STORIA PITTORICA

DELL'ITALIA DAL RISORGIMENTO

DELLE BELLE ARTI

FIN PRESSO AL FINE DEL XVIII SEGOLO DI LUIGI LANZI

CORREDATA DI MOLTE ILLUSTRAZIONI

D A L L ’ A B . D E A N G E L I S

E DA ALTRI.

VOL. 9

V E N E Z I A , 1838

P R E S S O PIETRO MILE SI

Libraio al Ponte di S. Moisè

DELLA STORIA PITTORICA

DELLA

ITALIA INFERIORE

CAPITO LO I.

SCUOLA E S E.

EPOCA PRIMA

G li antichi fino alla venuta del Vinci.

S e in ogni scuola pittorica siamo noi usati di' riandare la memoria de’ tempi barbari, e quinci discendere a’ più colti, Milano, capo della Lom-' bardia e sede de’ Regi Longobardi, ci presenta un'epoca che per la sua dignità e per la grandez­ za ne’ suoi monumenti non può involgersi nel si­ lenzio. Quando il regno d’ Italia passò da’ Goti a’ Longobardi, le arti, che sempre corteggiano la Fortuna, da Ravenna trasferirono il lor primario domicilio a Milano, a Monza, a Pav ia. In ognuno di questi luoghi rimane tuttavia qiialche orma di quel disegno, che tuttora dicesi longobardico dal luogo e dal tempo; non altrimenti die nella scien­ za diplomatica longobardici ancora si appellano certi caratteri proprj di quella età, o a dir meglio di quelle età ; poiché discacciati ancora i Longo- 4 SCUOLA MILANESE bardi d’Italia, continuò lungamente ir) gran parte di esse quel gusto di scolpire e di scrivere. Lo stile, di cui parliamo, espresso in lavori e di me­ tallo e di marmo, è rozzo e duro oltre ogni esem­ pio de’ secoli antecedenti ; e più spesso e meglio ve de si esercitato in ritrarre mostri, uccelli e qua­ drupedi, che figure umane. Al duomo , a S. Mi­ chele, a S. Giovanni di Pavia sono- su le porle fregi di animali variamente concatenati fra loro, spesso in positura naturale, spesso con la testa ri­ volta a tergo; e per entro le già dette chiese e iu alquante altre si incontrano capitelli con ligure simili, aggiuntevi talora istorie di uomini, fui per dire d’ un altra specie; tanto da noi dissomiglia­ no. La stessa depravazione dell’arte occupò i luo­ ghi dominati da' Duchi longobardici, qual fu il Friuli che conserva ancora molti monumenti di , quella barbarie. E in dividale un aitar di marmo cominciato dal duca Penimene, compiuto, da Rat­ eili suo figlio, vivati nell’ ottavo secolo: i bassi- rilievi presentano G . C. assiso fra varj Angeli, la sua Epifania, la Visitazione della B. Vergine (i). Sembra non potersi depravar l’ arte oltre la roz­ zezza di queste figure: e tuttavia chi osserverà sut luogo il fregio di una porta, o i capitelli di S. Gel­ so in Milano (2), opere del secolo x , confesserà

(1 ) V i è annessa la iscrizione, che può leggersi nel È ertoli Antichità di Aquileja n. 516. (2) V . il eh. sig. doti. Gaetano Ungati nelle Me­ morie storico-critiche intorno le reliquie ed il culto di S. Gelso Martire, pag. 1 ;e il V. M. siile- gmnza Spiegazione e Riflessioni sopra alcuni sa­ cri monumenti di Milano,pag. 168- EPOCA PRIMA 5 che polè l’ arte peggiorar molto, quando al rozzo aggiunse il ridicolo, e creò figure nane, tutte ma­ ni, tutte teste, con gambe e piedi malcapaci di so­ stenerle. Di tale disegno in Verona e altrove sono altri marmi moltissimi. Vi ha nondimeno de’ mo­ numenti che vietan di credere per sistema, che fior dell’ antico buon gusto non rimanesse allora in Italia. Potrei addurne esempj tratti da diverse arti, e specialmente dalla orificeria, che nel secol x ebbe pure un V olvino autore del tanto celebre paliotto d’ oro in S. Ambrogio di Milano; opera che nello stile può andar del pari co’ più be’dit- tici d’ avorio che vantino i musei sacri. Ma restringendoci al proposto tema, il Tirabo- schi notò nel palazzo di Monza pitture antichis­ sime di que’ secoli (a); e qualche altra simil reli­ quia si addita pure a S. Michele di Pavia, benché in troppa altezza per potere ben giudicarne: al­ tre più copiose ch’esistono in Galliano si trova­ no descritte negli Opuscoli del P. Àllegranza a pag. ig 3'. Al qual proposito osservo che il Trat­ tato di Pittura da me già nominato si è trovalo in un codice di Cantabrigia avere avuto per tito­ lo: Theopilus Monachus (altrove t/ui et Rugerius) de omni scientia artis pingendi. Incipit Tracta­ tus Lumbardicus qualiter temperantur colores, ec. Questa è certa prova che se la pittura aveva al­ lora qualche asilo in Italia , sopra tutto avevaio in Lombardia. E nella Basilica di S. Ambrogio nominata poc’anzi non ne manca pur qualche sag­ gio. Sopra la Confessione è un volto di terra cot-

(a) Esiste tuttora qual che avanzo nel luogo istes- so ove dipinse Troso da Monza. 6 SCUOLA MILANESE ta con figure in bassorilievo disegnate e colorite assai ragionevolmente,quasi sul far de’buoni mu­ saici di Ravenna e di Roma , e credesi fatto nel x secolo, o in quel torno. Vi son pure i SS. Dor­ mienti presso la porta, che dipinti circa il mede­ simo tempo, e poi coperti con calce, sono final­ mente ricomparsi a luce,egelosamente vi si man­ tengono da que’dotti religiosi che presiedono al­ la cura del tempio. Il portico ancora ha un Sal­ vatore sedente con un Divoto genuflesso, lutto di greco stile,ed una Crocifissione,che argomentan­ done da’caratteri, più volentieri si ascriverebbe al xii secolo che al susseguente. Lascio di ricor­ dare alquante immagini di Gesù Crocifisso e di Nostra Donna sparse per la città e per lo Stato, bastando per tutte la N. S. presso S. Satiro e quel­ la di Gravedona antichissime. Dopo questi principi non credo spenta mai, nè sopita in Milano e nello Stato l’arte della pittu­ ra : così avessimo memorie onde compilarne una copiosa istoria ! Ma di questi artefici poco hanno scritto, e solo per incidenza i più antichi ; sicco­ me fece il Vasari nelle vite di bramante, del Vin­ ci , del Carpi; e il Lomazzo nel Trattato e nel Tempio o Teatro (1) della Pittura. Poco simil­ mente, nè sempre con fondamenti da fare scien­ za, ne han detto alquanti più moderni, il Torre, il Latuada, il Santagostini, le cui relazioni rac»

(1) Prese la idea del libro dal Teatro di Giulio Camillo, a cui paragona il suo lavoro nel cap.XI. Quindi credo che non disconvenga,sull'esempio d i alcuni libri che han due titoli, chiamarlo con que* ito nome àncora, come altri ha fatto. EPOCA PRIMA 7 colse l’ Orlandi e le riunì nel suo Abbecedario» Qualche supplemento ci han fatto le Notizie del­ le pitture d’Italia per varj artefici e per la preci- sa età loro, e la Nuova Guida di Milano ; nuova veramente, anzi unica finora in Italia; ove il eh. abate Bianconi indica non solo ciò ch’ è di taro in città, ma con sodi principi insegna discernere il buono dal mediocre e dal Cattivo. Anche il sig. consiglier de’Pagave su questa scuola ha pubbli­ cale note interessantissime ne’tomi 3, 5,8 del Va­ sari nuovamente edito in Siena (a). Nè poche no­ tizie ancor mss. avrò io il piacere d’inserire nel­ la mia opera trasmessemi gentilmente da lui me­ desimo. Per esse e si conosceranno nuovi maestri, e a’ già cogniti si apporranno note di cronologia più sicure, spesso dedotte dal Necrologio di Mi- lano, che gelosamente ivi si custodisce presso un pubblico magistrato. Con questi ajùti, e con altri che verrò a mano a mano ricordando, scrivo della scuola di Milano ed entro già nel 1535 , quando Giotto vi stette, lavorandovi alcune cose in varj luoghi della cit­ tà, che a’ tempi del Vasari erano tuttavia tenute bellissime. Nè molto di poi cominciò ivi a dipin­ gere, chiamatovi da Matteo Visconti, quello Ste-

(a) I manuscritti del P agave, già posseduti dal cavalier Bossi defunto pit tore, passarono nelle ma­ ni del signor Gaetano Cattanecrdirettore d elti. B . Gabinetto Numismatico. Colla storta dei medesi­ mi, colle memorie lasciale dal prefalo Bossi e coi materiali che egli medesimo raccolse, sta ora com­ pilando le Vite degli Artefici Lombardi: opera che non tarderà guari a comparire in luce. 8 scuòla milanese fano Fiorentino che la storia celebra come il mi­ gliore allievo di Giotto: egli però sopraggiunto da malattia fu costretto a partire senza pure finirvi un’ opera, nè si sa che altro giottesco per allora gli succedesse. V ennevi circa il 1370 Gio, da Mi­ lano, scolar di Taddeo Gaddi, e così esperto, che il maestro in sul morire gli lasciò raccomandato Angiolo e un altro suo figlio, perchè in sua vece gl’istruisse nella pittura. E dunque manifesto che i Fiorentini influirono assai presto nella scuola de’Milanesi. Questi però non lasciarono di addi­ tarci due nazionali, che a detta del Lomazzo in­ fin da’tempi del Petrarca e di Giotto operavano; Eaodicia di Pavia, dal Guarianti detta pittrice, e Andrino.diEdesia similmente creduto pavese;an­ corché il suo nome e il nome di Laodicia dian sospetto almeno di greca origine. A ll’Edesia e al­ la sua scuola si ascrivono in Pavia alcune pittu­ re a fresco, che restano a S. Martino e altrove (i). Nulla asserisco degli autori; il gusto è ragionevo­ le, e nel colorito prevale a’ Fiorentini di quella età. Un Michel de Roncho milanese ci ha scoper­ to il conte Tassi scrivendo dei due Nova pittori di Bergamo. Dice che insieme con essi lavorò Mi­ chele in quel duomo dal 1375 fino al 77; e di que’ pennelli restano ancora reliquie men'lonta­ ne dal far di Giotto che le pavesi. Un lodevole Novarese ci fan noto alcune pitture in Domodos­ sola nel castello Sylva ed altrove con questa me­ moria : Ego Petrus filius Petri Pictoris de Nova- ria hoc opus pinxi 1370. Ma senza partirci di Mi-

(1) Notizie delle Pitture, Sculture ed Architet­ ture d’ Italia delsig. Berloli,p. 41 ec. EPOCA PRIMA 9 lano,si veggono ivi nella sagrestia de'Conventua- li ed in varj chiostri pitture del secolo xiv senza notizia di certo autore, il più delle volte confor­ mi alla maniera fiorentina, e talvolta ancora di uno stile nuovo, originale, non comune ad altra Scuola d’ Italia. Sopra tutto fra le opere anonime di stile anti­ co è da notar ciò che resta nella sagrestia delle Grazie, ove ogni sportello presenta un fatto o del vecchia Testamento , o del nuovo. L’ autore par che vivesse ne’ confini del quartodecimo secolo e del seguente ; nè di tal tempo si troverà facil­ mente in Italia altr’ opera così copiosa di figure, come questa è , condotta da un solo artefice. Lo Stile è secco, ma di un colore ove il Sole non ha percosso: così vivo,così bene impastato,così spic­ cato da’suoi fondi, che non cede a’miglior Vene­ ti di quella età, nè a’Fiorentini migliori; e chiun­ que ne sia l’autore, è originale, nè altri somiglia fuor che sè stesso. Non è anonimo un altro Lom­ bardo (già tenuto per Veneto), ma si è mal no­ minato dal Vasari nella vita del Carpaccio e in quella di Gian Bellini, poi dall’ Orlandi e dal Guarienti in tre articoli dell’Abbecedario. In un articolo dietro il Vasari è detto dàll’Orlandi G i­ rolamo Mazzoni o Morzoni; in due altri è nomi­ nato Giacomo Marzone, e Girolamo Morzone dal Guarienti, scrittor più felice nell’ accrescere i pregiudizj cirea i pittori antichi, che nell’emen- darii. Il vero suo nome trovasi scritto in una ta­ vola ch’ è tuttora in Venezia , ossia nell’ isola di S. Elena, ove con la Vergine Assunta rappresen­ tò la Titolare, S. Gio. Batista, S. Benedetto e una S.Martire con questa epigrafe: Giacomo Morano-'. 10 SCUOLA MILANESE ne à laurà questo lauorier.an. Dai. mccccxxxxI. L ’ onesto e critico sig. Zanetti persuaso dal dia­ letto lombardo , e dall’ aver costui dipinte assai cose in molte città di Lombardia, come racconta il Vasari, non lo ha creduto punto veneto , ma piuttosto lombardo: tanto più che Morazzone che gli dà il nome è luogo di Lombardia. Vero è che in ciò non là un gran rifiuto; giacche questo G ia­ como che stando in Venezia fu competitore di Jacobello del Fiore , poco valse almeno in que­ sta tavola, ove non è un piede che secondo le re­ gole della prospettiva posi sul piano , nè altro pregio che lo distingua gran fatto da’ trecentisti. Tenne anche lo stile antico un tal Michelino , e continuò fino all’ultimo a far le figure grandi e piccoli gli edifizj , cosa che biasima il Lomazzo ne’pittori più vetusti. A costui però dà luogo fra’ migliori del suo tempo e per gli animali di ogni sorte, che dipinse, dic’egli stupendissimamente ; e per le figure umane, che ben espresse non tan­ to nel serio , quanto nel buffo; nel qual genere rimase in esempio alla sua scuola fa). Par che Michelino fosse pregialo ancora fra gli esteri, leg­ gendosi nella Notizia Morelli che in casaVendrami- nia Venezia custodivasi un libretto inquarto in ca­ pretto con animali coloriti da questo artefice^-Con poco intervallo di tempo, secondo il sig. Pagave,

(a) Tutt 'altro che buffe sono lefigure ch’egli di­ pinse nel cortile della casa Borromeo, ove sta scrit­ to il suo nome recentemente scoperto dal eh. sig. Cattaneo direttore del Gabinetto Numismatico. In quanto al fare si manifesta per uno dei distinti al­ lievi di Giotto. EPOCA PRIMA I I *i dee segnar l’epoca di Agostino di Bramantino non cognito al Bottari, nè a’ più recenti indaga­ tori della storia pittorica. Temo assai che un er­ rore del Vas.ari non ne abbia nella niente di que­ sto accurato scrittore prodotto un altro. Il Vasa­ ri osservando che in una camera del Vaticano, ove poi dipinse Raffaello, furono per dargli luo­ go atterrate le pitture di Piero della Francesca , di Bramantino, del Signorelli, dell’Abale di San Clemente, suppose che i due primi contempora­ neamente ve le facessero sotto Niccolò V , cioè intorno al 145o. Per la stima che aveva di quel Bramantino , si diede a raccorre le notizie delle altre sue opere, e trovò esser lui autore del Cri­ sto Morto in iscorcio, e del famiglio che ingannò il cavallo in Milano, e di assai prospettive; equi­ vochi lutti, ove si credano appartenere a un Bra­ mantino vivuto circa il 1450; e verità tutte , se si credano appartenute ad un Bramantino scolar di Bramante che viveva nel iòag.Non veggo per­ tanto come il sig. consiglier Pagave abbia nella opere milanesi scoperto 1 ’ error del Vasari, e in quelle del Vaticano, che secondo il Vasari stesso spettano a un medesimo individuo, abbia voluto secondarlo. Meglio era dire che l’Istorico errò in cronologia , supponendo che Bramantino dipin­ gesse sotto Nicolò V, che far l’ipotesi di un Bra­ mantino antico chiamato Agostino, di cui in Ro­ ma si vedesse un’opera bellissima in palazzo del Papa, e poi null’altro nè in Roma, nè in Milano, nè altrove. Adunque io discredo questo antico artefice fino ad aver prove migliori di sua esi­ stenza ; e su tal questione raccoglierò nuovi lu­ mi prima di uscire di quest’ epoca. 1 2 SCUOLA MILANESE Nel tempo del celebre Francesco Sforza e del card. Ascanio di lui fratello non men disposli ad arricchir la città di buone fabbriche che le fab­ briche di belli ornamenti, sorse un bel numero di architetti e di statuarj, e, ciò che fa al nostro proposito , di pittori abili secondo cpiel secolo. La lor fama si sparse per tutta Italia , e trasse di poi Bramante in Milano , giovane di felicissima indole per l ’architettura e per la pittura, che fat­ tosi nome in Milano , insegnò di poi al l’ Italia e al mondo. Costoro non si erano avanzali gran fatto in colorito , eh’ è forte , ma in certo modo malinconico; nè in panneggiamento, Ch’ è ver­ gato e quasi a candele, fino a Bramante ; e sono piuttosto freddi ne’ sembianti e nelle mosse. Ri­ formarono però la pittura in quella parte special- mente che tocca la prospettiva , non solamente operando , ma scrivendo ancora; e dieder orca- sione al Lomazzo di dire che come il disegno è propria lode de'Romani, il colorito de’ Veneti, così la prospettiva è propria lode de’ Lombardi. Giovami riferire le sue parole tolte dal Trattato della Pittura a pag. 4o5. Della quale arte (di far ben vedere) furono ritrovaiorì Gio. da V alle. Co­ stantino Faprio, il Foppa, il Civerchio, Ambro­ gio e Filippo' Bevilacqui e Carlo , tutti milanesi ,• Fazio Bembo da F al damo e Cristoforo Moretto cremonesi ; Dietro Francesco pavese, Alberiino da Lodi (i) i quali oltre diverse opere loro dipinsero

(i) Notizia che il Lomazzo non avrebbe qui ta­ ciuto il nome di Agostino di Bramantino se fosse vero eh’ egli fiorisse fin dal 1420, e dipingesse in R oma; onore che questi altri Milanesi non ebbono. EPOCA PRIMA I 5 intorno alla corte maggiore di Milano que’Baroni armati ne' tempi di Francesco Sforza primo B u ­ ca della città $ cioè dal 1447 fino al 1466- Avendo a trattare di questi artefici, degli ulti­ mi quattro non farò altre parole, avendo de’ due Cremonesi scritto a suo luogo , e degli altri due non rimanendo, che io sappia, altro che il puro nome in Milano: dico ini Milano, perchè di Pier- francesco pavese, il cui cognome fu Sacchi, tro­ veremo assai belle memorie in Genova, ove stet­ te gran tempo. Si è (Jubitato che del primo (Gio­ vanni della Valle) sopravviva oggi una tavola ; cosa assai dubbia. Nè anche di Costantino Va- prio ho trovata opera certa: di un altro Yaprio è una Madonna fra varj Santi in più spartimen- ti a’Serviti di Pavia con questa epigrafe: Augu­ stinus de Vaprio pinxit 1498; opera di qualche merito. Vincenzio Poppa, di cui dice il Ridolfi che fio­ rì circa il 1407, è tenuto quasi il fondatore della scuola milanese, in cui figurò nel principato di Filippo Visconti e in quello di Francesco Sfor­ za. Accennai questo nome nella scuola veneta, a cui si ascrive come Bresciano, che che in contra­ rio dica il Lomazzo. Io son uso a schivar questio­ ni di nazionalità; e il metodo compendioso con cui scrivo mi dispensa dall’ agitarle, almeno cir­ ca a’pillori men celebri. Ma in un caposcuola co­ me questi è, non ricuso d’ inlertenermi alquanto a stabilirne la patria , dipendendo da ciò lo schia­ rimento di alcuni articoli della storia pittorica oc- cqpati da errori. Si ha dal Vasari, nella vita del­ lo Scarpaccia, che intorno alla metà del secolo, fu tenuto in pregio Vincenzio pittore bresciano^secon- 1 4 SCUOLA MILANESE do che racconta il Filarete. E nella vita di questo buon architetto, e in quella di Michelozzo scrivo che in certe lor fabbriche ordinate sotto il duca Francesco dipinse Vincenzo di Zoppa (emendasi Foppa) lombardo, per non essersi trovalo in quei paesi miglior maestro. Che poi un Vincenzo bre­ sciano fosse allora e di poi tenuto fra’ migliori maestri, Io comprova Ambrogio Calepino nell’an­ tica edizione del 15o5 alla vocespingo. Quivi do­ po aver lodato sopra ogni altro pittore del suo tempo il Mantegna, soggiugne: huic accedunt Jo. Bellinus Venetus, Leonardus Florentinus, et Vin­ cent ius Brixianus, excellentissimo ingenio homi­ nes, ut qui cum omni antiquitate de pictura pos­ sint contendere. Dopo si bell’ elogio scritto, se io non erro, quando il Foppa era vivo, ma edito do­ po sua morte (come dall’elogio scritto dal Boschi- ni al Ridolfi notammo a suo luogo), riferiscasi an­ che quello del suo sepolcro nel primo chiostro di S. Barnaba in Brescia: Excellentiss. ac . ex i- mii. pictoris. Vincentii. de Foppis . ci. B r. 1492 (Zamb. pag. 3a). A queste testimonianze ag­ giungo quella di man dell’autore scoperta da me nella Galleria Carrara in Bergamo, ove in antico quadretto condotto con molto amore e con vero studio di scòrti, rarissimo a que’ tempi, è dipin­ to Gesù crocilisso fra’ due ladri, ed è scritto:. . . Vincentius Btixiensisfecit 1445. Qual prova più chiara della identità di un pittor medesimo ricor­ dato da più autori con tanta contraddizione d i nome, di patria, di età? Stabiliscasi dunque dal confronto de’ luoghi addotti, che in essi si parla di un solo pittor bre­ sciano, e che questi non è sì antico quanto decan- EPOCA PRIMA 1 5 tasi, nè potei dipingere nel i4o" dell’era rolgare, avendo tocco per poco il sestodecimo secolo. Do­ po ciò ripurghisi anco la storia da quelle specio­ se favole che il Lomazzo vi sparse dentro, asse­ rendo che il Foppa trasse da Lisippo le propor­ zioni delle sue figure; che da’suoi scritti apprese Bramante la prospettiva, e ne formò un libro sta­ to utile a Raffaello, a Polidoro, a Gaudenzio; che Alberto Durerò e Daniel Barbaro profittarono delle invenzioni del Foppa, e ne furono plagia- rj. Tali cose, rifiutate già in parte dal eh. consi­ gliere Pagave nelle note al Vasari (t. III, pag. 233.). son fondate nella età del Foppa creduta anteriore a Piero della Francesca, da cui vera­ mente cominciò la prospettiva in Italia ad avere aumento considerabile. Dopo di lui Foppa fu dei primi che coltivasser quest’ arte, siccome appare nel quadretto di Bergamo già rammentato. In Mi­ lano restano di esso alcune opere in tela allo spe­ date: a fresco è quel Martirio di S. Sebastiano a Brera, che nel disegno del nudo, nella verità del­ le teste, ne’ vestiti e nelle tinte è molto lodevole, ma nell’espressioni e mosse poco felice. Spesso ho meco dubitato che due fossero i Vincenzj da Bre­ scia; poiché il Lomazzo, oltre Vincenzio Foppa che contro la opinione comune fu milanese, no­ ta e distingue nell’ indice un Viucenzio brescia­ no, di cui però in tutta l’opera non so che faces­ se mai menzione. Io dubito eh’ essendo fuor di Milano alcune opere soscrilte di Vincenzio Bre­ sciano senza il cognome Foppa, lo storico fisso nella sua persuasione che il Foppa fosse milane­ se, di un sol pittore due ne facesse: che anzi po­ tè questo essere un antico pregiudizio della scuo- 1 6 SCUOLA MIL A ESE ]a milanese, a coi il Lomazzo non sapesse rinun­ ziare. I pregiudizj nazionali son sempre gli ulti­ mi a deporsì. Nella Notizia Morelli due volte leg— gesi Vincenzo Brasano il vecchio ; il quale aggiun­ to, se non è soprannome, siccome fu nel Minzoc- chi, può esser nato da qualche falsa voce devine V incenzj bresciani. Si è notato replicalamente che le denominazioni delitto ri si son tratte assai vol­ te non da autentiche scritture, ma dalla bocca del volgo, che quel clic male udì peggio racconta. Vincenzio Civerchio, dal Vasari nominato Ver­ nino', e dal Lomazzo, chè vorrebbelo milanese., soprannominato il Verchio, fu ricordato anch'e­ gli da noi nella scuola veneta, alla quale dicesi appartenere come cremasco, quantunque e vives­ se in Milano, e formasse a quella scuola allievi eccellenti benemerito di lei sopra ogni altro dal Vinci in fuori. Il Vasari par che al Poppa non lo posponga, quando il dichiara valentuomo in la­ vori a fresco. Nelle figure fu studiato, e ammira­ bile nel modo di collocarle in allo, si che i pia­ ni sfuggissero, e le altezze calassero dolcemente. Ne died'esempio a S. Eustorgio in certe storie di S. Pier Martire dipinte alla sua cappella, lodatis­ sime dal Lomazzo, e oggidì coperte di bianco; ri­ manendo ivi di man del Civerchio i soli pennac­ chi della cupola, a’ quali auguriamo più lunga vita (i). Ambrogio Bevilacqua può conoscersi a (i)

(i) Circa questo artefice si leggon epoche diffìcili a conciliarsi tra loro. Stando al Lomazzo, era già pittore intorno al 1460: e presso il sig. Ronna nello Zibaldone Cremasco per l' anno 179 5 , si asserisce a pag. 84 esistere documenti che nel 1535 vivesse El’OCA PRIMA 17 S. Stefano in un S. A mbrogio, a’ cui lati stanno i Ss. Gervasio e Protasio. Altro pitture gli avean conciliata la riputazione di bravo prospettivo; in questa ne ha certamente violate le regole. E però disegnata in guisa, che quantunque non esente del tutto dalla secchezza, pur molto avvicinasi al buono stile. Di questo pittore si trovano memorie fino al 1486 : di Filippo suo fratello ed ajulo, e di Carlo milanese, che i l Lomazzo nomina in quel suo contesto, nulla ho trovato. Trovo bensì dal già lodalo Corrispondente ascritti a questa piùau- tica epoca Giovanni de’ Ponzoni, di cui resta un S. Cristoforo in una chiesa vicina alla città, detta della Samaritana; e un Francesco Crivelli, che dicesi aver fatto ritratti in Milano prima di ogni altro. Quei che ora sieguono, altri formavano il cor­ po de1 dipintori nel governo di Lodovico il Moro, al cui tempo il Vinci stette a Milano ; altri si an­ darono abilitando negli anni seguenti ; niuno pe­ rò di loro usci affatto dal vecchio stile. Sono da rammentare prima di ogni altro i due Bernardi (che promiscuamente son detti anche Bernardini) di Trevilio nel Milanese; l’ uno di casato Butino- ni, l’ altro Zenale, scolari del Civerchio, ed emu­ latori suoi nelle pitture e negli scritti. Trevilio è terra del Milanese, compresa a que’ tempi nel Ber­ gamasco, e perciò dal conte Tassi aggregata alla sua scuola; ed è assai lontana da Trevigi, ove si ancora. Se non voglion discredersi, conviene accor­ dare al Civerchio una vita lunghissima, quale si legge vivuta da Tiziano, dal Calvi e dagli allripiù. canuti Macrobj della pittura• I 8 SCUOLA MILANESE « profittalo della somiglianza del nome per «reare Un Bernardino daTrevigi architetto e pittore che non fu mai. Il Vasari nomina un Bernardino d* Trevio (volle dir Trevilio), che a’ tempi di Bra­ mante era ingegnere a Milano, disegnatore gran­ dissimo, il quale dal P in cifa tenuto maestro raro, ancorché la sua maniera fosse crudetta e alquanto secca nelle pitture: e ne cita fra le altre opere una Resurrezione al chiostro delle Grazie con alcuni scorti bellissimi. Fa maraviglia che il Bottari ab­ bia cangiato Trevio in T revigi, e che 1’ Orlandi abbia interpretato il Vasari come se scrivesse del Bufinone; quando con la scorta del Lomazzo a pag. 271, e in più altri luoghi del suo Trattato è facile congetturare che ivi si parla dello Zenale di Trevilio. Fu uomo insigne, confidente del Vin­ ci (1), paragonato nel Trattato della Pittura al Mantegna, e addotto continuamente in esempio nell’arte prospettica, sulla quale già vecchio com­ pose un libro nel i 524, e scrisse diverse osserva­ zioni. Ivi fra le altre cose trattò la questione agi­ tata a que’ dì: se gli oggetti che si rappresentano piccioli e in lontananza,deggiano abbagliarsi, per imitar la natura, più che i grandi e i vicini ; que­ stione eli’ egli risolvea negativamente; volendo 1

