ha nelle sue intenzioni quella di far mettere al basket radici sempre più profonde nel territorio cremonese; mi riferisco, ovviamente, al Cremona Academy a sua volta moltiplicatore di altre esperienze già in corso. Investire sui gio- vani è la migliore garanzia di continuità per una squadra di basket, ma soprattutto è il cemento per costruire quel palazzo che il Ciranone Suo chiama “cultura del basket”, e cioè il brodo primordiale a cui hanno attinto in altre epoche altre piazze storiche dove il basket è religione o quasi; ne cito solo due, Cantù e Varese. Se vi fate un giro da quelle parti scoprirete che in ogni piazzetta, cortile, anfratto o qualsiasi altra superficie piana c’è piantato un palo col suo bel canestro, e sotto un cioppo di ragazzini che cor- rono dietro ad una palla a spicchi. Bene; da un po’ di tempo anche al campetto di via dei Classici, fino a 5/6 anni fa sempre deserto a quasi, ci trovate lo stesso gruppetto di ragazzini che corrono dietro alla solita palla a spicchi e cercano di cacciarla nel canestro. I cambiamenti si percepiscono dalle cose semplici, e questa faccenda, che è semplice, fa percepire il sintomo di un cambiamento epocale; e cioè che sta crescendo e aumentando anche da noi in proporzioni geometriche quella specie di “panspermia” che catapulta in ogni dove la passione per il basket. Anche tutto ciò è merito, alla fine della fiera, diAldo Vanoli fu Guerino da Soncino

Caro presidente, quel premio che Le verrà consegnato il 18 Febbraio 2019 gli autentici appassio- nati di basket cremonesi gliel’hanno già consegnato da tempo. Ma idealmente saremo in tanti là quel giorno, la accompagneremo col pensiero su quel palco e la sosterremo pure quando dovrà prendere in mano quella specie di aspersorio che si chiama microfono che, a volte, ti ferma le parole nel gargarozzo. Ma Lei non ha mai avuto bisogno di molte parole, parla per Lei quello che ha costruito e che continuerà a costruire.

Grazie presidente.

16 - Vanoli 76 a 75 “DE BELLO ARBITRO”

Lunedì, 26 Novembre 2018

Mi metto a lagnare adesso, dopo 24 ore e passa dai fattacci del forum, perché se l’avessi fatto ieri sera avrei tirato giù tutti i santi del Paradiso, tutti i demoni dell’inferno, tutti i “così così” del pur- gatorio e li avrei tutti quanti allegramente scatenati contro una delle direzioni più farlocche che al Ciranone vostro sia mai capitato di vedere su un campo di basket. O meglio, la voglia di mettere giù pixel di fuoco c’era, ma talmente tanta era la imbufalente paturnia che le parole venivano per un po’ e dopo ritornavano indietro riaccartocciandosi da dove erano venute. In queste condizioni mettere giù qualcosa non solo di decente ma pure comprensibile era impresa titanica. Oddio, non è che ora vada meglio; l’incazzatura è sempre feroce ma almeno è subentrata l’introspezione psicologica (a volte non so nemmeno io perché mi vengono così...) e quindi attacco.

E lo faccio dicendo che la direzione dei tre grigi (Sardella, Baldini e Quarta), nell’occasione vestiti di grigio, è stata straordinariamente sconsiderata per tutta la partita ma, fatta eccezione per la angosciosa differenza a favore di Milano dei viaggi in lunetta, almeno con farloccaggini più o meno equamente suddivise; infrazioni di passi non fi- schiate quando c’erano e invece sì quando erano inesistenti, falli inventati e falli invece non sanzionati che avrebbe visto anche un arbitruccio alle prime armi; sempre, tutti e tre, in posizione sbagliata rispetto all’azione (tranne negli ultimi sessanta secondi, di cui si lagnerà poc’anzi, in cui erano fin troppo “pre- senti”); mettiamoci pure una preparazione fisica che definire superficiale è fare un complimento (mi è capitato di vedere Sardella piuttosto in difficoltà con la respirazione, e si era alla fine del primo tempo) ed il quadro di una giornata da tregenda sarebbe completo e già sufficiente per spedire i tre di cui sopra nel girone più disgraziato dell’inferno, ammesso e non concesso che poi nel campionato di laggiù non ci vengano rimandati indietro.

Farloccaggini più o meno equamente suddivise quindi, almeno così le ha viste il Ciranone vostro; ma però solo per 39 minuti. Già perché negli ultimi sessanta secondi si è giunti a vette inarrivabili di tragicomicità. E vediamolo ste ultimo minuto; l’ha già fatto egregiamente stamane Ciccio Barbieri su La Provincia ma mi serve ridondare per proseguire poi con il ragionamento del discorso. Si scavalla di poco l’ultimo minuto e ci accorgiamo che i tre, tutti e tre, non sono capaci di contare fino ad otto; infatti James si fa una bella passeggiata nella propria metà del parquet ben oltre gli otto secondi concessi dal regola- mento. Ben oltre significano tre, diconsi tre, secondi; provate a contare uno, due, tre secondi e vi accorgerete della enorme stupidaggine combinata dai tre, tutti e tre. C’è voluto un urlaccio collettivo della panca Vanoli, salata su come un sol uomo, per destare dal torpore i tre, i quali tre però aggiungono a stupi- daggine un’altra stupidaggine, e cioè non arretrano di tre secondi il cronome- tro. In pratica tre secondi regalati all’Olimpia; tre secondi che in una partita di basket punto a punto non sono trecento centesimi ma tre ere geologiche.

17 Palla Vanoli e Wes Saunders trova sotto canestro, libero come un uccellino a primavera, Mangok “Mandingo” Mathiang; adesso spacca la retina, penso io in un nano secondo, invece il nostro centrone si esibisce nel “canestro più lento di sempre” (inarrivabile cit. di Giacomo Iacomino) e arriva Brooks che letteralmente gli tira giù un braccio non riuscendo però ad impedire il “ciuff”; libero supplementare? Macchè! Il grigio, nell’occasione vestito di grigio, nei paraggi (Sardella) rimane col fischietto in mano per un interminabile mezzo secondo e non lo porta alla bocca come peraltro si aspetterebbe tutto il forum che per un attimo si ammutolisce. Dice: tanto il Mandingo lo ciccava il libero. Può darsi, ma però l’Olimpia andava in bonus e questo avrebbe fatto tutta la differenza del mondo nei restanti 7 secondi (che, ricordiamo, avrebbero dovuto essere 10), E arriviamo all’ultimo capolavoro, davvero irraggiungibile. James entra deciso nel pitturato seguito da Wes Saunders che gli “scivola” accanto, tira cadendo all’indietro e il grigio, nell’oc- casione vestito di grigio, lì a mezzo passo (Baldini che, come si evince dalle foto in circolazione, c’ha il fischietto ben piantato in bocca a differenza del suo collega poc’anzi) fischia un fallo ma non a Wes Saunders (che effettivamente al momento si dispera per la fischiata) ma al Mandin- go che James non l’ha nemmeno sfiorato. Vorrei esser adesso come quegli autodidatti che, non essendo stati rovinati dalla grammatica, scrivono che è un piacere, per descrivere la faccia del Meo Nazionale; siccome non lo sono preferisco farvela immaginare.

18 Poi arriva la generosa bomba ciccata da Pippo Ricci (tra l’altro una schema disegnato alla per- fezione perché il nostro è arrivato solo soletto al fatal momento) ma il ferro dice di no. Il forum esplode in un urlo liberatorio; alzo lo sguardo e intravedo Davide Borsatti che schizza come un tarantolato dalla panca. Ho saputo poi che si è avvicinato a tre grigi, nell’occasione vestiti di grigio, e pare gliene abbia dette un sacco e una sporta. E allora fatemelo dire; il Vice Presidente in quel momento era portavoce di ogni singolo vanoliano presente al forum o attaccato al “pischer” perché mi ci gioco i gioielli di famiglia che ognuno di noi avrebbe voluto essere al suo posto. Leggo che dalla federazione è arrivata una sanzione ancora più ridicola: “inibizione determinata fino al 3/12/2018 per invasione del campo di gioco al termine della gara, con atteggiamento pla- tealmente protestatario (protestatario? Oh mamma mia cos’è, l’Agenzia delle Entrate?) verso gli arbitri. Sanzione sostituita con 3.000 euro di multa”. Inibizione fino al 3/10/2018, e cioè a cam- pionato fermo per la pausa della nazionale; una coda di paglia lunga da qui al Venezuela. Davide VP Borsatti, non paghi la multa e si tenga l’inibizione, per il Ciranone suo, e credo per parecchio popolo vanoliano, è una specie di medaglia al valore di cui andare fieri.

Potrei dilungarmi pure sulla differenza con cui il Meo Nazionale e hanno commentato lo schifo dell’ultimo minuto, ma sfonderei una porta aperta; mi soffermo solo sul solito particolare che Pianigiani continua imperterrito, come sua consuetudine, a parlare nell’orec- chio al grigio di turno che gli capita a tiro. Cos’abbia da dire solo gli dei del basket lo sanno, ma il punto è che lui lo può fare impunemente mentre se lo fa un qualsiasi altro allenatore il tecnico arriva come un castigo divino. Ma mi fermo qui sennò non la smetto proprio più e arrivo al dunque. Non dirò mai, nemmeno con un mitra piantato sulla pancia, che gli arbitri sono “manipolati” perché questo comporterebbe la morte dello sport più bello del mondo (e non solo), anche perché la faccenda è parecchio, ma davvero parecchio più grave. Negli ultimi anni si è registrato un clamoroso e progressivo decadi- mento della qualità degli arbitraggi; ovvero, non tutti ovviamente, ma tanti non solo all’altezza e di conseguenza combinano disastri più o meno clamorosi. E la loro scarsa preparazione è inversa- mente proporzionale all’arroganza con cui scendono sul parquet.

Questo è un problema grosso come dieci Empire State Building che, se lasciato incancrenire, rischia davvero di far diventare lo sport più bello del mondo una macchietta. Serve davvero da parte di tutti quelli che amano e investono quattrini in questo sport uno scatto di orgoglio; si diano una mossa e, tutti quanti insieme, facciano pressione presso la Federazione perché avvii un pro- gramma di riqualificazione e formazione del corpo arbitrale per non vedere più schifezze come quelle degli ultimi sessanta secondi di ieri al forum, perché quelle possono averle combinate solo degli arbitri clamorosamente non all’altezza. La Monica può sostenere fin che vuole che l’arbitro ha un compito complicato perchè prende decisioni in tempi rapidissimi, ma quello che è capitato ieri va al di là di ogni giustificazione. Nel primo secolo avanti Cristo Caio Giulio Cesare scrisse il De Bello Gallico col quale narrò la conquista della Gallia, vissuta in prima persona. Con quegli otto libri descrisse le “fatiche” sue e dei legionari romani per portare la Gallia nel mondo allora considerato “civile”. Lo stesso si deve fare per riportare gli arbitraggi ad un livello degno di questo sport. Dobbiamo iniziare tutti quanti a scrivere il nostro di libro; un “de bello arbitro” per l’appunto.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

19 Vanoli - Trento 84 a 89 LA FIDUCIA DELLA FIDUCIA NELLA FIDUCIA

Lunedì, 21 Gennaio 2019

Ieri durante il primo tempo, mentre ero cogitabondo a cercare di intravedere in quello che succedeva sul parquet la “nostra” Vanoli, è venuto a trovarmi Cesare Battisti. E questa ve la devo raccontare. Dunque correva il 24 Gennaio 2016, fra tre giorni giusto tre anni, e la Vanoli stava per la prima volta distruggendo Trento sotto la famosa gragnuola di triple (cinque tutte di fila) uscite dalle mani di Mian (a proposito: mica l’ho capita quella bordata di fischi in direzione del giova- notto... boh). Bene arriva il Cesare Battisti di cui sopra e si è battibeccato per questioni legate alla storia d’Italia; se n’è andato offesissimo. Oggi invece, come se nulla fosse, è ritornato a trovarmi con la scusa di sapere chi fosse quell’omonimo di cui si è parlato diffusamente nei giorni scorsi e perché una discreta moltitudine di italico popolo ne dicesse di bue e anche di vacca. Gli ho raccontato, tra una cogitabondata e l’altra, la storia per sommi capi e lui ha convenuto che il tipo è stato un po’ maleducatello.

