Il settore aeronautico del Nord- Ovest Amilcare Mantegazza

2009 Testo per Storiaindustria.it

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Il settore aeronautico del Nord-Ovest

1. La nascita del settore aeronautico e la prima guerra mondiale

I fratelli Wright hanno senz’altro iniziato nel 1903 la pratica del volo con un apparecchio più pesante dell’aria negli Stati Uniti. Fu soprattutto la Francia tuttavia che inviò nel mondo la prima generazione di piloti, mezzi e capitali, a fecondare le capacità tecniche e imprenditoriali dei pionieri locali in preparazione di impieghi in verità ancora in larga misura indeterminati. Torino, avviata a diventare centro industriale specializzato nella produzione automobilistica, offriva molte risorse tecniche o finanziarie. I vantaggi marshalliani della città nella localizzazione delle imprese aeronautiche entravano in conflitto con quelli del decentramento. Il procedimento di progettazione dei velivoli richiedeva infatti uno spazio delle esperienze ancor più ampio di quello della produzione. La collocazione dei campi di volo in prossimità del tessuto urbano favoriva il concorso di pubblico nelle manifestazioni aviatorie. Il trasferimento nelle brughiere e sui laghi prealpini evitava una pericolosa promiscuità con l’abitato. A Torino si volò sulla Piazza d’Armi e a Mirafiori; si aprirono campi di volo decentrati, a Venaria Reale, a Salussola (No) e a Lombardore nel Canavese, ad esempio. L’aeroporto di Cameri (1909), nei pressi di Novara, frequentato da aviatori piemontesi e lombardi, divenne importante quando vi incominciò a operare la scuola di pilotaggio del costruttore Gabardini, nella quale a partire dal 1915 si tennero i corsi per militari e «aviatori volontari» destinati al teatro di guerra. Senza voler sminuire il ruolo dei pionieri locali, sul quale in ultima analisi si basano gli sviluppi successivi, negli anni precedenti il conflitto europeo la predominanza francese era forte anche in Piemonte. Francese, ad esempio, fu il primo pilota, Léon Delagrange, a spiccare a Torino qualche incerto balzo nella piazza d’Armi l’8 luglio 1908, ovviamente su un Voisin con motore Antoinette. Nelle gare erano gli aviatori e i mezzi francesi a mietere vittorie e premi, avendo la meglio sull’accanita concorrenza locale. Tra i pionieri torinesi più noti vi furono Aristide Faccioli, una volta lasciata la direzione tecnica della , e il figlio Giovanni, pilota pressoché autodidatta dei velivoli ideati dal padre. Un altro pioniere fu Franz Miller nelle cui officine furono montati velivoli e motori disegnati da altri. Francesco Darbesio, Antonio Chiribiri, Cesare Bobba, l’instancabile organizzatore on. Montù sono alcuni dei protagonisti delle cronache aeronautiche torinesi di questi anni. Anche le imprese automobilistiche cittadine, la SPA (Società Piemontese Automobili), la FIAT, la Itala, la Diatto, la SCAT, si dedicarono alla progettazione e alla sperimentazione di motori aeronautici originali, per lo più secondo lo schema adottato per quelli automobilistici (in linea con raffreddamento ad acqua). Le manifestazioni e l’attività delle scuole, che abilitavano al brevetto di volo, esaurivano le iniziative aeronautiche del tempo. Servirono bensì a familiarizzare il pubblico con i progressi di piloti e mezzi, senza tuttavia essere in grado di assicurare redditi certi e di offrire uno sbocco industriale alla produzione aeronautica. Furono le forze armate ad assicurare tale sbocco e le avvisaglie del loro ruolo futuro si profilarono anche in Italia prima del conflitto europeo. Il fervore delle manifestazioni aviatorie e numerosi episodi di volontariato militare, nonché le pressioni e l’opera di persuasione da parte di esponenti dell’Esercito e della Marina, furono abbastanza convincenti per persuadere il Parlamento a costituire una forza sia pur embrionale dotata di mezzi più pesanti dell’aria a fianco di quella preesistente equipaggiata con palloni e dirigibili. Si stanziarono, con la legge 10 luglio 1910 n. 422, 10 milioni di lire per la provvista di dirigibili, aeroplani e impianti e si istituì un Battaglione aviatori (legge 27 giugno 1912 n. 698), con sede a Torino nella caserma A. Lamarmora e campo di esercitazione a Mirafiori. Tra il 1912 e il 1914 la direzione del Battaglione fu affidata al colonnello Giulio Douhet, che, formatosi nell’Accademia militare e nella Scuola di guerra di Torino e rimasto di stanza quasi sempre in Piemonte, tra il 1910 e il 1911 aveva già avviato una riflessione sul ruolo del più pesante dell’aria nell’arte militare, affidata a riviste varie, tra le quali “La Preparazione”, diretta da Enrico Barone. Douhet, una volta a capo del Battaglione aviatori, come si evince dai suoi rapporti ai superiori, si pose l’obiettivo di ottenere la formazione di un’industria italiana, anche con