(1) Racconta il Lomazzo nel suo Trattato (lib. I Cap. IX ) che avea Lionardo nel suo Cenacolo data tanta bellezza al volto dell’ uno e l 'altro S. Giaco­ mo,che disperando poter fa r più hello il Nazareno, andò a consigliarsi con Bernardo Zenale, che per confortarlo disseglì: Lascia Cristo così imperfettoj che non lo farai esser Cristo appresso quegli Apo­ sto li; e Così Lionardo feee. EPOCA PRIMA 1 9 anzi che le cose lontane fossero così finite e pro­ porzionate quanto quelle dinanzi. Ecco dunque il Bernardino tanto lodato dal Vasari, il cui giu­ dizio circa questo artefice può tuttora verificarsi su la Risurrezione alle Grazie, e su di una Nun­ ziata a S. Simpliciano, con un’architettura artifi­ ciosissima a ingannar 1’ occhio. Questa però è il meglio della pittura: le figure han del meschino in sè e ne’ vestiti._ Per ciò che aspetta al Butinone suo conterraneo, e compagno ancora quando di­ pinse a S. Pietro in Gessate, si può dire che fosse intelligentissimo in prospettiva, poiché il Lomaz- zo 1’ afferma; nel resto le sue opere son perite, toltone qualche quadro da stanza disegnato me­ glio che colorito. Una sua Madonna fra alcuni BB. vidi presso il sig. consigliere Pagave, per cui sug­ gerimento a’discepoli delCiverchio aggiungo Bar­ tolommeo di Cassino milanese e Luigi de’ Douati comasco, de’ quali si han tavole autentiche. Mentre questi fiorivano, venne in Milano Bra­ mante, il cui vero nome tramandatoci dal Cesa- riani, suo scolare e commentator di Vitruvio, è Donato, il casato credesi Lazari ; cosa con forti ragioni impugnata nelle Antichità Picene al tom, X . Quivi pure si prova a lungo che la vera sua patria non fu Castel Durante, ora Urbania, come tanti scrissero, ma una villa di Castel Fermigna- no. L ’ uno e l’ altro luogo è nell’ Urbinate; onde anticamente lo denominarono Bramante di Urbi­ no. Quivi studiò su le opere di Fra Carnevale, nè altro dice il Vasari della sua educazione. Conti­ nua poi a raccontare che partitosi dalla patria gi­ rò per alcune città di Lombardia lavorando il me s glio che poteva picciole opere, finché venuto in 5 0 SCUOLA MILANESE Milano, e conosciuti gl’ ingegneri del duomo, fra’ quali Bernardo, fermò seco di darsi tutto all’ ar- chitettura, siccome fece; e che prima del 1500 ne andò a Iìoma ove servì Alessandro VI e Giulio II, e vi mori settuagenario nel 1514- Vi è da dubita­ re che l’ Istorico sia stato ben poco sollecito d’ in­ vestigar le memorie di questo grand’ uomo. Più esalto ricercatore n’ è stato il signor Pagave. One­ sti per amor della verità, anima della storia, ha fin rinunziato all’ onore che t’raea la patria dal­ l’ avere ammaestrato un Bramante, nè perciò lo ha asserito scolare del Carnevale, o di Pietro della Francesca,o del Mantegna,come qualche scrittore presso il signor Colucci. Ben ha osservalo essere lui venuto in Milano di già maestro circa l’ anno 1476, dopo aver nella Romagna innalzali e palaz­ zi e tempj. Da questo tempo fino alla caduta del Moro, cioè fino al 1499, stette in Milano, ove con larghi stipendj servì la corte,e fu adoperato anche da privati spesso come architetto, non di rado come pittore. Che Bramante fosse pittor valente, lo nega il Cellini nel trattalo secondo, ove Io dà per medio­ cre pittore; e oggidì si sa da pochi della Italia in­ feriore, ove nelle quadrerie mai non si nomina, ma è notissimo nel Milanese. Lo avean già asse­ rito il Cesariani e il Lomazzo, il quale ne ha scrit­ to con lode in più luoghi della sua opera, contan­ done e ritratti, e pitture profane e sacre, e a tem­ pera e a fresco. Osserva generalmente in lui un metodo simile mollo a quello di Andrea Mante­ gna. Erasi anch’ egli esercitalo grandemente nel copiar gessi ; e quindi venne che desse lumi trop­ po risentiti alle carni. Vestiva i modelli, come il EPOCA PRIMA 2 I Mantegna, or di tele'ir,coliate, or di carte; onde potè nelle pieghe emendar gli antichi. Usò pur come lui dipingendo a tempra una cert’ acqua vi­ scosa; di che il Loruazzo adduce per prova un quadro da se rinetto. Le pitture di Bramante a fresco nominate dal Lomazzo e dailoScaramuccia in pubblici luoghi di Milano son oggi perite o guaste: solamente ne’ palazzi Borri e Castigliorii per entro alcune camere se ne conserva un buon numero. Nella Certosa di Pavia resta pure una cappella che si dice ila lui dipinta. Le proporzio­ ni sono quadrate, e talora sentono un po’ del toz­ zo; i volti son pieni; le teste de’ vecchj grandio­ se; il colorito vivace e staccato da’ fondi, ma non senza qualche crudezza. La stessa maniera ho os­ servata in una sua tavola con varj SS. e con bella prospettiva presso il sig. cavalier Melzi. La stessa in una tavola alla Incoronala di Lodi, tempio va­ ghissimo, che sul disegno di Bramante edificò Gio. Balaggio lodigiano. Il capo d’ opera che se ne vegga in Milano, è un S. Sebastiano nella sua chiesa, ove appena si trova orma di quattrocento. La Notizia Morelli ci scuopre una sua Pietà a S. Pancrazio di Bergamo, che il Pasta avea créduta del Lotto; e rammenta anche nella città istessa i Filosofi da Bramante dipinti nel 1486. Fece in Milano due allievi, de’ quali resta me­ moria. L ’ uno è Noi fu duMonza. Dice la storia che dipinse co’ disegni di Bramante a S. Satiro, e al­ trove; pdttore se non uguale a’ primi, nondimeno eccellente e degno, come no giudica lò Scannelli. Nella Sagrestia pur di S.Satiro, presso il tempiet­ to graziosissimo ili Bramante, son varie pitture antiche, verisimilmente di Nolfo. L’ altro è Bra- 22 SCUOLA MILANESE inanimo creduto dall’ Orlandi precetto* di Bra­ mante, da altri con lui confuso, e finalmente sco­ perto suo favorito discepolo, onde n’ ebbe anco il soprannome. Il suo vero nome fu Bartolommeo Suardi, architetto, e, ciò che spetta al mio inten­ to, [littore di gran merito. Giunse a par degli an­ tichi a ingannare gli animali, come il Lomazzo racconta nel principio del libro III. Per qualche tempo tenne dietro al maestro: avendo poi vedu­ to Roma, migliorò lo stile non tanto nelle pro­ porzioni e nelle forme, quanto ne’ colori, nelle pieghe, le quali di poi fece larghe e piazzose. Non dubitò che a Roma fosse o invitato o condotto da Bramante, e che ivi sotto Giulio II facesse que’ ri­ tratti così lodati dal Vasari, che dovendosi gettare a terra, affinchè Raffaello dipingesse dov’ essi era­ n o, furon prima copiali ad istanza di monsignor. G iovio, che nel suo Museo voleva inserirgli. Certo le pitture Vaticane di Bramantino non apparten­ gono a’ tempi di Niccolò V, come abbiam provato. Ritornò quindi in Milano, come si ha dal Lomaz­ zo; e di questa miglior epoca sembra essere un S. Ambrogio, e un S. Michele insieme con N. Si­ gnora; quadro colorito alla veneta, della scelta Galleria Melzi ricordala, e da ricordarsi altre vol­ te. Anche in S. Francesco sono alcune tavole di­ segnale e colorite da lui, e vi si scuopre una gran­ diosità superiore quasi alla sua epoca. Ma la loda sua caratteristica è la prospettiva, le cui regole sono state dal Lomazzo inserite nel libro per ve­ nerazione verso tant’ uomo. Lo adduce anco ia esempio per quel Cristo morto fra le Marie d i­ pinto alla porta di San Sepolcro; opera che in­ ganna la vista, parendo che le gamba del Redea- EPOCA PRIMA 23 tore, da qualunque punto si mirino, volgansi giu­ stamente all’ occhio di chi riguarda. So che lo stesso han fatto poi molti altri : ma è trito prover­ bio che vai più un primo che molti secondi. Un’o­ pera di questo gran prospettivo hanno i PP. Ci­ sterciensi entro il monistero, ch’ è una Discesa di Cristo al Limbo. Vi ha poste poche figure, nè di aspetto scelto a bastanza; ma di un vero e sodo colorito, ben piantate, ben degradate, divise in be’ gruppi, con un grato sfuggimento de’ pilastri «he distinguono il luogo, e con un accordo che ferma ogni spettatore. Fu suo allievo Agostino da Milano, peritissimo nel sotto in su, di cui mano era al Carmine un dipinto così stimato, che il Lomazzo lo pone in esempio insieme con la cu­ pola delCoreggio ch’ è al duomo diParma. Costui è molto apertamente indicato a noi nell’Indice del Lomazzo con quelle parole : Agostino di Bramait- tino milanese, pittore, discepolo di esso Braman- iino. Non so come ciò uscisse di veduta al sig. Pa­ gare, e ci proponesse quell’ antichissimo Agosti­ no di Bramantino così detto dal nome di sua fa­ miglia, non già da quello del maestro, la cui esi­ stenza abbiam noi provata ideale, e nata da un equivoco del Vasari. Questi che qui collochiamo esistè veramente; ma sì poco è noto in Milano, che ci fa credere essere lui più che in patria vi- vuto altrove. E non saria punto da riprendere chi sospettasse, lui essere quell’ Agostino delle Pro­ spettive che troveremo in Bologna nel i 525. Tutti gl’ indizj corrispondono a segno da potervelo ar­ restare se fosse un reo fuggitivo ; il nome di Ago­ stino, la età convenevole a un discepolo delSuar- di la eccellenza nell' arte degna di trarne il so- 2 4 SCUOLA MILANESE prannome, il silenzio del Malvasia, che non potè ignorarlo, ma perciocché tesseva la storia della scuola bolognese non ne fece motto. Altri circa il 15oo, discesi come si crede, dal Foppa, dipingevano in quello stile che chiamia­ mo antico moderno. Ambrogio Borgognone effigiò a S. Simpliciano in un chiostro le istorie di S. Si- sinio e compagni Martiri. La sottigliezza delle gambe e qualche altro residuo della prima edu- cazione non tanto spiace in quest5 opera, quanto piace la naturalezza e l’ accurato studio con cui è condotta; teste giovanili assai belle, varietà di fi- sonomie, vestiti semplici, usanze di que1 tempi fedelmente ritratte negli arredi ecclesiastici e nel viver civile, e non so qual grazia di espressione non ovvia in questa, nè in altra scuola (a). Gio. Donato Montorfano dipinse una Crocifis­ sione abbondantissima di figure nel refettorio del­ le Grazie,ove poco curasi, avendo a fronte il gran Cenacolo del Vinci. Non può competer con un ri­ vale a cui i maggior maestri pressoché lutti cedon la palma. Prevale solamente nell’ arte del colori­ re; per cui dura tuttavia l’ opera fresca e vegeta, ove quella del Vinci declinò in pochi anni. Il Montorfano ha di singolare una certa evidenza di volti, e nelle mosse, che se ne andasse congiunta con più eleganza, avria in questo genere pochi

(a) Basta di questo pittore osservare la cupola dt S.Simpliciano in Milano per doverne tessere un elo­ gio molto più esteso. V 'ha in essa un grandioso che eclissa le produzioni tutte di quella età. Nelle teste, quando ha voluto finire, si è avvicinato al fa re di Leonardo. EPOCA PRIMA 2 5 pari. Vi è un gruppo di soldati che giuocano; ogni volto ha impressa l’ attenzione e l’ impegno di vincere. Vi sono anche nel delicato alcune te­ ste assai belle, ancorché dipinte con la stessa for­ za le più lontane e le più vicine. Grandiosa e ben intesa è l’ architettura nelle porte e ne’ casamenti diGerusalemme, e con quegli sfuggimenti di pro­ spettiva di cui allora tanto pregiavasiquesta scuo­ la.Tien pure l’uso durato fra’Milanesi fino a Gau­ denzio, benché riformato altrove gran tempo avan­ ti, di frammischiare alle pitture qualche lavoro di plastica; e così formar di rilievo nimbi diSanti, e ornamenti d’ uomini e di cavalli. Ambrogio da Fossano ( luogo del Piemonte­ se) (i), quegli che alla gran Certosa di Pavia di­ segnò la grandiosa facciata della chiesa, olire es­ sere architetto, fu dipintore. Nel tempio poc’ anzi detto è una tavola che dicon essere o sua, o di un suo fratello; opera di pennello men fino, ma di gusto non molto dissimile dal Mantegna. Andrea Milanese, ch’ è stato confuso da un annotator del Vasari con Andrea S alai, riscosse plauso dallo Zauetli per una bella tavola a Murano fatta nel (i)

(i) Molti luoghi che ora son compresi nel P ie­ monte, furono già nello Stato Milanese, come av­ vertiamo più volte. La città di Vercelli fu- aggrega­ ta alla R. Casa di Savoja nel e in progresso f a soggetta a varie vicende. Molti de' suoi pittori più antichi si riferiscono fr a ’ Milanesi perchè loro scolari, ma possono stare fr a ’ Piemontesi. Questa dichiarazione serva di supplemento per varj luoghi di questo e dell’ X I tomo. 26 scuoia MILANESE 1695 (a) ; e sembra che studiasse in Venezia. Noti posso consentire al Bottari che sia lo stesso che Andrea del Gobbo,nominato dal Vasari nella vita del Coreggio ; poiché questi fu seguace di Gau­ denzio (Lomaz. Tratt. c. 37). Fiorì circa lo stesso tempo Stefano Colto, maestro di Gaudenzio Per­ ori, assai celebrato dal LomaZzo nell’ arte di far rabeschi; della cui famiglia è peravventura un Felice Scotto, che in Como dipinse assai per pri­ vati, e lasciò in S. Croce pitture a fresco molto considerabili su la vita di S.Bernardino. E Vario, espressivo, giudizioso in comporre; Uno de’ mi­ glior quattrocentisti che Vedessi in queste bande; allievo forse di altra scuola , avendo disegno più gentile e Colorito più aperto che non usarono i Milanesi. Può ampliarsi questo catalogo con altri nomi che il Morigia raccolse nel libro della No­ biltà milanese, in cui si trovano lodati Nicolao Piccinino, Girolamo Chiocca, Carlo Valli, o di Valle fratei di Giovanni, tulli milanesi; e Vin­ cenzo Mojetta nativo di Caravaggio, che fiorì in Milano circa il i 5oo e alquanto prima; siccome gli altri nominali con esso lui (b).Nel tempo istes- So lo studio della miniatura era promosso singo-

(a) Questa tavola esiste attualmente nell' I.R .F i- nacoteca di Milano. (b) Molti quadri di questa epoca esistono in M i­ lano e nella provincia, i di cui stili non saprebbersi piuttosto applicare ad un maestro che ad un altro, parlando di conosciuti di questa scuola ; ma sgra­ ziatamente portano la data senza nome, per cui si pub francamente asserire che questa scuola non sia pur anco conosciuta. EPOCA PRIMA 27 larmente da’ due Ferranti, Agosto il figlio eDecio il padre, di cui nel duomo di Vigevano si con­ servano tre opere, un messale, un evangeliario, un epistolario miniati con finissima diligenza. Altri professori contò allora lo Stato, de’ quali resta o la memoria ne’libri, o qualche opera con soscrizione. Era allora il Milanese molto più este­ so che oggi non è, dopo che buona parte ne fu ceduta alla Real Casa di Savoja. G li artefici di tal parte saran da me considerati in questa scuola, a cui spettano e perchè in essa educali, e perchè educatori ad essa di nuovi artefici. Quindi, oltre i Pavesi, iComaschi e gli altri dello Stato odierno, si leggeranno in questo capitolo iNovaresi, i Ver­ cellesi (su i quali trarrò anche notizie dalle pre­ fazioni ai tomi X e X I del Vasari ristampato in S iena dal P. della Valle) ed altri del vecchio Stato. Ebbe Pavia un Bartolommeo Bononi, e ne con­ serva una tavola a S. Francesco con data del i 5o7; ed ebbe un Bernardin Colombano, che ne pose al Carmine un’ altra nel i 5 i 5 . Qualche incognito, che assai partecipa dello stile bolognese di quella età, notai in altre chiese; e potrebb’ essere quel Giovanni di Pavia che il Malvasia inserì nel ca­ talogo degli scolari di Lorenzo Costa. Visse ne’me- desimi anni un Andrea Passeri di Como, ove nella Cattedrale dipinse una N. Signora fra varj Apo­ stoli, le cui teste e tutto il fare tira al moderno; ma vi è secchezza nelle mani, e doratura ne’ ve­ stiti non degna del 1505 in cui quel quadro fu dipìnto. Poco meno che giorgionesco è un Marco Marconi comasco che vivea circa il 15oo, forse allievo de’ Veneti. Troso da Monza assai dipinse in Milano, e alcune cose a S. G iovan ni nella -sua 2 8 SCUOLA MILANESE patria. Oggidì gii si ascrivono in quella chiesa certe storie della regina Teodolinda in varj spar- timenti fatte nel 1444- Non è facile tener dietro alle sue invenzioni alquanto farraginose e nuove per le vesti egli usi longobardici che vi ha espres­ si. V i sono alcune buone teste, e un colorito non dispregevole; nel resto è cosa mediocre, e forse della prima età del pittore, lodatissimo dal Lo- mazzo per altre sue opere che lasciò presso il pa­ lazzo Lundi. Sono istorie romane; cosa, dice il L omazzo (p. 272), miracolosissima cosi per le fi ­ gure , come per V architettura e prospettiva, ch’ è stupendissima. Il P. Resta, citato dal Morelli, che la vide nel 1707, dice che lo fece stupire per la bontà,bellezza e soavità (Lett. Pittar. t.III. p.342). Nel nuovo Stato del Piemonte è Novara , ove nell’ archivio della Cattedrale un Giovanni An-, Ionio Merli colori di verde terra,Pietro Lombardo co’ tre altri Novaresi cospicui ; buono e vivace ri­ trattista per la sua età. Nella vicina Vercelli pro- fessavan pittura circa il 1460 Boniforte ed Ercole Oldoni, e Fra Pietro di Vercelli: di questo con­ servasi aS.Marco un'antica tavola. Sorse poiG io- venone, che in quella città è tenuto primo istrut­ tore di Gaudenzio, eomechè il Lomazzo ne taccia. Se non fu, era degno di esserlo. I PP. Agostiniani ne hanno un Cristo risorto, fra una S. Margherita e una S. Cecilia e due Angiolini; pittura di assai bel carattere, che ritrae da Bramantino e da’ mi­ glior Milanesi, condotta con buona intelligenza di nudo e di prospettiva. 2 9 EPOCA SECONDA

I l V inci stabilisce accademia di disegno in Mila- no. Allievi di esso e d e miglior nazionali fino a Gaudenzio.

N e lla scuola fiorentina scrivemmo compen- diosamente della educazione pittorica di Leonar­ do da Vinci, del suo stile, della sua dimora in va» rie città, fra le quali si nominò Milano e l’ acca­ demia che quivi aperse. Vi venne, secondo il Va­ sari, nell’anno 14 9 4 , che fu il primo di Lodovico il Moro principe; o piuttòsto vi fu se non conti­ nuo, almeno per incombenze fin dal 1482 , come si è recentemente congetturato (1), e ne parti do- po che i Galli tennero la città, cioè nel 14 9 9 - G l i anni che Lionardo stette in Milano, furono forse i più tranquilli per lui, e certamente i più giove­ voli all’ arte fra quanti ne visse. Il Duca.lo avea deputato a reggere un’ accademia di disegno, la quale, se io non erro, fu la prima in Italia che diede norma alle altre migliori. Ella continuò an­ che dopo la partenza del Vinci ad essere frequen­ tata, ed a formar eccellenti artefici; tenendo le ve­ ci del pristino direttore i suoi precetti,i suoi scrit­ ti, i suoi esempi. Non ci son rimase memorie mol­ to distinte del suo metodo: sappiamo però che vi s’ insegnava per via di principi scientifici dedot­ ti dalla filosofia che il Vinci possedeva io ogni sua parte. Il suo Trattato della Pittura, il quale

(1) Amoretti. Memorie Storiche di Leonardo da Vinci, pag. ao. 3 0 SCUOLA MILANESE benché imperfetto , riguardasi quasi un altro Ca­ none di Policlelo, fa vedere come Leonardo in­ segnasse (i). Lo fanno anche conoscere i suoi tan­ ti e sì varj scritti, che lasciati da lui in eredità al Melai, e in processo di tempo distratti, adornano varj gabinetti. Quattordici volumi di essi donati al pubblico esistono nell’Ambrosiana; e molti son fatti per appianare alla gioventù le difficoltà del- 1’ arte. Si sa inoltre che avendo stretta amicizia con Marcantonio della Torre, lettor di Pavia, con­ corse con lui ad illustrar la scienza della notomia dell’uomo poco nota in Italia, e che formò esatta­ mente quella del cavallo, nella cui intelligenza fu tenuto principe. Si sa pure quanto presidio per Parte ei ponesse nell’ ottica; e che la prospettiva aerea, da ninno posseduta meglio che da lui (2), è stata quasi un retaggio e un distintivo della sua scuola. Era egli coltissimo non solo nella musica e nel suono della lira, ma eziandio nella poesia e nella storia; e in ciò ancora fu seguito dal Luini

( 1)S i è ristampato in Firenzéiinsicme con le, fig u ­ re nel 1 792. Onesta edizione è tratta da un esem­ plare di mano di Stefano della Bella,esistente nella libreria Riccardi il cui dotto bibliotecario sig.aba- te Fontani l’ha pubblicato,aggiuntovi l’elogio del F in d copiosissimo di notizie non pur su la vita eie pitture, ma anco su i disegni dell’ autore. Vi è ag­ giunto l’Elogio di Stefano, e una dissertazion del Lam i su i pittori e scultori italiani che fiorirono dal 1000 al i 3 oo. (a )Il Cellini affermadiaver tratte infinite osser­ vazioni bellissime su la prospettiva da un discorso del F in d . Trait. II, pag. 15 3 . EPOCA SECONDA 31 e da altri; anzi a lui si dee principalmente elle la scuola milanese sia stala in Italia una delle più osservanti dell’ antichità e del costum e.il Mengs ha avvertito prima di me che nella forza del chia­ roscuro ninno prevenne il Vinci. Egli insegnava a tener conto del lume come di una gemma, non dandolo troppo chiaro per riservarlo a miglior lo­ co : e quindi nasce ne’ suoi dipinti e de’ miglior suoi discepoli quel gran rilievo, per cui le pittu­ re e specialmente le l’accie sembrano staccarsi dal fondo. Era gran tempo che la pittura avea cominciato a raffinarsi, e a considerar le cose minute; e rie aveano avuto lode il Botticelli, il Mantegna ed al­ tri: ma come la minutezza è nimica del sublime, mal si accordava con la grandiosità, nella quale ,sta il sommo dell’ arte. Lionardo, sembra a me, conciliò questi due estremi prima che altri. Ove s’ impegnò a far cosa finita, non solo perfezionò le teste, contraffacendo i lustri degli occhi, il na­ scer de’ peli, i pori, e fino il battere delle arte­ rie ; ma ogni veste,-ogni arredo ritrasse minuta­ mente; ue’paesi ancora niun’erba espresse, e niu- na foglia di albero che non fosse un ritratto del­ la scelta natura, e alle foglie stesse diede piega­ tura e moto convenevolissimo a rappresentarle scosse dal vento. Mentre però attendeva così alle piccole cose,diede, come osservò il Mengs,i prin­ cipi della grandiosità, e fece gli studj più profon­ di che mai si udissero nella espressione, eh’ e la parte più filosofica e più sublime della pittura, e appianò la via, mi sia lecito dirlo, anche a Raf- faello.Niuno fu più curioso in cercare, opiù at­ ten to in osservare, o più pronto a disegnare su- 5 a SCUOLA MILANESE bito i moti delle passioni che si dipingono nei volti e negli alti. Frequentava i luoghi di più concorso , e gli spettacoli dove 1’ uomo spiega la maggiore sua attività e in un libricniuolo, che sempre si tenea pronto,delineava le abitudini olia andava scegliendo, solito a far conserva di tali disegni, e ad usarli di espressione più o men for­ te secondo le opportunità e le gradazioni che vo- lea fare. Perciocché fu suo costume come nelle ombre rinforzar sempre fino ad arrivare al gra­ do più alto, così nelle composizioni di più figu­ re andar crescendo fino al sommo gli affetti e la mosse. La stessa gradazione tenne nella grazia, di cui fu forse il primo vagheggiatore; giacché j pittori antecedenti non par che la distinguessero dalla bellezza, e molto meno usarono di dispen­ sarla a’soggelti leggiadri,salendo dal meno al più, come praticò il Vinci. Tenne la stessa regola fin nel ridicolo, facendo una caricatura sempre più bizzarra dell’altra;ed era suo detto,che dovea ve­ nirsi a tal colmo, da far ridere, se fosse possibi­ le , in fin o a’ m orti. Adunque il carattere di questo incomparabile artefice consiste in una squisitezza di gusto, a cui si stenta a trovar esempio prima o dopo di lui; se già non abbia a ricordarsi quell’antico Proto­ gene, in cui Apelle non potea notare altro titolo da anteporgiisi, fuorché la soverchia diligenza del competitore (i). E veramente anco il Vinci

(1 ) Plin. lib. XXXF, c.1o. Uno se praestare, quod manum ille de tabula nescriret tollere: ciò disse in proposito di quel Gialisio in cui P rotogene avea consumali sette armi, EPOCA SECONDA 33 non si ricordò sempre di quel nequid nimis, in cu i sta la perfezione delle umane cose. Fidia istesso, dicea M. Tullio , ebbe in mente una più bella Minerva ed un più bel Giove di quel che potè scolpire; ed è consiglio da saggio aspirare ali’ot- limo, ma contentarsi del buono. Il Vinci non era contento del suo lavoro , se non lo rendeva così perfetto come vedevalo nella sua idea ; e non tro­ vando via di giugnere a sì alto grado con la ma­ no e col pennello , or lasciava 1’ opera sol dise­ gnala, or la conducea fino a un certo segno, in­ di l’abbandonava; or vi spendeva tempo sì lun­ go, che parea rinnovar quasi l’ esempio di quel­ l’antico occupato nel suo Gialisio per sette anni. Ma siccome le bellezze di quella figura non si fi- niron mai di conoscere, così a della del Lomaz- zo le perfezioni delle pitture del Vinci, anche di quelle che il Vasari ed altri riferiscono come im­ perfette. Prima di passar oltre, è dover d ’istorico, aven­ do qui nominate le opere sue imperfette, avver­ tire il lettore del vero senso di così fatto vocabo­ lo, quando si ragiona del Vinci. Egli lasciò varie opere veramente ammezzate, coin’è in Firenze la Epifania nella II. Galleria del Gran Duca , o la Sacra Famiglia a Milano in quella dell’ Arcive­ scovo (a). Ma il più delle volte non altro suona tal voce che mancanza di certa ultima finezza che l’autore potea dare a qualche parte della pittura;

(a) Di questo quadro,che ora esiste nell’I.R . P i­ nacoteca di Milano, e che fu pubblicato- nell'opera col titolo Scuola di Leonardo da Vinci in Lombar­ dia. vegga si ciò che ne scrive l 'editore. 3 4 SCUOLA MILANESE m ancanza ch e non si soli opre sem pre anche da’ periti. Per figura il ritratto di M. Lisa Gioconda, dipinto a Firenze in quattro anni, e poi fasciato imperfetto secondo il Vasari, fu dal Mariette os­ servato minutamente nella Quadreria del Re di Francia, e dichiarato dì tal finitezza, che non pa­ rea possibile spingerla più avanti. Più facilmen­ te il difetto si potrà conoscere in altri ritratti , parecchi de’ quali restano ancora in Milano, co­ me uno di donna presso il signor principe Alba­ ni, uno di uomo in palazzo Scolti Gallerati; aven­ do notato il Lomazzo che , toltine tre o quattro, in tutti gli altri lasciò le teste imperfette. Ma le sue imperfezioni e i suoi vizi sarebbono le per­ fezioni e le virtù d’ infiniti altri. Tutta la storia ci dà anco per imperfetto quel gran Cenacolo che dipinse nel refettorio de' PP.. Domenicani a Milano, e nondimeno tutta la sto­ ria si accorda in celebrarlo come una delle più belle pitture che sian uscite di inano d'uomo. E questo il compendio non solo di quanto insegnò Leonardo ne’ suoi libri . ma eziandio di quanto comprese co’suoi studj. Espresse ivi il momento più opportuno ad avvivare la sua istoria ; quel­ lo, cioè, in cui l'amabilissimo Redentore dice a’ discepoli: Uno di voi mi tradirà. Ognuno di que­ gl’innocenti scuotesi, come a fulmine , a questo dello; chi è più lontano, credendo di aver male inteso ne interroga il vicino; gli altri secondo i varj lor naturali variamente ne son commossi ; chi sviene, chi resta attonito, chi si rizza con fu­ ria, chi protesta con certa semplice candidezza di dover essere fuor di sospetto. Giuda intanto ferma il viso ; e quantunque contraffaccia inno- EPOCA SECONDI .35 cenza, non lascia in dubbio ch'egli sia il tradi­ tore. Raccontava il Vinci che per un anno era ito pensando come rappresentare in un volto I’ im­ magine di sì nera anima; e che frequentando molto una contrada ove capitavano i più tristi uomini, copiò ivi un ceffo molto a proposito: ma vi aggiunse anco de’lineamenti di varj altri. Sim i­ le industria usò per ritrarre nell’uno e nell’altro S. Jacopo belle forme convenevoli al lor caratte­ re; e non avendo potuto dare a Cristo idea più grande della loro , lasciò la testa di esso imper­ fetta , come afferma il Vasari; ma quest’ ancora all’Armenini parve finitissima. Il rimanente del quadro , la tovaglia con le sue pieghe , gli altri utensili, la mensa, l’architettura, la distribuzio­ ne de’ lumi , la prospettiva del soffitto (che nel­ l’arazzo di S. Pietro di Roma è cangiato quasi in un orto pensile), tutto era fatto con isquisita di­ ligenza, tutto era degno del più fine pennello che fosse al mondo. Se Leonardo avesse voluto seguir la pratica di quel tempo di dipingere a tempera, l’arte avrebbe anche oggi questo tesoro. Ma egli, che tentava sempre nuove vie , lo aveva dipinto sopra certa sua imprimitura con olj stillati;e que­ sto suo metodo fu cagione che la pittura si venis­ se a poco a poco spiccando dal muro; eom’è qua­ si avvenuto di una Madonna dipinta d a lui a S. Onofrio di Roma , benché custodita sotto vetri. Dopo cinquanta anni da che era fatto il Cenaco­ lo, cioè quando l’Armenini lo vide, era già mezzo guasto ; e lo Scannelli, che l’osservò nel 1642 at­ testa che a fatica si potea discernere la già stata istoria. Nel secolo presente si è creduto di poter far rivivere questa grande opera per mezzo di non 36 SCUOLA MILANESE so qual vernice o segreto, come può vedersi pres­ so il Bottali. Ma su questo segreto e su di altra vicende del Cenacolo dee anche leggersi il signor Bianconi nella relazione , o quasi ’Verrina , cha ne fa a pag. 629 della sua Nuova Guida (1) (a). A me basta solamente di aggingnere che in tutto il quadro nulla rimane del pennello del Vinci, se non tre teste di Apostoli delineate piuttosto che colorite. Milano ne ha poche opere. Le più che additan per sue, sono della sua scuola, talora da lui ritocche come la tavola di S. Ambrogio ad Ne­ mus, che ha grandi bellezze (b). Si db certamente per sua nel palazzoBelgiojoso d’ Esle unaMadon-

(i)Ha pure declamato contro gl'inconsiderati ri- pulimenti delle pitture del sig. Baldassare Orsini nella Risposta, p. 77,ove anche fa menzione di una lettera del sig. Hakert in difesa delle vernici, e di un’altra in risposta, in cui l’uso delle vernici si di­ sapprova con esempj : cita in oltre una Lettera di supplemento estratta dal romano Giornale delle Belle Arti, 20 dicembre 1788. (a) P er averne un’idea più esatta e precisa delle vicende cui andò soggetta quest'opera,del modo con cui fu dipinta,e dei pregi di essa,veggasi. ciò che ne scrisse l’ eruditissimo cav. Bossi nella sua Dis­ sertazione sul Cenacolo. (b) La tavola di S. Ambrogio ad Nemus,che rap­ presenta la Nostra Donna coi SS. Dottori, Lodovi­ co il Moro,sua moglie Beatrice e i due lerofgli in atto di preghiera, non appartiene a questa scuola, m a bensì all’antecedente, od è di mano dello Zena- le da Treviglio.ove esiste una grande tavola iden­ tica nelfare e col nome dell’ autore. EPOCA SECONDA 37 lia col Bam bino, e qualche altro quadro presso privali. E cerlamenle poche opere ivi lasciò, si per certa sua ritrosia a dipingere, sì perchè assai era distratto e dal suo genio, e dal Principe in altri lavori di ballistica, d'idraulica, di macchi­ ne a varj usi, e forse anche di architettura (i); sopra tutto in quel sì decantalo modello di un ca­ vallo, che per la sua grandezza non si potè mai gettare in bronzo, come si ha dal Vasari. E par che a lui deggia credersi più che a verun altro, e perchè vicino a que1 tempi, e perchè non facile a ignorare un’ opera che avria quasi uguagliata la fama di Lionardo a quella di Lisippo (a). Adunque di quanto fece in Milano nulla è più degno che si rammemori, che la sua accademia, i cui allievi formano la bella e {lurida epoca di questa scuola. Costoro non sono egualmente co­ gniti; e spesso avviene nelle quadrerie e nelle chiese che nella indicazione delle pitture si di­ caci essere della scuola del Vinci, senza indivi­

( i) Moltissimi disegni se ne veggono ne’volumi mss. dell’ Ambrosiana V .la lettera del Manette nel t. II. delle Lett.Pittoriche,p. 1 7 1 , e le Osservazio­ ni sopra i disegni di Lionardo del ch.signor ubato Amoretti edile in Milano nel 1784. (i)Dovea servire alla statua equestre di France- sco Sforza padre di Lodovico. Il cav. F.Sabba da Castiglione ne’suoi R ico rd i al n. 109 lasciò scritto che questo ingegnoso modello, decantatissimo nel­ la storia delle arti.che costò al Vinci sedici anni di lavoro, videlo l’anno 1499f atto bersaglio a’bale- strieri guasconi d i Luigi XII,quando s' impadronì d i Milano. 38 SCUOLA MILANESE duarne Fautore. Le lor tavole d’ altare rade volte escono dalla composizione comune allora a ogni scuola; nostra Signora col divin Figlio in un Iro­ no fra alcuni SS. per lo più ritti, e qualche An- giolinò ne’ gradi. I vincieschi però, se io non er­ ro, furon de’ primi a 'richiamar le figure alla unità di qualche azione, onde mostrassero di favellare tra loro e di conversare. In tutto anche il rima­ nente han gusto pressoché uniforme; rappresen­ tano le fisonomie stesse, alquant’ ovali, le bocche sorridenti, lo stesso gusto di contorni precisi e talora secchi, la stessa scella di colori moderati e bene armonizzati, lo stesso studio del chiaroscu­ ro, che i men dotti caricano fino al tetro, i mi­ gliori usano moderatamente. Un de’ più vicini al suo stile fu in certo tempo Cesar da Sesto detto anco Cesare Milanese, no n rammentato dal Vasari fra’ suoi discepoli., nè dal Lomazzo, ma da’ moderni comunemente. E di lui nell’ Ambrosiana una testa di vecchio studiata e sfumala cosi alla leonardesca, eh’ è una maravi­ glia. In certe altre opere è seguace molto di Raf­ faello, che in Roma conobbe; anzi è fama che quel principe della pittura gli dicesse un giorno: l’armi strana cosa, eh’ essendo noi tanto amici, nella pittura non ci portiamo punto rispetto ; quasi egli gareggiasse con Cesare, e questi con lui. Conobbe anche Baldassar Peruzzi, e con lui di­ pinse nella rocca di Ostia; e in questo lavoro, che fu de’ primi di Baldassare, sembra che il Vasari dia la maggior lode al Milanese. E tenuto il mi­ gliore scolar del Vinci; e dal Lomazzo è tratto tratto messo in esempio nel disegno, nelle attitu­ dini, e specialmente nell’arte dell’allumare. Cita epoca seconda 3 9 di lui una Erodiade, di cui vidi copia presso il sig. consiglier Pagave, e parverai faccia somiglian­ tissima alla Fornarina di Raffaello (a). Una Sacra Famiglia molto raffaellesca ne ha il sig. cav.D .G i­ rolamo Melzi.il quale pochi anni sono a gran con­ tante acquistino oltre quella tanto rinomata tavo­ la che aveane S. Rocco (b). E divisa in più spar- tim en li. N el m ezzo oltre il T ito la re è una N. S. col divino Infante imitata da quella che di Raffaello esiste in Foligno. Dalla Disputa del Sacramento del medesimo autore ha tolto il S. Gio. Ratista sopra nuvole, a cui ha dato per compagno un S. Giovanni Evangelista pur su le nuvole. Questi ornano la partejuperioi'e del quadro, e la infe­ riore-due SS. seminudi, S. Cristoforo e S. Seba- stiano, 1’ uno e 1’ altro egregio nel suo carattere, e il secondo in uno scorto bellissimo e nuovo. Son ligure di grandezza più che poussinesca, e con tale imitazione del Coreggio, dice il sig. abate Bianconi, che si torrebbon per sue se non sapes­ simo il vero autore: tanta è la morbidezza, l’ u­ nione, la lucidezza delle carni, tale il gusto del colore e dell’armonia che indora tutto il dipinto.