Poi ha attaccato con un; “nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolo- re che da tante parti d’Italia si leva verso di noi. Forti per la concordia, fidanti nel nostro buon diritto, aspettiamo prudenti e decisi i decreti della Divina Provvidenza”. L’ho guardato di sghim- bescio e gli ho detto a muso duro che continuava a fare una riprovevole confusione tra Risorgi- mento e Irredentismo, esattamente come tre anni fa quando, sapendo la mia passionaccia per la Storia, cercò di ingraziarsi attaccando con il proclama di Salemi che, come parecchi sanno, nulla c’entra con le faccende irredentiste. Giurin giurello che volevo solo scherzare, ma come allora il tenente degli alpini ha chiamato il sottotenente Fabio Filzi e se n’è andato offesissimo, di nuovo. Gente strana gli irredentisti.

Sta ciofeca mi è venuta in mente perché anche allora, proprio come ieri sera, dopo un primo tempo tra il “così così” e la “mezza schifezza”, stava arrivando un secondo tempo fatto da tutto il terzo quarto (vinto 22 a 16 con diversi punticini “di là” buttati al vento e “di qua” regalati) e dai primi due minuti abbondanti dell’ultimo (parzialino di 5 a 0 che porta al massimo vantaggio Vanoli; 67 a 60), che però si spegne sull’aria spostata dall’air ball di Pippo Ricci; se finiva nel suo naturale pertugio, avrebbe voluto dire doppia cifra di vantaggio e spalle pesantissime per Trento. Anche ieri sera, proprio come allora, sembrava che la Vanoli avesse messo entrambe le mani sulla par- tita, ma proprio da quell’air ball e da quello successivo di Voja Stojanovic si è pirlata la frittata; spalle pesantissime per i regàs e volo dell’airone per Trento che in men che non si dica si riporta alle calcagna.

Ma mica è finita perché l’onda lunga del secondo tempo vanoliano non era ancora terminata; o di riffa o di raffa infatti a nemmeno 200 secondi dalla sirena si era ancora avanti di 4 (80 a 76) e pure con la palla in mano. Vero è che in sto cinque minuti scarsi di tira e molla (più tira che molla per- chè la Vanoli è sempre stata avanti) si è visto il raro capolavoro di ingegno del grigio nei paraggi (ricordate? Travis Diener spara la bomba e, se non ricordo male, Flaccadori gli zompa addosso; arriva il fischio e tutti si aspettano tre liberi ma il tipo, mimando un ipotetico calcio con quella sua gambetta che pareva Lorella Cuccarini in stato di alterato tasso alcolico, sanziona il biondino di Fond du Lac... nessun commento, stavolta sarei querelabile), ma da un po’ si percepiva che Trento era lì lì per menare il fendente decisivo, che però arriverà un ciccinnino dopo.

20 L’assaggino lo dà Gomes con una tripla assassina che riporta Trento a meno uno dopo l’ennesima persa della Vanoli (e purtroppo non sarà l’ultima). Arriva il decimo rimbalzo di uno strepitoso Mangok “Mandingo” Mathiang, due punti facili e Vanoli ancora avanti, ma Flaccadori, imi- tando il Gomes di poco prima, riporta avanti Trento dopo la bellezza di 15 minuti almeno. Indi altra palla persa dalla Vanoli (e neppure questa sarà l’ultima) ed è Craft che si incarica di dare la sentenza definitiva. Ancora un’altra persa (stavolta proprio l’ultima) e ancora Craft sigilla il pun- teggio. C’è ancora il tempo per un sottomano sulla sirena di Ruzzier che se fosse entrato avrebbe significato differenza canestro a vantaggio della Vanoli (faccenda non di poco conto in vista di un ipotetico, ma mica tanto, arrivo a pari merito con Trento) e sipario che si cala definitivamente e, fatemelo dire, un po’ mestamente.

L’ho fatta un po’ lunga sugli interminabili e comunque avvincenti secondi finali perché ciò mi da il destro per dire che ieri sera la Vanoli ha forse un po’ smarrito quella fiducia che gli ha permesso di vincere partite importanti (Avellino, Trieste, Brindisi solo per fare tre esempi). Vero che stavolta, come altre volte, gli episodi non hanno detto bene, ma è anche vero che quando hai il dito sul grilletto, e la Vanoli lo ha avuto anche ieri sera, non devi esitare a sparare. Non so, magari occorrerebbe una revisione a tutta quanta la macchina. Il meccanico è belle che pronto e si chiama Drew Crawford; facendo violenza alle mie scarse diottrie l’ho guatato un paio di volte ieri sera e mi ha dato la netta impressione di un leone in gabbia. Si vede lontano un miglio che c’ha na voglia matta di rientrare, solo che il suo rientro porta alla famosa decisione da prendere; 5+5 o 6+6 che non fanno 10 o 12 ma 10.000 o 12.000 perché ognuna della due opzioni ha parecchi picanelli a favore e contro.

Paradossalmente le due prove incolori di Voja Stojanovic (per la verità un po’ meglio ieri sera che domenica scorsa con Reggio Emilia) potrebbero contribuire a rimandare la decisione ancora un po, ma è ovvio che una decisione la si deve comunque prendere e pure alla sveltina. Arrivano due trasferte che sono l’ennesimo crocevia della stagione della stella vanoliana; Avellino un bestia ferita dalla Cantù che non ti aspetti, e proprio la Cantù rediviva delle ultime due giornate. Non saprei se la decisione del 6+6 o del 5+5 possa riportare un po’ di quella fiducia apparentemente desaparecida ieri sera, ma è indubbio che la Vanoli ieri sera è sembrata meno “fiduciosa” di altre occasioni. La fiducia era, e lo è stata anche ieri sera per lunghi ma non sufficienti tratti, la carta d’identità di questa squadra; da li nascevano quella baldanza e se volete “incoscienza” con cui i regàs hanno approcciato il parquet.

Ok, è una mia impressione e come tale può essere una clamorosa fanfaluca, ma questo mi è sov- venuto riproducendo nella memoria il film della partita e “scrivendo” ad alta voce. Però siccome “il modo migliore per scoprire se ci si può fidare di qualcuno è di dargli fiducia” (cit. di un Ernest Hemingway insolitamente sobrio...), sarebbe oltremodo ingeneroso dire che questi ragazzi, il loro coach, e tutta la vasta combriccola vanoliana non si merita più la fiducia del popolo vanoliano, C’è ancora, tutta intatta e il palazzo l’ha dimostrato ampiamente anche ieri sera. A laonde per cui, fiducia della fiducia nella fiducia; sembra una scioglilingua ma è semplicemente quello che si meritano questi ragazzi.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

21 22 Vanoli - Bologna 87 a 70 DI QUEL LIMITE ILLIMITATO CHE NESSUNO CONOSCE ANCORA

Domenica, 10 Febbraio 2019

Dai, diciamocela tutta: c’era un po’ di timore per questa partita perchè arrivava una squadra costruita già da quest’estate, senza, pare, stare lì tanto a badare a spese, per fare un campionato di vertice o quasi (data come quarta forza del campionato dai soliti espertoni), aggiustata in corsa, per sopperire a “merdine” pestate qua e là, con l’arrivo di un tipo che si chiama Moreira che anche stasera, pur nel crollo finale sotto le bombarde biancoblù che arrivavano da tutte le parti, ha fatto vedere di che pasta è fatto, e che, mica pizza e fichi, in settimana ha conquistato il primo posto nel proprio girone di Basketball Champions League (partecipazione che, peraltro, ha “soffiato” proprio alla Vanoli). Il timore era proprio dovuto al fatto che arrivava cotanta roba, che la suddetta “roba” era “solo” sotto di due punti e che in caso di sconfitta si sperava non fosse superiore ai 16 punti, scarto con cui la Vanoli uccellò il PalaDozza all’andata, che avrebbe voluto dire sorpasso in classifica, circo- stanza che con tutte le altre dietro che stanno premendo faceva preconizzare oscuri presentimenti.

Poco prima l’inizio il refrain in tribuna stampa era; stasera è difficile, se si vince è perché loro ciccano la gara. Onda lunga dello “schifo” di Desio? Può darsi e può pure darsi che pure il Cira- none vostro si sia fatto pigliare da sto refrain perché anche lui, alla vigilia, non è che fosse così

23 positivo. Ebbene? Sono bastati due minuti due del primo quarto per far scomparire in un nano secondo tutte le, chiamiamole così, preoccupazioni “provincialotte” della vigilia. No perché sono per l’appunto bastati 120 secondi per capire alcune cose: 1) lo “schifo” di Desio era belle che se- polto Dio solo sa dove; 2) la Vanoli era sul parquet col fiero cipiglio delle giornate giuste; 3) pure Bologna era sul pezzo e rispondeva colpo su colpo, faccenda che ha reso la partita, per lunghissimi tratti, una delle più belle viste in questa stagione a palazzo.

Il primo step dunque era fatto, ed era quello che voleva il Meo Nazionale che, in quei 120 secondi iniziali, ha rivisto la “faccia giusta” della sua squadra. Poi, così diceva il “volgo” che andava per la maggiore, si può anche perdere ma senza fare la figuraccia di Desio. Alla faccia di tutto quello che volete; se c’era sul parquet una squadra che non ne voleva proprio sapere di avere solo la “faccia giusta” ma pure i gomiti, le mani, i polpacci e, soprattutto, la testa, quella squadra era “quella sola al comando, la sua maglia biancoblù ed il suo nome Vanoli” (questa la capiscono solo quelli un po’ più attempatelli, magari appassionati di ciclismo ed in particolare del Tour de France). Già perché, detto dei primi due minuti dove: “pronti e via 8 a 2”, per il resto la Virtus non ha mai messo il naso avanti per tutta la gara, arrivando a tiro della Vanoli solo alla fine del terzo quarto (meno due; 60 a 58 quando a metà si era 55 a 44 per effetto della prima bomba di Peyton “W.A.S.P.” Aldridge) grazie anche alle spinte grigiastre, per l’occasione arancioni, che in tutta la seconda metà del parziale hanno contribuito a tenere su il balelotto degli altrimenti inevitabil- mente soccombenti virtussini.

Il capolavoro di serata è arrivato nell’ultimo quarto, nel quale anche gli “arancioni” hanno dovuto, obtorto collo, rifiatare. Intensità difensiva alle stelle e precisione balistica finalmente degna di nota hanno messo le ali alla banda biancoblù, nell’entusiasmo crescente del palazzo. La “nostra” Vanoli quindi, ammesso e non concesso se ne sia mai andata, è di già tornata ed ha risposto alla grande a tutti gli scettici blu (tra i quali, per una volta, ci si infila pure il Ciranone vostro) che qualche dubbio sulla prosecuzione di questa fino ad ora favolosa stagione sui mede- simi livelli fin qui espressi, ce l’avevano, eccome se ce l’avevano. Ma non tanto per una flessione vanoliana, ma soprattutto per un alzamento generale dell’asticella da parte di quelle dietro. Ed invece la partita di stasera, proprio con una di “quelle dietro”, ci ha ri-consegnato una squadra che sa sicuramente di sapere il fatto suo, lo fa bene ma che probabilmente non conosce ancora il suo vero limite perché di step in step è arrivata si in alto ma dando sempre l’impressione di poter fare ancora di più. Se ne parlava dopo la prestazione monstre di Pesaro “dell’illimitatezza di un limite che non conosce nessuno”; sono passati quasi due mesi, ci sono stati alti e bassi, ma quel limite rimane ancora stupendamente e stupefacentemente sconosciuto.

