1 Università Degli Studi Roma Tre Scuola Dottorale in Culture E Trasformazioni Della Città E Del Territorio Storia E Conservaz
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Università degli Studi Roma Tre Scuola Dottorale in Culture e trasformazioni della città e del territorio Storia e conservazione dell’oggetto d’arte e di architettura XXI ciclo La fortuna della copia in gesso. Teoria e prassi tra Sette e Ottocento. Tutor: Ch.ma Prof. ssa Orietta Rossi Pinelli Coordinatore : Ch.mo Prof. Daniele Manacorda Dottoranda: Valeria Rotili 1 Premessa La storia delle copie è necessariamente legata al duraturo e persistente fenomeno della riscoperta dell’antico, costantemente punto di riferimento per artisti e collezionisti, come dimostra lo studio di Francio Haskel e Nicolas Penny, L’antico nella storia del gusto. Le repliche, eseguite in diversi materiali e in differenti dimensioni, che nel corso della storia furono costantemente raccolte sono la conseguenza dell’interesse e di un vero e proprio culto del passato. L’abbondanza delle copie nelle collezioni private e il fervore con cui questi oggetti furono ricercati inoltre testimoniano un apprezzamento da parte degli amanti dell’arte del passato molto lontano da quello di oggi, che valorizza l’unicità dell’opera d’arte. All’interno di questo processo le copie in gesso occuparono una posizione privilegiata, infatti la loro presenza e circolazione è attestata già dal Quattrocento, quando solitamente venivano eseguite riproduzioni in piccole dimensioni per i collezionisti e impiegati nelle botteghe degli artisti che si esercitavano su questi oggetti. L’impresa eseguita da Primaticcio per il re di Francia, nel Cinquecento, era ancora un caso isolato, poi imitata da Carlo I d’Inghilterra e da Filippo IV di Spagna per decorare palazzi e giardini nella ricerca di una “nuova Roma”. Nel Seicento si intensificò l’uso dei gessi come strumento didattico. Molte accedmie che si andavano costituendo in Europa si ispirarono alla grande impresa di Luigi XIV che istituisca l’accademia di Francia a Roma nel 1666, dotandola di un consistente nucleo di calchi, che costituirono parte del ricco patrimonio dell’istituzione, permettendo la formazione del gusto classicista degli artisti e degli intellettuali. Nel ‘700 grazie a una nuova sensibilità e a una diversa percezione dell’antico, non più sentita solo come esempio da attualizzare, ma anche come passato da leggere in funzione di una realtà storica da ricostruire, i gessi acquistano una rilevanza che supera la considerazione di mera riproduzione tecnica e di strumento di studio che invece ricoprirà dopo la seconda metà dell’Ottocento. L’interesse per questi oggetti nasce con l’ammirazione per la forma antica che rappresentavano, ma anche dal loro colore bianco che si avvicinava al marmo, materiale privilegiato dagli scultori antichi (secondo le conoscenze archeologiche dell’epoca), tanto che spesso venivano patinato per imitare il più possibile la preziosità della materia originale. 2 Nella seconda metà dell’Ottocento grazie alle nuove scoperte archeologiche, che portarono alla luce anche l’uso della policromia nel mondo antico, confermando le intuizioni di alcuni eruditi del secolo precedente, e arricchendo inoltre le conoscenze con nuovi originali, si verificò la sostituzione in parte dell’auctoritas indiscussa di alcuni capolavori che dal XV al XVIII secolo avevano stabilito la gerarchia del bello scultoreo. Inoltre l’ampliamento del campo di ricerca, per esempio verso la Grecia e l’Asia minore determinò la crisi dei canoni tradizionali, e una diversa concezione dell’autenticità legata ai contesti segnò un deciso declino nell’uso di questi oggetti, se non per scopi squisitamente didattici, che comunque non riuscì ad impedire la perdita di un prezioso patrimonio di calchi e forme. Invece, ancora all’interno della vita artistica tra Sette e Ottocento, la produzione di copie in gesso oscilla tra implicazioni pratiche e teoriche. In questa ricerca si è cercato di chiarire le vicende della parabola della scultura in gesso e la loro diffusione tra Roma e l’Europa attraverso l’analisi di tre casi esemplari che segnano il percorso e cercano di illustrare la storia delle repliche nei loro molteplici impieghi tra i risvolti pratici all’interno degli atelier degli artisti e l’interesse più propriamente intellettuale e collezionistico, in un arco temporale compreso tra la seconda metà del Settecento e l’inizio del secolo successivo. Particolarmente significativa appare la collezione nell’atelier romano del pittore Anton Raphael Mengs, composta di numerosissimi esemplari tratti da sculture antiche (che costituiscono il nucleo più numeroso) costata al pittore, come riporta il suo biografo Josè de Azara, somme superiori alle sue possibilità. Con l’aumento del numero delle accademie i gessi, che già dal XVII secolo avevano occupato