(a) L ’originale esisterà nella G allevia dell'Arci- vescovado-, fu . regalata, in occasione della prima occupazione dei Francesi, a Mad.La Pagerie mo­ glie dell' inallora Generale Bonaparte, e passò in Francia. (b) A'on fu gran contante quello che sborsò il ca­ valier Melzi per tale acquisto, perchè ammontò a soli seicento zecchini. Ma non è il prezzo che stabi- *ce il merito delle opere. In giornata la detta som­ ma sarebbe tenuissima. 40 SCUOLA MILANESE Era chiusa questa tavola con ritte sportelli, ove pur con certa analogia di pari con pari son colo­ riti i due Principi degli Apostoli, e due SS. a ca­ vallo, S. Martino e S. Giorgio; pitture che scuo- pron le stesse massime, ma non la stessa diligen­ za. Di qui può argomentarsi che questo pittore non aspiro, come il Vinci, a far sempre de’ capi d’opera; ma si contentò, come il Duini, di farne di tanto in tanto. La chiesa di Saronno, che sta fra Pavia e Mi­ lano, ha in quattro pilastri molto angusti quattro SS., i due cavalieri già detti, e i due che s’ invo­ cano contro la peste, S. Sebastiano e S. Rocco. Vi è scritto Caesar Magnus f. 1 5 3 3 . Son fatti in bello scorto per servire al luogo; e il S. Rocco, special­ mente ha una composizione simile al già nom in e, to (a). Le faccie tondeggiano, e non han molta bellezza da S.Giorgio in fuori. Queste pitture so­ no comunemente ascritte al pittore di cui scrivia­ mo in questo articolo, e dalla soscrizione argo­ mentano alcuni ch’ei fosse de’ Magni. Da altri pe­ rò se ne dubita;non parendo questi freschi.quan­ tunque buoni, corrispondere al suo gran nome, e trovandosi in un MS. comunicatomi dal sig. Bian-

(a) Cesare Magno qui citato dal nostro autore è tutt' altro pittore ; nè V operare di questo combina con quello di Cesare da Sesto : altro stile, altro ca­ rattere. altre forme, diversa maniera si riscontrano, l'e r convincersene fa d’uopo paragonare un quadro a olio composto di moltefigure, posseduto dal sig. duca Melisi e distinto dal nome di Cesare Magno, colla tavola a compartimenti già citata che esisteva a S.Rocco e che forma parte della stessa quadreria. EVOCA SECONDA 41 coni la morte (li Cesare da Sesto consegnata al- 1’ anno 1524. ancorché d’ una maniera che non toglie ogni dubbio. A me fa qualche forza in con­ trario la varietà degli stili notata in questo pitto­ re, la conformità di varie idee ne’ freschi e nella tavola, il silenzio del Lomazzo, per altro esatto in nominare i miglior Lom bardi, il quale non ri­ corda fra’ pittori altro Cesare che quello da Se­ sto. Non isconipagnerò da questo eccellente figuri­ sta il paesistaBernazzano, congiunto con lui stret­ tamente in amicizia e in interessi. Non so se il V inci gli desse istruzioni: profittò al certo de’ suoi esempi, e nell’ imitar campagne, frutti, fiori, uc­ celli, fece quelle maraviglie che in Apelle e in Zeusi tanto ha celebrate la Grecia, e che i pittori d 'Italia han rinnovate assai volte, quantunque con meno applauso. Avendo dipinto un fragoleto in un cortile, i pavoni ingannatine tanto becca­ rono in quel muro, che lo guastarono. Fece il pae­ se in un Battesimo di Cristo dipinto da Cesare, e vi aggiunse in terra alcuni uccelli in atto di pa­ sturare: esposta al sole la (avola, i veri uccelli vi volarono come a compagni fa). Costui, che si co- noscea d’ altra parte debole figurista, fece consor­ teria con Cesare, che a qua’ paesi aggingneva fa­ vole e istorie, e talora con qualche licenziosità condannata dal Lomazzo. Tali quadri son di gran prezzo quando il figurista vi ha messo tutto il suo studio. Gio. Antonio Bellraffio (così è scritto nel suo

(a)Questo bellissimor quadro ammirasi nella Gal­ leria della cospicuafamiglia Trotti in Milano. 42 SCUOLA MILANESE titolo sepolcrale) (a) gentiluomo milanese, eser- citò la pittura nelle ore ch’ebbe libere da cose più serie, e fece alquante opere in Milano e altrove, ma la migliore in Bologna. E alla Misericordia; e vi avea segnalo il suo nome, quello del Yinci suo maestro, e l’anno 1500; soscrizione che ora non v i si legge (b). Vi è dipinta fra S. Gio. Batista e S. Bastiano N. Signora, e ginocchione a piè del trono Girolamo da Cesio che commise il quadro- Ë l’unica opera del Beltraffio che sia al pubbli- co, e perciò preziosa. Tutto annunzia la sua scuo- la ricercatissima nelle teste,giudiziosa nella Com­ posizione , sfumata ne’contorni: il disegno però è alquanto più secco che ne’ condiscepoli ; effet- to forse della prima educazione-sotto i milanesi quattrocentisti non corretta a sufficienz a . Francesco Melzi, pur nobile milanese, è conta - to fra’discepoli di Leonardo, comechè iniziato da lui al disegno nella prima adolescenzà. Si avvici­ nò più che altri alla maniera del Vinci, e fece qua-

(a) La lapide trovasi ora presso l 'I. R . Accade­ mia. D i questo pittore non poche opere si sono sco­ perte in Milano dopo l'epoca in cui scrisse il nostro autore. Da alcuni si pretende che sia succeduto al Vinci nella direzione dell' Accademia- (b) Questo quadrofa accorciato nella patte infe­ riore., e che sia stata segata l ’iscrizione postavi dal- V autore si prova ad evidenza dalla composizione, giacché i piedi della Vergine e quei de’ due devoti toccano ora la cornice. Da Bologna fu trasportata nella Galleria di Milana,e da questa passo in Fran­ cia a cagione di un cambio che si dovette fare con quel Museo nei tempi del cessato Governo• EPOCA SECONDA 43 d ri d ie Sovente confondonsi con quei de! maestro^ ma lavorò poco, perdi’ era ricco (i). Era amato singolarmente dal Vinci, perchè a bellissimo aspet­ to congiungeva gratissimo animo, fino a seguitar il maestro in Francia nell’ultimo sito viaggio.Égli ne fu ben ricambiato, lasciato erede da Leonardo dì tutt’ i siioi disegni, istrumenti, libri e mano-1 scritti. Provvide poi al nome di Lionardo, som­ ministrando notizie su la stia vita al Vasari e al Lomnzzo , e conservando alla posterità il prezio­ so deposito de’ suoi scritti. F inchè avranno vita que'tanti voltimi dell’Ambrosiana,avrà il mondo gran fondamento per crederlo un de’primi restao­ ratori non solo della pittura, ma della statica an- cora, della ida^sfalica. dell’ottica, della notomia. A ndrea Salai, o Salaino, per la stessa commen­ dazione del volto e dell’animo piacque al Vinci} e lo prese, giusta il parlar di que’ tempi, per sito Creato , solito valersene di modello in far figure leggiadre, Umane ed angeliche. G l’ insegnò, dice il Vasari, molte cose dell’arte, e ritoccò i suoi lavori, i quali credo che a poco a poco abbiano cangiato nome, perchè un Salai non vai quanto un Vinci. Si addita col nome del Salaino un S< Gio. Batista grazioso assai, ma un po’ secco, nel­ l’Arcivescovado ; un ritratto d’ uomo vivacissimo in palazzo A resi, e non molti altri pezzi. Sopra tutto è celebre il quadro della sagrestia di San C elso (a). Fu tratto dal cartone di Leonardo, fat—

( 1) Amoretti^ Mem. Stor. del Vinci p. 1 3 o. (a) Nelle memorie esistenti nell’ archivio della Fabbricieria questo quadro à descritto come di 44 SCUOLA MILANESE to a Firenze, e tanto applaudito, che la città con- corse a vederlo come si concorre alle solennità* Il Vasari lo chiama il carton di S. Anna, che in­ sieme con Nostra Signora vagheggia il divin Fan-1 ciullo, mentre con Ini trastullasi il picciolo Pre­ cursore. Venne poi in tanta fama, che Francesco I, avendo chiamato in Francia Leonardo, desi­ derava che si mettesse a colorirlo; ma egli, died il Vasari, secondo il suo costume lo tenne gran, tempo.in parole. Si sa per altro da una lettera del Padre Resta, inserita nel tomo III delle Pittori­ che, aver fatti il Vinci di questa S. Anna tre car­ toni, un de’ quali fu colorito dal Salai. Questi cor­ rispose mirabilmente al gusto dell’ inventore nel­ le tinte basse e bene armonizzate, nell'amenità del paese, nel grandissimo effetto (et), T al pitturai ebbe in quella sagrestia lungo tempo a fronte uria Sacra Famiglia di Raffaello, che ora è in Vienna, e reggevasi al gran paragone. Simil copia di quel cartone il presente nostro Sovrano Ferdinando III acquistò in Vienna, collocata ora nella R. Galle­ ria di Firenze, anch’ ella forse del Salai. Marco Uglone, o Uggione, o d a Oggione (b), dee computarsi fra’ miglior pittori milanesi. Questi non si occupò in soli quadri da cavalletto, come

Lionardo. Comperato dal principe Eugenio, fu trasportato in Baviera. (a) Il paese si combina perfettamente nel modo con cui il Bernazzano trattò quello che esiste in ca­ sa Scotti, e che serve di fondo al Battesimo di Cri­ sto dipinto da Cesare da Sesto. (b) V ie n detto comunemente Marco da Oggiono, perchè nativo del comune che porta tal nome. EPOCA SECONDA 4 5 per lo più gli scolari del Vinci solili a far poco e bene, ma fu egregio frescante 5 e i suoi lavori alla Pace mantengono tuttavia intatti i contorni e vi­ vo il colore. Alcuni di questi sono in chiesa, ed una copiosissima pittura della Crocifissione è nel refettorio ;]opera sorprendente per la varietà,'bel­ lezza, spirito delle figure. Pochi Lombardi son giunti al grado di espressione che qui si vede; pochi a far composizioni sì artificiose e vestiti così bizzarri. Nelle figure umane ama la sveltez­ za, ne’ cavalli si ravvisa scolar del Vinci. Per un altro refettorio (e fu quello dellaCertosa di Pavia) copiò il Cenacolo di Leonardo; ed è tal copia, che in qualche modo supplisce la perdila dell’ origi­ n a le (a). Ha Milano due sue tavole, una a S.Paolo in Compito, una a S. Eufemia, su lo stile della scuola già da noi descritto, belle e pregevoli; ma la maniera che tenne ne’ suoi freschi è più pasto­ sa e più conforme al far moderno. N ell e Sianone Storiche del Vinci scritte dall’A- moretti trovasi fra scolari diLionardo un Galeaz­ zo, che non si sa ben decidere chi costui fosse, ed altri nominati ne’ MSS. del Vinci, come un Jaco-

(a) D el merito di questo pittore ne scrive il cava­ lier Bossi nell' opera sul Cenacolo. Ciò che esiste tuttora del di lui pennello, parlando di opere mac­ chinose a fresco, sièla copia del Cenacolo del Vin­ ci dipinta nel refettorio de’Padri Cisterciensi a Ca- stellazzo. Una delle migliori sue tavole a olio con­ servasi nella I. II. Pinacoteca di Milano insieme a molte altre sì a olio che a fr esco , e rappresenta un S. Michele Arcangelo che alla presenza di due An­ gioli obbliga Lucifero a discendere negli abissi. 46 SCUOLA MILANESE mo, un Fanfoja, un Lorenzo, che potria interpre­ tarsi per Lotto; ma l’ epoche dateci dal sig, conte Tassi e dal P.Federici di questo pittore non pare che si adattino al Lorenzo del Vinci; il quale era nato nel 1488, e venne a stare con Leonardo nel­ l’aprile del 1 5 o 5 , forse mentre il Vinci era a Fie­ sole, poiché ivi era nel pendente marzo, cioè un mese prima (Amor- p. 90), e continuò a dimorare con lui quanto almeno stette in Italia. Io inclino ' a crederlo suo servo (a). Il P, Resta nella sua Gallerìa Portatile, citata da me nel cap. Ili, ha inserito fra gli scolari mia

(a) L 'ab. Amoretti raccolse tutti i nomi proprj che trovò citati per incidenza di qualche memoria ne' MSS. di Lion ardo, e ne fe c e altrettanti pittori. Non esistono opere che portino Vindicatione di que­ sti artefici, l i però vero che molte se ne veggono, e che non potrebbero ascriversi che a questa scuola ; e quantunque tra esse emerga una diversità di ese­ cuzione , tuttavia non si può asseverare che siano pertinenti piuttosto all’ uno che all’ altro, perchè s'ignorano i nomi. Questa scuola non è ancora conosciuta in tutta la sua estensione, e per ciò fa r e saria mestieri che vi si occupasse un artista il qual e avesse cura di svol­ gere le memorie esistenti, e di girare per le provin­ ole lombarde,e confrontare e vedere in luogo le dif­ ferenti opere. Per esempio nella Cattedrale di V i­ gevano vi si ammira una tavola col nome di Ber- nardino da Vigevano, che porta tutta V impronta leonardesca ; e la maniera particolare di questo di­ pintore s' avvicina a Cesare da Sesto, c partecipa anco del Luini, EPOCA SECONDA 4 7 lanesi del Vinci un Gio. Pedrini, il Lomazzo, un Pietro Ricci, de’ quali non so più oltre. V i è pur chi vi computa Cesare Cesariano architetto e mi­ niatore, di cui il Poleni scrisse la vita. I l Lattuada vi nomina Niccola Appiano; e lo fa autore di una pittura a fresco sopra la porta della Pace, che cer- lamenteè leonardesca. Cesare Arbasia,di cui scri­ veremo nel libro VI del tomo X I, ove si tratterà del Piemonte, mal fu creduto in Cordova scolare del Vinci, e ci è additato per tale dal Palomino. Egli non potè esserlo, considerate l’epoche della sua vita e il carattere di sue pitture. Se la somi­ glianza dello stile bastasse ad argomentare del magistero, io dovrei aggiungere alla scuola del vinci non pochi altri e Milanesi e statisti. Ma non posso rinunziare a una massima, che in diversi aspetti ho molle volte insinuata al lettore; ed è, che la sola storia manifesti gli scolari,lo stile gl’i­ mitatori. Adunque non potendo dirgli discepoli dirò piuttosto imitatori del Vinci il conte Fran­ cesco d’ Adda, solilo dipingere in tavole ed in la­ vagne per private stanze; Ambrogio Egogni, di cui resta a Nerviano una bella tavola falla nel 1 5 2 7 (a) ; Gaudenzio Vinci novarese conosciuto per altra tavola in Arona con data anteriore alla precedente. Non vidi le opere che cito; ma so che leonardesche son parate ad ognuno, e che l’ ulti­ ma è cosa stupenda. Un’altra ne comparve in Ro­ ma son pochi anni, ed era una N. Signora, tutta sul far di Leonardo, siccome udii, e con questa

(a) Ma con buona licenza questo Ambrogio Ego­ gni è il Borgognoni, le di cui abbreviature di nome furono interpretate anco diversamente. 4 8 SCUOLA MILANESE epigrafe:BernaidinasFaxoìus dePapia fe c i 1518. F u acquistala dal sig.PrincipeBrasrhi per la scel­ ta sua Galleria; e parve nuovo in Roma che lauto pittore si presentasse alla nostra età da sè solo e senza raccomandazione di qualche islorico. Ma tali casi in Italia non sono rari, ed è parte della sua gloria il contare i suoi grandi artefici a schie­ re, non già a numero. Rimane a scrivere del piùcelebre imitatore del Vinci,Bernardin Lovino, coni’ egli seri ve, o Lui ni, come dicesi comunemente,nativodiLuino nel La- go Maggiore. Il Resta asserisce che non venne in Milano se non dopo la partenza del Vinci, e che imparò dalloScollo. L ’ autor della Guida a p. 120 lo annovera fra gli scolari di Liionardo; e per la eia, se io non erro, poteva esserlo. Perciocchè se Gaudenzio nato nel 1484 fu discepolo dello Scotto e insieme del Lovino, come si ha dal Lomazzo a p. 241 del suo Trattalo, ne segue che Bernardino fosse già pittore circa al i 5 oo, quando il Vinci lasciò Milano. Ed è intorno a questo tempo che il Vasari colloca Bernardino da Lupino, che a Se­ rotino dipinse tanto delicatamente lo Sposalizio e altre storie di Madia Vergine; ove dovea dir da Luino: e mi spiace che un annotator del Vasari abbia voluto cangiare Lupino in Lanino, ch e fu scolare di Gaudenzio.Conferma le mie congetture su la età di Bernardino il ritratto ch’ egli a sè fece in Saronno nella Disputa di Gesù fanciullo, ove si rappresentò già vecchio: e correva allora l'an- ito di N. S 1525, come ivi leggesi. Potè dunque il Luini aver luogo fra gli scolari del Vinci; e l’ebbe certamente nella sua accade­ mia. Vi sono altri di quella scuola che gli anda- EPOCA SECONDA 4 9 rono innanzi nella finezza del pennello, o nella grazia del chiaroscuro; nel qual genere il Lomaz- zo loda Cesare da Sesto, e dice che il Luini fece le ombre più grossamente. Contullociò nel totale di un pittore niuno si appressò al Vinci più che Bernardino ; disegnando,colorendo,componendo assaissime volte tanto conformemente al suo ca­ poscuola, che fuor di Milano molli suoi quadri passan per Vinci. Tal è il sentimento de’ veri in­ telligenti, riferito e approvato dall1 autor della Nuova Guida, ch’ è sicuramente uno del loro nu­ mero. Nel qual proposito addita egli due quadri dell’Ambrosiana, la Maddalena, e il S. Giovanni che carezza il suo pecorino, che i forestieri appe­ na si persuadono poter essere d’altrui che di bio- nardo. D i uguale merito, o quasi, ho Vedute altre sue pitture in più quadrerie di Milano nominale da me più volte. Convien però aggiugnere ciò che in proposito di Cesare da Sesto notai poc anzi; ch’ egli ha pure in certe sue opere gran somiglianza con lo stile raffaellesco, come in una Madonna presso S. A. il Principe di Keweniller, e in qualche altra che so essere stata comprata per cosa diRaffaello. Di qui è nato, cred’ io, il parere di alcuni eh’ egli fosso in Roma: ciò che 1’ abate Bianconi meritamente richiama in dubbio alla pag. 391, e peude anzi alla parte del no. Nè io m i terrò al sì senz’ averne prove di fatto, parendomi debole l’argomento che si deduce dalla somiglianza della maniera (a).

(a)Ma come si spiegheràla imitazione,o,per me­ glio dire, il plagio delle figure di Raffaello dipinte 5 o SCUOLA MILANESE Tratlai di proposito questo punto nel terzo capi- tolo scrivendo del Coraggio; e se mi parve più ve­ risimile che quella divina indole tanto ampliasse e aggraziasse il suo stile senz’ aver veduto in Ro­ ma Michelangiolo, nè Raffaello, non discredo ora che la medesima cosa intervenisse al Luini. La natura è il libro ugualmente esposto ad ogni pit­ tore; il gusto è quello che insegna a scegliere; l’e­ sercizio passo passo conduce alla esecuzione della scelta. Il gusto di Lionardo era tanto conforme a quel di Raffaello nel delicato, nel grazioso, nel- 1’ espressivo degli affetti, che s’ egli non si fosse distratto in molli altri studj, ed avesse scemato qualche grado alla finitezza per aggiungerne qual­ che altro alla facilità, all’ amenità e alla pienezza de’ contorni, lo stile di Lionardo spontaneamente si sarebbe ito ad incontrare con quel di Raffaello, con cui ha in alcune teste specialmente gran vi­ cinanza. Ciò credo accaduto in Bernardino, il quale avea fatto suo il gusto del Vinci, e viveva in un secolo che correa già verso una maggior scioltezza e pastosità. Cominciò anch’ egli da uno stile men pieno e pendente al secco, qual vedasi apertamente nella sua Pietà alla Passione; poi a grado a grado venne rimodernandolo. Quel qua­ dretto medesimo della ubbriachezza di Noè, che per una delle sue opere più singolari si mostra a S. Barnaba, ha una precisione di disegno, un ta­ glio di vesti, un andamento di pieghe che sente residuo di quattrocento. Più se ne allontana nelle istorie diS. Croce fatte circa al i 5 2 0 , alcu n e d elle in alcuni compartimenti della tavola che esisteva a S. Rocco e che ora sta presso il sig. duca Melai ? EPOCA SECONDA 5 I quali ripetè a Sarormo cinque anni appresso, ove par vincere sè medesimo. Queste ultime sono le opere che più somigliano i! fare di Raffaello: ri­ tengono però la minuzia nelle trine, la doratura nei nimbi, il trito negli ornamenti de’ tempj quasi come nel Mantegna e ne’ coetanei: usanze lasciate da Raffaello quando giunse al miglior stile. Io credo pertanto che quest’ uomo deggia il suo stile non tanto a Rom a, dalla quale potè avere qualche stampa e copia degli artefici che vi eran fioriti, quanto all’ Accademia del Vinci, delle cui massime lo veggo imbevuto singolarmente; e so­ pra lutto al proprio genio grande nel suo genere, c da paragonarsi con pochi. Dico nel suo genere; e intendo il soave, il vago, il pietoso, il sensibile. In quelle storie di N.Donna a Saranno ella è rap­ presentata in sembianze che confinano con la bel­ lezza , con la dignità, con la modestia che le dà Raffaello, benché non sian desse. Pajon sempre attemperarsi alla storia dipinta, o che la S. Ver­ gine si appresenti allo sposalizio, o che oda con maraviglia le profezie di Simeone, o che accolga penetrata dal gran mistero i Magi dell’ Oriente, o che fra il dolore e la gioja interroghi il divin P i­ glio nel tempio perchè 1’ abbia cosi lasciata. Le altre figure ancora ban bellezza conveniente al carattere: teste che pajon vivere, guardature e mosse che pajon chiedervi risposte, varietà d 'i- dee, di panni, di affetti lutti presi dal vero; uno stile in cui tutto par naturale, nulla studiato; che guadagna al primo vederlo, che impegna a osser­ varlo parte per parte, che fa pena a distaccarse­ ne: questo è lo stile del Luini in quel tempio. Poco diverso è nelle altre pitture che condusse 52 SCUOLA MILANESE cou più impegno e in età più matura in Milano; nè intendo come il Vasari possa scusarsi ove dice , elle tutte le sue opere son ragionevoli, quando ve ne ha tante che tanno inarcar le ciglia. V eggasi il suo Gesù flagellato a S. Giorgio, e dicasi da qual pennello sia stato dipinto il Redentore con volto più amabile, più umile, più pietoso; e veggansi presso i signori Litta e in altre case patrizie i suoi quadri da stanza più studiati; e dicamisi quanti altri allora potessero a par di lui. Nel resto non sembra essere stato il Luini punto lento, almeno in lavori a fresco. La Coronazione di Spine che si vede entro il Collegio del S. Sepolcro, opera di molte figure, pagatagli 11 5 lire, gli costò 38 g io r­ nate oltre le undici che vi spese un suo giovane. L i tali ajuti si valse anche nel coro di Saranno, nel Monistero Maggiore a Milano, in più chiese del Logo Maggiore, e in altri luoghi dove dipin­ se; e a questi par da ascrivere ciò che vi ha di m en b u o n o (a). De1 suoi allievi non si conoscono, che io sap­ p ia le non i due suoi figli,i quali nel 15 8 4 , q u an ­ do il Loniazzo pubblicò il suo Trattato, viveano ancora,e son nominati da Ini con onore.DiEvan- gelistu Luiui, che sembra essere stato il secondo­ genito, dice che ne’ festoni e nell’ arte di ornatista era ingegnoso e capriccioso,ed anche in altre par­ ti della pittura lo predica come raro: gradirei che ci avesse indicalo qualche suo lavoro. Aurelio è ______