Chiudevo quella lagna, facendo riferimento alla qualificazione alle final eight allora non ancora in saccoccia, così: “È il prossimo limite; di limite in limite qui si rischia di essere “illimitati”. Per il momento la Vanoli, proprio perché non conosce ancora il suo “limite”, lo è in tutto e per tutto; illimitata, e godiamocela tutta.” Il “limite” Final Eight” è stato raggiunto; il “limite” di aver battuto e sonoramente una di “quelle dietro” diretta rivale alla corsa play off pure; ora se ne presenta un altro di “limite”; la disputa delle Final Eight. Andiamoci senza ”sperare” nulla ma con la convinzione di poter lasciare una traccia; illimitatamente, per l’appunto.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

24 Cronache fiorentine

25 Cronache fiorentine

26 Coppa Italia ALL’ASSALTO DEL CIELO

Giovedì 14 Febbraio 2019

Mi sarei domandato in questi giorni, nei rari momenti di calma apparente, cosa diavoli provi un atleta professionista, e cioè che per “lavoro” fa cose che normalmente i comuni mortali fanno per divertirsi, nella vigilia di partite importanti come quella che i regàs andranno a perigliare questa sera. E, ma guarda un po’ che strano, mi sarebbe sovvenuto una faccenda dell’altro secolo, lette- ralmente, in cui il protagonista, si fa per dire, era niente po’ po’ di meno che il Ciranone vostro. Dunque, correva l’anno 1976, e “temporibus illis” l’Oratorio di Sant’Abbondio nel mesi di giugno era il centro della Cremona cestistica giovanile e non perché vi si svolgeva il mitico torneo di San Luigi, nel quale, come si ricorderanno certamente quelli provenienti dalla stessa sponda che leggono le mie lagne, le squadre di basket degli oratori cittadini (che sono stati la linfa del basket cremonese) se ne davano di bue e anche di vacca.

Quell’anno la SAS Pellico finì dritta filata in finale con, se la memoria non mi combina brutti scherzi, la Albertoni di San Pietro. In quella SAS Pellico ci giocavo anch’io e ricordo che la matti- na del dì della finale mi svegliai con una specie di tumulto nel noto muscolo che tiene su le nostre baracche. Un misto di ansia, inquietudine, agitazione, desiderio, frenesia, impazienza e solo gli dei del basket sanno cos’altro ma soprattutto una vera, terribile, autentica smania di far arrivare subito sera. La strana faccenda è andata avanti per tutta la giornata, continuando pure quando mi stavo allacciando le “All Star” per andare sul parquet, che per la verità non era un parquet ma la terra battuta, molto battuta, del chiostro dell’Oratorio di Sant’Abbondio (un meraviglioso chio- stro Bramantesco ridotto in polvere o quasi da miliardi di pallonate date da millanta generazioni di giovincelli; capitasse ora si aprirebbero immediatamente le porte di Ca’ del Ferro; bei tempi).

Ma il bello deve ancora venire perché quel misto di ansia, inquietudine, agitazione, desiderio, frenesia, impazienza e solo gli dei del basket sanno cos’altro non appena il grigio di turno, per l’occasione sempre dignitosamente vestito di grigio e non anche catarifrangente come capita ora (bei tempi!), alzò la palla a due, si trasformò in un vero e proprio furore agonistico. Della serie: ok, adesso facciamogli vedere che aria tira da queste parti! Il particolare che quella finale andò bene ed il Ciranone vostro infilò forse l’unico trentello della sua purtroppo breve carriera cestistica non c’entra granchè e lo cito solo per pura scaramanzia.

27 Eh si, perché se un pischello di 17 anni covava quelle robe per una “semplice” finale di un torneo cittadino, non oso nemmeno immaginare cosa passi nelle cervici dei regàs proprio ora mentre sto scrivendo. Dice: ma per loro è certamente diverso, loro sono professionisti e sono abituati a certe “emozioni”; dai e dai ci si fa il callo... una beneamata fava. Secondo me stamattina non si guarda- no neppure negli occhi ma sono tutti quanti chiusi e cogitabondi in un loro mondo parallelo perché appuntamenti così possono sì capitare molte volte nella vita ma è sempre la stessa maledettissima cosa. Tra l’altro, se riandate con la memoria al roster dell’anno della stella, tolto Travis Diener non è che gli altri abbiano una storia sportiva che conta molti di questi appuntamenti, il che avvalora il fatto che pure loro, tutti, stanno proprio ora certamente provando quel misto di ansia, inquietudine, agitazione, desiderio, frenesia, impazienza e solo gli dei del basket sanno cos’altro che, alla palla a due, potete giocarci il vostro ultimo euro, si trasformerà nello stesso furore agoni- stico che quella sera di quasi 43 anni piombò addosso al Ciranone vostro. E quindi ok; alla palla a due fategli vedere che aria tira dalle parti del Mandela Forum; dai regàs, all’assalto del cielo...

Il che è bello e istruttivo (cit.)

28 29 Coppa Italia Quarti di Finale Vanoli - Varese 82 a 73 DEI SOLIDI DEI LIQUIDI E DEI GASSOSI E DI UN TALE CHE È TUTTE QUESTE COSE

Venerdì 15 Febbraio 2019

Lo stato dei gas è una faccenda che al liceo mi faceva sempre un po’ incazzare. Mi domandavo infatti a che pro si dovevano rompere i cabasisi a dei poveri “elementi” per verificare come reagi- vano se erano allo stato solido, liquido e gassoso; vivi e lascia vivere andavo ripetendo all’esterre- fatto professore di chimica il quale tuttavia, oltre ad essere un gran bravo ragazzo, doveva essere stato evidentissimamente ai suoi tempi un gran goliardo perché alle mie boutade sullo stato dei gas rispondeva immancabilmente: “Giacomo, sei sempre il solito scemo”. La cosa era dannatamente consolante.

Però sto pendizio sullo stato dei gas me lo porto dietro da allora; oddio non è che sia un’ossessione, ma ogni “poco”, essendo uno dei migliori exploit della mia carriera liceale, si ripresenta in tutta la sua pervadente scemenza. E ritor- na alla carica il dubbio: ma davvero se un gas è allo stato solido e lo lancio in testa a qualcuno gli procuro una commozione cerebrale? Oppure se è allo stato liquido e lo getto addosso a qualcun’altro rischio di affogarlo? Oppure ancora se è allo stato gassoso e lo spruzzo addosso ad un altro lo soffoco? Bene, ieri sera dopo lustri interi con questi dubbi che attanagliavano l’esi- stenza del Ciranone vostro rendendola un vero e proprio calvario, è arrivata finalmente la più chiara e limpida delle risposte: si e no! Si, perché è del tutto vero che i tre stati sono indipendenti uno dall’altro ed il loro utilizzo nei confronti del prossimo può avere conseguenze. No, perché ieri è arrivata la verifica sperimentale di una teoria da sempre misconosciuta dai cervelloni della fisica e cioè che i tre stati possono coesistere diventando una miscela esplosiva.

Prima di pensare: “ecco, ci siamo definitivamente giocati il Ciranone nostro; qualcuno chiami la neurodeliri”, aspettate un attimino e fatemi finire il ragio- namento del discorso. Dunque: Stato solido: da ieri questo stato si chiama “Drew Crawford”; definire la sua partita “solida” è peraltro oltremodo riduttivo. Quando ha preso in mano il pallino lui, e proprio nel momento in cui Varese ha messo per la prima e unica volta il naso davanti, è venuta giù una valanga che ha letteralmente travolto tutto e tutti; una solidità che, riperaltro, è capitata come il cacio sui maccheroni perché alla fine della fiera ha di fatto seppellito il vero e unico tentativo di Varese di dare una zampata alla gara procurandole una travolgen- te commozione cerebrale. Stato liquido: da ieri questo stato si chiama “Wes Saunders”; definire la sua partita “liquida” è oltremodo riduttivo. Quando è salito in cattedra lui, nel secondo tempo, è stato un’alluvione che quella del 1952 del Po può andare a nascondersi. Ha letteralmente affogato incuneandosi da tutte le parti, come si confà ad un liquido coi fiocchi, la difesa varesina già provata dalla commo- zione cerebrale procuratagli dallo stato “Drew Crawford”.

30 Stato gassoso: da ieri questo stato si chiama “difesa vanoliana”; definirla “gassosa” è peraltro oltremodo riduttivo. Concedere ad una squadra di mettere nel cesto la miseria di 4 punti in 8 minu- ti, come capitato nel terzo quarto, è davvero prendere l’avversario per soffocamento completando l’opera già iniziata dalla commozione cerebrale e dall’affogamento procurati dagli stati “Drew Crawford” e “Wes Saunders”. E aggiungerei che, a memoria, nemmeno quando l’Artiglio, noto master of defense, era sulla panca “giusta”, non mi ricordo aver visto la Vanoli difendere così.

Ma, come si diceva, ieri si è avuta pure la prova sperimentale che i tre stati possono coesistere; detto che appena terminata la lagna scrivo all’accademia delle scienze svedesi per candidarmi al nobel per la fisica, lo stato “plurimo” lo battezzo “Travis Diener”; definire la sua partita “So. Li.Ga” è peraltro oltremodo riduttivo. Il pallino lui l’ha avuto in mano fin dalla palla a due ed è stato lui che ha dato la stura allo stato “Drew Crawford” e “Wes Saunders”. È un autentico e geniale folletto dello sport più bello del mondo e quando gira lui tutto quanto gli gira intorno con un’armonia universale. Mi sono rivisto l’assist “no look” per Drew Crawford che ha portato alla, se non ricordo male, terza delle quattro bombe filate con cui è stata mazzolata per bene la Caja’s band nel secondo quarto, e vi devo francamente confessare che un brividino è corso lungo il filone della schiena; pura poesia baskettara. Stessa faccenda deve essere capitata pure al Meo Nazionale; rivedetevi la scena: dopo il capolavoro di AlaDiener si sbraccia e suppongo abbia urlato al suo “pupillo” una cosa del genere (o almeno me lo auguro e credo ce lo auguriamo un po’ tutti): “Grande Travis; se non rimani anche l’anno prossimo ti vengo a prendere a Fond du Lac, ti infilo due dita nel naso e mi metto a correre fino a Cremona”.

Bene, e adesso ci tocca la “semifinale che non t’aspetti”, ma di questo magari lagneremo domani. Adesso godiamoci la terza semifinale di Coppa Italia raggiunta in quattro anni, di cui le ultime due consecutive. Chissà dove ci metteranno domani pomeriggio al Mandela Forum; eh si perché la curva dove abbiamo posto i nostri speranzosi deretani ieri è la stessa medesima su cui si sono “adderenati” i virtussini. A me non dispiacerebbe neanche un po’essere seduto (oddio seduto; prendete l’affermazione con le dovute pinze) sulla medesima seggiolina di ieri sera. La cosa mi stupisce perché non sono mai stato scaramantico ma si vede che è vero che con lo scoccare dei sessant’anni un po’ rincoglioniti lo si diventa. Oppure ciò è dovuto alla autentica passione che ci provoca questa “band of brothers” facendoci diventare tutti quanti un po’ felicemente rincoglioniti. E anche questa cosa, come il rimprovero del mio professore goliardico di chimica, è dannatamente consolante.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

31 Coppa Italia - waiting for semifinale LA SEMIFINALE CHE NON T’ASPETTI? NO, SEMPLICEMENTE UN’ALTRA PARTITA DA VINCERE

Sabato 16 Febbraio 2019

Nella lagna di ieri ho definito la tenzone che la banda Vanoli si appresta ad affrontare oggi pomeriggio: “la semifinale che non t’aspetti”. Ed in effetti credo che la stessa cosa sia passata nelle cervici di parecchio populo baskettorum e non solo cremonensis. Ma dopo matura e ponderata riflessione sarei arrivato alla conclusione che l’affermazione è stata, forse, un po’ affrettata. Certo, la corazzata Milano, che si presenta tutte le volte con dodici gio- catori in maglietta e mutande, quattro (se non ho fatto male i conti) in tribuna e una “ventina” di uomini in nero che non si capisce bene cosa facciano tutti quanti, avrebbe dovuto fare un sol boc- cone della malcapitata di turno, e cioè la Virtus d’annata che ha pure avuto qualche problemino... Ed invece la Virtus d’annata, che ha pure avuto qualche problemino, ha di fatto seppellito la corazzata di cui sopra, che si presenta tutte le volte ecc. ecc., dominandola letteralmente per 39 minuti e 40 secondi, salvo poi impegnarsi di brutto per cacciare tutto in quel posto là grazie agli ultimi 15/20 secondi più sciagu- rati mai visti su un parquet. Poi è arrivata la “comica” finale con protagonisti assoluti i tre arancion-grigi di cui ho smesso di ridere giusto un’oretta fa. Vuoi vedere quindi che c’ha proprio ragione il Meo Nazionale quando dice che in una partita secca non sempre vince il più forte? Affermazione, tra l’altro, avvalorata vieppiù dalla circostanza che ieri le due “teste di se- rie” hanno raccolto i loro resti e se ne sono tornati una in laguna e l’altra tra le montagne dell’Irpinia. Il che avrebbe come conseguen- za il fatto che l’unica “testa di serie” ad aver passato indenne le forche caudine dei quarti di finale è la Vanoli; ma qui mi fermo sennò il ragionamento si fa complicato.