un posto privilegiato, sono ampiamente richiesti per arricchire le collezioni delle scuole tenute dagli artisti nei loro studi e indirizzare le scelte del gusto nella formazione dei giovani. La rilevanza di questi oggetti nella cultura accademica dell’epoca è testimoniata anche dal fatto che tra i primi interventi che il pittore propone, dopo essere stato chiamato in Spagna nel 1761, è rifornire l’Accademia di San Fernando di una collezione di calchi. Da Madrid richiede costantemente al suo allievo Raimondo 3 Ghelli, di duplicare le opere conservate nella gipsoteca di Roma per inviarle in Spagna al fine di incrementare il numero della gipsoteca dell’accademia, impegnandosi personalmente nella direzione dei formatori che dovevano eseguire le repliche. Mengs sfrutta a pieno la serialità di questi oggetti che diventano un mezzo essenziale per l’apprendimento profondo dei valori estetici. Tornato a Roma si impegna a far duplicare la sua enorme raccolta romana per farne dono all’istituzione spagnola e diffondere il “buon gusto” a Madrid. Non si conosce la reale entità della collezione, definita da Jaques Luis David come un “museo” per la grande quantità di oggetti, disposta in uno studio vicino al suo atelier in Borgo Novo, dove era organizzata anche un’accademia privata nella quale gli artisti si esercitavano nel costante studio del disegno dall’antico e delle luci. La conservazione di una grande porzione della raccolta di gessi dell’atelier romano è dovuto all’acquisto, dopo la morte dell’artista, del conte Camillo Marcolini, dal 1794 direttore dell’accademia di Dresda. Con l’aiuto di fonti di storia locale si è cercato di delineare la figura di questo personaggio, ancora comunque da indagare in profondità, di cui si avverte la rilevanza nella vita politica e artistica di Dresda, per la sua ricerca di rinnovare e indirizzare la cultura della città attraverso precisi e mirati intervanti. Il riordinamento dell’accademia è un chiaro esempio, del tentativo di formare artisti che fossero capaci, ispirandosi alle tendenze classiciste del periodo, di rivaleggiare con i principali poli artistici di Roma e Parigi ai quali comunque cerca di fare riferimento. L’aristocratico proveniente da un’importante famiglia di Fano legata all’elettorato di Sassonia, arrivò giovanissimo a Dresda, ricoprendo cariche politiche e pubbliche, tra cui anche quella di direttore della manifattura di porcellane di Meissen. L’acquisto della gipsoteca infatti è parte di un programma volto ad incrementare la produzione di ceramiche verso canoni che si ispirassero alla riscoperta e all’interesse generale per le antichità, come mostrano gli esemplari prodotti nel periodo della direzione di Marcolini, caratterizzati da una chiara uniformità di stile, lontano dal genere lezioso e dalle forme elaborate che ancora caratterizzava i prodotti della generazione precedente e dalla quale il direttore si vuole allontanare. 4 Il “contino”, come veniva chiamato Camillo dalla duchessa Maria Antonia, si impegna anche in un rinnovamento generale delle istituzioni e delle collezioni principesche, commissionando nuovi acquisti per arricchire le raccolte di scultura e la biblioteca, in maniera che fossero un museo di uso pubblico, come egli stesso fa incidere sull’architrave del Japanischepalais, sede della collezione di porcellane, delle antichità e di monete romane. Marcolini, inoltre, commissionò alcuni restauri tra cui quello del giardino del palazzo di Pillnitz e del palazzo Zwinger, sede della collezione di grafica e delle raccolte scientifiche che cerca di aumentare, cercando di promuovere i diversi aspetti della conoscenza in un programma globale che raggruppasse e valorizzasse i centri della conoscenza e delle arti. Le fonti accennano anche ad una sua ricca collezione di opere d’arte posseduta dall’aristocratico, di cui ad oggi non si ha notizia. Infatti da una prima ricognizione degli inventari dei suoi beni (conservati nella archivio di stato di Dresda), redatti dopo la sua morte nel 1816, sono citate solo le proprietà immobiliari e anche nel testamento non compare nessun riferimento alla raccolta che si diceva conservata nel palazzo di Friedrichstadt. L’aristocratico, sul piano politico aveva seguito l’ascesa di Napoleone, sperando nell’indipendenza della Sassonia dagli altri stati dell’elettorato, alla caduta dell’imperatore viene accusato di aver partecipato alla dissoluzione del regno e per questo mandato in esilio a Praga dove muore nel 1816. Per questa ragione probabilmente i documenti non riportano dati che possano dare anche solo un’idea parziale della raccolta, forse dispersa dopo la partenza del proprietario da Dresda. L’acquisto della gipsoteca di Mengs, uno dei più grandi artisti dell’epoca, è la rappresentazione della ricerca di riunire l’antico che nella realtà era diviso in numerosi musei e collezioni, attuando la potenzialità seriale