(a) A Lugano esistono due pitture che sforzano le ciglia ad inarcarsi. Molte opere sono attribuite a questo pittore che non sono di sua inano, quanlun- que s' avvicinino al suo fa re. EPOCA SECONDA 5 3 lodato più volle in quell'opera, e poi nel Teatro per la intelligenza della.notomia. per l'arte di far paesi, per la prospettiva. Nel Trattato poi della Pittura Aurelio è introdotto come il miglior dei Milanesi allora viventi, giunto a emular felice­ mente lo stile di Polidoro, e se ne predica una vasta pittura a fresco sulla facciata della Miseri­ cordia. Più liberamente dopo due secoli ne ha potuto scrivere il sig. Bianconi, affermando esser lui stato figlio, ma non seguace di Bernardino, dalla purità del cui stile molto è lontano. E vera­ mente, toltane la composizione, non è cosa che mollo appaghi in questo artefice. Vi si ravvisa as­ sai volte lo stil paterno; peggiorato però e manie­ ralo: le idee son'volgari, le mosse men naturali, le pieghe trite, come dicono, e fatte di pratica. Ciò scrivo in veduta di alcune opere sue più cer­ te, fra le quali è un quadro nella quadreriaMelzi, col suo nome e coll’anno 1570 . Altre però ne ho vedute in Milano di gusto migliore, specialmente in S. Lorenzo, óve gli si ascrive il Battesimo di Cristo; tavola che par dipinta da Bernardino. Au­ relio istruì Pietro Gnocchi; e, se mal non mi ap­ pongo, fu dallo scolare avanzato nella sceltezza e nel buon gusto. Conoscendosi un PietroLuini pit- tor dolce e accurato, e tenuto per ultimo de’ Lui- ni, mi è sorto dubbio che non sia il Pietro di cui trattiamo , cognominalo talvolta col casato del maestro, come si v ide nel Porta e in altri del se­ colo seslodecimo. Di cosini è aS.Vittore il S.Pie­ tro che riceve la potestà delle chiavi; e nella nuo­ va Guida ascrivesi realmente allo Gnocchi. Veduta come in uu albero di famiglia la suc­ cessione diLionardo in Milano, c’invita a sequel- 5 4 SCUOLA MILANESE l’ altra scuola che riconosceva per suoi fondatori il Foppa e gli altri quattrocentisti nominati a suo luogo. Ella non si confuse con la scuola del Vinci, ed è separatamente considerata dagli scrittori: profittò però molto da’ suoi esempj, e credo anco da’ suoi discorsi; perciocché quest’ uomo ci è de­ scritto, come Raffaello, per umanissimo e grazio' sissimo in accogliere ognuno, e in comunicar sen­ z’ invidia i suoi lumi agli studiosi. Chiunque os­ serverà Bramantino e gli altri Milanesi fin dopo la metà del sestodecimo secolo, gli troverà qual più e qual meno imitatori del Vinci; studiosi del suo chiaroscuro, applicati alla sua espressione, scuretti nelle carnagioni, rivoltila tingere piutto­ sto con forza che con amenità di colori. Sono pe­ rò meno ricercatori del bello ideale meno nobili nelle idee, meno squisiti nel gusto, eccètto Gau­ denzio, che in tutto compete co’ primi della sua età. Ed è il solo dell’ antica scuola che insegnan­ do la prom ulgasse. Gaudenzio Ferrari da Valdugia dal Vasari è detto Gaudenzio milanese. Noi ne trattammo fra gli ajuti di Raffaello, riferendo il parer dell’Or- landi, che lo fa scolare di Pietro Perugino, e no­ minando certi quadri che a Ini si ascrivono nel­ la Italia inferiore. Ma in quelle bande, ove sola­ mente fu come ospite, e ove forse tentò qualche nuova maniera, mal può conoscersi; e molto ha del dubbio ciò che se ne dice e se ne addita : di che nella scuola ferrarese tornerà il discorso. Ora nella Lombardia se ne può scrivere più franca­ mente, essendovi molte sue opere, e molte cose trovandosi di lui narrate dal Lomazzo, suo nipo­ te nell’arte,come vedremo. Questi gli dà per mae« EPOCA SECONDA 55 stro lo Scotto principalmente, e poi anche il Lui- ni; e che innanzi a questi studiasse sotto G iovi­ none, è tradizione de’Vercellesi. Novara crede di aver una delle prime sue pitture; ed è una tavo­ la in duomo con varj sparlimenti all’uso del quat­ trocento e con le dorature applaudite in quel se­ colo. V ercelli ha in S. Marco la copia del carton di S. Anna, a cui sono aggiunti S. Giuseppe e qualche altro Santo: opera aneli’ ella giovanile, che indica aver Gaudenzio di buon’ora rivolti gli occhi verso Lionardo, da cui secondo il Yasari trasse grand’ utile. Giovane andò in Roma, ove dicesi che Raffaello l’impiegasse fra’ suoi ajuti; e ne riportò una maniera più grande in disegno, e più vaga in colorito di quante ne avean prodot­ te i suoi Milanesi. Il Lomazzo, disapprovato dal­ lo Scannelli, lo esalta fra’ sette primi pittori del mondo, fra’cjuali a torto omise il C oreggio. Per­ ciocché chi fa il paragone fra la cupola di S.Gio­ vanni di Parma,e quella di S.Maria presso a Saran­ no dipinta da Gaudenzio intorno a’medesimi an­ ni, trova nella prima bellezze e perfezioni, che non si conoscono nella seconda. Anzi per quan­ to questa sia popolata di belle, varie e ben atteg­ giate figure, nondimeno in essa, come in qualche altra opera di Gaudenzio,rimane a sbandire qual­ che orma del vecchio stile; come la durezza, la disposizione delle figure troppo simelrica, al­ cune vesti di Angioli piegate alla mantegnesca, e qualche figura fatta in rilievo di stucco, e poi colorita ; uso che tenne altrove nelle bardature de’ cavalli, e in altri accessorj alla maniera del Montorfano. Fuor di quest’ eccezioni-, che nelle opere mi- 5 6 SCUOLA MILANESE gliori schivò del lutto, Gaudenzio è piltor gran­ dissimo, ed è quegli fra gli ajnti di Raffaello che più si avvicini a Ferino e a Giulio Romano. Ha aneli’ egli una portentosa feracità d’jidee benché in genere diverso; essendosi Giulio impiegato as­ sai nel profano e nel lascivo, ove questi si leune al sacroie parve unico in esprimere la maestà del- l’Esser divino, i misterj della religione, gli effet­ ti della pietà, della quale fu lodevol seguace, det­ to eximie pius in un sinodo novarese. Prevalse nel forte , non che usasse di far muscolature ri­ sentite mollo, ma scelse altitudini strane, come il Vasari le qualifica,cioè fiere e terribili ove il sog­ getto le richiedeva. Tal era la Passione di Cristo alle Grazie in Milano, ov’ebbé Tiziano per com­ petitore; e la Caduta di S. Paolo a’ Conventuali di Vercelli, quadro il più vicino che io vedessi a quello di Michelangiolo nella cappella Paolina-. Nelle altre pitture ancora piace a sè stesso negli scorti difficili, e ne là uso continuamente. Che se nella grazia e nella bellezza non uguaglia Raf­ faello, non è però che non tenga molto di quel carattere, come a S. Cristoforo di V ercelli, ove il quadro del Titolare, ha dipinte nelle pareti va­ rie storie di G. C. e alcune altre di S. Maria Mad­ dalena. In questa grande opera ha spiegato carat­ tere di pittor vago, più forse che in altra, inse­ rendovi teste bellissime e Angioletti quanto gaj nelle forme, altrettanto spiritosi nelle azioni. Ho udito celebrar questa come la migliore sua ope­ ra : ma il Lomazzo e l’autor della Guida asseri­ scono che la via tenuta da Gaudenzio nel sepol­ cro di Varallo è stata miglior di tutte. Venendo più ad altri particolari del suo stile, EPOCA SECONDA 57 il Ferrari è coloritore si vivo e sì lieto oltre l’uso de’ Milanesi, che in qualche chiesa dove ha di­ pinto non vi è bisogno di cercare le sue pitture; elle si presentano subito all’ occhio dello spetta­ tore, e il chiamano a se ; carnagioni vere e diver­ se secondo i soggetti; vestiti pieni di capricci e di novità , variati coinè 1’ arte varia i suoi drappi ; cangianti artificiosissimi da non trovarne de’ più leggiadri in altro pittore. Meglio anche de’corpi, se è lecito dirlo, ritraea gli animi. Questa parte della pittura è delle più studiale da lui: in pochi altri si osservano atteggiamenti si decisi, volti si 'parlanti. Che se alle figure aggiunge o campagna o architettura, il paese è accompagnato per lo più da certa bizzarria di rupi e di sassi che vi diletta­ no con la stessa novità; e le fabbriche sono con­ dotte con le regole di un eccellente prospettivo. Ma della sua mirabil arte sì nella pittura e sì nel­ la plastica ha tanto scritto il Loinazzo, ch’è inu­ tile a dirne più oltre. Ben potrò aggiugnere con dispiacere , che tant’uomo fu poco noto , o poco accetto al Vasari; onde gli oltramontani, che tut­ to il merito misurano dalla istoria, mal lo cono­ scono, e negli scritti loro lo han quas'involto nel silenzio. I seguaci del Ferrari ban continuato la sua maniera per lungo tempo; i primi sempre più fe­ delmente che i secondi, e i secondi più che i ter­ zi. 1 più di loro non tanto ne hanno emulata la grazia del disegno e del colorilo, quanto la espres­ sione e la facilità , fino a cadere talvolta ne’ vizj affini, che sono la caricatura e la negligenza. Me­ no celebri scolari di Gaudenzio furono Antonio Lanetti da Bugnato, di cui non so che resti lavo- 58 SCUOLA MILANESE ro cerio; Fermo Stella da Caravaggio , e Giulio Cesare Luini valsesiuno, che in certe cappelle di V arallo tuttavia si conoscono. Il Lomazzo nel cap. X X X V II del suo Trattato ci dà per imitatori di Gaudenzio, oltre il Lanino da nominarsi fra po­ co, Bernardo Ferrari da Tigevano, nella cui Cat­ tedrale sono due sportelli d’organo da lui dipin­ ti; e Andre Solari, o Andrea del Gobbo, o An­ drea Milanese, come il Vasari lo chiama a piè della Vita del Coreggio, a’ cui tempi visse. Lo di­ ce pittore e coloritor molto vago, eccellente, e amatore delle fatiche dell’ arte; citandone e pit­ ture in privato, e un’Assunta alla Certosa di Pa­ via, nel qual luogo il Torre (p. 138 ) lo fa co m ­ pagno del Salaino. I due più rinomali sono G io­ vanni Batista della Cerva e Bernardino Lanino, da’ quali' si derivarono quasi due branche di una medesima scuola, la milanese e la vercellese. Rimase in Milano il Cerva, e se dipinse ogni q u ad ro com e q u ello e h ’ è in S. L o ren zo , e rap p re­ senta l’Apparizione di Gesù Cristo a S. Tommaso ed agli altri Apostoli, può aver luogo fra’ primi della sua scuola : così scelte e animate sono quelle leste, così vivi e bene compartiti sono i colori, così sorprendente è l’insieme e l’ armonia. E dee credersi profondo nell’ arte, ancorché più opere il pubblico non ne abbia, giacche da lui apprese GiovanniPaoloLomazzo milanese i precetti ch’e­ spresse nel Trattato della Pittura edito nel 1 5 8 4 , e che compendiò nella Idea del Tempio della P it­ tura stampato nel 1590 ; senza dire de' suoi versi, che mollo riguardano la stessa professione. L ’ Orlandi nell’articolo di questo scrittore ha inserite epoche npn vere, corrette poi dal signor PARTE seconda 59 Bianconi, che fissa il principio della sua cecità circa il 1571, trentesimo terzo della età sua. Fin che vide, attese ad erudirsi, per quanto lo per­ mettevano que’ tempi, veramente in certi generi alquanto pregiudicali. Viaggiò per l’ Italia; studiò nelle amene lettere e nelle scienze; e di queste in certo modo s’ inebbriò, volendo comparir fuor di luogo filosofo, astrologo e matematico, e trat­ tando perciò le cose ancora più ovvie d’ uria ma­ niera astrusa e falsa talvolta, come falsi sono i principj dell’astrologia circolatoria. Questo difet­ to nella sua opera grande dispiace, ma perdonasi facilmente perchè disperso qua e là e disunito; grava assai nel Compendio, o sia nella Idea del Tempio della Pittura, ov’è raccolto in un punto di veduta disgustoso veramente al buon senso. Mentre insegna un’ arte, che sta nel disegnare e colorir bene, egli vola di pianeta in pianeta; a ciascun de’ sette pittori, che chiama principali, assegna un di que’ corpi celesti, e poi anche un metallo corrispondente; e a questa mal concepii ta idea ne connetle poi delle altre più stravaganti. Per tal modo, e per la stucchevole prolissità, e per mancanza d’ indice esatto, i suoi trattati poco son letti, e saria pregio dell’ opera ristamparli, sceverandone le foglie e scegliendone i frutti. Per* ciocché essi ridondano non pure di notizie isto- riche interessanti, ma in oltre di ottime teorie udite da que’ che conobbero Leonardo e Gauden­ zio,di giuste osservazioni su la pratica de’miglior maestri, di molle erudizioni circa la mitologia e la storia e gli antichi costumi. Preziose special- mente sono le sue regole di prospettiva, compi­ lale da’ MSS. del Foppa, dello Zeuale, del Man- 6 o SCUOLA MILANESE tegna, del Vinci (Tratt. p. 264); olire le quali ci lia conservati pur de’ frammenti di Bramantino (p. 276) che fu in quest1 arte spertissimo. Per tali cose, e per cert’ andatura di scrivere, se non pia­ cevole come quella del Vasari, non geroglifica al­ meno come quella dello Zuccaro, nè volgare co­ me quella del Buschici, è il Trattato del Lomazzo opera degna che leggasi da’ pittori provetti, e che essi ne propongano i miglior capitoli anche a’ più maturi studenti. Niun’altra certo a me nota è più adatta a fecondare una mente giovane di belle idee pittoresche per ogni tema; niun’ altra lo af­ feziona meglio e le istruisce a trattare argomenti di cose antiche; niun’ altra meglio le dispone a conoscere il cuore umauo, e-quali affetti vi abi­ tino , e con quai segni si manifestino al di fuori, e com 'essi un colore vestano in un paese e un di­ verso in un altro, e quali siano i termini della lor convenevolezza; niun’ altra in somma in un sul volume chiude più utili precetti a formare un ar­ tefice riflessivo, ragionatore, formalo secondo lo spirito di Lionardo, che fu il fondatore della mi­ lanese scuola, e, mi sia lecito dirlo, anche della pittorica filosofia, che tutta sta nel pensar profon­ do di ciascuna parte della professione. Le pitture del Lomazzo non cadono in dubbio, avendo egli cantata la sua vita e le sue opere in certi versi fatti alla buona, credo, per sollievo della sua cecità, e intitolati Grotteschi (1). L e p ri- (i)

(i) Chi d u bitale il Lomazzo, quando componea tali versi,fosse o nonj'osse un cieco, legga c giu­ dichi. Quindi andai a Piacenza, et ivi fe i é p o c a SECONDA 6 r ine, come avviene in ognuno, son deboli, e dee Computarsi in questo numero la copia del Cena­ colo di Lionardo, che si vede alla Pace. Nelle al­ tre si conosce il maestro che vuol mettere in pra­ tica le sue massime, e vi riesce or più or meno felicemente. Una delle più fondamentali era il Considerare come pericolosa la imitazione delle altrui fatiche, o si tolga da’ dipinti, o dalle stam­ pe. Vuol dunque che il pittore miri ad essere ori­ ginale, formandosi nella mente tutta la composi­ zione, e le particolari cose copiando dalla natura e dal vero. Questa massima derivata da Gauden­ zio campeggia sì in altri di quel tempo , e sì spe­ cialmente nel Lomazzo. Nelle sue tavole è sempre qualche tratto d’ or iginalità ; come in quella a S. Marco, ove invece di mettere secondo l’ uso comune in mano a S. Pietro le sue chiavi, fa che il S. Bambino con certa puéril leggiadria gliele porga. Più spicca la sua novità nelle grand’ isto­ rie, qual è il Sacrifizio di Melchisedech nella li­ breria della Passione, copiosissimo di figure, ove l’ intelligenza del nudo gareggia con la bizzarria del vestito,e la vivacità de’ colori con quella delle attitudini (a). Y i aggiunge di lontano un combat­

Nel refetorio di Sant’ Agostino La facciata con tal historia pinta. D a lontano evvi Pietro in oratione Che vede già dal G el un gran lenzuolo Scender pien d’animai piccoli et grandi. Onde la Quadragesma fu introdotta, ec. (a) Con buona pace deirautore, alquanto debole e scorretto fu giudicato questo dipinto. per cui in occasione di dover adattare ad altri usi il locale ove 62 SCUOLA MILANESE timento, ideato e d e g r a d a to assai bène. Non h o •Veduta di questo pehnello istoria più benihtesa. In altre cade nel confuso e nell*affollato, talor Snelle nello strano, come in quel grande affresco fatto in Giacenza al refettorio di S. Agostino, o sia de’ R occhettini, che ha pel- soggetto il Vitto quadragesimale. E questo un convito ideale di cibi magri, ove in luoghi separati i Sovrani (e vi sono espressi quei del suo secolo) e i signori di qualità siedono a latita mensa di pesci; la povera­ glia mangia di ciò che h a , e vi è un ghiotto che Smania per un boccone attraversalo alla gola. No­ stro Signore benedice la tavola; e in alto vedesi il lenzuolo mostralo in visione a S. Pietro. Chiun­ que vede questo gran quadro-, resta sorpreso per­ le cose particolari ritratte Con la maggior verità e con una tenerezza,che il Girupeno dice non avere eguagliata il Lomazzo nelle opere in Milano da lui fatte: ma l’ insieme non è felice, perchè il campo è troppo pieno, e perchè vi è un mescti- gito di sacro e di ridicolo, di Scrittura e di ta­ verna, che non fa buona lega. Nomina il Lomazzo come suoi scolari dite Mi­ lanesi, Cristoforo Ciocca e Ambrogio Figino ; e dovette erudirgli per poco.poicbè quando già cie­ co pubblicò il suo Trattalo erano in assai fresca età. Gli loda fra’ ritrattisti; e il primo par che non divenisse mai compositor molto abile, non essen­ do forse di lui al pubblico se non le pitture di S. Cristoforo a S. Vittore al Corpo, cose medio­ cri. Il Figino riuscì valentuomo non pur ne’ ri­ vedeva.» questo affresco-fu distrutto del tutto, es­ sendolo stato già per la massima parte dal tempo. EPOCA SECONDA 63 tratti, che ne fece anco a’ Sovrani, e ne fu enco­ miato dal cavalier Marino; ma nelle composizio­ ni ancora, Che quasi sempre condusse a olio, in­ teso a distinguersi nella perfezione delle figure, hon nel gran numero. Alcuni suoi quadri, come il S. Ambrogio a S, Eustorgio, o il S. Matteo a S, Raffaello, senza moltiplicare in figure, appagano per la grandiosità del carattere che ha impresso in que’Santi; nè altri de’Milanesi si è in quest’ar­ te avvicinato meglio a Gaudenzio, che ne lasciò sì nobili esempi nel S. Girolamo e nel S. Paolo, Yale anco nelle maggiori tavole, com’è l’Assunta a S. Fedele, e la graziosa Concezione a S. Anto­ nio. Il suo metodo è descritto dal precettore nel suo Trattato a pag. 438. Si avea prefisso il lume e l’accuratezza di Leonardo, la maestà di Raffael­ lo, il colorito di Coreggio, i contorni di Michel- angiolo.Di quest’ultimo specialmente è stato uno degl’imitatori più felici ne’suoi disegni che per­ ciò sono ricercatissimi; nel resto poco noto fuor di Milano alle quadrerie ed alla storia (a), Non dee confondersi con Girolamo Figino suo con­ temporaneo valente pittore e accurato miniatore a detta del Morigia. Si trova pur computato fra di­ scepoli del Lomazzo un Pietro Martire Stresi^che assai si distinse in far copie di Raffaello, L ’altra branca de’gaudenzisti nominata di so-

(a) Nelle ultime sue opere per mostrate (pianto Valesse nell'anatomia) ed il di lui trasporlo per M i- chelangiolo, diede in maniera, e quindi riesce a l ­ te ra to nelle forme e languido nel colorito : molti quadri di sua mano vengono altrove attribuiti a Mi~ chelangiolo. 6 4 SCUOLA MILANESE pra comincia da Bernardino Lanini vercellese, che istitnilo da Gaudenzio fece ne’ primi tempi a Vercelli opere singolari su lo stil del maestro. Vi è a S. Giuliano una sua pietà con data nel 1547, che si torrebbe per cosa di Gaudenzio, se non vi si leggesse il nome di Bernardino. Lo stes­ so avviene in altre sue pitture falle da lui ancor giovane in patria: il più che le faccia discernere è il disegno non così esatto e la minor forza del chiaroscuro. Più adulto dipinse con libertà mag­ giore, che tiene assai del naturalista, e comparve fra’ primi in Milano; ingegno vivacissimo nel- l’ideare e nell’eseguire, nato come il Ferrari per grand'istorie. Quella dì S. Caterinanella sua chie­ sa presso S. Celso è molto celebre anco per ciò che ne scrive il Lomazzo (a); piena di fuoco pit­ toresco ne’ volli e ne’ movimenti, colorita alla ti­ zianesca ; sparsa di leggiadria sì nel volto della Santa, che ha del Guido, sì nella gloria degli An­ gioli, che pareggia quella di Gatidenzio; se vi è da desiderare qualche studio maggiore, è quello de’ panni. Molto lavorò in città e per lo Stalo, particolarmente in Novara, nel cui duomo dipin­ se quelle Sibille e quel Padre Eterno così ammi­ rato dal Lomazzo, e ivi presso certe istorie di N. Donna, che ora guaste nel colore incantano tut­ tavia per lo spirito e per la evidenza del disegno.

(a) Non c S. Cali crina presso S. Celso, ma bensì l ’oratorio annesso a S. Nazzaro, noe, sia nel dise­ gno che nel dipinto, agguaglia Gaudenzio. Nella Basilica di S. Ambrogio esistono parimente in ima cappella degli affreschi di quest'uomo preziosissi­ mi. ÈPOCA SËCONDA 65 Sì dilettò qualche Volta questo grande ingegno di tenere anch’ egli le vie del Vinci, come in un Cristo paziente fra due Angioli che rappresentò in S. Ambrogio; ed è così beninteso in ogni par­ te, così bello, così pietoso e di tal rilievo, che si tiene per tuia delle più belle pitture della Basi­ lica (a). Sorti Bernardino due fratelli ignoti fuor di Vercelli; Gaudenzio, di cui dicesi un quadro in tavola nella sagrestia de’PP. Barnabiti con N. Si­ gnora fra varj SS.; e Girolamo, di coi in una ca­ sa particolare vidi un Deposito di croce. L ’ uno e l’altro ha una lontana somiglianza con Bernar­ dino nella verità dei volti, e il primo anche nel­ la forza del colorito; nel disegno ne son lontani. Altri tre Giovenoni, dopo Girolamo, dipingean quiv’ intorno agli anni del Lanini; Paolo Batista e Giuseppe, che divenne eccellente in ritratti. Costui era Cognato del Lanini, e generi pure al Lanini furono due buoni pittori; il Soleri, che riserbo al Piemonte, e Gio. Martino Casa nativo di Vercelli, e vivulo in Milano, d1 onde n’ ebbi notizia. Ultimo forse di questa scuola fu il Vico- lungo di Vercelli. Ne vidi in quella città una Ce­ na dì Baldassare in privala casa, quadro colori­ to ragionevolmente e pieno di figure, strane nei Vestiti, volgari nelle idee, e da non ammirarvi nulla se non la progenie diltafifaello ridotta a pa­ co a poco in povero stato. In questa felice epoca non mancarono a’Mila- ncsi buoni paesisti, specialmente della scuola del

(a) Si vegga invece il Battesimo di Cristo, qua­ dro a olio esistente nella I. R. Pinacoteca. 6 6 SCUOLA MILANESE Bernazzano;ignoli di nome,ma superstiti in qual- che quadreria.E torse di tal drappello quel Fran­ cesco Vicentino milanese tanto ammirato dal Lo- mnzzo, che giunse a rappresentare nel paesaggio fin 1’ arena sollevata dal vento : costui fu anche buon figurista; e ne resta qualche raro saggio al­ le Grazie e altrove. Abbiamo altrove nominalo qualche ornatista e dipintore di groltesche;ed ora vi si può aggiugnere Aurelio Buso, che lodammo fra’Veneti per la patria,e qui non è mal rammen­ tato per le operazioni. Ritrattista eccellente fu Vincenzio Lavizzario , eh’ è quasi il Tiziano de’ Milanesi;a’quali è da annèttere Giovanni da Mon- te cremasco , considerato nel precedente libro, e meritevole elle si rammemofi in questo. Con lui visse Giuseppe Arcimboldi, scelto pel suo talen­ to in ritrarre a pittor di Corte da Massi miliano II Augusto; nel quale uffizio continuò anche sot­ to Ridolfo. E l’ uno e l’ altro valsero in certi ca­ pricci che poi andarono in disuso. Eran figure che vedute in distanza parean uomo o donna ; ma appressandosi al quadro , la Flora diveniva un composto di varj fiori e frondi, il Vertunno una composizione di fruiti con le lor foglie. Scherza­ rono questi due pennelli non solo intorno a sog­ getti già fabbricati dalla Favola antica, corne son Flora e Vertunno, ma intorno ad alili parimente, a'quali essi poeticamente davan persona. Così il primo dipinse la Cucina . componendole il capo e le membra di pentole, di pajuoli e di altretta­ li masserizie, e il secondo, che da queste inven­ zioni trasse il maggior credito , fece fra le altre cose l’agricoltura di stive, di vagli, di falci e di attrezzi simili. EPOCA SECONDA 6 7 Per ultimo è ria ricordare un’arte di quelle che soggiacciono alla pittura appena da me nomina­ ta altrove, perchè dovea riserbarsi alla scuola mi­ lanese , che sopra tutte in essa si segnalò; ed è l ’ arte del ricamare non pur fiori e fogliami, ma figure e istorie. Tal magistero anche dopo i tem­ pi romani era in Italia durato; e n’ è un prezio­ sissimo avanzo la così detta Casula diltica del Museo di Classe in Ravenna, o a dir meglio, al­ cune striscie di essa; broccato d’ oro ove a rica­ mo son riportali i ritratti di Zenone, di Monta­ no e di altri Santi Vescovi; il qual monumento del sesto secolo è stato illustrato dal P. abate Sar­ ti, poi da monsignor Dionisi. Lo stesso uso di ri­ camare a figura i sacri pavimenti par dalle anti­ che pitture che continuasse in secoli rozzi; anzi in certe sagrestie ne avanzan reliquie. Le più intat­ te che vedessi sono a S. Niccolò collegiata di Fa­ briano; un piviale con figure di Apostoli e SS. diversi, e una pianeta con misterj della Passio­ ne; ricamo di secco e rozzo disegno del secolo xiv'. Il Vasari di quest’arte scrive in più luoghi ; e , senza dir degli antichi, in età più colle ci ha nominali alcuni che in essa si eran distinti, sic­ come Paol da Verona, e quel Niccolò Veneziano che servendo in Genova al principe Doria intro­ dusse Perin del Vaga in quella corte, e Antonio Uberiino fiorentino, di cui demmo un cenno nel­ la sua scuola. Il Lomazzo prende da allo il racconto de’ Mi­ lanesi. Luca Schiavone', dic’ egli, coudusse que­ sto magistero al più alto segno, e lo comunicò a Girolamo Delfinone, vivuto a1 tempi dell’ ultimo duca Sforza , il cui ritratto fece in ricamo, olirà 6 $ SCUOLA MILANESE non poche opere essai copiose; e fra essa la vita di N. Signora pel cardinal di Bajosa. Questa lo­ de divenne ereditaria nella famiglia e vi si di­ stinse a par di Girolamo anche Scipione suo fi­ glio, le cui caccie di animali erano accettissime ne’gabinetti sovrani, e n’ ebbero Filippo re di Spagna e Arrigo d’Inghilterra. Seguì poi le trac­ ce de’ maggiori Mercantonio figlio di Scipione, considerato dal Lomazzo come giovane di aspet­ tazione non volgare nel 1591, Questo scrittore ha pur lodala in ricamo Caterina Cantona nobi­ le milanese ; e forse perchè allora men nota ha pretermessa la Pellegrini, quella Minerva de'suoi tempi. Altri di questo casato son nominati fra’ dipintori; un Andrea che dipinse nel coro di S, Girolamo, e un Pellegrino suo cugino, uomo ce­ lebre nella Storia del Palomino per ciò che fece all’Escuriale,architetto insieme e pittore della B, corte. Questa, di cui scrivo, non so in qual gra­ do loro congiunta, tutta si diede a pinger coll’a­ go; e di sua mano furano ricamati il paliotto e qualche altro sacro arredo che nella sagrestia del duomo tuttavia si conservano, e si mostrano a’ fo ­ restieri insieme con altre molte rarità di erudi­ zione e di antiche arti. Nella Guida del 1783 è chiamata Antonia, in quella del 1787 è detta Lo­ dovica, se già non fossero due diverse ricamatrici, Nel secolo susseguente ilBoschini celebrò com’ec­ cellente e senza pari una Dorotea Aromatari,che faceva coll’ ago, dic’ egli, le maraviglie che i pit­ tori più diligenti e più vaghi fan col pennello, Bicorda ancora con lode qualche altra ricamatri­ ce di quella età; e noi scrivendo di Arcangela Pala­ dini ne lodammo le pitture a un tempo e i ricami, «9 EPOCA TERSA

I Procaccini ed altri pittori esteri e cittadini sta­ biliscono in Milano nuova accademia e nuovi stili.

L e due serie che abbiam finora descritte, ci ban passo passo guidati al secolo xvi i , nel quala non rimaneva quasi orma dello stile del Vinci, nà di quello di Gaudenzio: mercechè gli ultimi lor successori adottate avevano qual più e qual meno le maniere nuove insinuatesi di tempo in tempo in Milano a scapito delle antiche. Fino da’ tempi di Gaudenzio vi era comparsa con molto applauso la Coronazione di Spine dipinta da Tiziano; onde alcuni scolari di lui vennero in Milano a stabilir­ si, e vi concorsero pure altri esteri. Si diedero anco circostanze sinistre, e specialmente la pesti­ lenza che più di una volta in un medesimo secolo invase lo Stato; per cui mancati gli artefici nazio­ nali , sottentrarono i forestieri alle loro commis­ sioni quasi come a una eredità vacante per morte de’ primi eredi. Quindi il Lomazzo nel fine del suo Tempio non loda tra’ figuristi milanesi allora viventi se non il Luini, lo Gnocchi e il Duchino; gli altri son lutti esteri. Molto pur valse a invilar- vegli il genio signorile di alcune nobili famiglie, sopra tutte della Borromea, che al trono arcive­ scovile delia patria diede due Prelati memorabi­ lissimi fra loro cugini, il cardinal Carlo che ac­ crebbe il numero de’ Santi agli altari, e il cardi­ nal Federigo che per poco non ha.conseguito gli stessi onori. Animali amendue da un medesimo 7 0 SCUOLA MILANESE spirito ili religione, erano parchi in privato, ma­ gnifici in pubblico. Fra la loro astinenza pasce­ vano innumerabili cittadini; fra la domestica par­ simonia promovevano la grandiosità del santua­ rio e della patria. Molti furono gli edifizj eh’ e- ressero o ristorarono, mollissimi quei che orna­ rono di pitture in città e fuori ;.“fìno a potersi dire che non meno dovea Milano a’ Borromei, che F i­ renze a’ suoi Medici, o Mantova a’ suoi Gonzaghi. Il cardinal Federigo erudito prima in Bologna, indi a Roma, aveva non solamente trasporto, ma gusto ancora per le belle arti; e sortì giorni più tranquilli e pontificato più lungo che Carlo, onde potere proteggerle e alimentarle, N n pago d'im ­ piegare nelle pubbliche opere architetti, statuarj, pittori i più abili che potè avere, raccolse quella quasi scintilla che ancor viveva dell’ Accademia del Vinci, e con nuove industrie e con molta spe­ sa riprodusse alla città una nuova accademia di belle arti. La fornì di scuole, di gessi, di sceltis­ sima quadreria(i) a pro de’giovani studiosi,pren-

( i ) Fu de’primi in Italia a ricercare i quadretti della scuola fiamminga, che a’ suoi tempi comin­ cia a divenir grande-Fsiste il carteggio che tenne con Giovanni Breughel-, che per la quadreria del­ l'Accademia milanese dipinse i quattro Elementi ; quadretti replicatissimi, che si riveggono nella li. Galleria di Firenze , nella Raccolta M ehi ih Mi­ lano e in alcune di Roma. L'autore, ch'era eccel­ lente in figurar fiori, erbe, frutti, uccelli,quadrupe­ di, e in fon ie copiose e vaghe composizioni, sfog­ giò ivi nel numero degli oggetti., e non fu minor di sé stesso nella finezza del pennello-nella lucentezza EPOCA TERZA JZ ciendo norma dall’ Accademia di Roma fondata» nè senza sua cooperazione, pochi anni prima- Onore di questa nuova scuola e del fondatore è stalo quel gran Colosso di S. Carlo, che sul di­ segno del Cerano fu fatto in rame e collocato in Arona, ove il Santo era nato; opera che avendo di altezza quattordici uomini ha emulate le più grandi produzioni della statuaria greca ed egizia. Ma nella pittura, se dee dirsi il vero, non ha la nuòr a scuola uguagliata l’antica,quantunque non le siano mancati de’valentuomini, siccome vedre­ mo. Intanto è da ripigliare il filo della storia, e da far conoscere come ridotti a stretto numero i Milanesi, e cresciuto il bisogno de’ dipintori per­ le chiese e per gli altri pubblici edifìzj che si mol­ tiplicavano, altri stili furono recali in Milano da pittar forestieri, com’ erano i Campi e i Semini, i Procaccini, i Nuvoloni; altri cercali in forestieri paesi da’ cittadini diMilano, specialmente dal Ce­ rano e dal Morazzone. Questi furono gli educato­ ri di tutta quasi la gioventù milanese e dello Sta­ to; questi cominciando a operare circa al 1570, e continuando anche dopo il 1600, vinsero le anti­ che scuole non tanto in sodezza di massime, quan­ to in amenità di colori, e l’ estinsero a poco a po­ co. Nè solo insegnarono a trattare nuovi stili, ma alcuni di loro a trattargli in fretta e ad ammanie­ rargli, ònd’ è che la scuola decadde in line, e pare che adottasse per massima di lodar le teorie degli