Dopo questa ouverture pregna di saggezza, arriviamo alla partita di oggi pomeriggio. A costo di apparire più lapalissiano di Mon- sieur de Lapalisse in persona, dico subi- to che si tratta di una semifinale di Coppa Italia, e come tale partita che sfugge peggio di un’anguilla attapirata ad ogni pronostico. Lo so, popolo vanoliano, che inconsciamente si preferiva Bologna a Milano e sotto sotto ci spe- ravamo tutti che il Buon Pino Sacripanti e il resto della banda nera facesse uno scherzetto a quel “simpaticone” di Pianigiani e al resto della banda biancorossa, ma a volte l’inconscio fa degli scherzi un po’ bruttini ed è meglio, parecchio meglio prenderlo con le pinze.

32 So pure che quest’anno Bologna l’abbiamo già strigliata due volte (l’ultima a palazzo giusto una settimana fa) e che ciò potrebbe indurre qualcuno a pensare che la banda nera se la stia facendo in mano, così come, al contrario, so anche che il solito nostro modo un po’ provincialotto di affron- tare i perigli sportivi (e non solo) ci induce a pensare che gli altri siano sempre più forti, mentre, per dirla tutta, ormai dovremmo sapere che se la Vanoli di quest’anno gira a pieno regime sono acidissimi guai (leggere “guai” con un’altra parola; ve la lascio solo immaginare perché non sembra ma sarei una personcina a modo) per chiunque. Ma ste faccende riguardano solo noi, retroguardia più o meno “stanca” dell’esercito vanoliano; l’avanguardia, e cioè i regàs e tutta quanta la combriccola, non c’è pericolo che cadano in queste menate perché sanno benissimo che quando si alza la palla a due si è sempre zero a zero e alla fine vince chi fa un punto di più.

Ci sarebbe anche da dire che da Firenze arrivano notizie di una calata di tifosi vestiti di nero; si parla di 2.500 persone e di un cambio di location per i tifosi Vanoli perché nella curva dove abita- vano ieri i varesini 2.500 persone non ci stanno nemmeno pitturate. Ma al diavolo pure le menate scaramantiche perchè si darebbe il caso che il 10 Ottobre al PalaDozza si era in 200 contro 5.000 eppure i regàs non han fatto una piega facendone fare invece più di una alla Virtus e giocando forse la più bella partita di quest’anno. Quindi non ci rimane che metterci il “cuore in pace” e andare a goderci una semifinale di Coppa Italia, manifestazione che l’altro ieri avevamo il 12,5% di probabilità di vincere, e oggi invece il 25%. Punto. E a capo. Si va a giocare, semplicemente, un’altra partita da vincere per portare dal 25% al 50% la probabi- lità di conquistare la Coppa; e questo, se ci pensate bene, è il vero fascino di questo straordinario sport che noi, grazie a questa fantastica “band of brothers”, siamo sugli spalti del Mandela Forum o davanti al “pischer” a godercelo tutto quanto.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

33 Coppa Italia Semifinale Vanoli Bologna 102 a 91 ECCE HISTORIA, UNA BELLA STORIA

Domenica 17 Febbraio 2019

E dunque ci siamo. La Vanoli conquista il diritto a partecipare alla prima finale di Coppa Italia della sua storia, e lo fa con un’altra partita gagliarda, testarda, tenace, ingenua quel tanto che basta per vivere vivendo, più forte anche delle decisioni di un arancion-grigio che pare avere un conto aperto con la Vanoli (ne parleremo più avanti); una partita, come si sarebbe detto un tempo, da cuore oltre l’ostacolo, guidata sempre da quel famoso tale, di cui si lagnava proprio ier l’altro, che quando sente l’odore acre della battaglia cestistica pare vivere nel suo elemento naturale e si muove nel bel mezzo del bailamme come se stesse facendo una pacata passeggiatina in centro il sabato pomeriggio; tranquillo come un Papa dopo aver terminato la sua più importante e innova- tiva enciclica. Tutto questo significa una cosa molto semplice: il campanello della Storia ha suonato, e quando suona quello il Ciranone vostro, la cui passione per la Storia credo sia ben nota ai suoi dodici lettori, si mette sull’attenti.

Ma prima di approfondire il concetto fatemi per un attimo lagnare ancora di quel tale usando le parole del Meo Nazionale in conferenza stampa: “A Diener queste manifestazioni piacciono, abbiamo visto che aveva gli occhi diversi dal solito, sentiva adrenalina, non lo scopriamo però certo adesso. Quando arrivano gli appuntamenti importanti emergono le sue capacità, ora cer- cheremo di metterlo in frigo per averlo fresco domani, meglio averlo che non averlo”, In queste 46 parole compaiono diversi modi per descrivere Travis AlaDiener; ne scelgo uno, questo: “abbiamo visto che aveva gli occhi diversi dal solito, sentiva adrenalina...”. E, giurin giurello, il Ciranone vostro, quando ha visto il biondino di Fond du Lac nello starting five ha pen- sato: “Il Meo Nazionale mi sa che l’ha visto ‘caldo’ come una stufa e quindi lo mette subito per spaccare in due la partita da subito”. Oddio, non ci ha messo “subito” ma ha dapprima lavorato come il gatto col topolino e poi è esploso nel secondo quarto, o meglio dal 14° o giù di lì, e con lui tutta quanta la Vanoli. In sei minuti 38 punti (a 11) e gara se non in ghiaccio confortevolmente accomodata davanti al freezer in attesa dell’apertura della porta.

Quei 360 secondi del secondo quarto sono stati il vero capolavoro di stasera, che ha poi indirizzato sui binari giusti tutta la gara. Il “povero” Pino Sacripanti le ha tentate davvero tutte per cercare di arginare la furia della premiata ditta Travis&Co cambiando continuamente quintetti, cercando di limitare al massimo la sapienza cestistica di AlaDiener ma non facendo però i conti, o facendoli sbagliati che l’è l’isteés, con quello che il Ciranone vostro, e mi sa non solo lui, ritiene l’altro eroe di giornata, e cioè il sempre più determinante Mangok “Mandingo” Mathiang; stampa l’en- nesima doppia doppia in “soli” 19 minuti di impiego; insostituibile punto di riferimento nei due pitturati (intimidatore in quello difensivo e esplosivo in quello offensivo); e pure con percentuali da “specialista” dalla linea della carità, faccenda questa che fa pensare ad intere sedute post alle- namento dalla lunetta a cui il nostro si è evidentemente sottoposto. “Prima” tirava i liberi come un maniscalco, “ora” invece quando lo vedi far partire l’arancia a spicchi dalla mezzaluna ti sovviene immediatamente: “quello è uno che sa tirare i liberi”. Insieme a questi due giravano tutti gli altri come i satelliti attorno al loro pianeta, attratti dalla loro sapiente gravità, e tutto quanto il sistema planetario vanoliano è stato, per larghissimi tratti, uno spettacolo completo.

34 Qualche meteora si è però affacciata a cercare di sconquassare il sistema planetario; dapprima la Virtus stessa, rientrata sul parquet dopo la pausa lunga con gli occhi della tigre, che però non è riuscita del tutto a mettere all’angolo la Vanoli, e poi l’arancion-grigio di cui si accennava all’ini- zio. Confessarvi debbo che quando ho letto che Paternicò era nella terna mi è corso un brividone lungo la schiena. Non sono certo io a scoprilo ma, una volta arbitro dal decente in su, negli ultimi anni si è invece trasformato in una specie di iena maculata combinandone peggio di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno messi assieme. Per rinfrescarvi la memoria è il tipo della famosa squa- lifica di due giornate dell’anno scorso a DJO, poi, in un caso più unico che raro, “sconfessata” dall’organo giudicante; “questo adesso ce la fa pagare” mi son detto. E ce l’ha messa davvero tutta, per fortuna contenuto dagli altri due. Cito solo la porcheria dell’antisportivo fischiato a Drew Crawford, che ha costretto uno degli altri due a “compensare” con un altro antisportivo fischiato ad Aradori, anche quello da confinarsi nella categoria delle stupidaggini.

Potrei citare altre gratuite stupidaggini ma non vorrei tediarvi oltremodo con queste quisqui- glie arbitrali anche perché i miei dodici lettori conoscono già l’opinione del Ciranone loro sulla competenza tendente a zero inversamente proporzionale all’arroganza tendente allo zenith della stragrande maggioranza dei fischietti italiani, stragrande maggioranza di cui Paternicò è leader indiscusso, e comunque stasera i regàs sono stati più forti anche di questo; mi sa che si poteva an- dare avanti a giocare all’infinito ma la Virtus non avrebbe cavato il classico ragno dall’altrettanto classico buco. Arriviamo quindi al fischio finale, all’esplosione di entusiasmo del popolo vanolia- no e, immediatamente dopo, alla dolce sensazione che siamo al “Ecce Historia”, ecco la Storia.

35 Ne ha parlato anche la pagina ufficiale della Vanoli Basket su Facebook: “Questi ragazzi stanno scrivendo la storia...”. Già, la Storia. Potrei farvi una tirata su come e perché si è arrivati a questo appuntamento con la Storia, ma l’ora è tarda, la mia dolce Gigia di là sta già ronfando il sonno dei giusti ed anche al Ciranone vostro sta un po’ calando la palpebra. Per cui niente concioni ma fatemi dire un solo ennesimo grazie a quello che, certamente non da solo, ha reso possibile tutto questo: Aldo Vanoli fu Guerino da Soncino.

Il campanello della Storia ha quindi suonato. Alcune correnti storiografiche ritengono che quando quel campanello suona sia già un successo per il destinatario della “suonata”. La faccenda non convince del tutto il Ciranone vostro ma ha comunque il suo perché; infatti, vada come vada, l’impresa della conquista della prima finale di Coppa Italia da parte di una squadra cremonese di basket passerà comunque alla storia del basket nostrano, e nessuno potrà recriminare alcunché se per disgraziato caso non dovesse andare nel verso giusto. Però, visto che ci siamo e visto soprattutto che abbiamo una “band of brothers” coi fiocchi, stasera si torna in quel del Mandela Forum con il cuore ricolmo di speranza perché davvero l’impresa è ad un passo e si può portare a casa la coppa; siamo partiti dal 12,5% di possibilità e, passando dal 25%, siamo arrivati al 50%. La Coppa ora è a 469,9 chilometri da noi è cioè esattamente a metà strada tra Brindisi e Cremona; ignoro cosa ci sia piantato a 469,9 chilometri da noi e da Brindisi ma questo ha poca importanza. L’importante è che l’avanguardia del popolo vanoliano stasera sarà a Firenze a giocarsi, per la prima volta, un titolo nazionale da regalare al basket cremonese, e la retroguardia sarà presente più numerosa che mai; “Ecce Historia” può diventare davvero una bella storia.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

36 37 Coppa Italia Finale Vanoli Brindisi 83 a 74 LA STORIA SIAMO NOI NESSUNO SI SENTA OFFESO...

Lunedì, 18 Febbraio 2019

...siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo, la storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso...

È tutto il viaggio di ritorno, tra una serie di “dai Cremò” cantati a squarciagola e un “we are the champions” pure che se ci sentiva Freddie Mercury ritornava giù imbufalito (scusaci Freddie, ma qui si tratta di Storia in cammino), che la canzone di Francesco De Gregori, “La Storia”, mi ha frullato più e più volte nelle cervici facendone saltar fuori un fricandò di emozioni, probabilmente le stesse che hanno attanagliato il popolo vanoliano, che non è per niente escluso dalla storia di questa giornata storica. Si, perché stasera il populo baskettorum cremonensis, sicuramente quello sugli spalti (stime pes- simistiche narrano di 300/400 persone sulle tribune del Mandela Forum) e le migliaia rimaste a sgranocchiarsi le unghie davanti al “pischer”, è stato protagonista perché ha messo nel tritacarne tutta l’anima di cui poteva disporre, ha girato la manopola e ne sono uscite una serie di “prime volte” che probabilmente hanno contribuito al felice, sorpreso e sorprendente stordimento da ap- pagamento finale.

La prima volta di una finale che già dalla tarda serata di ieri è tracimata con mille esternazioni sui social. La prima volta che si è cercato di “controllare” la prima di prima volta mettendo, quasi inconsciamente, le mani avanti; della serie: “anche se non la va siamo già nella Storia” (c’è casca- to pure il Ciranone vostro). La prima volta di una voglia chiamata “sogno”, come se tutti quanti ci si fosse trasformati improvvisamente in tante belle addormentate facendo, per l’appunto, un bel sogno, ed esorcizzando in tal modo la paura di un brusco risveglio. La prima volta, questa la più “pratica”, di una finale per un titolo nazionale, primizia assoluta per il basket cremonese, a volere ben guardare la vera molla che ha fatto scattare tutte le altre più o meno inconsce prime volte.

Ci ha pensato ancora una volta la “band of brothers” vanoliana, capitanata dal sergente maggiore Meo Sacchetti, a spazzare via tutte ste menate con la terza prestazione solida, volitiva, sicura, con i soliti passaggini a vuoto che ormai sono la “voglia” di questa squadra, ma con tanta, tantissima determinazione e, come dire, unità di intenti che ne fanno, prima ancora di una serie di giocatori di talento, un granitico e indistruttibile collettivo. Al fischio finale dei grigi, prima di abbandonarmi al “delirio” generale e dopo aver dato un’oc- chiata al risultato finale, mi è immediatamente sovvenuta la circostanza che la Vanoli le sue tre partite le ha dominate praticamente dall’inizio arrivando a vincere di 9 con Varese (82 a 73), di 11 con Bologna (102 a 91), e ancora di 9 (83 a 74) con Brindisi, mentre il distacco maggiore di tutte le altre partite sono stati i 3 punti con cui la stessa Brindisi ha uccellato Avellino nel quarto di finale.

Saranno crudi numeri ma dicono una cosa sacrosanta; sono la più lampante dimostrazione che quest’anno la coppa è andata effettivamente alla squadra che si è dimostrata più forte, faccenda che non sempre, in passato, si è verificata. Per quanto riguarda il Ciranone vostro è stato princi- palmente l’aver realizzato questa sfaccettatura del capolavoro vanoliano che l’ha fatto andare giù di melone inducendolo, e sai che fatica, a partecipare attivamente al gran pandemonio andato in onda sugli spalti e sul parquet del Mandela Forum.

38 E ne abbiamo viste di tutti i colori; al fischio finale bacio di doverosa prammatica alla mia dolce Gigia al mio fianco, poi l’apoteosi dei 300 delle termopili che per tutta la partita hanno sostenuto e ricacciato con perdite l’assalto dei 500/600 brindisini di fronte con un continuo, incessante e perseverante sostegno (meno male che non si scrive con la voce sennò adesso non riuscirei a scribacchiare una parola) coinvolgendo via via anche i numerosi “spicchi” di popolo vanoliano presenti sulle tribune del Mandela Forum.

Ho visto gente con le lacrime agli occhi (ed una gocciolina si è appalesata anche nell’occhio de- stro del Ciranone vostro), gente che si abbracciava offendendo il mondo e che saltava come grilli impazziti, gente incredula che si metteva le mani nei capelli come dire: “stavolta l’abbiamo fatta proprio fuori dalla tazza”, gente che smanettava sul suo smartphone per far sapere al mondo intero la notizia o che riprendeva per immortalare la faccenda. Ho visto il presidente Aldo Vanoli fu Guerino da Soncino che saltava come un ragazzino con la coppa in mano e il vice presidente Davide Borsatti che la usava per tagliare l’aria quasi a voler scacciare i fantasmi cattivi; ho visto i regàs, tutti, racchiusi in due metri quadri scarsi (la densità della metropolitana di Tokyo nelle ore di punta), abbracciandosi quasi a voler dimostrare al mon- do che loro sono una cosa sola; ho visto Drew Crawford andare sul palco per ritirare il premio di MVP della manifestazione tirandosi dietro Travis Diener quasi a voler dire: “ehi, guardate che il vero MVP è questo qua”; ho visto tutto l’entourage Vanoli impazzire di gioia ed ho pure bonaria- mente invidiato il Team Manager Mauro Saja perché, lo sfondato, festeggerà per tutta la vita non solo il suo compleanno ma pure la ricorrenza della conquista della Coppa Italia. Ho visto una rag- giante Ruth Vanoli venirci fugacemente a salutare dicendoci: “adesso devo andare a fumare...”

39 Ho visto un sacco di altre cose ma lo spettacolo migliore, quello si da lacrimuccia, è stato il Meo Nazionale; si è quasi defilato partecipando poco o punto al pandemonio finale ed abbiamo scoper- to il perché. Quando è passato a due metri da noi per salutarci aveva gli occhi lucidi; è scappato negli spogliatoi e non l’abbiamo più visto. A me ha fatto una tenerezza infinita; il nostro coach ha il pudore dei suoi sentimenti (che è esattamente il contrario della vergogna); ha preferito quindi lasciare la ribalta a tutto quanto il resto della combriccola, proprio lui che è il principale artefice di questo storico capolavoro.

Ma vivaddio ho visto pure, come dicevo, il popolo vanoliano, con tanti, tantissimi giovani pro- prio accanto a me, che ha forse messo in piedi lo show più bello da quando la Vanoli è in Serie A, ancora più bello di quello già spettacolare dello yellow people nei play-off di tre anni fa. E se la coppa portata a casa è un traguardo storico, a quel traguardo ha contribuito anche chi, per tre giorni, si è imparato a memoria, a forza di farlo su e giù, il tragitto autostradale Cremona/Firenze sud e nella terza giornata ha creato le condizioni per mettere in piedi una spedizione forse unica in tutta la storia del basket cremonese. Anche il popolo vanoliano quindi entra, di diritto e a piedi giunti, in questa storia che ha fatto la Storia perche: “La storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano. La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano”.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

40 41 Sassari - Vanoli 100 a 105 COME I LEONI DI HIGHBURY... ANZI MEGLIO

Domenica, 03 Marzo 2019

Ve lo devo proprio confessare, ci sono stati un paio di momenti che, con il piede sinistro in mano (cosa che faccio, ovviamente tra le mura domestiche, ogni qualvolta arriva quell’ansietta che solo il gioco più bello del mondo ti regala) e lo sguardo cogitabondo sul “pischer”, mi è scappato un: “questa partita è andata”. Il primo alla fine del secondo quarto; dopo l’avvio fulminante del quarto con due bombe con- secutive sputate in faccia a Sassari che timbrano il 36 a 26 Vanoli, improvvisamente, come già successo nella parte centrale del primo quarto, il rubinetto vanoliano si chiude e con un parzialone di 24 a 6 (ripeto: 24 a 6) per Sassari in poco meno di 8 minuti si arriva alla pausa lunga sul meno 8; però mi son pure detto: “è ancora lunga”. Il secondo: la Vanoli a 360 secondi dalla sirena o giù di lì rimette il muso avanti dopo una vita (79 a 78), ma ci scappa un altro parzialino di 8 a 0 per Sassari e si arriva in un amen al meno 7 (86 a 79); e lì non mi sono detto “è ancora lunga” ma “è davvero andata”.

L’inerzia, quella sporcacciona che sui parquet si diverte a passare da una parte all’altra senza avvi- sare, era di nuovo traslocata armi e bagagli dalle parti del Poz, la Vanoli era caricata di falli peggio dei carretti del “sanmartino” dei nostri nonni, e fino a lì quello che fino ad ora è stato sempre o quasi sul pezzo in tutte le 19 partite precedenti, e cioè Wes Saunders, non era ancora uscito dal suo guscio o se l’aveva fatto ci era subitaneamente rientrato. La logica, quindi, diceva che la tenzone stava ormai prendendo la strada del sole di Sassari. Oh certo, le attenuanti c’erano, le conosciamo tutti e le ha sempre “graziosamente” sottolineate il cronista di Eurosport che non perdeva occasione per dire che la Vanoli aveva il fiato corto per la forzata assenza di Voja Stojanovic e che era già una specie di miracolo essere ancora lì a poche centinaia di secondi dalla sirena.

Ma ancora una volta ste “band of brothers” se n’è fregata della logica ed è andata avanti dritta per la sua strada, stupendo per l’ennesima volta il Ciranone vostro (e non solo, credo), fregandosene dei grigi che costantemente ignoravano le mani addosso della Dinamo ai regàs negli ultimi minuti del tempo regolamentare applicando la curiosa regola del “cinque contatti uguale un fallo”, e si- lenziando tutto il pubblico sassarese che nell’ultima azione del tempo regolamentare con la palla in mano al biondino di Fond du Lac, ha riversato sul parquet una valanga di fischi che sapevano di terrore puro (e come dargli torto; in fin dei conti si è trattato di un’attestazione di grandissimo affetto per AlaDiener come solo i sardi, popolo meraviglioso, sanno fare). E tocca rifare il calcolo del parziale per proseguire col ragionamento del discorso: da quel 86 a 79 del 37° al 100 a 105 finale, se la matematica non è un’opinione, sarebbe un bel 26 a 14 per la Vanoli.

No dico; 26 a 14 in poco meno di 8 minuti, di cui 10 a 3 nell’ultimo quarto quando la tenzone sembrava ormai finita. Che significa questo? Che ste “band of brothers” non solo c’ha le palle di granito ma soprattutto una fiducia spropositata uno dell’altro, di ogni altro, perché ognuno di loro si affida all’altro, ad ogni altro, perchè sa che l’altro, ogni altro, non lo deluderà. Oggi sono giostrati in 8 sul parquet (le statistiche della Lega danno un minuto in campo pure per Voja Stojanovic, ma francamente il Ciranone vostro, in pieno trip da ansietta, non se n’è accorto) ma sembravano ottomila, di quelli che nemmeno Reinhold Messner proverebbe a scalare.

42 Quando si assiste a prove come questa è inutile parlare dei singoli; certo il Drew Crawford di giornata ha decisissimamente mostrato che il titolo di MVP delle Finale Eight è andato a quello giusto, ma 6 regàs su 8 in doppia cifra significano che la Vanoli è si un concentrato di talento ma soprattutto è un blocco di ghisa tremendamente difficile da scalfire. Perché anche gli altri due buttati sul parquet, Giulio “Mio Ragazzone Bolognese” Gazzotti e Wes Saunders, hanno messo la loro bella firma su questa impresa. Soprattutto il secondo; “solo” due punti ma 7 assist, secondo solo a Travis Diener che stampa la doppia doppia con 10 assist e 11 punti, e nei momenti decisivi come sempre decisivo. Mi sovviene lo sfondamento pigliato contro, se non ricordo male, Jaime Smith lanciato a canestro dal valore specifico immenso perché arrivato negli ultimi minuti dell’ultimo quarto, in piena rimonta vanoliana.

Datemi pure del sentimentale ma sto autentica impresa me ne ha ricordato un’altra; riguarda un noto sport minore, che inspiegabilmente o quasi va ancora per la maggiore, ma avvenuta quando il suddetto sport minore era ancora una sport e non un’accozzaglia di interessi paraeconomici come oggi. Correva il 14 Novembre 1934, l’Italia era campione del mondo di calcio, ma gli inglesi non parte- cipavano alla rassegna continentale ritenendosi superiori in quanto inventori del gioco del calcio. L’Inghilterra organizzò quindi una sfida con i campioni in carica per confermare questa supposta superiorità. Beh, fu una partita epica: 3 a 0 per gli inglesi alla fine del primo tempo (con un rigore al primo minuto di gioco parato da Ceresoli) ma al ritorno in campo una Italia indiavolata arrivava al 3 a 2 costringendo poi ad un umiliante catenaccio gli inglesi fino alla fine della gara.