del colore, e nelle altre doti, che gli conciliarono la stima de’più grandi artefici :fr a questi fin Rubens, che di lui si vulse per aggiugnere il paese a’ suoi quadri. 72 SCUOIA MILANESE antichi, « a seguir la fretta de’ moderni. Tornia­ mo in via. Dissi, poco è, de’lizianeschi ; ed avendo già ri­ cordato Callisto da Lodi, e Giovanni da Monte in altro proposito, si vuole qui rammemorare Simo­ ne Peterzano o Preterazzano , che nella Pietà a S. Fedele si soscrive Titiani discipulus ÿ e gli si presta facile fede: tanto lo imita. Fece alcune opere anche a fresco, e specialmente a S. Barna­ ba alcune istorie di S. Paolo. Quivi sembra aver voluto innestare al colorito veneto la espressio­ ne, gli scorti, la prospettiva de’Milanesi; grandi opere, se fossero in tutto corrette , e se 1’ autore fosse stalo sì buon frescante , corn' era pittore a ojio. Da Venezia pure, anzi dal suo Senato ven­ ne a domiciliarsi in Milano Cesare Dandolo, le cui pitture sono in varj palazzi, stimale per l’ar­ te e ammirate per la condizione dell’autore. I Campi furono de’ più solleciti a insinuarsi a Milano , e mollo vi operarono: Bernardino più che niun altro. Dipinse anche nelle città vicine, fu allora che compiè alla Certosa di Pavia la già ricordata tavola di Andrea Solari,che rimasa im­ perfetta per morte dell’inventore, fu da Bernar­ dino dopo molti anni perfezionala sul medesimo stile , sì che parve tutta di una mano. Non reg­ gendo egli solo alle commissioni, facea colorire i suoi cartoni da alcuni ajuti, i quali riuscirono , com’ egli era , accurati, precisi, degni delle lodi che ne ha fatte il Lomazzo. Un di essi fu Giusep­ pe Meda , architetto e pittore, che in un organo della Metropolitana effigiò Davide che sona da­ vanti l’ Arca. Quest’ opera è citata dall’ Orlandi sotto il nome di Carlo Meda, che forse è della EPOCA TERZA 73 famiglia del precedente, e nell’Abbecedario coni’, pulisce minor di età. Poche altre pitture se ne veggono , come notò lo Scannelli, L ’altro fu Da­ niello Cuoio milanese, che finì paesista di molto merito: forse fratello o consanguineo di quel Ri­ dolfo C unio che in molte quadrerie di Milano s’incontra,e pregiasi particolarmente pel disegno, Il terzo fu Carlo Urbini da Crema, uno de’ men celebrali, ma de’più degni artefici del suo tempo, di cui si è parlalo altrove. Il Lamo dice che Ber­ nardino ebbe un numero quasi infinito di scola­ ri e di ajuti , e per le sue relazioni pussiam qui aggiugnere Andrea da Viadana, Giuliano o G iu­ lio de’Capitani da Lodi, Andrea Marinano pave­ se. Fors’ anco a lui spelta Andrea Pellini , che ignoto in Cremona sua patria si conosce in Mila­ no per un Deposto di croce collocato in S. Eu- storgio nel 1595, Più tardi comparvero in Milano i due Semini genovesi, e molto anch’essi vi dipinsero, seguaci ambedue del romano più che di altro stile. Ot­ tavio, il maggior di essi, insegnò a Paol Camillo Landriani detto il Duellino, che nel Tempio del Lomazzo è lodato come giovane di ottima speran­ za; nè a torto,Egli fece poi tavole d’altare in gran numero, e fra esse una Natività di Gesù a S,Am­ brogio, ove al disegno del maestro e alla sua gra­ zia unisce peravvenlura più morbidezza, I pro­ fessori finora descritti non toccaron 1’ epoca del­ la decadenza, se non forse nella estrema lor vita; onde non è fuor di luogo l’elogio che qui ne tesso, Ma quegli che più operarono e più istruirono in Milano, furano allora i Procaccini di Bologna, i quali non mentovati dal Lomazzo nel suo Trat- 74 SCUOLA MILANESE talo, cioè nel l 584, son ricordali con molt’ ono­ re nel Tempio, cioè nel 15go;onde sembra che fra questi anni cominciassero ad esser celebri in Milano , ove fo i si stabilirono nel j_Gog. Ercole è il capo di questa famiglia. L ’ Orlandi dopo il Malvasia ce lo rappresenta come un generale che avendo perduto il campo in Bologna, ove non po­ tè competere co’ Samacchini, co’ Cesi, co’ Sabbati- ni, co’ Passerotti, co’ Fontana, co’ Caiacci .foce poi fronte in Milano ai Figini , ai Filini, ai Ce­ roni, a’Morazzoni. Non vedo come verificar que­ sto detto. Ercole era nato nel i 5'aò , come lessi in un MS. del P. Resta nella Biblioteca Ambro­ siana; e nel 1590 , quando uscì dal torchio il Tempio della Pittura , era già vecchio , nè mise mai in Milano al pubblico veruna pittura; onde il Lomazzo dovette cercare di che lodarlo in Par­ ma e specialmente in Bologna. Quivi restano an­ cora molte sue opere, ove conoscere se avessero più ragione il Malvasia e il Baldinucci, qualifi­ candolo come pittar mediocre ; o il Lomazzo, che lo chiama felicissim o imitatore del colorare del gran Coreggio, e della sua vaghezza e leggiadria. Per quanto a me apparisce egli veramente è un po’ minuto in disegno, ed alquanto fiacco nel co­ lorito quasi a norma de’Fiorentini, cosa così co­ mune a’contemporanei, che io non so come se ne potesse far carico a lui solo. Nel resto è grazioso, accurato , esatto quanto pochi del suo tempo; e forse la soverchia sua diligenza in una città ove dominava il frettoloso Fontana, potè fargli osta­ colo. Ma'questa, oltra il tenerlo esente dal ma­ nierismo a cui già piegava il secolo , lo dispose ad essere un ottimo precettore , il cui principal EPOCA TERZA 75 dovere sta nel frenare la intolleranza o il fuoco de’giovani,e avvezzarli alla precisione e alla fi- nezza del gusto. Cosi dalla sua scuola uscirono allievi eccellenti, un Samacchini, un Sabbatini , un Rertoja. Istruì anco alla pittura i tre figli, Ca­ millo, Giulio Cesare e Carlo Antonio, di cui na­ cque l’ Ercole giuniore ; maestri tutti della gio­ ventù milanese,de’quali è da dire ordinatamente. Camillo è il solo de’ tre fratelli che fosse co­ gnito al Lomazzo , presso cui è descritto per fa­ moso pittore in disegno e in colorito. Ebbe i pri— m’ insegnamenti dal padre; e spesso lo dà a co­ noscere nelle leste , c nel comparto delle tinte , quantunque ove operò con più studio , le avvi­ vasse e rompesse meglio . e facesse uso de’ can­ gianti con più artifizio. Vide altre scuole, c, se ne crediamo ad alcuni biografi, si esercitò in Roma sopra Michelangiolo e Raffaello: e più che in al­ tri studio per teste nel Parmigianino , della cui imitazione traspajon segni in ogni sua opera. Eb­ be una facilità maravigliosa d’ ingegno e di pen­ nello, e una naturalezza, una venustà, uno spiri­ to che guadagna l’ occhio ancorché non contenti sempre la mente. Nè è maraviglia ; avendo egli scosso fin da principio il freno della educazione paterna , e fatte opero per dieci pittori in Rolo- gna, in Ravenna, in Reggio, in Piacenza, in Pa­ via , in Genova; cognominato da molti il Yasari e lo Zuccaro della Lombardia; benché a dir ve­ ro, gli avanzi nella dolcezza dello stile e nel co­ lorilo. Dipinse sopra tutto in Milano; e questa città ha molte delle sue migliori pitture , con le quali ivi si fece nome, e molle delle peggiori, con le quali contentò gli estimatori del nome suo. So- 76 SCUOLA MILANESE Ilo ivi delle sue prime opere e piu esenti da ma- niera gli Sportelli dell’ organo alla Metropolitana Con varj misterj di N. S. e con due storie di Da­ vide che Sono l’ arpa; istorie che il Malvasia ha descritte minutamente. Non però in Milano fece cosa tanto ricordevole, quanto è il Giudizio a S. Procol di Reggio tenuto per uno de' più begli affreschi di Lombardia, e quel S. Rocco fra gli appestati che Sgomentava Annibai Caracci quando dovette fargli il quadro compagno (Malv. p. 466). Donne pure e Studiate sopra il costume di Camil­ lo son le pitture che lavorò al duomo di Piacenza ove il Duca di Parma lo fece competere con Lo­ dovico Caracci artefice già provetto. Camillo vi figurò N. Signora coronata da Dio Regina dell’ U— niverso,con una Copiosa gloria di Angioli,ne’qua- li veramente fu leggiadrissimo: e a Lodovico toc­ cò di rappresentare iv’intorno agli Angioli, e l ini- petto alla Coronazione i Padri del Limbo. Il pri­ mo ebbe il posto più degno della tribuna ; ma eb­ be ed ha ancora il men degno nella stima de’ ri­ guardanti. Per quanto comparisca ivi valentuo­ mo, e riceva applausi dal Girupeno e da altri e storici e viaggiatori, pure a quella vicinanza egli in certo modo impiccolisce: la novità delle idee del Caracci scuopre meglio la comunalità delle sue; la verità de’ volli, degli atti, de’ simboli, ohe Lodovico mette ne’suoi Angeli, fa parer monotona e languida la gloria del Procaccini; il grande che impresse il Caracci in que’ Patriarchi, fa dispia­ cere che altrettanto non ne imprimesse Camillo nella divinità. Fecero pure alcune storie della Madonna l’ uno rimpetto all’ altro, e quasi con la stessa proporzione che abbiamo detto. Ma come t epoca terza 77 Caparri eran pochi, cosi il Procaccini trionfò le più volte vicino a1 competitori. Anche oggidì è lien ricevuto nelle quadrerie de’ Grandi ; e il no­ stro Principe ne ha recentemente acquistata una Assunta con Apostoli intorno al sepolcro ben va­ riali e di gran maniera. Giulio Cesare, il migliore de’ Procaccini, dopo avere perqualche tempo esercitata la scultura con molta lode, rivolse l’ animo alla pittura, come ad arte più ingenua e meno laboriosa. Frequentò in Bologna l’ accademia de’ Caracci; e dicesi che of­ feso da Annibale con un mollo pungente, lo per- c.otesse e lo ferisse. L’ abbreviatore francese, che segna la nascita di Giulio Cesare nel 1548, diffe­ risce questa rissa fino al 1609, nel quale i Pro­ caccini si stabilirono in Milano. Ma ella dovet- t’ essere avvenuta assai prima; poiché nel 1609 Giulio Cesare era gran pittore, e Anuibale finì di esserlo. G li studj di Giulio Cesare furono special- mente sugli originali del Coreggio, ed è opinione di molti che niun' altro si sia meglio di lui avvi­ cinalo a quel grande stile. Ne’ quadri da stanza e di poche figure, ov’ è più facile l’imitazione, spes­ so è stato confuso col suo esemplate; quantunque in lui la grazia non sia nativa e schietta ugual­ mente, nè l'impasto de’ colori sì vigoroso. Una sua Madonna, ch’ è in Roma a S. Luigi de’ Franzcsi, fu incisa, non ha molto, come opera dell’ Allegri, da un bravo artefice; e ve ne ha delle meglio con­ traffatte nel palazzo Sanvilali in Parma, in quello de’ Oareghi in Genova e altrove. Fra le sue tavole d’ altare, che molte sono, la più coreggiesca che io ne vedessi, è a S. Afra di Brescia. R appresenta N. Signora col S. Bambino, ed alcuni Angioli e 78 SCUOLA MILANESE Santi che lo vagheggiano e ridono inverso lub Nel che forse ha oltrepassati i limiti del decoro per servire alla grazia , come ha pur fatto nella Nunziata a S, Antonio di Milano, ové la S. Ver-* gine e il S. Angiolo corridono insieme; cosa men degna di tal tempo e di tal mistero. Anche nelle mosse è caduto qualche rara volta nel soverchio, come nel Martirio di S. Nazario alla sua chiesa, quadro che incanta per l’ insieme, per l’ armonia, per la grazia ; ma il carnefice è in una mossa trop­ po forzata. Ha lasciate Giulio Cesare molte copio­ sissime istorie, come il Passaggio del mar Rosso a S- Vittore in Milano, e più anche in Genova, ove il Soprani le ha indicate e ciò che sorprende in laDlo numero, è stalo esatto nel disegno, vario nelle invenzioni, studiato nel nudo e nel panneg­ giamento, accompagnando il tutto con un grande che, se io non erro, derivò da’ Caiacci. Nella sa­ grestia di S. M. di Saronno è una sua pittura de51 SS. Andrea, Carlo ed Ambrogio, che ha lutto il sublime di quella scuola; se già non dee dirsi eh’ egli a par de’ Caiacci lo derivò da’ magnifici originali di Parma. A questi due vuole aggiungersi Carlantonio Procaccini, non come figurista, ma come buon paesista e dipintore accreditato di fiori e di frut­ ti. Ne lavorò assaissimi quadri per le Gallerie di Milano; i quali piaciuti a Corte, che a que’ dì era spaglinola , n’ ebbe frequenti commissioni per la Spagna; ond' egli, eh’ era il pittore più debole della famiglia, divenne per questa via il più co­ nosciuto. I Procaccini tennero scuola in Milano, ed eb- bon fama di amorevoli e diligenti maestri, sicché ÈPOCA TERZA 79 diedero

( i ) Esiste attualmente nell'I. R Pinacoteca. EPOCA TERZA 81 rilà scritta dallo stesso Zuccheri nel Passaggio per V Italia, libro rarissimo e da me non veduto in quel tempo. In esso son descritte le pitture del collegio Borromeo di Pavia; e nella loro descri­ zione rilevasi che lo Zuccari non fece altra pit­ tura fuor della principale, S. Carlo che nel Con­ cistoro riceve il cappello cardinalizio; le altre sou di CesareNebbia, che contemporaneamente le di­ pinse. E per ritoccarle a bell’agio, mentre si asciu­ gavano, furono dal card. Federigo mandati a vi­ sitare il sagro Monte di Varallo, donde passarono ad Arona, indi all’ Isola Bella sul Lago Maggiore, ov’ ebbon per compagno il sig. Cardinale, e vi la­ sciarono ciascuno un lavoro a fresco sopra due pi­ lastri della cappella quivi esistente. Nell’ archivio poi del Collegio si è trovalo lettera originale del Cardinale, in cui raccomanda al Rettore di allora il Nebbia, perchè sia nel Collegio ricevuto e trat­ tato, e nel libro di Cassa i pagamenti fatti ad en­ trambi. Passando ora a quegli che studiarono altrove, ricorderò brevemente il Ricci di Novara, il Pa­ roni e il Nappi di Milano, e se v’ ha altri Milanesi fra que’che il Baglioni commemora nelle sue vite. Costoro dimorati in Roma non contribuirono alla scuola patria nè esempj, nè allievi; e aRoma stes­ sa crebber più il numero alle pitture, che l’ orna­ mento alla città. Il Ricci fu frescante abile a con­ tentare la fretta di Sisto Y , a’ cui lavori presedè, promovendo il gusto snervato che allora correva, benché facile e di belle forme. Il Paroni tentò le vie del Caravaggio, ma poco visse. Il Nappi è va­ rio; e dove ha dipinto nel suo stile lombardo, come in un’ Assunta al chiostro della Minerva, e 8 » SCUOLA MILANESE in altre cose all’ Umiltà, è un naturalista che ap­ paga più che i manieristi del suo tempo. Visse medesimamente in Roma per qualche an­ no il cav, P ierfrancesco Mazzucehelli, dal paese della nascita denominato il Morazzone; e dopo avere ivi esercitata la mente e la mano in vista de’ buoni esemplari, tornò alla sua scuola mila­ nese, dove insegnò, e anche migliorò senza para­ gone il primiero stile. Basta ricordarsi della Epi­ fania che rappresentò a fresco in una cappella a S. Silvestro in capite ; pittura senz’ altra bellezza che di colore; e veder l’ ultra Epifania che ne ha Milano a S. Antonio Abate, che sembra cosa di tutt' altro pennello; vi è disegno, vi è effetto, vi è sfoggio di vestire all’ uso de’ V eneti, Dicesi che in Tiziano ed in Paolo studiasse molto; e vi ha degli Angioli da lui dipinti con braccia e con gambe di quelle lunghe proporzioni che non so­ no il meglio del Tintoretto. Anzi generalmente parlando, l’ ingegno del Morazzone non par fatto pel delicato, ma pel forte e pel grandioso, sicco­ me appare a S. Giovanni di Como nel S. Michele vincitore de’ rei Angioli, e nella cappella della Flagellazione a . Nel 1626 fu invitato aPia- cenza per dipingere la gran cupola della Catte­ drale ; lavoro che, occupalo da morte, lasciò qua- s’ intatto al Guercino. Egli vi avea fatto due pro­ feti, che in ogni altro luogo sarebbono conside­ ratissimi; ma quivi restan oscurati dalle vicine ligure del suo successore, cioè di quel mago della pittura, che ivi pose il più grande incantesimo che mai facesse. Il Morazzone servì alle quadre­ rie non men che alle chiese, impiegato molto e EPOCA TEMA 8 3 dal card. Federigo e dal Re di Sardegna, da cui ebbe 1’ abito di cavaliere. Visse contemporaneamente Gio. Batista Crespi, più conosciuto sotto il nome diCerano sua patria, picciol luogo nel Novarese, di famiglia pittorica, che in S. Maria di Busto ha lasciate di sè memo­ rie, avendo ivi dipinto Gio.Pietro avo, e Raffael­ lo , non so se padre o zio di questo Gio. Batista, di cui scriviamo. Egli studiò in Roma e in Vene­ zia; e alla pittura uni gran cognizione di archi- lettura e di plastica, e perizia ancora in amene lettere e in arti cavalleresche. Con tanti orna­ menti primeggiò sempre e nella corte di Milano, da cui era provvisionato, e nelle vaste intraprese «lei card. Federigo, e nella direzione dell’1 Acca­ demia. Per lacere delle sue fabbriche e delle sta­ tue e bassirilievi che fece o che disegnò, come di cose estranee al mio tema, dipinse buon numero di tavole, ove a grandi virtù congiunse talora, se io non erro, gran vizj. E franco, spiritoso, accor­ dato sempre; ma non di rado è manierato per af­ fettazione o di grazia o di grandiosità come in certe storie alla Pace, ove i nudi dan nel pesan­ te, e le mosse divarie figure nel violento. Altro­ ve ha moderato questi difetti; ma ha caricato gli scuri sopra il dovere. Tuttavia in gran parte delle sue opere sovrabbonda tanto il buono ed il bello, clic apparisce uno de’ miglior maestri della scuo­ la. Così nel Battesimo di S. Agostino, ch’ è a S. Marco, compete con Giulio Procaccini che gli è a fronte, e a detta di alcuni lo vince: così a S. Paolo in una tavola de’ SS. Carlo ed Ambro­ gio supera i Campi almanco nel gusto del colori­ to; così nel celebre quadro del Rosario a S. Laz- 8 4 SCUOIA MILANESE zaro fa parére men riguardevole il bel fresco del Nuvoloni. Ebbe particolarissimo talento in dipin­ gere uccelli e quadrupedi; e ne compose quadri da stanza, come si raccoglie dal Soprani nella Vita di Sinibaldo Scorza (a). Formò varj allievi, che si riserbano a inferior epoca; eccetto Daniele Crespi milanese che per la dignità e pel tempo in che visse non dee disgiungersi dal maestro (b). Daniele è un di que’ gr., d’ Italiani che si co­ noscono appena fuor della patria. Ma egli fu un raro ingegno, che istruito dal Cerano, poi dal mi­ glior Procaccini, avanzò il primo senza contro­ versia, e a parer di molti ancora il secondo, quan­ tunque non compisse il giro di quarant’anni. Do­ tato di un ingegno penetrante in conoscere, facile in eseguire, seppe ne’ maestri imitare il meglio, e schivare il men lodevole; e forsechè sapute le massime della scuola caraccesca, anche senza fre­ quentarla, le adottò e le praticò felicemente. Mol-

(a) II Cerano, oltre il disegno, esegui il modello e diresse i lavori del gran colosso di S. Carlo sopra A rona : il cartone di questo monumento esiste nel- V Ambrosiana. Fece pure opere lodate di architet­ tura e di scultura, fra le quali in Milano la faccia­ la ed i fianchi di S. Paolo , le porte principali del duomo colle sculture tanto ornamentali che figura - te che le adornano. (b ) Daniele Crespi ebbe a maestro il car. Ver­ miglio, come si ha per tradizione, e come lo stile lo I dimostra: ed in riguardo al migliore de’ Procacci- , ni che il Lanzi cita come altro istruttore, vi sono dei motivi e delle congetture che fanno considerare il Crespi piuttosto competitore che allievo. EPOCA TERZA 85 to ne liene in ciò ch’ è compartimento di colori; nelle idee de’ volti è diverso, scelto però e stu­ dioso in alleggiarli secondo gli affetti dell’ animo ; mirabile sopra lutto nell’ esprimer ne’ Santi l’ i- dea di una bell’ anima. Nella distribuzione delle figure tiene un ordine così naturale e insieme così beninteso, che niuna si vorria collocata in diver­ so posto ; il lor vestito è ben variato, e negli opu­ lenti è assai ricco. Colorisce con vigore grandis­ simo non meno a olio che a fresco; nella chiesa ornatissima della Passione, ov’ è quel suo gran Deposto di croce, ha lasciati molti ritratti d’ insi­ gni Lateranensi ,che posson dirsi del miglior gu­ sto tizianesco. E questi uno di que’ rari pittori che perpetuamente gareggiarono seco stessi, in­ gegnandosi che ogni lor nuovo lavoro avanzasse gli altri già fatti; i nei che si scuoprono nelle sue prime pitture, son corretti nell’ estreme; e le doti che in quelle pajon nascenti, in queste compari­ scono adulte e perfette. Le sue ultime pitture (e sono istorie della Vita di S. Brunone alla Certosa diMilano) son le opere più ammirate. Famosa fra tutte è quella del Dottor Parigino, che levatosi sopra il feretro manifesta la sua riprovazione. Qual disperazione in lui! quale orrore ne’ circo­ stanti! Lodatissima è anche quell’altra, ove il Du­ ca di Calabria, andando a caccia, scuopre il S. So­ litario, e dove l’ autore scrisse Daniel Crispus me- diolanensis pinxit hoc templum an. 1629. Ciò fu un anno prima della sua morte, poiché il conta­ gio del 1630 lagrimevolmenle lo eslinse insieme con tutta la sua famiglia. Si possono aggiunger qui come per corollario alcuni artefici, de’ quali se incerta è la scuola, è 8G SCUOLA MILANESE tuttavia certo il merito. Tal è Giovanni Batista Tarillio, rii cui nella chiesa soppressa d i S. Mar­ tino in Compito fu una tavola con data del 1575. D i un altro Milanese per nome Ran tizio Prata è rimasa memoria in alcune pitture fatte a Pavia: non le vidi, ma le trovo lodate da altri. Egli fio­ riva circa il 1635. Due fratelli ebbe allora il No­ varese coloritori di ragionevole gusto; il primo de’ quali fu anche disegnatore valente, Antonio e Gio. Melchiore Tanzi. Antonio competè co’ Car­ toni in Milano, si distinse in Varallo, e in S. Gau­ denzio di Novara figurò la battaglia di Sennache­ rib, opera tutta piena di vivacità e d’ intelligenza. Di lui in varie Gallerie di Vienna, di Venezia, di Napoli si conservan opere di storia e di prospet­ tiva £ del fratello non vesta cosa di gran merito.

EPOCA QUARTA.

Dopo Daniele Crespi la pittura va peggiorando. Fondasi una terza accademia per migliorar­ la.

Siam o all’ ultima epoca, che meritamente in­ titoliamo di decadenza. Mi ricordo di avere udito da un intendente che Daniel Crespi si può dire l’ultimo de’ Milanesi, come in altro genere Catone fu detto l’ ultimo de’ Romani. La proposizione è vera ove s'intenda di certi genj superiori alla co­ mmi sorte: nondimeno saria falsa quando esclu­ desse da tutto questo giro di tempo ogni buon pennello; c farebbe ingiuria a’ Nuvoloni, al Cai­ ro, e ad alquanti altri che son vivati in età a noi EPOCA QIUNTA 87 più vicine. Ma come Cassiodoro e qualche altro dotto non toglie al suo secolo la nota della bar­ barie, così i pittori predetti non tolgono all’ epo­ ca loro la nota della decadenza E il maggior nu­ mero che qualifica il gusto de’ tempi; e chi vide Milano e lo Stato, può aver notato che quando cominciò a prevalere la scuola de’ Procaccini, si trascurò più che mai il disegno, e la pratica suc­ cedette al ragionato e collo dipingere. G li artefici pel contagio eran divenuti più rari: dopo la mor­ te del card. Borromeo, cioè dopo il i 63i , diven­ nero anche meno concordi; onde l’ Accademia'da lui fondala per venti anni restò chiusa; e se per òpera di Antonio Busca fu poi riaperta, non per­ ciò produsse frulli congeneri a que’ di prima. Fosse il metodo d’ insegnare, fosse la mancanza del miglior mecenate, fosse la copia delle com­ missioni e la bontà de’ commettenti che animava i giovani a produrre i loro aborti prima del tem­ po; ninna scuola forse, rimasa orfana de’ buoni maestri,ne ha prodotti tanti de’mediocri e de’cat- tivi. Non mi tratterrò mollo a descriverli; procu­ rerò solo di non omettere coloro che si tengon tuttora in qualche considerazione. Noto general­ mente che i pittori di questa epoca, benché usciti di varie scuole, si somigliano scambievolmente, quasi fossero discesi da un sol maestro. Ni un ca­ rattere spiegano che dia nell’ occhio; non bellez­ za di proporzioni, non vivacità di volti, non gra­ zia di colorilo. Tutto par che languisca: la stessa imitazione de’ capiscuola non piace in loro, per­ chè o è scarsa, o è soverchia, o traligna nella pic­ colezza. Nella elezione de’ colori vedete non so che di simile alla scuola bolognese, da cui lo lor 8 8 SCUOLA MILANESE guide non erano state alieno; ma ci trovale spesso quel tenebroso che occupò allora le altre scuole pressoché tutte. A questa unilormilà di stile in Milano non è in verisimile che mollo cooperasse Ercole Procac­ cini detto il giuniore, nel quale chi non è preve­ nuto da passione troverà spesso il carattere già descritto; ancorché in opere studiale, come in un Assunta a S. M. Maggiore di Bergamo, mostri grandiosità, spirito, imitazione dello stil del Co- reggio. Fu istruito alla pittura prima da Carlan- tonio suo padre, indi da Giulio Cesare zio pater­ no. Si sa che col suono, col buon garbo, con la gloria domestica si agevolò la via ad una stima che superava forse il suo merito; e che visse cir­ ca ottani’ anni. Quindi potè trarre molti a seguir­ lo; tanto piùc h’ egli in sua casa tenne aperta ac­ cademia di nudo, e succedette agli zii nel magi­ stero della pittura ; veloce al pari di essi, ma non del pari fondato. Dipinse molto, e dalle migliori quadrerie di Milano, se non è ricercato come molti altri, non n’ è rimosso. Due giovani usciti dalla sua scuola gli han fat- t’onore singolarmente: Carlo Vimercati, che pe­ rò dee il suo meglio a un pertinace studio fatto su le opere di Daniele alla Certosa, ove per lun­ go tempo quotidianamente da Milano si trasferi­ va; e Antonio Busca, che similmente si esercitò intorno a’migliori esemplari in Milano e a Roma. Il Vimercati non espose in Milano alla vista pub­ blica se non poche cose; più dipinse in Codogno, e nella sua miglior maniera, c in una diversa che riuscì mollo inferiore. Il Busca lavorò in compa­ gnia del maestro j e in S. Marco anche in coni- EVOCA QUARTA 89 petenza. Ivi a Fronte di alcune istorie del Proa c - nini si vede il suo Crocifisso in allo pietosissimo con una N. Signora e una Maddalena e un S. Gio­ vanni che piangono e sforzano quasi a piangere chi gli mira. Cosi avesse operato sempre! Ma la gotta che gli tolse l’uso de’piedi lo invilì e lo con­ dusse a uno stile abbietto e di mera pratica. In quello stato, credo io, si trovava allora che alla Certosa di Pavia dipinse due sacre istorie nella cappella di S. Siro, l’ ima a fronte dell’ altra; ri­ petendo pigramente nella seconda volti che area effigiali nella prima: tanto un artefice è talora in contraddizione con sè stesso. Simil querela può rinnovarsi, ma per cagione diversa, circa lo stile di Cristoforo Storer di Costanza. Scolare del me­ desimo Ercole, fece anch’ egli opere di sodo gu­ sto, come un S. Martino che vidi presso il sig. abate Bianconi, pregiato molto dall’ intelligente possessore ; divenne poi ammanieralo, nè molto schivò le idee grossolane e volgari. Nel resto è piltor di spirito, e un de’pochi di questa età a cui competa la lode di bravo coloritore. Giovanni Ens milanese non so se uscisse dal medesimo stu­ dio, nè in quali anni vivesse;so che fu piltor men finito e di una delicatezza che confinò talora col languido, come a S. Marco in Milano. Lodovico Antonio David di Lugano, scolare di Ercole e del Cairo e del Cignani, visse mollo in Roma fa­ cendo ritratti, e viaggiò pure per l’ Italia: Vene­ zia ne ha a S. Silvestro una Natività di una ma­ niera minuta che scuopre un seguace di Camillo più che di altro de’ Procaccini. Scrisse iu pittu­ ra, e raccolse notizie intorno al Coraggio, su le quali è da vedere l'Orlandi nell’articolo di que- 9 0 SCUOLA MILANESE slo pittore ( 1 ), o piuttosto il Tiraboschi nella sua vita. Presso il nipote de’ miglior Procaccini collo­ chiamo il genero di uno di essi, il cavalier Fede­ rigo Bianchi, a cui Giulio Cesare, dopo averlo istruito, congiunse una figlia. Egli ha preso dal suocero piuttosto le massime che le forme o le mosse, le quali nel Bianchi han dell’originale, e sono senz’ affettazion graziose e leggiadre. Si fa molto conto di alcune sue Sacre famiglie a S. Stefano e alla Passione, e di altrettali quadri di non molte ma ben ideate ligure, siccom' è una Visitazione a S. Lorenzo, degna in tutte le parti di un discepolo prediletto di Giulio Cesare. Pel­ le grandi composizioni non ha forse gran lena; copioso per altro e di bell’ armonia, e certamen­ te un de’ miglior Milanesi del nostro secolo (a). Molto operò anchenelle città delPiemonteje deg- giamo alla sua diligenza non poche memorie di artefici che raccolse e comunicò al P. O rlandi, da cui furono pubblicate. Non dee confondersi con Francesco Bianchi amico di AntonmariaRug-

( i ) Nelle giunte dell’ Abbecedario fa tte dal Gua­ ri culi dopo V articolo dell’ Orlandi si legge Lodo- vico D avid di Lugano, di cui non trovò altra noti­ zia se non la pittura a S. Silvestro di V enezia. È un degli equivochi di quel continuatore.. (a) Federico Bianchi detto il Crespino impiegò il suo pennello in servigio del card. Federico Bor­ romeo. c nell'Ambrosiana fra diverse copie da liti fatte di opere classiche vi si ammirali le mezze fi­ gure componenti il Cenacolo di Lionardo alle Gra­ zie. EPOCA QUARTA 9 1 gieri, e compagno pressoché indivisibile. Dipin­ gevano ambedue di concordia per lo più a fre­ sco, e senza querela si ripartivano fra loro il de­ naro, la lode e il biasimo. Essi spettano a que­ sto secolo, a cui han lasciati miglior esempj di amicizia che di pittura. 11 maggior numero de’procaccincschi uscì dal­ la scuola di Camillo. Avea egli insegnato ancora in Bologna; ma non si conosce ivi se non Loren­ zo Franco, che istruito da esso divenne poi buon imitatore de’Caracci; quantunque, a giudizio del P. Resta, dia nel minuto: egli visse e morì in Reggio. In Milano la scuola di Camillo fu piena sempre; e niuno la illustrò tanto, quanto Andrea Salmeggia bergamasco, di cui nell’antecedente li­ bro si è scritto. Questi divenuto raffaellesco in Roma, si fece di tempo in tempo rivedere e am­ mirare in Milano. Come costoro fu seguace di Camillo una volta, ma poi vi aggiunse molto di altrui. Giovanni Batista Discepoli, detto lo Zop­ po di Lugano, uno de'coloritori più veri, più fo t t i , più sugosi del suo tempo ; nel resto da coll o - carsi fra’ naturalisti piuttosto che fra gl’ideali. Son varie sue pitture in Milano, e specialmente in S. Carlo un Purgatorio espresso con mollo artifizio: molto è di lui in patria e per quella riviera, e qualcosa a Como, ove a S. Teresa dipinse la Ti­ tolare co’quadri laterali, che tiensi una delle mi­ gliori tavole della città (a). Nè inferior lode rac­ colse,sebbene in tutt'altre stile,un Cornara, autore

(a) Si vegga la Presentazione de’Magi, esistente nella I. R . Pinacoteca, e si decida se regga il giu­ dizio che ne dà il nostro autore. f)2 SCUOLA MILANESE di non molle opere, ma conduite con una certa squisitezza di gusto del tutto sua, che le rende preziose alle quadrerie (a). Una delle migliori ta­ vole che facesse, fu il S. Benedetto alla Certosa di Pavia, pittura oggidì molt' offesa dal tempo; ve n’ è qualch'altra terminala dopo la morte del padre da una sua figlia pittrice, che ne fece an­ co d’ invenzion propria. Giovanni Mauro Rovere, che dalla maniera di Camillo passò a quella di Giulio Cesare fu dei primi che aderissero a’ Procaccini; e potria per la età situarsi nella loro epoca , e la sua maniera di dipingere soverchiamente veloce non meritas­ se inferior luogo. Abbondava di quel fuoco che usalo con giudizio dà l’ anima alle pitture; abu­ sato ne scompone la simetria. Rare volte, ma pur talora Io temperò come in una Cena di N. Si­ gnore a S. Angelo, quadro studiato. Un Giamba- tista e un altro suo fratello, che trovo nominalo Marco, operarono con lui per le chiese e per ca- private; scorretti, ma spiritosi. Ne restano non |o lavori a fresco, ma in olire quadri a olio istorie, di battaglie, di prospettive di paesi qua- s’ in ogni angolo della città. G li trovo cognomi­ nati anco Rossetti ; e più son cogniti sotto il no­ me di Fiamminghini, dedotto dalla nazione di Riccardo ior padre, che di Fiandra venne a sta­ bilirsi in Milano. Ai tre Rosselli succedettero i tre Santagostini;

(a) Nel Conial a si trova un imitatore del Careg­ gio : ina sia ch'egli si servisse d'imprimiture oscu­ re,sia che impiegasse poco colore, isuoi dipinti so­ no sbiaditi e languidi. EPOCA q u a rta 9 3 il primo de’ quali, Giacomi) Antonio scolare di Carlo Procaccini, poco ha messo al pubblico;mol- lo i suoi figli Agostino e Giacinto talora unita­ mente, come le due grand’ istorie a S. Fedele, spesso anche separatamente. Si distinsero dal vol­ go de’coelanei, specialmente Agostino. Egli fu il primo a scrivere sulle pitture di Milano una ope­ retta edita nel 1671, e intitolata : L' immortalità e glorie del pennello. Qualunque luogo gli meri­ ti fra gli scrittori un libro di questo titolo, la Sa­ cra Famiglia da lui dipinta a S. Alessandro,e cer­ te altre opere più limate lo fan conoscere buon pittore secondo que’tempi; vago, espressivo, ac­ cordato , benché alquanto minuto. L ’Ossana , il Biffi, il Ciocca, il Gioiscili ed altri proeaccineschi men nominali in Milano stesso potran mancare senza molto scapito alla mia storia. 1 due Nuvoloni nominati non ha gran tempo, benché istruiti dal padre, possono sotto qualche aspetto appartenere anche a’ Procaccini; percioc­ ché Carlo Francesco, il maggiore, tenne sul nrin- cipio la maniera di Giulio Cesare: e in Giusep­ pe si vide sempre una composizione, e un colo­ rito derivato da quella scuola. Ma il primo scor­ to dal genio diedesi alla sequela di Guido; e lau­ to vi riuscì, che n’ è tuttora chiamalo il Guido della Lombardia. Non abbonda in figure; ma in esse è delicato e gentile , graz.ioso nelle forme e nel girar delle leste , con una soavità e armonia di tinte clic piace fra pochi. Vidi a S. Vittore una sua tela, ove rappresentò il miracolo di S. Pietro alla Porla Speciosa, e non poche altre in Milano, a Parma, a Cremona, a Piacenza, a Como, sid gu­ sto poc’anzi detto. Fu scelto a ritrarre la Reina 9 4 SCUOLA MILANESE di Spagna, quando venne in Milano; c si conser­ vano per le case de’ nobili i ritraili che fece a’ privati. Le sue Madonne sono ambite dalle qua­ drerie, una delle quali ne hanno i signori Conti del Verme, ricca, di tutte le grazie del suo pen­ nello; se già non ne sparse ivi in troppa abbon­ danza a scapito della maestà. L ’Orlandi riferisce le opere di pietà che solea premettere quando si accingeva a dipingere le immagini della Vergine. Non so come ne penseranno alcuni de’suoi e de’ miei lettori. Io amo singolarmente, siccome G iu­ sto Lipsio fra’ letterati, cosi questo Carlo France­ sco fra’dipintori, che quantunque in istato di se­ colari professavano una filiale pietà verso Maria Santissima Nostra Signora; pietà che da’primi Pa­ dri della Chiesa è trapassata di mano in mano G- no a’dì nostri come una tessera degli eletti. Il mi­ nor fratello è pittore più macchinoso, di più fuo­ co, di più fantasia ; ma non sempre scelto ugual­ mente, nè esente sempre dagli scuri troppo ga­ gliardi. Dipinse assai più di Carlo non solo per le città della Lombardia che nominai poco sopra, ma eziandio per lo Stalo Veneto, e in più chiese di Brescia. Le sue pitture a S. Domenico di Crer mona, e'specialmente la gran tela del Morto risu­ scitato dal Santo, ornala di bellissime architettu­ re, e avvivata da naturalissime espressioni, sono delle opere sue migliori. E da credere che fosser condotte nei suoi anni più vegeti, perciocché ve ne ha delle altre che sentono di vecchiaia, aven­ do egli dipinto fino all’età ottogenaria, in cui fu collo da morte. Non è a mia notizia ch’egli lasciasse allievi di nome. Dal fratello Carlo Francesco fu istruito EPOCA QUARTA 95 Gioseffo Zanata, erudito pittore, come ne giudi­ ca l’Orlandi, Presso lui, e quindi anco presso i veneti maestri studiò Federigo Panza, e dipinse di forte macchia, che avanzandosi nell’efa rifor­ mò e rese più dolce; adoperato e premiato dalla R. Corte di Torino. La stessa scuola frequentò , uomo di un talentu vasto, e na­ to a opere macchinose; ferace d’ idee , e risoluto nell’eseguirle. Dipinge con una certa franchezza, e, come dicono, sprezzatura, che quantunque non finisca, pur piace ; e piaceria maggiormente se ne’ precetti dell’arte fosse più profondo. Competè eoa Federigo Bianchi nella gran volta di S. Alessan­ dro Martire, e con altri bravi professori in simi­ li lavori a fresco, e dappertutto impresse orme di gran genio, Singolarmente par che si compiaces­ se in una Predicazione del Balista a Saranno, ove appose il suo nome. È di poche figure, ma belle e ben variate, di tinte forti, e con opportuni sbat- timenti;onde nasce assaibello effetto, Pietro Mag­ gi suo discepolo non lo pareggiò nell’ indole, e lo avanzò nella fretta, Giuseppe Rivola , che servì più a’ privati che al pubblico, merita pur ricor­ danza ; contandolo i suoi cittadini fra’migliori al­ lievi dell’ Abbiati. Il Cerano, benché distratto in più cure e so­ printendenze, istruì molti, e con particolare suc­ cesso Melchiore Giraldini. Giunse questi a trat­ tar lo stile del maestro con buon possesso; facile, gajo, armonioso; inferiore però sempre all’istrut­ tore nel tocco magistral pel pennello. Alla Ma­ donna presso S. Celso è di sua mano una S. Ca­ terina da Siena ch’ è lodatissima. Dal Cerano fu scelto per genero, e lascialo erede del suo studio, 9 6 SCUOLA MILANESE Incise anco in acqua forte certe minute istorie e battaglie sul far del Callot, e in questo genere di lavori addestrò un figlio, che nelle quadrerie fu bene accolto tra’ battaglisti. Y i addestrò anco un giovane di Gallarate, Carlo Cane, che in età più ferma datosi tutto a copiare e a seguire il Moraz­ ione, molto si avanzò in quello stile. Contraffece assai bene quel vigor di tinte e quel rilievo; nel resto comunale nelle forme e nelle invenzioni. G li altari ne han tavole; e nel maggiore del duo­ mo di Monza ve n’è uno di vai j Santi, a piè de’ quali è un cane, che per significare il suo nome mellea dappertutto, anche in paradiso. Ovunque lavorò a fresco tenne ottimo metodo: le due sto­ rie di S. Ambrogio e di S. Ugo dipinte nella gran chiesa della Certosa di Pavia,ed altri suoi freschi conservano tutto il lor colorito. Tenne scuola in Milano, c dalla sua mediocrità può congetturarsi di quella de’suoi seguaci. Qualche nome fra essi godè Cesare Fiori, di cui alcune opere di macchi­ na sono pubblicale; e dopo lui Andrea Porta suo scolare, che voi l’emulare lo stile del Legnanino. Y i sono altri che si accostano a’ due Cerani mi­ gliori: come un Giuliano Pozzobonelli,pittore di molto credito, e un Bartolommeo Genovesini (i), di cui ci avanzano opere che hanno del grandio­ so; e quel Giovanili Batista Secchj, cognominalo dalla patria anco il Caravaggio, aS. Pietro in Ges­ sate mise una tavola della Epifania col suo nome.

(i ) Lo nominai così nell’altra edizione,perchè gli altri scrittori tutti così lo avean detto: mail suo ca­ satofu Roverio. c il soprannome G enovesino. Ve­ di il primo Indice. EPOCA QÜARTA 97 Il Morazzone contò scolari, imitatori, copisti in gran numero in Milano e fuòri. Onore di tale scuola fu il cavalier Francesco Cairo, che aven­ do incominciato, com’è Costume, dal seguir fo r­ me del maestro , cangiò poi maniera in vista di migliori esemplari che studiò in Roma e in Ve­ nezia. E ancla’ egli pittor grandioso, e coloritore di effetto; lo unisce però ad una delicatezza di pennello, ad una gentilezza di forme, ed una gra­ zia di espressione, che il tutto de’suoi dipinti vi presenta uno stile che ha del nuovo e sorprende. quattro Ss. Fondatori a S . Vittore; la S . Tere­ sa svenuta di amor celeste a S . Carlo; il S . Save­ rio a Brera ; varj ritratti alla tizianesca , e altri quadri in privato e in pubblico a Milano, a To­ rino e altrove* gli fan tenere fra’ pittori un grado distinto, comechè non ischivi ogni volta la taccia di tenebroso. Nè niun onore recarono al Moraz- zone i due fratelli Gioseffo e Stefano Danedi. co­ munemente detti i Montalti. Il primo introdotto da lui nell’ arte s’ingentilì sotto Guido Reni, del cui stile sente quanto basta , come si può veder nella Strage degl’ Innocenti a San Sebastiano e nella Nunziata compagna. Stefano, che io sappia, non frequentò scuole estere ; non però si attenne del tutto alla maniera del Morazzone suo mae­ stro; 1’ affinò anch’egli su l'esempio del fratello, e dipinse con accuratezza e con amore più che non consigliavano i suoi tempi. Il Martirio di S. Giustina che fece a S. Maria in Pedone , è con­ dotto con questa finezza; e di più va esente da un certo'che di freddo e di languido che scema il pregio ad altre sue opere. Uno de’più attacca­ ti alla maniera del Morazzone, e più vicini a lui 98 scuola milanese per la bravura del pennello, fu il cav. Isidoro Bianchi, altramente delio Isidoro da Campione , miglior frescante che dipintore a olio, pei-quan­ to appare a Milano nella chiesa di Si Ambrogio, e in salie chiese di Como, Costui fu scelto dal Duca di Savoja a terminare una gran sala in Ri­ voli, rimasta imperfetta per la morie di Pierfran- Cesco. Ivi fu dichiarato pittar Ducale nel 1631 Circa il medesimo tempo vissero in Conio, ol­ tre i Buslini (i), due fratelli, discepoli pure del Morazzone , Gio. Paolo e G io. Batista R ech i, la citi maggior lode è ne’freschi. Ne hann’ornato S . Giovanni e altre chiese della patria, due cappel­ le di Yarese, ed altre in quei contorni. Il secon- do si è distinto anche fuor di Stato, specialmen­ te a S. Carlo di Torino,ove si vede presso il mae­ stro. Ha uno stile sodo e robusto, tinge con forza, e nella ragione del sotto in su non cede a molti del suo tempo. Di ciò il Pasta nella Guida di Bergamo lo ha commendato meritamente , scri­ vendo di ima Santa Grata che sale in cielo 5 Ope­ ra, dic’egli, che mirabilmente diletta. In certe ca­ mere della Veneria di Torino ebbe per compa­ gno un Giovanni Antonio suo nipote. La Guida di Milano ne nomina non pochi altri, che allo stile sembrano istituiti da’pfecedenti, come Pao­ lo Caccianiga, Tommaso Fom enti, Giambatista Pozzi. Mentre la scuola milaneseandava invecchian-

(1) Benedetto Crespi d'una maniera forte insie­ me ed elegante, come ne scrive V Orlandi; Antonio Maria suoJìglio e scolare, e Pietro Bianchi erede de’suoi disegni: tutti e tre chiamati Bustini. EPOCA QUARTA 99 do, e non piu dava maestri ehm promettessero quanto i primi, o i secondi, Ja gioventù provve­ deva a sé stessa, cercando di bere a fonti più ac­ creditati; e molti furono allora che qua e là si dispersero in traccia di nuovi stili. Tralascio la famiglia de'Cittadini che si stabilì a Bologna, o a dir meglio, la riserbo a quella scuola. Stefano Le- gnani, detto il .Legnanino per non confonderlo col padre Cristoforo ritrattista, riuscì un de' più chiari artefici che fossero in Lombardia intorno a’principj di questo secolo, avendo freqentato il Cigna ni in Bologna, il Maralta in Roma. Nell’una c nell’altra città saria computato fra’buoni allie­ vi di que’dlie maestri, se vi avesse lasciate ope­ re; ancorché in processo di tempo alquanto si manierasse. E scelto, sobrio, giudizioso nelle sue Composizioni, con un certo impasto e lucentezza di colorito, che non è in uso fra’ maratteschi. Si è distinto in istorie a fresco: ne ha S. Marco, ne ha Sant’ Angiolo; e qui è una sua Battaglia vinta Con la protezione di S. Jacopo Apostolo, che mo­ stra un fuoco da trattare i più difficili temi della pilLura. Ha lasciate mollissime opere anche in Genova , in Torino e pel Piemonte, e a Novara quella cupola di S. Gaudenzio, di cui non fece forse cosa più bella. Andrea Lanzani, dopo aver prese lezioni dallo Scaramuccia scolar di Guido, che per qualche tempo si trattenne in Milano, passò a quelle del Marnila in Roma ; ma ii genio lo portò in fine a stile meno placido , e si diede a imitar Lanfran­ co. Le sue opere m igliori, come in altri si è os­ servalo , son quelle che tornato da Roma lavorò in patria ne’primi tempi, memore ancora de’pre- 100 SCÜOti MIt.ÀNESË Tutti e degli esempj romani ;e ira essei l S. Car- lo in gloria, che in certi giorni si espone con al­ tri quadri della Metropolitana. Fece pure nella Biblioteca Ambrosiana un bel quadro de le geste del card. Federigo: nè in simili rappresentanze lascia desiderare copia d'idee, ricchezza di abiti, effetto di chiaroscuro. Le più volle però trae la sua lode dalla facilità e dalla franchezza del pen­ nello più che d’ altronde. Finì i suoi giorni in Germania, onorato ivi del grado di cavaliere; e in Italia non lasciò migliore allievo di Ottavio Parodi, che assai stette in Roma, ed è lodato dal- l'Orlandi. Da Roma pure, e dalla scuola di Ciro Ferri tornò Ambrogio Besozzi, perchè alla ma­ niera marattesca facesse anco in Milano contrap­ posto la cortonesca : ma egli dipinse ornali piu che istorie; abile ancora in queste per quanto in­ dica il suo S. Sebastiano a S. Ambrogio. In Ve­ nezia studiò il Pagani, e v’ insegnò ancora, con­ tandosi il celebre Pellegrini fra’ suoi allievi. No­ ta lo Zanetti che v’introdusse nelle accademie uri nuovo gusto di disegnare il nudo, caricato alquan­ to, ma di buon effetto. Vi lasciò qualche tavola in pubblico, e tornò in Lombardia a chiudere i suoi giorni. Dello sue pitture abbondan le chie­ se e le quadrerie in Milano, e ne ha anco quella di Dresda. Pietro Gilardi dalla scuola patria passò a Bo­ logna, e apprese ivi dal Franceschini e da Gian- gioseffo del Sole come migliorarsi. Il suo dipin­ gere è sfumato, fucile, armonioso, adatto a ornar cupole e volte e grandi pareti, siccome fece nel refettorio di S. Vittore a Milano; opera che gli fa onore. Terminò a Varese la cappella dell’ Assun- ÈPOCA QUARTA 1 0 1 zìone sui Cationi debLegnanino, morto p r im a d i c o m p ie r la 5 e qualche sua opera interrotta per la sita morte fu Continuata e finita dal Cav. Gio. Ba­ tista Sassi. Lo stile di questo, che si eserciti) molto in Na­ poli sotto Solimene, è ragionevole in ciò ch*è di­ segno; e quantunque dipingesse per più chiese in Pavia e in Milano, pure il suo maggior credito l ’ ebbe da piccioli quadri da stanza. Non so s’ egli recasse in queste bande quel colorito verdastro, che da Napoli si è propagato in più scuole; o se piuttosto qua s’ inoltrasse per la via di Torino, ove dipinse e figurò molto Corrado Giacquinto. Tal moda non è dispiaciuta qui ad alcuni. Gio- seffo Petrini da Caronno, che fu scolare del Prete Genovese, l’ ha portata innanzi fino all’ eccesso; e non se n’ è guardalo in ogni lavoro Pietro Ma- gatti di Varese, vivuto fino a questi ultimi anni; l ’ uno e l’ altro riputati buoni artefici secondo la loro eia. Nè potea mancare a città sì vasta qual­ che seguace de’ Veneti che han figurato in questo secolo: veggonsi alcune imitazioni del Piazzetta ed alcune del Tiepolo in certe chiese; essendo costume de’ giovani, che s’ iniziano alla pittura, Correre dietro a’ vivi che lucrano, e curar meno i morti che già lucrarono. Dovria qui aver luogo un maggior Milanese, che in paese estero ampliò 1’ onor della patria; Francesco Caccianiga assai noto in Roma, poco fra’ suoi. Ma avendone io scritto nella scuola romana, qui non farò altro che rinfrescarne al letture la memoria e la stima. Ben nominerò il suo contemporaneo Antonio Cuc­ chi, rimaso in Milano, non perchè l’ uguagliasse, tua perchè su le orme de’ R omani pur si distinse 102 SCUOLA MILANÉSE se non per lo spirito, almen per la diligenza. Nè tacerò Ferdinando Porta lodevole per varie pit­ ture che condusse ad imitazione del Coreggio, ma incostante e non ugnale a sè stesso. E questi ba­ stino alla presente epoca, che ne ha prodotti altri di qualche grido, ma non esteso gran fatto oltre il suolo natio. Il libro delle P itture d 'Italia e la Nuova Guida di Milano, fin che le lor memorie non si raccolgono, porgeranno a' curiosi la noti­ zia de’ nomi delle opere loro. Dopo che la capitale cominciò a preferir le scuole forestiere alla sua propria, quei dello Stato facean lo stesso; sopra tutto i Pavesi, i quali in questo ultimo secolo hanno avuti più professori che in altra età. Niuno di questi moderni è mollo nolo fuor della patria. Ben dovrebb’ esserlo Carlo Soriani (come lo chiama ilBartoli), che nellaCat- tedrale dipinse il quadro del Rosario co’ quindi­ ci misterj all’ intorno; grazioso lavoro sul far del Sojaro. La serie de’ pittori accennati comincia da CarloSacchi, che l’ Orlandi dice istruito dal Ros­ so pavese; ma questi è verisimilmente Carlanto- nio Rossi milanese, che nel duomo di Pavia di­ pinse il S. Siro e i due laterali di buon gusto pro- caccinesco, e nell’ Abbecedario è descritto per uomo lunatico, ma perito nell’ arte sua. Il Sacelli continuò in Roma e in Venezia i suoi studi-; e quando volle imitar Paolo, come in un miracolo di un Morto risuscitato da S. Jacopo elv è agli Osservanti, vi riuscì bene; buon coloritore, or­ natore sfoggiato, spiritoso nelle attitudini ; sentin­ elle in queste eccede talora, e dà in affettazione. Ha servito anco a quadrerie: io ne vidi un Ada­ mo con Èva presso il sig. cav. Brambilla in Pavia EPOCA QUARTA 103 degni di quella scelta collezione. Dubbiamente fra’ suoi condiscepoli pongo Gio. Batista Tassime­ l a , risguardando solo nel tempo in cui visse. Con più certezza su la relazione dell’ Orlandi credo scolare di lui stesso Carlo Bersotti buon professo­ re della inferior pittura, in cui si fermò. Tom­ maso Gatti insieme con Bernardino Ciceri furono i suoi allievi migliori; che fatti altri studj, il pri­ mo in Venezia, il secondo a Roma, riuscirono buoni pratici. Il Gatti educò Marcantonio Pellini, e lo consegnò di poi a’ Veneti e a’ Bolognesi, che noi promossero oltre la sfera del maestro. Al Ci­ ceri succedette il suo scolare Gioseffo Crastona, pur tinto della erudizione di Roma, ove divenne pittar di figure, e più di paesi, de’ quali è gran copia in P avia. Degli ultimi sono stati Pieranto- nio Barbieri discepolo di Bastiano Ricci, e Car- lantonio Bianchi seguace del dipinger romano. I. pittori che ho nominali quasi per serie, han pie­ ne di lor tavole e di lor freschi tutte le chiese di Pavia, che pure son molte; dando alla patria più di novità, ma non molto più di splendore: ninno Tede Pavia per loro. Altri pur dello Stato e delle sue vicinanze circa i tempi del Sacchi, o non molto dopo, ne usciro­ no, e altrove divenner celebri; siccome il Mola dello Stato di Como, di cui altrove si è scritto; e Pietro de’ Pietri, che nato nel Novarese, studiò e morì in Roma, ove fu da noi lodato fra’ maratte- ichi. In Roma pure si abilitò Antonio Sacchi co­ masco; donde tornato in Lombardia, e presa a di­ pingere una cupola nella sua patria, prese il pun­ to troppo alto, e fece figure sì gigantesche, che ne accorò e morì di dolore. Comasco similmente fu 104 SCUOLA MILANESE un F: Emanuele Min, Biformato, che inserito dal» l ’ Orlandi nell’ Abbecedario come pittore forma­ tosi da sé stesso, merita che si corregga tal detto, Conciossiachè destinalo ad abitare in Messina, si diede scolare al Siila ed emendata la debole ma­ niera fattasi in patria, ornò con miglior gusto varj luoghi del suo Ordine in Sicilia e in Roma- In Como sono due sue pitture presso i R iformati; in refettorio una cattiva Cena sul fare della scuola milanese cadente; in chiesa una Pietà fra varj SS, di buono stile; tanto può l’ esercizio e la riflessio­ ne e il buono indirizzo anche in età adulta. Questa epoca produsse un prospettivo eccel­ lente, del quale si è fatta menzione nella scuola romana, ove imparò e lasciò alcune opere, Gio­ vanni Ghisolfi scolare di Salvator Rosa, Ora è da aggiugnere che tornato in Milano, oltre le archi­ tetture ove si conta fra’ prim i, diessi a lavorare anche istorie in grande, e tavole d’altare, e con molto buon gusto lavorò anche a fresco nella Cer­ tosa di Pavia e nel Santuario di V arese. Un suo nipote nominato Bernardo Bacchetti lo segui con lode, le cui prospettive non meno che quelle dj Clemente Spera non son rare nelle quadrerie. Il Torre la menzione ancora di un Lucchese, che assai bene dipingea prospettive e figure, detto Paolo Pini. Io non ne vidi altro che una storia di Rahab in S, M. di Campagna a Piacenza : l’ archi­ tettura è bella molto; le figure svelte e toccate con brio. In vaste opere di ornati a fresco è lodato dall’ Orlandi Pierfrancesco Prina, e i dueMariani Domenico e Gioseffo suo figlio. Il padre stette fer» mo in Milano, e fra varj allievi informò i Castel­ lino da Monza ; l' altro si recò a Bologna, e quivi EPOCA QUARTA 105 apprese come migliorare il paterno stile, e distin­ guersi per la Italia e per la Germania. Questi ba­ sterà aver ricordati in un tempo che non è stato del miglior gusto in tal genere di pittura. Paesista di grido sul far dell’Agricola suo mae­ stro fu Fabio Ceruti, de’ cui quadri non ha pe­ nuria la città, nè lo Stalo. Vive anche la memo­ ria di un Perugini nominato dal cav. Ratti nella vita di Alessandro Magnasco di Genova detto L i- sandrino. Questi uscito dalla scuula dell’Abbiati, e fermatosi gran tempo in Milano, a’ quadri del Perugini, dello Spera e di altri aggiugnea figuri­ ne di quel merito che descriveremo nella scuola natia. Il Magnasco medesimo ancor da sè può consi­ derarsi come buono artefice della minor pittura per que’ quadrettini all’ uso fiammingo di bam­ bocciate e di popolari rappresentanze, onde or­ nava le quadrerie. Tenne anche scuola in Mila­ no, e vi ebbe imitatori un Coppa ed alquanti al­ tri; ma più che niun altro gli si appressò Bastia­ no R icci, ingegno maravigliosamente pieghevole ad ogn’imitazione. Nel medesimo gusto dipinse in Milano Martino Cignaroli, che da Verona e dal­ la scuola del Carpioni recò abilità a’quadri spe­ cialmente da stanza. Insieme con Pietro suo fra­ tello e con la famiglia si stabilì in questa sua nuo­ va patria,ov’ebbe un figliuolo detto Scipione,che in Roma si formò paesista di merito, e visse poi in Milano e in Torino. Circa il 1700 si stabilì in Milano Lorenzo Co- mendich ricordato da noi fra gli scolari del Mon­ ti; e in casa del Barone Martini suo mecenate fe­ ce molte opere: e la più applaudita fu la Balta- 106 SCUOLA MILANESE glia di Luzzara, che vinta da Luigi X IV videla con gradimento rappresentata da questo artefice. Nelle pitture de’greggì e di ogni genere di ani­ mali valse Carlo Cane forse più che in quelle de­ gli uomini. L ’Orlandi celebra come maraviglioso in tal genere Angiolmaria C rivelli, di cui nulla vidi onde confermargli tanto elogio. Questi a Mi­ lano è chiamato il Crivellone a differenza di Ja­ copo suo figliuolo, il cui talento principale fu ne­ gli uccelli e ne’pesci: assai lavorò per la corte di Parma; ed è mancato di vita nel 60 di questi! se­ colo. Più a noi vicino di tempo è stato un Iion- donio, che assai ragionevolmente dipinse armen­ ti; e presso i sigg. Conti Greppi, e in altre nobi­ li case se ne veggon quadri pastorali. Vi ebbe in Como un Moderno singolare in rappresentare ra­ mi di cucina sul gusto de’ Bassani, co’ quali lo confondono i men periti. Ne ho veduti quadret­ ti assai belli presso i Conti Giovio. Fu anche fio­ rista di inerito, e più di lui un Mario de'Crespi- ni suo allievo, le cui opere sono sparse e quivi e per le città vicine. Di altri professori d’ inferior nota ho sparse memorie in più luoghi. Resta che si parli di una terza Accademia fon­ data in Milano nel 1775 dalla immortai Sovrana Maria Teresa, e promossa con sempre nuove be­ neficenze da’due Figli Giuseppe e Leopoldo Au­ gusti, e dal successore dell’ Impero e degli Stati loro Francesco II, che anche fra i tumulti della guerra non dimenticava mai le belle arti della pa­ ce. Gli stabilimenti co’quali questa nuova Acca­ demia comparve adulta fin dal momento che si fondava, son riferiti compendiosamente dal de­ gnissimo Segretario della medesima nella nuova EPOC* QUART* To7 Guida citata già molte volte. In essa può legger­ si la varietà, il numero, il merito de’ professori; gli ajuti de’gessi, de’disegni, delle stampe, de’li- bri che sono ivi apparecchiali a chi studia; e gli esercizj che vi si praticano con grande utile del­ la nazione, che ha comincialo già da più anni ad avere il gusto più fino e la coltura più estesa. io8 LIBRO TERZO

SCUOLA BOLOGNESE.

Abbiam osservalo nel decorso di quest’opera, che la gloria del dipingere, non altrimenti che quella delle lettere e delle armi, è ita di luogo in luogo; e ovunque si è ferma,ha perfezionala qual­ che parte della pittura meno intesa da’preceden- ti artefici , o meno curata. Quando il secolo se- stodecimo declinava all’ occaso, non vi era oggi- mai in natura o genere di bellezza, o aspetto di essa , che non fosse stato da qualche professor grande vagheggialo e ritratto; talché il dipinto- re, voless’egli o non volesse, mentre era imitato­ re della natura, dovea esserlo a un tempo de’ mi- glior maestri; e il trovar nuovi stili dovea esse­ re un temperare in questo o in quell’altro modo gli antichi. Adunque la sola via della imitazione eraaperta per distinguersi all’umano ingegno; non sembrando poter disegnare figure più maestre­ volmente di un Bonarruoti o di un Vinci, o di aggraziarle meglio di Raffaello, o di colorirle più al vivo di Tiziano, o di muoverle più spiritosa­ mente che il Tintoretto , o di ornarle più ricca­ mente che Paolo , o di presentarle all’ occhio in qualunque distanza e prospetto con più arte, con più rotondità, con più incantatrice forza di quel che già facesse il Coreggio. Questa via della imi­ tazione batteva allora ogni scuola; ma veramen- SCUOLA BOLOGNESE 1 0 9 te con poco metodo. Ognuna era pressoché serva del suo capo; nè in altro sapea segnalarsi, che in quella parte in ch’egli avea vinto lutti, Ma il se­ gnalarsi in quella parte non era presso que’ set­ tari, se non copiar le figure stesse riducendole a maniera più capricciosa e più spedila; ose non altro, adattandole fuor di luogo. I raffaelleschi in ogni quadro eccedevano nell’ ideale, nella notu- mia i michelangioleschi; l’ importuna vivacità e ]o scorto importuno ricompariva in ogni più pu- gata istoria de’ Veneti e de’Lumbardi. Y i furono alquanti,comeabbiam notato in ogni luogo, che da’comuni pregiudizi, e quasi da una caligine che occupava l’Italia, ergessero il capo , e studiassero ne’maestri di paesi diversi percòr- re il più bel fiore da ognuno: sopra tutti i Campi in Cremona dieder di questo metodo assai buoni esempj. Ma questi disuguali fra loro di dottrina e di genio, divisi in più scuole, dissociati da pri­ vati interessi, usati a guidar gli allievi per la via sola eh’ essi premevano , e oltre a ciò rinchiusi sempre fra’confini della provincia loro natia, uon insegnarono alla Italia, o non propagarono alme­ no il metodo d’ una vera e lodevole imitazione. Quest’onore era riserbato a Bologna , il cui fato fu detto essere l’insegnare, come il governare fu detto essere il fato di Roma ; e fu opera non di un’ accademia , ma di una casa. La famiglia dei Caracci ricca in ingegni, unanime ne’voleri, vol­ ta a indagare i segreti piuttosto che gli stipendj della pittura, trovò la via dell’imitare; e questa divulgò prima per la vicina Romagna, indi la co­ municò al rimanente d'Italia, che in breve tem­ pi! dall’un mare all'altro quasi da per tulio ne fu I IO SCUOLA ripiena. La somma della loro dottrina fu che il pittore dividesse, per così dire, i suoi sguardi fra la natura e l’ arte; e or questa , or quella vicen­ devolmente riguardasse; e secondo il natio talen­ to e la propria sua disposizione, da questa e da quella scegliesse meglio. Così quella scuola , che fu ultima iti fiorire , divenne prima in ammae­ strare , e dopo avere appreso da tutte insegnò a tutte; e quella che non avea fino a quel tempo avuta forma o carattere da distinguersi fra le al­ tre, produsse di poi tante quasi nuove maniere , quanti erano i Caiacci e gli allievi loro. Anela l ’animo e la penna di giungere a quella felice età, e cerca le vie più compendiose , e odia e sfugge ciò che può o divertire o prolungare il suo viag­ gio. Vociferi il Malvasia contro il Vasari: si adi­ ri contro i suoi rami, ove il Bagnacavallo compa • risce in fisonomia caprigna, quando dovea aver­ la di galantuomo: vituperi i suoi scritti , ove i professori di Bologna sono altri omessi, altri lo­ dati scarsamente, altri biasimati fino a dir male di un Mastro Amico e di un Mastro Biagio : non m’impegnerò molto a stenuare tali querele, nè ad aggravarle. Assai di questo autore ho scrìtto in più luoghi. Nè perciò lascierò io di emendarlo, o di supplirlo ove farà d’ uopo, scorto da’ più mo­ derni (x); nè ricuserò di notare anco nel Malva-

(i ) Ninna scuola d’Italia è stala descritta da più abili penne. Il co. canonico Malvasia fu buon lette­ rato, e se ne legge la Vita scritta dal Crespi. One’ due tomi dellasua Felsina Pittricesaran sempre un tesoro di bellissime cognizioni adunale dagli scola­ ri de' Caracci ch’ egli conobbe, e da’qualifu ajuta- BOLOGNESE I I I sia qualche difetto di buona critica non avverti­ to nel bollore di quella contenzione, li lettore se ne avvedrà fin da questa prima epoca, nella qua­ le, secondo il mio stile, risalgo alle origini, e de­ scrivo i primordj di tanta scuola. Insieme co'Bo- lognesi considererò molti professori della Roma­ gna , riserbandone alquanti altri alla scuola fer­ rarese, di cui furono o allievi o maestri.

to a quell'opera, accusata però di lino zelo patriot­ tico troppo ardente alle volte. Il Crespi e lo Zum i­ ti ne furono i continuatorijdel inerito de’quali trat­ tiamo nell'ultima epoca. A questi libri si aggiunge l'opera clic ha per titolo Pitture,Scolture e Archi­ tetture di Bologna, che nelle ultime edizioni è stata fornit a di bellissime notizie, anche tratte da MSS.} c vi cooperarono fr a gli altri il sig. abate Bianco­ ni. lodato da noi altrove,e il signor Marcello Ovet­ ti diligentissimo raccoglitore di notizie pittoriche. Questa cito io sotto nome di Guida di Bologna ; oltre la quale nomino in Romagna laravennate del Beltrami, la riminesé del Costa, la pesarese del Becci; a cui van congiunte alcune osservazioni su le migliori pitture di Pesaro, e una dissertazione su la Pittura, produzioni veramente Ielle del sig. ca­ nonico Lazzarini. 112 ÈPOCA PRIMA