Inutile perdersi in altrettanto inutili spiegazioni perché, come ognun ha visto, dai “leoni di Highbury” ai “leoni di Sassari” c’è proprio un sospiro. Questo sospiro però fa tutta la differenza del mondo perché i primi hanno tirato fuori gli attributi, sono passati alla storia ma hanno comun- que perso, i secondi invece idem ma hanno portato a casa la pagnotta. Va bene la “gloria”, impe- ritura o meno che sia, ma se a questa gli accompagni punti sonanti è meglio, parecchio meglio. Firmato “band of brothers”

Il che è bello e istruttivo (cit.)

43 Vanoli Olimpia Milano 76 a 72 NON C’ERAVAMO MA CI SI STAVA COME SE CI FOSSIMO STATI...

Lunedì, 25 Marzo

Lo scioglilingua non è dovuto a incipiente assunzione di bevande alcoliche da parte del Ciranone vostro, ma deriva direttamente da uno stato d’animo che, assieme alla sua dolce Gigia, lo ha lette- ralmente pervaso ieri sera. Ma andiamo con ordine. Non c’eravamo... Già. Clamoroso al Cibali, direbbe un Carosio d’annata, ma il Ciranone vostro si è perso la partita dell’anno. E tuttavia le giustificazioni ci sono e sono, come dire, pregnanti perché si darebbe il disgraziatissimo caso che proprio ieri sera andavano in scena al Ponchielli dei ragazzacci che hanno segnato, come tanti altri e come per tanti altri della mia generazione di squinternati sogna- tori, la ormai, vacca d’un cane (cit.), sua lontana gioventù. Parlo della PFM, al secolo Premiata Forneria Marconi (già “Quelli” come ci ha narrato un Franz Di Cioccio in gran spolvero; 73 anni suonati e via a saltare come un “guindolo” sul palco). Se poi ci aggiungiamo un bel carico da 90, e cioè che la suddetta PFM cantava Fabrizio de Andrè (altro “ragazzaccio” che ha segnato, come tanti altri e come per tanti altri ecc. ecc.), allora il programma è completo. Che ci volete fare, la musica fa questo effetto; ha il potere miracoloso di risvegliare emozioni, ricordi e magari situa- zioni che sonnecchiano in qualche recondito neurone e che, sollecitate, rispuntano fuori in tutta la loro emotiva e viscerale freschezza.

44 Siccome sta faccenda il Ciranone vostro e la sua dolce Gigia l’hanno già vissuta un sacco di altre volte, quando hanno saputo che tornava la PFM a “cantare De Andrè” non ci hanno pensato su un nano secondo e si sono fiondati ad acchiappare i biglietti. Ciò succedeva almeno mezzo secolo fa, e nonostante il largo anticipo, gli unici posti disponibili erano in piccionaia; voi non avete idea di cosa vuol dire per uno mezzo scarlingato come il sottoscritto stare fermo per due ore nel posto più scomodo dell’universo; mentre scrivo mi fanno ancora male financo i lobi delle orecchie, figuratevi il lato inferiore... ma chissenefrega, ne è valsa la pena e stop. Risiccome però quando mezzo secolo fa si è prenotato si sapeva che proprio il 24 Marzo capitava a palazzo una squadra di rosso vestita, la speranza era che qualche genio della Lega riuscisse a cavare fuori dal cilindro un orario che permettesse di prendere i classici due piccioni con una fava; così non è stato e quindi mi tocca proseguire con la lagna seguendo il filo dello pseudo-scioglilingua che gli da, parecchio disgraziatamente, il titolo. Ma ci si stava...

Già. Il primo tempo ce lo siamo guardati in piedi davanti al “pischer” e quindi, bene o male, “ci si stava”. Sono state due le cose che ci hanno fatto sobbalzare; la prima la terribile percentuale dall’arco della Vanoli (2 su 11), la seconda la direzione di gara dei “talmente-arancioni-che-sem- bravano-fosforescenti”. L’importante effetto cromatico sarà pure dipeso dal fatto che in casa del Ciranone vostro si è da poco passati, grazie a Sky Q, nel magico mondo dell’High Definition, per gli amici HD, ma nessuno mi leva dalla testa che i tre giovanotti, in particolare due, apparivano ancora più “luminosi” per via del metro adottato che era più o meno il seguente: fallo a favore della Vanoli solo in caso di abbondante profluvio di sangue sul parquet; fallo a favore dell’Olimpia appena il vanoliano di turno ci piantava una scoreggina-ina-ina. Mi sa che i tre giovanotti, in par- ticolare due, dovevano avere il naso particolarmente fine, poorelli. Insomma là dietro l’Olimpia

45 badilava come una mandria di spalatori scatenati ma i tre “talmente-arancioni-che-sembrava- no-fosforescenti” sembravano non fare una piega, o se la facevano tutto finiva lì. Dico sembravano perché sulle prime mi sarei astenuto dall’essere così tranchant perché il “pischer” a volte inganna, ma sulle seconde, avendo letto il giudizio che il buon Lele Duchi, soli- tamente piuttosto morigerato nel giudicare le direzione arbitrali, ha spiattellato stamani su La Pro- vincia (“arbitraggio davvero indisponente”), mi sono convinto che invece la prima impressione era quella giusta. Detto questo, ci sarebbe da aggiungere che, chiusa la baracca alla fine del primo tempo, si andava al concertone con un ciccinnino di speranza perché, alla fine della fiera, si era sotto “solo” di 4 (36 a 32) con Pippo Ricci che aveva ciccato due appoggi da fucilazione immediata e con una difesa da proiettare nei corsi di minibasket col titolo: “ecco come si difende”. In particolare si era notato un Mango “Mandingo” Mathiang che stava iniziando a troneggiare là sotto, e ci faceva sognare un secondo tempo come gli dei del basket comandano. Sognare perchè, ovviamente, non hanno ancora dotato il loggione del Ponchielli di apparecchi televisivi. Come se ci fossimo stati... Già. Ma come ognun sa il diavolo fa le pentole e ma non i coperchi, per cui, intanto che pigli la macchina, ti appropinqui al teatro, cerchi parcheggio (cosa a volte non facile) e ti avvicini all’obiettivo, la testa, almeno la mia ma temo pure quella della mia dolce Gigia, andava due/tre km più in su nel calore del palazzo domandandosi cosa diavolo stesse succedendo e la speranza si trasformava in una sottile inquietudine. Arriviamo, si aspetta l’apertura del teatro, si fanno tutti gli 86 scalini che separano la terraferma dall’aerea piccionaia del Ponchielli, si chiacchiera del più e del meno ma la testa, almeno la mia ma temo pure quella della mia dolce Gigia, continuava imperterrita a viaggiare verso nord. Ci accomodiamo ed ecco che la mia dolce Gigia, sapendo che il mio smartphone è stato rinvenuto in un uovo di pasqua e approfittando del fatto che l’inizio del concerto era ancora di là da venire, accende il suo e, ma guarda un po’, in un amen appare lo scoreboard della Lega; minuto 38 e 65 a 62 per la Vanoli. Domineiddio, seguire una faccenda simile sullo scoreboard della Lega, meno veloce di un bradipo assonnato, è una cosa da far venire i capelli ricci ad un calvo. Per darmi un contegno decido che è ora di andare in bagno; quando ritorno si è sul + 4, 70 a 66; da lì in avanti tutti i dieci sensi (cinque miei e cinque della mia dolce Gigia) incollati allo schermo dello smartphone. Arriva il 39° e poi, quando gli dei del basket vogliono, il 40° che davvero sem- bra non finire più. Il punteggio si fissa sul 76 a 72 e finalmente scompare la scritta del minutaggio. È fatta; mi immagino la baldoria del palazzo e mi assale un brividone lungo la schiena; proprio “come se ci fossimo stati”.

Nel breve spazio dal finis a palazzo all’inizio del concerto arriva lo stato d’animo di cui si lagnava all’inizio. Un misto di appagamento, godimento, soddisfazione, benessere, felicità che ci assale e ci inonda. Sorpresa no, perché ormai la Vanoli non è più una sorpresa, è una certezza anche se “sdraia” la supercorazzata milanese, riprendendosi tra l’altro con gli interessi (differenza canestri a favore) ciò che gli era stato proditoriamente tolto (leggi “rubato”) all’andata. Sarà stata pure immaginazione ma non ci piove e nemmeno ci nevica. Non c’eravamo ma ci si stava come se ci fossimo stati, e a voler ben vedere anche questa è la magia del gioco più bello del mondo.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

46 Brescia - Vanoli 86 a 89 DI UN OSPITE INATTESO E DI UN “RAGAZZINO” TERRIBILE

Lunedì, 15 Aprile 2019

Da fonte proveniente per vie traverse dalla Germani Basket che, per ovvi motivi, desidera rimane anonima, sono venuto a conoscenza nella tarda mattinata venerdì 12 u.s. dell’arrivo di una sin- golare richiesta di accredito da parte di un tale Mister Alfred Joseph Hitchcock. È perfettamente inutile che tentiate di estorcermi notizie sulla fonte di cui sopra perché la mia natura di integerrimo guascone mi impone di appellarmi, fino alle estreme conseguenze, al V emendamento, che in Italia peraltro non vale una bella cippa di niente non solo perché è un emendamento della Costitu- zione “Iu.Es.Ei”, ma anche perché qui da noi, come ognun sa, non se lo filerebbe nessuno o quasi. Detto questo, vado avanti nel mio personalissimo scoop e vi devo vieppiù raccontare che al botte- ghino aspettavano il Mister Alfred Joseph Hitchcock di cui sopra per consegnare l’ultimo accre- dito, chiudere la baracca ed andare a godersi la partita, ma il tipo, da buon flemmatico londinese, se l’è presa decisamente comoda e si è presentato al botteghino solo poco dopo l’inizio del terzo quarto di una partita che, fino ad allora, aveva visto un solo clamoroso padrone. “Devo girare il cortometraggio di un film giallo; finale a sorpresa” pare abbia mormorato, in un italiano incer- to, all’esterrefatta fonte anonima del Ciranone vostro. Il tempo di ritirare l’accredito, di passa- re il minuzioso (eufemismo perché mancava solo ci guardassero pure nelle mutande) controllo di: stewart, polizia, carabinieri, guardia di finanza, guardie ecologiche provinciali, addetti alla sicurezza, portavalori, esercito della salvezza e Dio solo sa chi altro, e il tipo ha messo i piedi sul parquet per la precisione proprio quando la Vanoli toccava il suo massimo vantaggio; 23°: 62 a 41.

Da quel momento sul parquet del PalaLeonessa è andato in onda un vero e proprio thrilling. Perché cos’altro è se non un thrilling, peraltro d’autore perché pare che il tipo abbia pure vinto almeno un paio di statuette, quello visto dal 23° al 40° minuto? Qui però, prima di entrare nel dettaglio del thrilling di cotanto regista di cui tutto un palazzo è stato trepidante spettatore, mi tocca fare un passo indietro e narrare di una Vanoli spietatamente strepitosa e dominantemente cinica, protagonista assoluta del match e sempre in totale controllo. Lo si è percepito fin dai primi possessi; pronti via, 7 a 2 per Brescia ma in 120 secondi parzialone di 11 a 1 aperto da una bomba di PJ Aldridge; 13 a 8 Vanoli e inizio della sarabanda. Brescia “resiste” per tutto il quarto nel quale mette comunque 25 punti, ma poi nel secondo crolla sotto i fendenti vanoliani; 26 a 14 di parziale e +17 alla pausa lunga (56 a 39). L’inizio del terzo sembra avviarsi sulla falsariga dei primi due fino al fatidico 23° quando, per l’appunto, la rubiconda faccia del maestro del thrilling fa la sua apparizione nel rinnovato catino del PalaLeonessa. Come tutti i thrilling che si rispettino si inizia piano pianino; la Germani entra sul parquet con quel previstissimo furore di cui si accennava l’altro giorno, ma la Vanoli, anche se non brillantissima come nel primo tempo, tiene botta e chiude comunque il quarto con 12 punti di vantaggio che sarebbero potuti anche essere di più se almeno una della due bombe di, se non ricordo male, PJ Aldridge e Travis Diener fossero finite nel loro naturale pertugio e non beffardamente sputate dal ferro.

Ma è nell’ultimo quarto che il noto regista dispiega tutta la sua sapienza e ci fa assistere ad un gial- lo d’autore; un “giallo” peraltro che si può vedere solo sui parquet del gioco più bello del mondo perchè lì sopra, da sempre, germoglia e fiorisce quella faccenda che si chiama inerzia, impalpabile fin che volete ma tremendamente percepibile non solo da quelli in canotta, e che ti può pirlare la

47 frittata nel giro di pochi secondi. Ed un maestro del thrilling come Alfred Joseph Hitchcock non poteva che scegliere come “assassino” il figliolo del Meo Nazionale. Sono proprio state le due bombe filate, di cui una ignorantissima, di Brian Sacchetti a dare ancora più slancio alla Germani e ad esaltare il fantastico pubblico bresciano. L’assalto viene rintuzzato per un momento da Travis Diener; il suo canestro alla Dirk Novitzki, piedino destro sollevato, è stata una cosa stupefacente- mente straordinaria o, se preferite, straordinariamente stupefacente. Ma però la Germani, in piena tranche agonistica, con Awudu Abass manda in visibilio il palazzo arrivando al fatidico pareggio (85 pari) quando al finìs mancano 59 secondi e una frequentina di centesimi. Di solito, e sottolineo di solito, quando una squadra sotto di un ventello arriva nel mo- mento topico ad acciuffare per i capelli una gara, la sua avversaria si becca un uppercut che nem- meno Muhammad Alì. Ma dall’altra parte, disgraziatamente per la Germani, albergano, sollecitate da quelle del neo laureato sul campo in psicologia applicata al basket di cui cianceremo dopo, sei palle di granito che mandano le due restanti di Andrew Crawford, da oggi “the terminator”, a completare il lavoro; è lui infatti che mette i 4 punti filati che danno la vittoria alla Vanoli, intra- mezzati da un libero sempre di Awudu Abass e da un appoggio a canestro ciccato da PJ Aldridge da fucilazione immediata e senza processo.

48 E come tutti i thrilling che si rispettino, il nostro buon Alfred ha individuato pure il protagonista, quello che è il filo portante e reggente di tutta la storia, che risolve il giallo e diventa l’eroe dei “buoni”. Avvisarsi debbo che la fantasia del Ciranone vostro sta tirando gli ultimi perché fa sem- pre più fatica a trovare nuovi aggettivi per descrivere le magie che Travis Diener dispensa sui parquet di tutta Italia, però ci prova lo stesso. Quello che ha combinato ieri il “ragazzaccio” di Fond du Lac sfiora davvero l’inenarrabilità; della sua leadership indiscussa e riconosciuta se ne è già parlato a iosa, del suo talento “naturale” anche, della sua “follia” positiva pure, della sua immensa classe finanche, per non parlare del suo ruolo di collante in uno spogliatoio che prima di essere formato da atleti è composto da ragazzi che si divertono un mondo e mezzo a stare assieme. Ma non mi è mai capitato di vederlo nel ruolo di psicologo; ieri infatti nel momento peggiore, e cioè davanti ad una Germani arrembante che sembrava avere in mano le chiavi della partita, ha fatto accomodare tutti i “suoi” ragazzi sul suo immaginario lettino e come ogni buon psicologo ha trovato la chiave giusta per tirare fuori dai pasticci tutti quanti. Come? Semplicemente infondendo fiducia e calma; quel canestro di cui si lagnava poc’anzi è stata la molla definitiva per ritirare definitivamente su il balelotto dei “suoi” ragazzi. 37 anni suonati, una condizione fisica invidiabile, un entusiasmo da ragazzino alle prime armi; tutto ciò, insieme alla sua sapienza cestistica, ne fanno un giocatore unico, uno, per dirla con il Meo Nazionale che “è meglio averlo che non averlo”. E se è davvero così, come lo è, allora so di interpretare il popolo vanoliano tutto chiedendo alla società, ammesso che non lo stia già facendo, di fare di tutto e anche di più per persuaderlo a rimanere almeno un altro anno ancora. One more year Travis, ONE-MORE-YEAR!

Chiudo la lagna con una evidente ma confortante banalità: “tutto è bene ciò che finisce bene”. Quello che è positivo è che siamo a 34 punti e che ormai i play off non arrivano solo nell’impro- babilissimo caso di scontri fra pianeti. Ma non è ancora il momento di fare conti più o meno della serva e tentare di indovinare chi ci troveremo di fronte; ne mancano quattro e può succedere tutto e il contrario di tutto. Però la serenità e la pacatezza hanno da tempo messo radici dalle parti di Piazzale Zelioli Lanzini perché con una “band of brothers” simile capitanata da “quel” laureato sul campo in psicologia applicata al basket, non si può che essere dannatamente e pervicacemente tranquilli.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

49 Vanoli - Brindisi 93 a 86 ALLA RICERCA DEL SANTO GRAAL...

Domenica, 21 Aprile

E chissà come mi è venuta questa. Proverò a spiegarlo con la lagna che segue; prima di tutto però una istruzione per l’uso; trattasi di fisima iperbolante che nasce dal solito neurone di nord-ovest del Ciranone vostro che però si basa sui fatti concreti di queste prime 27 giornate di campionato che qualcosina ci hanno comunque ritornato.

Tutto parte dalla storia di questa partita che, all’inizio, sembrava una quasi passeggiata di Brindisi sopra i resti della Vanoli che fu, ed invece, piano piano, si è trasformata nell’ennesima impresa di una squadra che, come ho lagnato in sede di cronaca, “non avendo ancora trovato il suo limite è ancora alla ricerca del suo Santo Graal”. Già, il limite; come ognun sa questa squadra è dall’inizio dell’anno che alza continuamente la sua personalissima asticella. Prima la salvezza tranquilla portata a casa con clamoroso anticipo; poi la partecipazione alle Final Eight presentata come di per sé un gran traguardo “che da lustro alla società” (cit.) e sappiamo come è andata a finire e cioè con la coppa arrivata in riva al Po; indi la supposta sindrome da appagamento che molti temevano ma che si è rivelata una clamorosa ciofeca perché dopo la finale del 17 Febbraio alla fine della fiera è arrivato un record di 6 vinte e 2 perse; infine la stanchezza che molti (tra cui pure il Ciranone vostro) paventavano che però, stasera, si è rivelata se non una ciofeca come l’appagamento sicuramente una previsione azzardata perché una squadra che al 25° è sotto di 11 (63 a 52) e alla fine vince di 7 (93 a 86) significa, se la matematica non è un’opinione, la bellezza di 41 punti in 900 secondi. Se una squadra che ti stampa questa cosa è stanca io sono la regina di Saba.

50 Le prime tre faccende mi sono venute in mente mentre ero in cogitabonda osservazione della remuntada che la Vanoli stava mettendo sù. Remuntada che per ben due volte, al 7° del primo quarto (15 a 14 per Brindisi) e al 4° del secondo quarto (33 a 31 sempre per Brindisi), sembrava a portata di mano e che invece è stata ricacciata indietro dai pugliesi. La terza però è stata quella buona; pareggio agguantato alla fine del terzo quarto (69 pari), e dopo il primo canestro dell’eroe di serata, al secolo Voja Stojanovic, al rientro sul parquet la Vanoli non si è più girata indietro. È proprio in quei decisivi secondi che mi è sovvenuto che c’era baruffa nell’aria, e cioè la sen- sazione che la storia di questa squadra non sia ancora finita e che tutti i loro componenti siano, magari inconsciamente, alla ricerca di qualcosa che nessuno ancora sa bene cosa sia.

Al Ciranone vostro, al finìs fischiato dai tre arancion-grigi che, certamente non in modo clamoro- so, le loro stupidatine non le hanno fatte mancare neanche stavolta, si è piantata nel solito neurone di nord-ovest l’idea che questa ricerca assomigli parecchio a quella che i cavalieri della tavola rotonda imbastirono nella ricerca del Santo Graal. Non mi pare il caso qui riassumervi, anche se pur per sommi capi, la leggenda di Re Artù, di mago Merlino e dei suddetti Cavalieri della Tavola Rotonda. Anche perchè non è sicurissimo si trattas- se di una leggenda; alcune fonti storiche narrano di una certo “Artorius” che, quando l’Impero Romano in piena decadenza abbandonò la Gran Bretagna, si propose, coadiuvato da un gruppo di cavalieri, di “ricercare” il proprio Santo Graal unificando le tribù d’oltre manica. E se lo ha fatto l’Artorius di cui sopra significa che la ricerca non è leggendaria ma ha delle fondamenta ben solide. Quindi niente di fantastico ma qualcosa di tangibile anche se non ancora del tutto immaginabile.

Per tornare sul pratico; essendo in cassaforte il terzo posto (e con la possibilità concreta pure del secondo; ricordo che Venezia tra due turni viene a baciare il bambino a palazzo), è ormai pratica- mente sicuro che ai play off Milano la si potrà incontrare solo in finale. Tornando sul fantastico; anche Parsifal, nella sua ricerca del Santo Graal, schivò un paio di prove proibitive. Per ritornare sul pratico; già con Milano ne abbiamo vinte due (insisto nel ritenere vinta pure la gara d’andata e per i noti motivi) e quindi a maggior ragione anche le altre sono abbondantemente alla portata della Vanoli. Ritornando sul fantastico; anche Parsifal, schivando quelle due prove apparentemente proibitive, affrontò tutte le altre col fiero cipiglio. Mi rendo conto che tutta la faccenda abbia un alea non ancora del tutto immaginabile, ma perce- pibile si; il Santo Graal di questa squadra è da qualche parte e aspetta che un Parsifal biancoblù riesca a stanarlo. Non mi avventuro di certo a stabilire chi possa essere il Parsifal vanoliano, o chi il Re Artù o chi ancora il Mago Merlino o Lancillotto, ma quello che è certo è che qualcuno, che non necessariamente è una singola persona, ha già annusato che il Santo Graal, anche se con contorni ancora soffusi, sia alla fine del tunnel, lì da sempre ad aspettare che qualcuno lo colga.

E arriviamo alla domandona finale, cosa sarà mai questo Santo Graal vanoliano? Io un’idea ce l’avrei ma non ve la dico; immaginatelo voi, quello che volete, ma soprattutto lo deve sentire fin nei suoi più reconditi villi ognuno dei fantastici ragazzi che, assieme ai loro condottieri, ci stanno facendoci vivere un sogno che ha ancora un bel po’ di storie da raccontarci. Nella leggenda Parsifal ce l’ha fatta, nella storia Artorius pure, la partita di stasera ci ha detto che nella “cronaca” può farcela anche la Vanoli.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

51 Reggio Emilia - Vanoli 82 a 81 CELEBRATING VANOLI

Lunedì, 13 Maggio 2019

Triste sorte quella di uno scribacchino dilettante come il Ciranone vostro che, siccome c’ha na certa, rientrato a casa ieri-sera-parecchio-tardi-anzi-in-pratica-notte ha pensato bene di rimandare a stasera la consueta lagna sulla tenzone della città del tricolore. L’idea in sè non era malaccio perché gli consentiva di fare con la dovuta calma ed il solito raziocinio (questa fa ridere pure me), come si suol dire, il punto della situazione dopo averci ravanato sù un po’. Ma con la Vanoli di quest’anno non c’è verso; quando pensi fagiolo ti tocca scrivere cornetto, o viceversa che l’è l’ìstès.