Gli Antichi

L a nuova G uida di Bologna dell’ anno addita non poche immagini, specialmente di No­ stra Signora, che in rigore delle antiche memorie si assegnano a secoli anteriori al mille dugento» Di alcune troviamo indicali gli autori} ed è vanto forse Unico di Bologna di poter nominar tre nati nel secolo dodicesimo; Un Guido, Un Ventura e un Ursone, del quale si trovàn memorie fino al 1248. Le più sono d’ incerto autore; e cosi ben fatte, che dee sospettarsi per lo meno essere state ritocche circa i tempi di Lippo Dalmasio, al cui stile certe di esse molto conformatisi. Non così al­ tre, e singolarmente Una in S . Pietro, che io eresio delle più antiche che abbiamo in Italia, Ma il più gran monumento che in pittura serbi Bologna, il più intatto, il più singolare, è il calino di S . Ste- fano, ov’ è figurata l’ Adorazione dell’ Agnello di Dio descritta nell’ Apocalissi, e più al basso Varie storie evangeliche, la Nascita di N.Signore, la sua Epifania, la Disputa e simili. L ’ autore o fu greco, o piuttosto scolar di que’ Greci che ornarono di musaici S.Marco in Venezia; molto avvicinandosi a quella maniera nel disegno rozzo, nella esilità delle gambe, nel compartimento de* colori; ed è cerio altronde che que’ Greci educarono alla Ita- lia alquanti pittori, e fra essi il fondatore della scuola ferrarese; di che a suo tempo. Comunque siasi, ha pur questo dipintore alcune cose diverse da que’musaicisti,siccome l’andamento delle bar­ be, il taglio delle vesti,il gusto meno affollato del* EPOCA PIUMA 113 lp composizioni ; e quanto al suo tempo, lo mani­ festa rivulo fra il duodecimo secolo e il terzode- cimo la forma de’ caratteri paragonata con altre scritture di quella età. Entrando nel secol di Giotto, ch'è il più liti­ gioso di tutti gli altri, perchè i Fiorentini voglio­ no avere insegnato a’ Bolognesi, e i Bolognesi non vogliono avere appreso da’ Fiorentini, non mi at­ terrò ai loro scritti, ove il calor della disputa ha offuscato il candor della storia. Trarrò lume piut­ tosto dalle immagini de’ trecentisti qua e là per la città e per tutta Romagna, e dalle copiose rac­ colte che se ne veggono in più luoghi. Tal è quel­ la de’ PP. Classensi in Ravenna, quella dell1 Isti­ tuto in Bologna, e quivi pure 1’ altra di palazzo Malvezzi,ove con lungo ordine sono esposti i qua­ dri degli antichi maestri coi nomi loro, non sem­ pre scritti di antica mano, nè sempre certi ugual­ mente, ma da far sempre onore al genio della n'o- hil famiglia che li adunò. In tutte esse trovai pit­ ture e manifestamente greche,e apertamente giot­ tesche, e certe di veneto stile, e non poche d'una manier a che non vidi fuor di Bologna. Vi è un impasto di colori, un gusto di prospettive,un mo­ do di disegnare e di vestir le figure, che non ten­ nero altre città: per esempio vidi in più luoghi storie evangeliche, ove sempre il Redentore è co­ perto di manto rosso; ed altre persone han vesti con certa nuova orlatura d’ oro: piccole cose, ma non ovvie in niun’ altra scuola. Da tali osserva­ zioni mi pare poter concludere che in quel secolo avessero anco i Bolognesi una loro scuola non co­ sì elegante, non cosi celebre, ma pur propria, e I I 4 SCUOLA BOLOGNESE quasi dissi municipale, derivata da’ musaicisti an­ tichi , e anco da’ miniatori. In questo proposito, malgrado la brevità pro­ postami, deggio riferire ciò che scrive il Baldi- nucci nelle notizie di Franco miniatore: Dopo che il celebratissimo pittore Giotto fiorentino ebbe la nuova e bella maniera del dipingere ritrovata, con cui si guadagnò il nome di primo restauratore dell'arte, ami d’ aver la medesima richiamata da ' morte a vita: e dopo che egli pure ebbe con indu­ striosa diligenza atteso a quel bel modo di dipinge­ re che si dice di minio, che per lo più si fa in picco­ lissime figure : molti altri ancora si applicarono a tal facoltà, e in poco tempo divennero valenti. Uno di auesti fu Oderigi d’Agubbio-del quale abbiamo par­ lato a luogo suofra'discepoli di (limabile... Trovam­ mo che questo Ùdcrigi,come ne attesta il Velutello nel suo contento di Dante sopra I’ X I canto del Pur- gaiorio ( i ), fu maestro nell’arte di Franco Bologne-

(i) Oh dissi lui. non se’ tu Oderisi L ’onor d’Agubbio, e l ’onor di quell’arte Che alluminar è chiamata a Parisi? Frate, diss'egli, più ridon le carte Che pennelleggia Franco Bolognese : L ’onor è tutto or suo, e mio in parte. Ben non sarei stato sì cortese, Mentre eh io vissi per lo gran disio D ell’eccellentia. ove mio cor intese. D i tal superbia qui si para il fio ... Aggiunge di poi come in esempio di ciò ch'era av­ venuto a sè : Credette Cimabue nella pittura EPOCA PRIMA I 1 5 sé: là quale asserzione viene a ricever grati fo n d dall'aver esso molto operalo di minio nella città di Bologna per le parole che io trovo aver detto di Ini Benvenuto da Imola contemporaneo del Petrarea ilei suo contento sopra Dante: Iste Odorisius fuit magnus miniator in civitate Bondniae, qui erat valde vanus jactator artis sue..D a questo Franco, secondo la sentenza del nominato Malvasia, la no- buissima e sempre gloriosa città di Bologna ricevè la prima semenza della bell’ arte della pittura; Con questa narrazióne, quasi Con una fresca acquerel­ l a l a l’autore dolcemente inaffiando l’albero della pittura, piantato da lui poco innanzi per far ve­ dere la derivazione degli artisti dal primo stipite Cirnabue. Scrissi altrove che quest’ albero non ha radice nella storia, ma in congetture assai deboli, adunate per rispondere alla Felsina pittrice del Malvasia; nel qual libro la scuola bolognese com­ parisce, per dir cosi, autoctona, e nata per sè me­ desima. Òr il Baldinucci per derivarla daFirenze s’ ingegnò di persuadere che Oderigi miniatore e maestro di Franco primo pittor di Bologna dopo le arti risorte, che Oderigi, dico, fosse discepolo di Cirnabue. II suo raziocinio è questo ; eh’ essen­ do stati fra loro amicissimi Dante, Giotto, Ode­ rigi, ed essendo tutti e tre dati a belle arti, do­ vessero aver contratta quest’ amicizia alla scuola di Cirnabue : come Se tale amicizia in tre uomini viaggiatori non si potesse conciliare in altro luo­ go, nè in altro tempo. Senzachè mal può credersi che Oderigi volendo professar miniature di pic-

Tener lo campo, ed ora ha Giotto ’l grido Sicché la fam a di colui è scura. 116 SCUOLA BOLOGNESE cole figure fia libri, s’infiirizzasse a Cimabue, ch’e ra in que’ tempi non il miglior disegnatore, ma il miglior frescante di tutti, e il miglior pittore di grandi immagini. Adunque più verisimile è il credere che Ode­ rigi da’ miniatori, eh’ erano in Italia allora mol­ tissimi , apprendesse 1’ arte, e col suo disegno la migliorasse. Nè 1’ epoche stesse fissate dal Baldi- nucci favoriscono il suo sistema. Egli vuole che Giotto di dieci anni, cioè ciròa il 1286 comincias­ se a disegnare nella scuola di Cimabne, quando questi ne contava quarantasei; nè men di esso dovea contarne Oderigi, che morì circa il 1299, un anno prima di Cimabue, uguale a lui nel cre­ dito della professione, uguale nella dignità del- E allievo, che già avanzava il maestro. Or quanto è difficile a persuadersi che uno spirito descritto­ ci da Dante come altero e pien di albagia s'invi­ lisse a disegnare alla scuola di un coetaneo presso il banchetto di un fanciullo: e vi vu to poi sola­ mente tredici anni, si acquistasse fama di primo miniatore della sua età, e formasse anco un allie­ vo miglior di sè? Nè ha meno dell’ incredibile che Oderigi veduti gli esempj di Giotto in miniatura, in poco tempo divenisse valente. Giotto fu a Roma a’ servigi del Papa nel 1298, contando ventidue anni; ove, dice il Baldinucci, miniò anche un li­ bro pel cardinal Stefaneschi; cosa non detta dal Vasari, nè appoggiata dall’ Istorico a verun docu­ mento. Ma creduto anche tutto ciò, qual tempo diamo a Oderigi per mostrarsi valente in vigore degli esempj di Giotto; a Oderigi, che morto già da qualche tempo, fu trovato da Dante nel pur­ gatorio,giusta il computo delBaldinucci,nel i 3oo? EPOCA PIUMA 117 Rendo pertanto questo miniatore alla scuola dì Bologna, probabilmente come allievo,sicuramen­ te come maestro; e su la fede del V elutello , co­ me maestro diFranco miniatore e pittore insieme. Franco è il primo de’ Bolognesi che insegnasse a molti, ed è quasi il Giotto di questa scuola. Resta però indietro al Giotto de’ Fiorentini non pochi passi, per quanto mostrano le poche reliquie che se ne additan tuttora nelMuseo Malvezzi. Il pezzo più certo è una N. Signora sedente in un trono con data del i 3 i 3 ; lavoro da paragonarsi alle opere di Cimabue, o di Guido da Siena. G li son pure ascritti due quadrettini assai graziosi, e si­ mili miniature. Gli allievi migliori che Franco fece alla sua scuola, a delta del Malvasia, sono un Vitale, un Lorenzo, un Simone, un Jacopo, un Cristoforo ; le cui pitture a fresco restano tuttavia alla Madon­ na di' Mezzaratta. E quella chiesa rispetto alla scuola bolognese ciò che il Campo Santo di Fisa rispetto alla fiorentina, uno studio ove compete­ rono i miglior trecentisti che fiorissero in queste bande. Non han costoro la semplicità, la elegan­ za , il compartimento che fa il merito de’ giotte­ schi; ma vi è una fantasia, un fuoco, un metodo di colorire, che il Bonarruoti e i Caracci, consi­ deralo il tempo in cui vissero, non gli ebbono a vile; anzi cominciando quelle pitture a guastar­ si, ne consigliarono e ne promossero il ristauro. Adunque nella chiesa antidetla in diversi tempi dipinsero istorie del vecchio e del nuovo Testa­ mento, oltre gli scolari di Franco già nominati, Galasso ferrarese , e un incognito imitatore dello stile di Giotto, che il Laino nel suo MS. asserisce 11 8 SCUOLA BOLOGNESE essereGiotto islesso. Io lo credo piuttosto qualche suo imitatore,e perchè il Vasari inMezzaratta non ci nomina Giotto, e perchè, se questi ci avesse di­ pinto, saria stato de’primi,e gli saria perciò tocca­ to a operare non in quell’angolo,ove son le pitture di stil fiorentino, ma in altro luogo più degno. Non lascio qui di avvertire che Giotto lavorò in Bologna. Si conserva tuttora una sua tavola a S. Antonio con la soscrizione Magister Ioctus de Florentia. Oltre a ciò, dal Vasari si apprende che Puccio Capanna fiorentino, e Ottaviano da Faen­ za, e Pace pur da Faenza, lutti scolari di Giotto, operarono qual molto e qual poco in Bologna. Di essi vi ha pur qualcosa, se io non erro, per le quadrerie e per le chiese. Nè vi mancan opere de’ successori di Taddeo Gaddi pure giottesco, che vedute a Firenze in gran numero non mi è stato malagevole a ravvisarle fra mezzo a quest’al- tra scuola. Oltre a tale stile, un altro ancora ne venne da Firenze in Bologna; e fu quello dell’ Or- cagna, i cui Novissimi di Santa Maria Novella fu­ rono pressoché copiati in una cappella di S. Pe­ tronio dipinta dopo il 14oo, ed è quella che il Vasari su la popolare tradizione asserì essere stata colorita da Buffalmacco. Dopo tali notizie forza è concludere che i Fiorentini influirono anche in Bologna nell’ arte; nè so lodare il Malvasia, che degli avanzamenti della sua scuola non sa loro nè grado, nè grazia. I loro esempi, eh’ erano allora i migliori del mondo, non veggo perchè non doves­ sero giovare in que’ tempi alla gioventù bologne­ se, come gli esempi de’ caracceschi han giovato in altro secolo alla fiorentina. Torniamo alle pitture di Mezzaratta. EPOCA PRÎMA 119 Gli autori di esse ricordati poc’ anzi altri son coetanei de’ discepoli di Giotto, altri posteriori riè veruno è più antico di Vital da Bologna dello dalleMadonne, le cui memorie sono dal 1320 fino al 1545. Questi, che ivi dipinse la Nascita del Si­ gnore, e di cui mano nel palazzo Malvezzi vedesi un S. Benedetto con altri SS., ebbe un disegno più secco, che non teneano i giotteschi di quella età, ed usò composizioni diverse da quella scuola tenacissima delle idee di Giotto. Se il Baldinucci di lui scrisse che in tutto e per tutto si conforma con lo stile de’ Fiorentini coetanei, lo scrisse su l’ altrui fede; e ciò solo gli bastò per affermare ch’ egli fosse scolar di Giotto, o di alcuno de’ suoi discepoli. Io non oso tanto : anzi dalla man di V i­ tale, che il Baldi nella Biblioteca bolognese chia­ ma manum elimatis simam, dal disegno assai sec­ co, e dal suo esercizio quasi unicb di dipinger Madonné, argomento ch’ egli non si discostassa mollo dall’ esempio di Franco miniatore più che pittore; e quella di Giotto, tanto più grande e varia e ricca d’ idee, non fosse certamente la sua scuola. Lorenzo veneto, come altrove scrissi, piuttosto che bolognese (tom. IV, pag. i 5) pittor della sto­ ria di Daniele, ove pose il suo nome, dipinse nei medesimi anni, e tentò copiose composizioni. Fu inferiore di molto a’Memmi, a’Laurati, a’ Gaddi, al grido de’quali lo paragona il Malvasia. Mostra l’ infanzia dell’arte sì nel disegno, sì nell’ espres­ sioni de’volti.il cui pianto talora provoca a riso, e si nelle attitudini forzate all’uso de’Grecie vio­ lente. Quindi nemmen qui si nomini Giotto; nel­ la cui scuola, per timore di non esorbitare, do 120 SCUOLA BOLOGNESE mina certa gravità e posatezza (anzi freddezza al­ cune volte), che l’ autore della Guida bolognese chiamò maniera slatuina; ed è una delle note per differenziar quella scuola dalle altre della stes­ sa età. Più tardi fiorirono Galasso, che dee cercarsi fra’pittor ferraresi, e i tre creduti discepoli di Vi­ tale; ciò sono Cristoforo, Simone e Jacopo che a Mozzarella operarono già provetti, pitture termi­ nale nel 1404. Fu Cristoforo non so se ferrarese o da Modena; scrive il Vasari; e mentre le due città ne contendon fra loro, il Baldi, il Musini e il Bumaldo istorici bolognesi ban composta la li­ te , aggiudicandolo alla lor Felsina. Ne rimanga per me in dubbio la patria, ma non la scuola in cui fiori; essendo certo che visse e mólto dipinse in tavole e in muri a Bologna. Egli doveva a quei dì avere ii maggior plauso; poiché a lui fu com­ messa la immagine dell’ altare tuttora superstite col suo nome. Ne bau pure i sigg. Malvezzi una tavola copiosissima di Santi compartita in dicci divisioni. Bozzo è il disegno delle figure, langui­ do il colorilo, ma vi è pure un gusto non deriva­ to certamente da’Fiorentini, ch’ è il nodo princi­ pale della questione. Simone che comunemente è detto in Bologna da’ Crocifissi, prevalse in queste sacre immagini; e in S. Stefano e in altre chiese ve ne ha parec­ chie assai grandi, non trascurate nel nudo, pieto­ sissime nel viso, con braccia stirate mollo, e con un velame segnalo a varj colori; simili a quella di G ioito nel colorito,e nel piè sovrapposto all’al­ tro; nel resto alle più antiche. Ho veduto pure al­ cune Madonne da lui dipinte or sedenti, or mez- EPOCA PIUMA 121 ze figuro, con vestiti e con mani all'uso delle gre­ che pitture , ma in sembianti e in atteggiamenti studiati molto e rari per quella età , una delle quali è a S. Michele in Bosco. Jacopo Avanzi fra’Bolognesi trecentisti è il mi­ gliore. Egli fece la più gran parte delle istorie di Mezzaralta ; molte in compagnia di Simone,qual­ cuna anche solo, come il miracolo della Probati­ ca, a piè del quale scrisse I acobus pinxit. Meglio che in altro luogo parmi che operasse nella cap­ pella di S. Jacepo al Santo di Padova; ove figu­ rando con molto spirito non so qual fatto d’ ar­ mi, si pnò dire che si conformasse molto allo sti­ le giottesco, anzi che in qualche modo avanzasse Giotto non uso a temi marziali.il suocapo d’ope­ ra par che fossero i Trionfi dipinti in una sala di Verona , che il Mantegna stesso lodava per cosa rarissima. Soscrivevasi talora lacobus Pauli ed io perciò ho dubitato che traesse origine da Ve­ nezia , e fosse quel desso che insieme con Paolo suo padre e Giovanni suo fratello dipinse ivi l’antica tavola di S. Marco. La età combina a ma­ raviglia; la somiglianza delle fisonomic ne’dipin- ti di S. Marco e di Mezzaratta avvalora il sospet­ to; nè facilmente mi persuado che l’Avanzi si sa­ ria chiamalo lacobus Pauli, se fosse allora vivu- to un altro pittore da far equivoco per simile so- scrizione. Nella Notizia Morelli (pag. 5) è nomi­ nato Jacopo Davanzo padoano, ovver veronese , ovver come alcuni dicono bolognese; per cui si po­ trebbe recare in dubbio il vero luogo della sua patria. Io, senza mischiarmi in tal quistione, di­ rò solo che inclino a credere che almeno, il suo stabile domicilio verso il fine di sua vita fosse in 122 SCUOLA BOLOGNESE Bologna; e si è altrove notato che alcuni pittori prendean quasi per cognome il luogo del loro sta­ bilimento. Par che a lui si appartengano due pit­ tori di questa età , quello che in una tavola a S. Michele in Bosco soscrivesi Petrus Iacobi,e quel- l’Orazio di Jacopo nominato dal Malvasia. Si os­ serva almeno in ogni scuola che chi nascea di padre pittore, volentieri ne produceva il nome quasi per sostegno e per commendazione del suo. Un Giovanni di Bologna sconosciuto in patria la­ sciò in Venezia una pittura di S. Cristoforo alla scuola de’Mercanti a S. Maria dell’Orlo, ove ag­ giunse il suo nome, non però l’ anno: dalla ma­ niera antica molto si può argomentare che il luo­ go che qui gli diamo non gli disconvenga. Lippo di Dalmasio, creduto già Carmelitano, finché nella edizione torinese del Baldinucci si provò coujugalo fino alla morte, uscì dalla scuo­ la di Vitale, e fu detto Lippo dalle Madonne. E favola che insegnasse alla B. Caterina V ig ri, di cui restano miniature, e un S. Bambino dipinto in tavola. La maniera di Lippo non si allontana dall’antica, se non forse in certa miglior unione di tinte e andamento di panni; a’ quali però ag- giugue trine d’oro assai larghe , come intorno a’ principi del 4oo dappertutto si costumava. Belle e singolari sono le teste , particolarmente in al­ cune Madonne , che Guido Reni non potea sa­ ziarsi di rimirare; solito dire che Lippo era aju- lato da una virtù superna a rappresentare in un volto la maestà, la santità, la dolcézza di una Ma­ dre di Dio; e che in ciò non era uguagliato da alcun moderno. Si ha tal notizia dal. Malvasia , che ne fu testimonio di udito. Ci assicura in ol- EPOCA PRIMA 123 tre su la fede di Guido, che Lippo dipinse a fre- sco certe istorie di Elia con grandissimo spirito; e su la perizia del T iarini ci Tuoi persuadere ch’egli dipinse a olio alquante delle sue immagi­ ni a S. Procolo,, in via S. Stefano, e in case pri­ vate: nel qual proposito impugna la opinione co­ mune eirca Antonello, discussa da noi altre vol­ te. Contemporaneo di Lippo dovett’ esser Maso da Bologna, pittore dell’aulica cupola della cat­ tedrale. Dopo il 1409, ultima epoca delle pitture di Lippo, declinò alquanto la scuola bolognese; nè altrimenti poteva essere. Il Dalmasio educatore della gioventù non era per professione pitlor d'i­ storie; e come i ritrattisti non han mai promossa notabilmente veruna scuola , così egli non potè giovare alla sua se non mediocremente. Gl’istori- ci incolpano della decadenza certe immagini re­ cate di Costantinopoli, cariche di linee scure ne’ contorni e nelle pieghe, e in tutto il resto somi­ glianti più alla secchezza e ineleganza de’ greci musaici, che alla pastosità e gentilezza che i mi­ glior Italiani venivano introducendo nell’arte. Il popolo ne cercava copie in Bologna , e in ogni città vicina , ord ’ è che ne ridondano tuttavia le botteghe de’ rigattieri e le case per que’ paesi, e non poche se ne veggono in Venezia e nel suo Stato (i). Ma qui non furono se non copiate: in

(i) I Greci avendo in tempi antichissimi prati­ cato di rappresentare N. Signora così rozzamente, han gradito sempre pitture simili. Fo quest’ avver­ tenza per torre di mezzo un errore molto comune ; ed è il credere che sia di rimotissima antichità ogni 124 SCUOLA. BOLOGNESE Bologna furono imitate ancora da alquanti allic­ ci di Lippo, clic quello stile trasferirono nelle loro composizioni o in parte, o del lutto. Di tale traviamento è accusato molto un Lianori solito soscriversi Petrus Ioanni, noto tuttavia per alcu­ ne opere Sparse in diverse chiese e quadrerie; un Orazio di Jacopo (forse dell’Avanzi), di cui è un ritratto di S. Bernardino all’Osservanza ; un Se­ vero da Bologna, a cui si ascrive una rozza tavo­ la nel Museo Malvezzi ; e non pochi altri o inno-

Madonna di greco st.de che ha occhi spalancati,di­ ta lunghe, carnagione bruna sulJure di i/uella di Pisa detta degli Organi,o di quelle di Cimabue. l ì pure ne ho vedute del x n .d c l x v n ejin delxy u t secolo,specialmente nel Musco di Classe,e in quel­ lo del Cattajo , e pe'palagi de’ Signori di Venetia. Una presso gli P ii. sig. (jiustiniahi Recanati, che malgrado il parere antichissima, ha in campo d’oro lettele rosse che dicono X E I P E’MMAINOYH’A IEPE.QC. . . a — -fé, Manus Emanuelis Sacerdo­ tis . . . an. 1660. Di questo greco Sacerdote notis­ simo a pittori di Venetia restano quivi altre tavole con simile inscrizione ; e si è usato sempre e si usa ancora in quella città di riprodurne delle simili per appagare le frequenti ricerche de’ greci negozianti. Adunque per giudicar rettamente della età di sìfa t­ te immaginiconvienpormente ad altri indizj diver­ si dal lor disegno ; come sarebbon le lettere, di che veggasi il primo tomo a p. 77;0 lafoggìa della cor­ nice,o il metodo del colorire, o quegli Angioletti che sul capo di M. V. . tengono una corona d'oro, a nel taglio e nel piegar delle vesti portano impronta di secoli a noi più vicini. e po ca piu m a 1 2 5 minati, o poco noti, i nomi de’quali non mi ma- raviglio che trascurasse il Vasari, avendo l'atto il medesimo verso i più.deboli suoi nazionali. Ben ricorda un Galante da Bologna , e dice aver lui disegnato meglio di Lippo suo maestro; ma in ciò ancora è ripreso dal Malvasia,che accomuna que­ sto Galante agli scolari degeneri del Dalmasio. Piè perciò mancò il buon seme de’ dipintori , per quanto i tempi lo comportavano, in Bologna e per la Romagna. Il Malvasìa loda un Jacopo Ripanda vivulo gran tempo in Roma, ove a me­ moria del Volterrano si mise a disegnare i bassi- rilievi della Colonna Trajana; un Ercole bolo­ gnese, che migliorò alquanto la siinelria de’ cor­ pi umani ; un Bombologno crocifissajo come Si- mone, ma di un fare più.colto. Celebra special- mente un Michel di Matteo, o Michel Lamberti­ ni, per cui onori basti dire che 1’ Albano ne lo­ dava una pittura creduta a olio fatta nel 1443 al­ la pescheria; e preferivala per la morbidezza a quelle pel Francia: ciò che ne avanza a’dì nostri e in S. Pietro e in S. Jacopo, può competere con le opere coetanee quasi di ogni maestro. Ma quegli che fa epoca nella scuola, è Marco Zoppo, che dalla- disciplina di Lippo tramutato­ si a quella dello Squarciane, riuscì uguale al Piz- zolo e a Dario da Trevigi ; e al par di loro com­ petè col Mantegna, e servì di stimolo ai suoi pro­ gressi. Vide anche la scuola veneta, e in essa di­ morò qualche tempo, e ivi dipinse per gli Osser­ vanti di Pesaro una N. Signora in trono , a cui fan corona S. Gio. Batista , S. Francesco e altri Santi ove scrisse : Marco Zoppo da Bologna dip. in V enexia 1471 .E questo il più gran quadro che 1 2 6 SCUOLA BOLOGNESE di lui ci rimanga ; du! quale, e da pochi altri pez­ zi di quella chiesa e di Bologna , si fa idea del suo stile La composizione è la comune de’quat- trocentisti specialmente veneti, eh’ egli forse in­ trodusse in Bologna, e vi durò fino al Francia e alla sua scuola; non variata per lo più , se non nggiugnendo qualche Angioletto ai gradi del tro­ no or con cetera, or senza. Lo stile non è leggia­ dro, nè svelto come quel del Mantegna; anzi pen­ de alquanto nel grossolano, particolarmente nel disegno de’ piedi,eperò meno rettilineo nelle pie­ ghe e più sciolto, e nella scelta de’colori forse più armonioso. Il nudo è ricercato quanto nel Signo­ relli, o in altri di quella età; e le figure e gli ac­ cessorj son condotti con finissima diligenza.Mar­ co fu anche vago ornatista di facciate. In questo genere di pittura gli fu compagno e imitatore Ja­ copo Forti a cui si attribuisce una Madouna di­ pinta in muro a S. Tomaso in mercato. Nella raccolta Malvezzi si ascrive a Jacopo una Depo­ sizione di N. Signore , opera che non uguaglia i progressi di quel secolo. Lo stesso può dirsi di moltissime altre circa a’medesimi anni fatte nel­ la stessa città, la quale verso il cader del secolo scarseggiava di buoni artefici. Quindi avvenne che Giovanni Bentivoglio, allora arbitro di Bolo­ gna, volendo ornare il suo palazzo, che se la for­ tuna gli arrideva, saria stata un giorno la reggia della Romagna , invitò da Ferrara e da Modena varj artefici, i quali misero miglior gusto in Bo­ logna, e al grand’ingegno del Francia porsero oc­ casione di svilupparsi anche nell’ arte della pit­ tura, come or ora diremo. Quest’uomo,il cui vero nome è Francesco Rai- EPOCA PRIMA 127 bolini, fu tenuto e celebrato per prim'uomo di quel lecolo, scrive il Malvasia; e doveva aggiugnere in Bologna, ove molti così sentivano ; essendovi ivi, per attestazione del Vasari, tenuto un Dio. Il ve­ ro è che il Francia fu sommo uomo in oreficeria; onde le medaglie e le monete stampate co’ suoi conj si uguagliavano a quelle del Caradosso mi­ lanese; e fu anche eccellente pittore in quello stile che dicesi antico moderno, siccome appara in moltissime quadrerie , ove le sue Madonne si stanno a lato di quelle di Pietro Perugino e di Gian Bellini. A costoro e agli altri migliori lo pa­ ragona Raffaello in una lettera del i 5o8 , edita dal Malvasia, ove loda le sue Madonne; non ve­ stendone da nessun altro più belle, e più divote e ben Jatte. La sua maniera è quasi media fra que’ due capiscuola, e partecipa di entrambi : tien di Pietro la scelta e il tuono de’colori; nella pienez­ za de'contorni, nella maestria del piegare e nel­ l’ampiezza de’vestiti più è simile al Bellini. Nel­ le leste non uguaglia la dolcezza e la grazia del primo; ma è più dignitoso e più vario che il se­ condo. Emula l’ uno e l’ altro negli accessori de? paesi; ma in quest’ arte e nello sfoggio delle ar­ chitetture non gli pareggia. Nella composizione de’quadri ama di collocare il divino Infante non tanto nel seno della Madre Vergine, quanto in al­ tro piano, uso antico della sua scuola; e vi ag­ giunge talvolta qualche mezza figura di Santo,sul costume de’Veneti di quel tempo. Però nel tota­ le più si avvicina alla scuola romana; e non è si raro il caso riferito dal Malvasia, che le sue Ma­ donne da’ meno esperti si ascrivano a Pietro. In Bologna furono anche sue opere a fresco , che il 1 2 8 SCUOLA BOLOGNESE Vasari commenda: e quivi e altrove sussistono molle sue tavole d'altari con figure più grandi di quelle che il Bellini e Pietro solean dipingervi ; lode antica della scuola bolognese, e a poco a po­ co accomunata alle altre con aumento di grandio­ sità alla pittura insieme ed al Santuario. Non ho ancor detta la lode maggiore di questo artefice; ed è, ch'egli fin alla età virile non avea tocco pennello, e che con nuovo esempio nel cor­ so di pochi anni fu scolare di quest’ arte e mae­ stro da poter competere co’Ferraresi e co’Mode- nesi più esperti. Giovanni Bentivoglio li avea condotti per adornargli il palazzo , come dicem­ mo. Ivi operò ancora il Francia , e a lui fu poi data a dipingere nel 1490 la tavola della cappel­ la Benlivogli a S. Jacopo, ove scrisse Francisons Francia Aurifex, quasi per dichiarare che la sua professione era 1’ oreficeria , non già la pittura. Nondimeno quell’opera è assai bella, e vi domi­ na gran sottigliezza d’ arte in ogni figura e orna­ mento , singolarmente ne’ pilastri rabescati alla mantegnesca. Aggrandì in processo di tempo lo stile; ond’è che gli storici distinguono la sua pri­ ma maniera dalla seconda.Il Cavazzoni, che scris­ se su le Madonne di Bologna, vuol che crediamo aver Raffaello islesso profittato degli esempj del Francia per dilatar la secca maniera appresa da Pietro. Noi daremo questa gloria all’ ingegno di Raffaello, le cui opere giovanili a San Severo di Perugia mostrano maggiore pastosità,che non era in quelle del maestro e del Francia; e dopo ciò agli esempj di Fra Bartolommeo della Porta e di Michielangiolo;non sapendo come potervi inclu­ dere il Francia. Quando Raffaello era in Roma EPOCA PRIMA I 29 riguardato più come Angiolo che come uomo, ed avea già spedita in Bologna qualche sua opera , cominciò a carteggiare col Francia , provocato dalle sue lettere; divenne suo amico, e nell’invia- re a Bologna il quadro di S. Cecilia, lo pregò cha conoscendoci errore lo correggesse; modestia da ammirarsi in quel nostro Apelle, più che le sua pitture. Ciò fu nel 1518, nel quale anno il Yasa- ri chiude la vita del Francia, che dice morto di passione all’ aspetto di quell" egregio lavoro. Il Malvasia Io confuta , provando che campò molti anni dopo, e così vecchio e cadente mutò maniera: e donde se non dagli esempj di Raffaello? In que­ sto cangiamento dipinse ed espose in una came­ ra della Zecca quel S. Sebastiano sì rinomato che per tradizione passata da’ Caracci nell’Albano, e da questo nel Malvasia , servì di studio alla gio­ ventù bolognese, che ne copiava le proporzioni non altrimenti che facessero gli antichi della sta­ tua di I’olicleto , o i moderni dell’ Apollo o del credulo Antinoo di Beh edere. Aggiungeva l' Al— bailo,che il Francia vedendo crescere il concorso alla sua pittura, e scemare alla S. Cecilia di Raf- faellogià morto, e temendo non si sospettasse aver­ lo a competenza di tant'uomo fatto ed espostolo tolse quindi e lo collocò nella chiesa-della Mise­ ricordia, ove ora ve n’è uua copia. L ’anno preci­ so della sua morte, finora ignoto, mi è stato pa­ lesato dal sig. cavalier Ratti, che in antico dise­ gno di una Santa, posseduto ora dal sig Tomma­ so Bernardo nobile lucchese, trovò scritto essere intervenuta a’ 7 di aprile del 1555. Istruì il Francia, oltre Giulio suo cugino che poco attese a dipingere, anche un suo figliu per 1 3 0 SCUOLA BOLOGNESE nome Giacomo. Spesso si dubita, come nella G al' leria de1 principi Giustiniani, se una Wadouna sia di Francesco Francia, o di suo figlio, che in tal immagini imitò molto lo stil paterno, benché a giudizio del Malvasia non lo pareggiasse. Veduto in opere maggiori in competenza del padre, talo­ ra gli si posporrebbe, come in S. Vitale di Bolo­ gna, ove Francesco dipinse intorno ad una Ma­ donna Angioletti nel suo primo gusto, esili al­ quanto, ma pur vaghi e in movenze agilissime; a Giacomo vi figurò una Natività di N. S. di un di­ segno più pastoso, ma in fattezze men belle, e in mosse e in espressioni che partecipano del sover­ chio. Talora gli si anteporrebbe, come a S. Gio­ vanni di Parma, ove ognun vorrebbe, anziché il Deposto di Francesco, aver dipinto il bel quadro di Giacomo segnato con l’ anno 1519. Altrove, co­ me nel S. Giorgio a S. F rancesco di Bologna, ugua­ glia forse le belle opere del padre; talché quella tavola fu creduta di Francesco finché non vi si è notata recentemente la soscrizione I . (cioè Iaco~ bus) Francia 1526(a). Egli par che tenesse fin da principio un disegno vicino al moderno; nè mai bo vedute ne’ suoi dipinti dorature si sfoggiate, nè braccia cosi sottili, come il vecchio Francia usò in qualche tempo; anzi coll’ andare degli an-

(a) Sebbene nelle opere di Giacomo vada a gra­ do talvolta una condotta di pennello più disinvolta e Ubera, che non era in quelle del padre, tuttavia gli rimane al di sotto, e parmi che non si possa istitui­ re un confronto. Il quadro dal S Giorgio, ammira­ si nella I. R. Pinacoteca di Milano, tome ei si tro­ va un’Annunciata del padre. EPOCA PRIMA 1 3 1 ni »i fec« una maniera sempre più sciolta e più facile; e qualche sua Madonna fu copiala più vol­ te e incisa da Agostino Caracci. Fu vivacissimo nelle teste; ma comunemente meno scelto che il padre, meno studiato, men bello. Ebbe un figlio nominato Giambattista, di cui pur esiste a S. Roc­ co una tavola e qualche altro saggio di un’ arte ben mediocre. Fra gli allievi esteri del Francia i Bolognesi contavano Lorenzo Costa; anzi ci si annoverò il Costa medesimo, scrivendo sotto il ritratto di Giovanni Bentivoglio : L. Costa Franciae disci­ pulus. Ben è vero che tal soscrizione (come ho più volte veduto) potè essere d’ altra mano; o anche s’ egli ve lo appose, dovette farlo più per un osse­ quio verso tant’ uomo, che per palesarlo alla po­ sterità suo maestro unico, siccome vorrebbe il Malvasia. Il Vasari insinua l’ opposto. Egli lo in­ troduce in Bologna pittor provetto e adoperato già in più città ragguardevoli ; anzi alla prima opera che di lui annovera, (e fu il S. Sebastiano alla chiesa di S. Petronio) fa il grand’ elogio, che fos­ se, per cosa a tempera, la miglior pittura fatta in­ fino a quel tempo nella città. Rifletto dopo ciò, che il Francia espose nella cappella Bentivogli la sua prima tavola nel 1490, pochi anni dopo che si era dato alla pittura: e quivi il Costa pose i due quadri laterali assai ben composti e pieni di que’ suoi ritratti vivissimi nel 1488. Or se avesse avuto il solo Francia a maestro, qual rapidità di progressi converrebbe supporre in lui? Oltre a ciò, non somiglierebbe sempre il suo stile quello del Frància nelle opere almeno fatte in Bologna? Ma è il contrario: anzi nelle sue figure che sona 132 SCUOLA BOLOGNESE meno svelte e talvolta tozze, e ne’ volti piò vol­ gari, e nel colorito più scuro e men morbido, e nel molto sfoggio di architetture, e nel gusto de’ piani messi in prospettiva, si conosce che studiò altrove. Io credo pertanto che avesse in patria la sua prima istituzione; che passato quindi in T o­ scana, si formasse non con la voce, ma, come rac­ conta il Vasari, con le pitture del Lippi e del Goz- zoli; e che ito finalmente in Bologna, dipingesse presso i Bentivogli, e stesse anche col Francia in qualità di ajuto piuttosto che di studente (a). Un’ altra prova ne deduco dal Malvasia istesso; ed è che nelle vacchette di Francesco, ove lesse i nomi di 220 scolari, non trovò mai quello del Costa. Nel rimanente io convengo ch’ egli profit­ tasse anco degli èsempj del Francia, a cui imita­ zione si trovano nelle quadrerie di Bologna molle Madonne, inferiori per lo più alle pitture del pre­ teso maestro, ma talvolta degne di èsser loro pa­ ragonale. Tal è una tavola di più spai timenti tra­ sferita da Faenza in casa Ercolani. che il Crespi nelle annotazioni al Baruffaldi qualifica come di­ pinta con un amore, con un finimento, con un im­ pasto,con un’altezza di colore che può dirsi affatto raffaellesca. Special merito ebbe ne’ sembianti vi­ rili, come può vedersi in S. Petronio nelle teste di quegli Apostoli, e in quel suo S. Girolamo, .eh’ è ivi il sue quadro più bello. Meno che in Bo­ logna operò in patria a cui diede nondimeno al-

(a) Per tale lo dichiara una tavola esistente nel­ la l.R . Pinacoteca portante il nome e l ’anno 1499, in cui lefigure sono svelte: il che sarebbe in con­ traddizione di (juanto tic accenna l’autore. EPÓCA PRIMA l33 cuni allievi, e tra questi il celebre Dossot ed Er­ cole di Ferrara. Fiù stette in Mantova, nella cui corte fu stimatissimo, comunque vi avesse per an- tecessore il Mantegna, per successore Giulio Ro­ mano. V eggasi ciò che ivi scrissi. Men dubbiamente può annoverarsi fra gli sco­ lari del Francia Girolamo Marchesi da Cotignola* Il Vasari assai loda i suoi ritratti, ma non del pari le sue composizioni. Egli in tutte non fu felice, e segnatamente ve n’ ebbe una a Rimini molto bia­ simata dall’ isterico. N’ esistono però varie tavole in Bologna e altrove tutte della usata composi­ zione de’ quattrocentisti, onde cancellare tal mac­ chia. Una di esse con bellissima prospettiva ne hanno i Serviti a Pesaro, ove al trono di N. Si­ gnora sta genuflessa la marchesa Ginevra Sforza con Costanzo II suo figlio; nè questa è 1’ Unica opera da lui condotta in servigio di famiglie so­ vrane. Il disegno è alquanto secco; ma vago è il colore, maestose Ve teste, beninteso il panneggia­ mento; a dir breve, quando anche di sua mano altro non esistesse, egli si meriterebbe di aver ' luogo fra’ miglior dipintori del vecchio stile. Che se non fu applaudito in Roma, nè in Napoli, come accenna il Vasari, fu perchè ivi capitò troppo lar­ di, cioè nel pontificato di Paolo III; onde il sno stile, riguardato allora come una merce fuori di moda, non polea far fortuna. Morì nel pontificato medesimo,cioè fra il 1534 e 1549- L ’Orlandi, che fece morto il Cotignola fin dal 1518, non solo è confutato dall’ epoca sopraddetta segnata dal Va­ sari, e con poca varietà dal BarulTaldi, ma in ol­ tre da un suo quadro di S. Girolamo a’ Conven­ tuali di S. Marino, dipinto nel i 5ao. l 3 4 SCUOLA BOLOGNESE Amico Aspertini è dal Malvasia (pag. 58 e 5g) arrotalo alla scuola del Francia; Cosa che il Va­ sari noti si curò di esprimete, inteso tutto a di­ vertir la posterità col ritrattò della persona e de' modi di mastro Amico, ch’erano un misto di anici no, di scempialo e di pazzo, Avea nella pittura adottata lina massima che in letteratura fu cornili ne a molti di quel secolo; dover ciascuno ne’ suoi lavori lasciare una immagine del proprio inge­ gno; e com’ ErasmO derideva gl’ imitatori di Ci- cerone nello scrivere, così costui gl’ imitatori di Raffaello nel dipingere* La sua principale istitu­ zione fu girar per i’ Italia, copiar qua e là senza scelta ciò che piacevagli, e far poi un tutto a sue modo da praticaccio inventore, per non partirmi dalla espressione del Vasari* D i tal forma è in San Petronio una sua Pietà, che può competete co’ trecentisti per le forme, per le mosse, per rag­ gruppamento delle figure, E però, da àggiugnete col Guercino, che costui ebbe due pennelli ; Uno, con cui dipinse per poco prezzo, o per far dispet­ to, o per vendetta, e questo usò in S. Petronio e in più altri luoghi; Un altro, con cui dipingeva per chi ben pagavaio, e guardavasi da indispet­ tirlo, e questo usò in varie facciate di palazzi lo­ date dal Vasari stesso, e in S. Martino, ed in molte opere citale dal Malvasia, che lo dà per buono imitator di Giorgione, Un Guido gli era maggior fratello, giovane di una squisita diligenza in dipingere, e forse di so­ verchia; che morto di trentacinque anni, fu da' poeti suoi cittadini con molti versi compianto. Il Malvasia crede che se fosse vivuto più tempo, avria uguagliala la gloria del Bagnacavallo; tanto EPOCA PRIMA 1 3 5 prometteva una sua Crocifissione sotto il portico di S. Pietro, ed altre sue opere. Secondo il pen­ sar di questo biografo, fu malizia del Vasari dare a Guido per maestro Ercole da Ferrara, invidian­ do a M. Amico la gloria di tanto allievo. Io sento col Vasari, persuaso dalla età di Guido, e dal suo gusto, e dall’ anno 1491 che segnò nella prelodata pittura, che sicuramente non conviene ad uno scolare di uno scolar del Francia. Simili errori di Critica abbiam notati nei Baldinucci; e non sono facili a prevenirsi ove regna spirito di partito. Qualche nome sopra il comune di questa scuo­ la ha lasciato di Sè Giovanni Maria Chiodarolo, Competitore de’precedenli e poi anco d’Innocen- Zo da Imola nel palazzo della Viola. Altri venti­ quattro scolari di Francesco Francia recita il Mal­ vasia, che poi copiò l’Orlandi all’articolo di Lo­ renzo Gandolfì; ma per inavvertenza Sono ascrit­ ti da lui al Costa; e indotto dall’Orlandi, fece an­ che il medesimo monsignor Bottali, quantunque dolgasi che gli uomini per non durar fatica si Se- gtiilano Vitti l’altro come le pecore e le gru (i). Ma in lunga e varia opera è difficile non addormen­ tarsi; nè per altro noto io talora le altrui oscitan­ ze, che per avere Scusa presso que’ lettori che si avvedessero delle mie. I nomi predetti possono essere di gran lume a chi in Milano, in Pavia, in Parma, e altrove in Italia noteranno opere di an­ tico stil bolognese, e udranno, come pure inter­ viene,ascriverle al Francia, piuttosto che agli sco­ lari formati da lui a quelle patrie, e tenaci sem­ pre del suo andamento. Altri n’ ebbe, che usan-

(1) Nelle note alla Vita di Antonio Allegri. 136 SCUOLA BOLOGNESE do co’ più moderni pittori meritarono di appar­ tenere a miglior epoca: e ad essa gli riserbiamo. Prima di giugnervi convien percorrere alcune città della llotnagna, e notarvi ciò che fa al caso nostro. Da Ravenna dee cominciarsi.Ella conser­ vò il disegnò ne’ tempi barbari meglio che altra città d’ Italia, nè altrove si veggono o musaici sì ben composti,o av.orj,o marmi sì maestrevolmen­ te intagliati; vestigj di lina grandezza che potè de­ star gelosia a Roma, quando la sede de’suoi prin­ cipi e de’ suoi esarchi era in Ravenna. Decaduta anche questa dal suo splendore, e dopo molte vi­ cende retta dai suoi Polentani, vide per opera lo­ ro non meno un buon poeta nella persona di Dante,che un buon pittore in quella di Giotto (i). Questi dipinse a Porlo di fuori certe storie del Vangelo, che pur vi restano; e in S. Francesco e in altri luoghi della città si scorgon reliquie o del suo pennello, o almeno del suo stile. Scacciali i Polentoni, e venuto quello Stalo in poter di Ve­ nezia, da questa Capitale sortì Ravenna un fon­ datore di nuova scuola.

( i ) Eda notare che un secolo prima della venuta di Giotto trovasi in Ravenna un Joannes Pictor, eh’ è una dette infinite notizie che dee Ravenna ed il pubblico al eli. sig. conte Marco F antuzzi. V edi i suoi Monumenti Ravennati de’ secoli di mezzo , per la maggior parte inediti, T. I, p. 347. E nel T. l l , Vag. a io si riporta una pergamena del ove un Graziadeo Notajo ordina che nella chiesa ' P ortuense sien fatte imagines magna; et spaliosæ ad aurum, eh’ è musaico, o pittura in campo di oro tanto usato in que'tempi. EPOCA PIUMA 137 Fu questi Niccolò Rondinelle, di cui scrive il Vasari, che più di tutti imitò (rìan Bellini sun maestro, e gli foce onore, e che di lui si servi mot­ to Giovanni in tutte le sue opere. Così nella vita del Bellini; e in quella del Palma tesse il catalo­ go delle sue pitture migliori esposte in Ravenna. Si ravvisa in queste il suo progresso. Più antico sembra nel quadro di S. Giovanni alla sua chie­ sa, ove pose una Nostra Signora con fondo d'oro. Più moderno è nella tavola maggiore di S. Do­ menico, la cui composizione esce dal monotono di quella età, e rappresenta Santi in piani e in atteggiamenti diversi. Esalto è il disegno, ancor­ ché sempre tendente al secco, i volti meno scel­ ti, e il colore men forte che nel maestro; uguale la diligenza ne’ vestiti riccamente ornati a rica­ mo secondo l’uso di que’tempi. Dell’ultimo e più perfetto stile del Bellini non saprei dire se aves­ se idea. Scolare di lui ç successore nelle opere di Ra­ venna fu Francesco da Cotignola, clic il Bonoli nella storia di Lugo e in quella di Cotignola, e il descrittore delle pitture di Parma han cognomi­ nato Marchesi; ove nella Guida di Ravenna è detto Zaganelli. Il Vasari lo commenda come va­ ghissimo coloritore, ancorché inferiore al Ron- dinello in disegno, e più anche in composizione. In questa fu men felice,e se si eccettui la rinoma­ ta Resurrezione di Lazaro che si vede a Classe, il bellissimo Battesimo di G. C. a Faenza, e po­ che altre istorie, ove temperp il suo fuoco, e die­ de migliore ordine alle figure, belle comunemen­ te e ben vestile, sparse di bizzarrie, e in propor­ zioni minori del vero, Singolare è una sua gran l â î scuola bolognese tavola agli Osservanti di Parma, ove si vede dì- pinta Nostra Signora fra alcuni Santi non sen- z ’ alcuni ritratti in fondo al quadro. Non credo facesse mai cosa più solida nella idea, nè più ar­ moniosa nel concerto,-nè più artificiosa nel co­ lonnato e uegli altri accessorj. Quivi tenne le tin­ te più moderate, solito d’ ordinario a usarle più vive e più liete, e di compartirle su l’esempio del Blantegna più che di altro maestro. Ebbe un fra­ tello nominalo Bernardino, con cui insieme nel 1504 dipinse una pregiatissima tavola di N. Si­ gnora fra S. Francesco e il Batista, che in una loro interna cappella ne hanno in Ravenna i PP. Osservanti; e l’ altra che si vede in Imola a’ Ri­ formati del i 5ig. Bernardino dipinse ragione­ volmente anche solo; e fra le pitture di Pavia se ne legge una al Carmine col suo nome; ond’è da emendare il Crespi che ha chiamato il maggior fratello Francesco Bernardino, facendo un pitto­ re di due diversi. Nel tempo di questi dipingeva in Ravenna Bal- dassare Carrari con Matteo suo figliuolo, raven­ nati; de’quaji è a S. Domenico la tanto celebra­ ta tavola di S.Bartolommeo,e il grado di essa che contiene elegantissime istorie del S. Apostolo. E di tal merito, che appena cede alla grazia di Lu­ ca Longhi, che le mise in vicinanza un suo qua­ dro. Fu delle prime che in Ravenna si dipinges­ sero a olio; e meritò che Giulio li pontefice, ve­ dutala nel i 5 i i , dicesse che gli altari di Roma non avean tavole più belle di questa. Il pittore vi lasciò il suo ritratto nella figura di S. Pietro , e quello del Rondinello nel S. Bartolommeo più at­ tempalo; cosa che fecero altre volte gli scolari io EPOCA PIUMA 139 ossequio de’ lor maestri. Ma noi direi tale, aven­ do taciuto il Vasari non solo la sua scuola, ma il suo nome ancora. In R im ini, ove i Malatesti non risparmiavan denaro per trarvi i migliori artefici, fiori la pit­ tura', e fu in que’tempi che sorse,e fu ornato quel tempio di S. Francesco, eh’ è una delle maravi­ glie del suo secolo. Dopo Giotto aveano in Rimi­ ni dipinto altri della sua scuola; e ad essi 1’ au­ tor della Guida ascrive le,storie della B. Miche­ lina , che il Vasari credette di Giotto stesso (1). Più tardi dipiugeva quivi un tal Bitino che volen­ tieri tolgo dalla obblivione; parendomi non aver forse avuto in Italia chi lo avanzasse nel 140 7 , quando in S. Giuliano rappresentò in una tavo­ la il S. Titolare. Vi espresse all’intorno il ritro­ vamento del suo corpo, e altri fatti che di lui si raccontano; pitture graziosissime p e'r invenzioni, per architetture, per volti, per vestiti, per colo­ rito (2). Memorabile è altresì un S. Sigismondo, a’ cui piedi è Sigismondo Malatesta con la epigra­ fe Franciscus de Burgo f. 1446 ; e della stessa ma • no è una Flagellazione di N. Signore. L ’ una e l’altra pittura vedesi a S. Francesco in sul muro; ed ha prospettive, e capricci, e carattere così vi- sino al gusto di Pietro della Francèsca, allora vi-

(1) D i questo tempo è quel Joannes Rimerici Pi­ ctor Arim ini. che nel 1386 ci addita il sig. conte Marco Fantuzzi ne’Monumenti Ravennati al tonto F I edito in quest’anno 18o4- (a) Nel Tomo F I soprallegato trovasi il f iglio di questo valentuòmo : Magister Antonius Pictor quondam mag. Rietini pictoris de Arimino 456 . I4o SCUOLA BOLOGNESE vente, cha io le credo opere o di lui che latiniz­ zasse così il suo casato, o di qualche suo scolare rimaso ignoto alla storia. Noto è a lei Benedetto Coda ferrarese, che visse in Rimino insieme con Bartolommeo suo figliuolo; ove lasciarono molte opere. Il Vasari ne fa breve menzione nella vita di Gio. Bellini, a cui dice che Benedetto fu sco­ lare , sebbene non foce molto fonilo. Tuttavia la tavola dello Sposalizio di N. Signora, che pose in duomo con la soscrizione opus- Benedicti, è pit­ tura assai ragionevole ; e quella del Rosario che ne hanno i Domenicani, è anche di miglior gusto, benché non ancor moderno. Non così può dirsi del figlio. Ne vidi un quadro a S. Rocco di Pe­ saro , dipinto nel i 528 con tanto buon metodo , che quasi in tutto sente dell’ aureo secolo: vi è espresso il Tutelar della chiesa con S. Sebastia­ no intorno alTrono di Nostra Donna; e vi sono aggiunti Angiolini mollo graziosi. Un altro allie­ vo di Giovanni Bellini ci addita il Ridolfi, Lat­ tanzio da Rimino, o Lattanzio della Marca, che altri aggregò alla scuola di Pietro Perugino: uà forse uscì di altra accademia Giovanni da Rimi­ no, una delle cui pitture segnata del suo nome « in Bologna nella gran quadreria Ercolani (1), Forlì non conosce, ch’io sappia, pillor più an­ tico di Guglielmo da Forlì scolare di Giotto. Le

(1) Errai nell'altra edizione sospettandolo scola­ re di Giovanni Bellino, che morì nel 15 16. Di que­ sto Giovanni, che si soscriveva anche Gio. Fran­ cesco, l’ Oretti nelle Memorie MSS. cita due qua­ dri con data del 1459 e 6 1,eaggiungt trovarsi no­ tizie clic vivesse nel 1 470. EPOCA PRIMA 141 me pitture a fresco fatte a’ Francescani più non si reggono; nè alla lor chiesa trovai altro lavoro del trecento fuor che un Crocifisso d’ignota ma­ no. Da questo tempo non mancò forse in città la successione de' pittori; non mancando in essa pit­ ture anonime da poterne congetturare: ma la sto­ ria ne tace fino ad Ansovino di Forlì, già da noi considerato fra gli scolari dello Squarcione. Mi è sorto dubbio cbe questi fosse il maestro di Me - lozzo, nome venerato dagli artefici perchè fu pri­ mo a dipingerle volte con l’ arte del sotto in su la più difficile e la più rigorosa. Si era nella pro­ spettiva fatto progresso ragionevole dopo Paolo Uccello, per mezzo di Piero della Francesca geo­ metra insigne , e di alcuni Lombardi; ma il d i­ pinger volte con quel piacevole inganno, che poi si è fatto, era gloria riserbata a Melozzo. Dice lo Scannelli, e dopo lui 1’ Orlandi, ch'egli per im­ parar l’arte studiò su i migliori antichi, e benché nato in buona fortuna non isdeguò di allogarsi co’ maestri de’stioi tempi in qualità di famiglio e di macinator di colori. Alcuni lo fanno scolare di Pietro della Francesca. E verisimile.se non altro, che Melozzo conoscesse lui e Agostino di Bra- mantino quando in Roma dipingevano per Nic­ colò V, verso il 1455. Comunque fosse, Melozzo dipinse nella volta della maggior cappella a’ Ss. Apostoli un’ Ascensione di Nostro Signore, dove la figura di Cristo scorta tanto bene, che pare che buchi quella volta, e il simile fanno gli Angeli che con due diversi movimenti girano per lo campo di quell'aria, dice il Vasari. Fu fatta questa pittura pel cardinal Riario nipote di Sisto IV circa il 1472 e dovendosi rinovar quel luogo, ne fu estratta e l4 2 SCUOLA MILANESE situata nel palazzo Quirinale l’ anno 1711, ove ancor si vede con questa epigrafe: Opus Melodi Foroliviensis,qui summos fornices pingendi artem vel primus invenit vel illustravit. Alcune teste de­ gli Apostoli ch’erano intorno, similmente segate, furon riposte entro il palazzo Vaticano. Nel tota­ le del suo gusto si appressa al Mantegna e alla scuola padovana più che a niun’ altra; teste ben formate, ben colorite, ben mosse, e scortate pres­ soché tutte; luce ben degradala, e scuri opportu­ ni , onde le ligure toudeggino e quasi muovansi in quel vano; dignità e grandezza nella principal figura e nella candida veste che la circonda ; fi­ nezza di pennello , diligenza , grazia in ogni sua parte. Fa pietà che un sì raro ingegno , che da’ coetanei dicevasi pittore incomparabile, e splen­ dore di tutta Italia ( Morel. Not. pag. 109,) , non abbia avuto un isterico esalto, che ne abbia de­ scritti i viaggi e i lavori, che in Roma dovevano essere stati molti e ragguardevoli prima che il Riario lo adoperasse in cosa sì grande. A Forlì additasi una facciata di spezieria con rabeschi di ottimo stile , e sopra 1’ uscio è una mezza figura assai ben dipinta in atto di prestar droghe; ope­ ra , dicesi , di Melozzo. Racconta il Vasari, che nella villa de’Duchi d’Urbino detta l'lmperiale, molto prima di Dosso aveva dipinto Francesco di Mirozzo da Forlì ; e pare doversi qui sostituire Melozzo , ed emendarsi nel Vasari un di quegli errori che in lui abbiam notato essere frequen­ tissimi. Nelle Vite de'pittor Ferraresi è nomina­ to un Marco Ambrogio detto Melozzo di Ferrara: e vorrebbe confondersi coll’ inventore del sotto in su; ma io credo che questi fosse tull'allro ai- EPOCA PRIMA 143 tefice, e il nome stesso ne dà indizio. Melozzo Forlì era ancora fra’ vivi nel 1494; poiché Fra Luca Paccioli, pubblicando in quest’ anno istes- so la sua Summa d 'Aritmetica e Geometria lo ri­ pone fra’ pittori in prospettiva fam osi e supremi, che a que’ giorni vivevano. Su 1’ aprire del sedicesimo secolo, o poco ap­ presso, fiorì nella città medesima Bartolommeo di Forlì, scolare delFrancia indicatoci dal Malvasia, e pittore alquanto piùarido che il comunede’con- discepoli.I’ oco appresso pongo i l Palmegiuni, che il Vasari trasfigurò in Parmegiano ; buono e pres­ soché ignoto artefice; di cui non ho letto ne’ li­ bri di pittura se non due opere; moltissime però ne ho vedute. E ben prese guardia che la poste­ rità noi dimenticasse, apponendo per lo più alla sue tavole da altare e da stanza il nome e la pa­ tria così: Marcus pictor Foroliviensis ovvero Mar­ cus Palmasanus P . Foroliviensispinsebat (a). Rare volte vi aggiunge anno, come in due del sig. prin­ cipe Ercolani,ove leggesi nella prima il i5i3,nel­ la seconda il 1537- Ne’ quadri predetti (e più in que’ di Forlì) si può conoscere ch’ egli tenne due stili. Il primo fu conforme al comune de’ quattro­ centisti nella semplicissima posizione delle figu­ re, nelle dorature, nello studio di ogni minuzia; anche nella notomia che a que’ tempi consisteva pressoché tutta nel formar con intelligenza un San Sebastiano, o un qualche Santo Anacoreta.

(a) Si trova anco Palmizanus. — Quattro quadri di questo autore ne possiede l' I. R . Pinacoteca di Milano,e portano tutti la detta leggenda, tranne la data, e corrispondono a tre stili diversi. 1 4 4 SCUOLA BOLOGNESE Nel secondo fu più artificioso ne’ gruppi, più lar­ go no' contorni, più grando anello nelle propor­ zioni; ma talora più libero e meno variato nelle teste, t sò di annettere al principale soggetto altri che non gli appartengono; come nel Crocifisso a S. Agostino di Forlì pose due o tre gruppi in di­ versi campi; in uno de’ quali è S. Paolo visitato da S. Antonio; in altro S. Agostino convinto dal— l’ Angiolo su la incomprensibilità della Somma Triade; e in questo picciole figure che inserisce nelle tavole p ne’ gradi loro, è finito e grazioso olirà modo. E anche gajo nel paese e vago nelle architetture. Le sue Madonne e gli altri volti sono più belli che nel Costa, meno belli che nel Fran­ cia, al cui colorito meno si conforma che a quello del Rondinello ; cosa che al Vasari porse occasio­ ne di ascrivere a quel ravennate una tavola al duomo, sicuramente del Palmegiani. Le opere di questo sono moltissime in Romagna;e son conte anche nello Stato veneto. Una sua Madonna ebbe in Padova l’ abate Facriolati menzionata dal Bot- Aari : un’ altra ne ha in Bastano il sig. dottore An­ tonio Larber: una gita ili Gesù al Calvario nella *ua scelta Galleria ne possiede il signor conte Lui­ gi Tadini a Crema ; un Cristo morto fra Nicodemo c Giuseppe ne vidi a Vicenza in palazzo Vicenti­ ni, quadro bellissimo ove il morto veramente par morto, e vivi i due vivi. Ebbi lungamente curio­ sità di sapere di chi mai fosse scolare sì conside­ rabile pittore, finché ho saputo che il Paccioli nella dedica del volume soprallegato, fatta a Gui- dubaldo duca d’ Urbino, lo nomina caro allievo di Melozzo. Di un Furlivese vivuto a’ tempi del Palmegiani EPOCA FRIMA 145 ebbi notizia dall’ eminentissimo Borgia, che in Vel tetri a S. Maria dell’ Orto ne trascrisse questa iscrizione : Jo. Baptista de Rosìtis de J'orUvio pin­ xit- I. s. o. o. de mense martii. La pittura è in ta­ vola di buon disegno e di buon colorilo. Rappre­ senta la B.V. col Bambino in seno sedente in un tempio rotondo, sostenuto da quattro colonne, e ciascuna di queste colonne è abbracciata da un Angelo come in aria di portare il tempio in pro­ cessione. G li Angeli sono interamente vestiti al­ l’ eroica. Così il degnissimo Torporato. Circa le altre città di Romagna più facilmente crederò mancare a me le notizie che ad esse i pit­ tori. Rammentai, poco è , un Ottaviano ed anco un Pace da Faenza scolari di Giotto ; e come ope­ ra del secondo mi fu additata nella stessa città un’antica immagine diN.Signura nella chiesa che fu già della de’ Templari. Vi ebbe poi un Carra­ dori pittore sul far del Costa. Giacomo Filippo Carradori è inserito per Io stile fra gli antichi; nel resto è quas’ impossibile che toccasse il secolo xy. Lue altre pitture ne re­ siano specialmente, nelle quali mostra che can­ giasse stile, quantunque rimanesse sempre pittor debole, 1’ una nel 158o, l’ altra nel 1582. Un altro Faentino meritava meglio di essere nominalo nella prima edizione, ma non n’ ebbi contezza; e fu un Giambatista da Faenza, di cui conservasi un quadro nella Raccolta comunale del Liceo, col nome dell’ autore, e con l’ anno i 5o6. Rappresenta una Vergine Santissima, a cui ritta due Angioletti sostengono il manto,e ne’ gradi del trono è un S. Giovanni Batista fanciullo, e un al­ tro Angioletto che suona cetera. L di un disegna l46 SCUOLA BOLOGNESE EPOCA PRIMA esalto, di tinte vaghe, di pieghe alquanto simili a quelle di Alberto Duro, nel resto pari al Costa, e fors’ anco non minore del Francia. Fu padre di Jacopone da Faenza e di Raffaello fratello suo, da cui nacque Giovanni Batista Bertuzzi pittore an­ eli’ esso. Un Francesco Bandinelli da Imola scolare del Francia ci è indicato dal Malvasia; e un Gaspero pur da Imola ha dipinto in Ravenna. Se ne vede in patria a’ Conventuali una N. S. fra’ SS. Rocco e Francesco di stile che piega al moderno, eoa due ritratti espressi molto vivamente.

FINE DEL NONO VOLUME. I nr n i c e

DEL NONO VOLUME.

LIBRO SECONDO

C a p . I . SC U O LA MILANESE

Epoca prima. Gli antichi fino alla venuta del Vinci ...... pag. 5 Epoca seconda. Il F in d stabilisce accade­ mia di disegno in Milano. Allievi di esso e de' miglior nazionali fino a Gaudendo » 29 Epoca terza. 1 Procaccini ed altri pittori esteri e cittadini stabiliscono in Milano nuo­ va accademia e nuovi stili . . . . ” 69 Epoca quarta. Dopo Daniele Crespi la pit­ tura va peggiorando. Fondasi una terza accademia per migliorarla . . . . » 86

LIBRO TERZO

S c u o l a B o l o g n e s e ...... » 108

E p o c a p r i m a . Gli Antichi .... » 112