Per esempio avrei ridondato sulla prova di tale Vojislav Stojanović (in serbo Војислав Стојановић; Dio solo sa come si pronuncia sta roba) che de- finire da sballo fino al 39° e 52 secondi era persino riduttivo ma che si è inopi- natamente trasformata in una terribile ciofeca per via della stupidaggine fina- le che in pratica ha regalato la vittoria a Reggio. Avrei ridondato pure sugli ultimi cin- que minuti abbondanti con la Vanoli 2 sul parquet che piano pianino è ar- rivata a mettere il muso davanti una prima volta con due liberi del prota- gonista finale, subendo poi il ritorno di DJO-Reggio portatasi sul + 4 a 140 secondi dalla fine, ma rimettendo le mani sulla gara con un parzialino di 6 a 0 tutto cuore e gagliardìa. Avrei ridondato anche sulla saggia decisione del Meo Nazionale di far rifiatare la Vanoli 1 che comunque in panca sembrava assalita dall’argento vivo perchè sarà stata seduta si è no 26 secondi e 58 centesimi, passando il resto del “riposo” a incitare, soste- nere, supportare, suggerire, esortare, spingere, sollecitare, incoraggiare la Vanoli 2. Soprattutto Mangok Mandingo Mathiang era tra i più scatenati. Avrei infine ritagliato un pezzettino per cianciarvi di un piacevole viaggio di andata in compagnia di Zach Messitte, “president” del Ripon College di Ripon, Wisconsis, Iu.EsEi, da un po’ di tem- po in Italia per scrivere un libro sul basket italiano e su Travis Diener. Non avrei però rivelato neanche sotto la più crudele tortura il contenuto della chiacchierata perchè è un piacevole ricordo che voglio tenere solo per me; vi sareste dovuti accontentare di sapere che non si è parlato solo di basket.

52 Bene, invece che ti combina un dispettoso deo del basket? Che in un momento di pausa lavorativa mi induce a imbattermi nella notiziona degli LBA Awards di questa mattima che hanno affibbiato i premi più importanti (MVP e miglior allenatore) a Drew Crawford e al Meo Nazionale, non- chè quello di secondo miglior dirigente a Gianmaria Vacirca. La faccenda, peraltro, fa il paio, e chiudendo pure il cerchio, con il premio Reveberi consegnato ad Aldo Vanoli fu Guerino da Soncino l’autunno scorso. Da qui a pensare di mandare sulla forca gli intendimenti mattutini e pirlare la faccenda su sta storia è stato un sospiro; decisione vieppiù rafforzata dalla visione durante la pausa del video della premiazione, con il Meo Nazionale in veste di “one man show”. Ne ha avute davvero per tutti ma la statuetta va alla dedica per la moglie a causa della deleteria dimenticanza dell’anniversario di matrimonio. Mentre seguivo il filmato spatasciato dal gran ridere mi sono pure sovvenute le facce di tanti coach che, a volte, si prendono troppo sul serio tutti presi dal loro importantissimo ruolo di profondi conoscitori del gioco più bello del mondo dimenticandosi troppo spesso che il gioco più bello del mondo è, per l’appunto, un gioco e come tale deve essere concepito, vissuto, sentito e sedimentato.

Quante volte avete sentito dire al Meo Nazionale che l’importante è giocare divertendosi perchè è questo il modo migliore per arrivare alle vittorie, e quante volte lo avete sentito dire, ne cito uno a caso, a Simone Pianigiani? Trovatemi due altre persone nell’ambiente baskettaro nazionale così agli antipodi e vi regalo un a damigiana di Rosso di Montepulciano. Non sto dicendo che uno è meglio o più bravo dell’altro, ma semplicemente rimarcando il diversissimo approccio dei due alla pallacanestro. La circostanza che venga premiato l’approccio ruspante e, come dire, alla buona del Meo Nazionale per il Ciranone vostro è il segnale che non tutto è perduto per il nostro malandato basket. E pure la circostanza che vengano premiate da una giuria popolare non solo la Vanoli ma squadre come Brindisi e Sassari (guarda caso le ultime due panche del Meo Nazionale, ed ora rispettiva- mente nelle sagaci mani di un assoluto galantuomo del basket come Francesco “Frank” Vitucci e di Gianmarco “Poz” Pozzecco, sempre più uno di noi) significa che gli appassionati riconoscono la serietà e la perseveranza di progetti che fanno i conti con quello che hanno e che riescono a tirarsi fuori da eventuali pasticci senza particolari scorciatoie “contabili” (capisci ammè) ma con la sempre valida saggezza del passo non più lungo della gamba (ogni riferimento a Brindisi, un paio di anni fa sull’orlo del baratro ed ora protagonista dei PlayOff, non è casuale).

E quindi la presente lagna è pensata per celebrare quella che ormai è riconosciuta come un esem- pio di lungimiranza e saggezza del basket nazionale; in dieci anni la Vanoli è passata dal ruolo di cenerentola a protagonista, mi risulta pure ascoltata, di primo livello del basket nazionale, e lo ha fatto non scordandosi da dove è partita, ma al contrario rimanendo attaccata coma una cozza allo scoglio preferito al suo “way of life” contagiando pure altre realtà. Lo faccio ora, prima di questi PlayOff che potrebbero essere straordinari, non solo perchè farlo dopo sarebbe troppo facile ma soprattutto perchè, comunque vada, la pietra d’angolo che tiene su la casa Vanoli rimarrà sempre lì al suo posto, solida e indistruttibile. Popolo vanoliano, da retta al Ciranone tuo, è il momento giusto per le celebrazioni; celebrating Vanoli, il resto viene da sé.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

53 Epilogo di una stagione indimenticabile DELLA “DIVERSITA’” VANOLIANA

Sabato 08 Giugno 2019

“Ma sei io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni…”

Dio solo sa perché stamattina, dopo una serata cogitabonda e una nottata con la cervice che, mentre ronfavo, rimuginava certamente di Vanoli e dintorni, mi sono svegliato con piantato nel solito neurone di nord-ovest l’incipit di una nota canzone del Poeta (Guccini, non Peppe) che si chiama “l’avvelenata”. Cosa c’entri infatti una canzone sull’incazzatello spinto (se non ci credete; motore di ricerca, digitare l’avvelenata testo, e poi leggere tutto d’un fiato fino in fondo) con lo spettacolo messo su non solo ieri sera e neppure in tutti questi play off ma pure in tutta la stagione dalla “band of brothers” è un mistero.

Ho cercato di risolverlo rileggendo anch’io tutto d’un fiato l’importante guccinian-capolavoro ma non ne è sortito nulla. La canzone infatti è una colorita e continua contumelia, e qui di contumelie non ce n’è proprio da fare, solo applausi e ringraziamenti. Ma poi, bang! Si è squarciato il velo ed è arrivata la soluzione; a volte il solito neurone di nord-ovest fa questi scherzi. “L’avvelenata” è una canzone “diversa” perché “diverso” rispetto al panorama del cantautorato nostrano è il suo autore, esattamente come la Vanoli che, rispetto al mondo pati- nato e “velinaro” a cui purtroppo si concede ogni tanto nella sua versione italica il gioco più bello del mondo, è “diversa” come sono “diversi” i suoi “familiari”. 54 Già la “diversità”. La stessa “diversità” che trovi via via sempre di più se scendi di categoria; è la “diversità” delle minor dove la progressiva e cronica mancanza di soldi è sopperita dalla fantasia e perché no dalla testardaggine che permette di metter su campionati con poco o niente, sostenuti quasi esclusivamente dalla passione. La Vanoli è “diversa” perché ha portato la mentalità, l’approccio e la cultura delle minor in Serie A. Tutti si stupiscono del fatto che una squadra con il budget più risicato dopo Pesaro sia riuscita nell’impresa di competere con squadre economicamente e pure, capisci ammè, “politicamente” più forti. Si stupiscono e non capiscono, perché per loro l’equazione soldi=squadra competitiva è l’unica possibile per imporsi nel basket e nello sport in generale. Dai e dai sta equazione ha provocato, con l’avvallo a volte complice di Lega e Federazione, i guasti che sono sotto gli occhi di tutti. Non c’è stato campionato negli ultimi 10 anni che non abbia visto una o più squadre sottoscri- vere, nonostante avvisaglie di ambasce economiche, fior di contratti pur sa- pendo di non poterli onorare o, peggio ancora, sperando nell’arrivo di qualche “messia” per risolvere la situazione. I ciocchi di Caserta e Torino, per citare due esempi clamorosi, sono solo la pun- ta dell’iceberg, e in quei casi si è arrivati a conclusioni drastiche solo perché non si poteva proprio fare altrimenti. Da 10 anni in serie A è arrivato invece l’esem- pio virtuoso di una formichina che è di- ventata un gigante e che ha tutta l’inten- zione di rimanere tale non snaturando la sua “diversità”.

Pare che in questi giorni venga deciso il budget per la prossima stagione, e al- lora il Ciranone vostro, che non ha mai chiesto nulla alla società perché nulla c’era da chiedere, adesso fa un’eccezio- ne; è stato un anno straordinario perché iniziato in un certo modo e con deter- minate scelte, modi e scelte che sono dannatamente da confermare anche per la prossima stagione. A laonde per cui non un euro di più e sbattete in faccia ai soloni dell’equazione soldi=squadra competitiva la vostra passione, competenza, responsabilità, tenacia, programmazione e realismo, tutte cose che non costano nulla ma che hanno un valore immenso e danno queste sì lustro allo sport più bello del mondo.

55 No perché. Meo Sacchetti, Gianmaria Vacirca, Flavio Fioretti e Simone Bianchi ce li abbiamo noi e ci hanno regalato una squadra da sogno.

Jacopo Torresi, Piercarlo Manzini, Luigi Mancini, Augusto Bagnoli, Sebastiano Spotti e Davide Cornetti ce li abbiamo noi e ci hanno regalato una squadra fisicamente in grado di affrontare 42 partite (30 di regular season, 9 di play off e 3 di coppa Italia) al meglio possibile della condizione. Michele Talamazzi, Davide Pettinari, Mauro Saja, Beatrice Placchi, Michele Bassani, Paolo Bassignani, Gianpietro Moroni, Michele Serina e Ottavia Ghilardi ce li abbiamo noi e ci han- no regalato una organizzazione che non è perfetta solo perché la perfezione non esiste. Permette- temi solo una menzione particolare per la new entry, Ottavia Ghilardi, che ha portato un tocco di friccicorìo tutto fem- minile ai social vanoliani.

E finiamo con la testa, ovvero il CDA Vanoli; Francesco Rozzi, Davide Ma- estroni, Ruth Vanoli, Davide Borsatti e, naturalmente, Aldo Vanoli fu Gue- rino da Soncino ce li abbiamo noi e ci hanno regalato una stagione da non dimenticare e da rimembrare ogni tanto gustandola piano piano come si farebbe con un nocino fuoriserie.

Ho voluto citare tutti quanti perché tut- ti quanti sono “diversamente” Vanoli Family, e lo sono assieme a noi, popo- lo vanoliano e tutta una città intera, che quest’anno abbiamo percepito a pelle una vicinanza con la società forse mai sperimentata prima. Non cito i veri protagonisti, e cioè i regàs, perché rasenterei la banalità; tut- ti quanti al proprio limite se non oltre. Qualcuno fatalmente se ne andrà ma po- tete scommettere che chi lo farà non di- menticherà tanto facilmente un gruppo così unito e una stagione così strepitosa.

“Ma sei io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse farei lo stesso…”; il Poeta (Guccini, non Peppe) conclude in questo modo il suo incavolatissimo capolavoro. E farà lo stesso pure la Vanoli; “diversamente” normale, sempre.

Il che è bello e istruttivo (cit.)

56 Un pensiero particolare ai ragazzi del Pepo Team per il loro impegno nello sport inclusivo. A loro andranno i proventi di questa pubblicazione.

Finito di redarre nell’agosto 2019 Editore: Alexandro Deblis Everet

Fotografie: Bartolomeo Vurchio Design: Simone Manini Produttore editoriale: Maria Cristina Tondini

Si ringrazia per la preziosa collaborazione Vanoli Basket Cremona Pepo Team “Mi domando -disse- se le stelle brillano perché un Stella che cammini nello spazio senza fine giorno ciascuno possa ritrovare la propria” fermati un istante solo un attimo ascolta i nostri cuori (Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe) (Antonello Venditti) L’Anno della stella vanoliana di Giacomo Bazzani

Prefazioni di Meo Sacchetti Ruth Vanoli

Con il contributo di:

Con il patrocinio di:

ISBN 978-88-944740-0-8

9 788894 474008