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partecipazione straniera, in grado di produrre i velivoli e i motori esteri più noti. Si finì così per attribuire un valore esplorativo al concorso militare (per motori e velivoli) svolto nel 1913. La modesta flotta aerea costituita prima della grande guerra fu così alimentata dalla SIMGER (Società italiana motori Gnôme e Rhône), che produceva gli omonimi motori rotativi, dalla Società Italiana Transaera (SIT), costituita con capitali francesi (Blériot) e italiani (i fratelli Manissero, Triaca, Goria Gatti), che fabbricava i Bleriot e i Maurice Farman, e da altre imprese miste non piemontesi. Durante la grande guerra l’aereo esordì effettivamente come arma e si fissarono le specialità nelle quali si articola ancora oggi l’aviazione militare: la ricognizione, la caccia e il bombardamento. La mobilitazione delle competenze e la cooperazione tra i paesi belligeranti nell’ambito delle rispettive alleanze inoltre favorirono il progresso del mezzo aereo sul piano tecnico e della affidabilità. Il numero di piloti e di tecnici cui fu impartito un addestramento ascese a dimensioni impensabili in tempo di pace. Nel corso del conflitto l’industria italiana si emancipò dalla dipendenza estera e i modelli francesi furono in larga misura sostituiti da macchine di concezione nazionale: i bombardieri Caproni, i caccia Macchi, i ricognitori Pomilio e SVA (Savoia-Verduzio-Ansaldo). Nell’ambito dei motori la FIAT svolse un ruolo cruciale, tanto sul piano della progettazione che su quello della produzione: dalle sue officine uscì più del 50% dei 24.400 motori fabbricati durante il conflitto, tutti concepiti al suo interno. La produzione delle altre imprese piemontesi coprì poco più del 27%. Sebbene al gettito complessivo di velivoli la FIAT contribuisse, per mezzo della Società Italiana Aviazione (SIA) (1915), con una quota inferiore (all’incirca il 10%), la casa torinese fu l’unica impresa aeronautica in grado di fornire un aereo completo di motori. Questo, combinato col fatto che fosse di sua fattura un motore su due, le conferì una posizione di grande forza sulle altre. La AER di Orbassano (1915), che costruì aerei da ricognizione specializzati nell’osservazione del tiro di artiglieria, dapprima i Caudron G3 e G4, in seguito i Pomilio e infine agli SVA, mantenne la sua indipendenza per tutto il conflitto. Nel 1917 invece la SIT e nell’estate 1918 la Società Anonima per Costruzioni Aeronautiche ing. O. Pomilio & C., costituita nel 1916, nelle cui officine site a Torino erano stati progettati velivoli italiani ampiamente usati, (i Pomilio SP2, i P(g), gli A3, i P gamma), furono assorbite dalla SAI Gio Ansaldo & C. divenendone rispettivamente i Cantieri aeronautici n. 3 e n. 5. Vi si costruiscono gli SVA, i velivoli coi quali D’Annunzio effettuò il volo su Vienna. La rivalità tra le imprese di costruzione dei velivoli (Ansaldo e Caproni) e la maggiore fornitrice di motori (FIAT) costituiva una sequenza del conflitto sotterraneo per accaparrarsi le redditizie commesse belliche in corso tra i gruppi industriali maggiori.

2. Gli anni tra le due guerre

Le spese di guerra furono oggetto di una ampia inchiesta, che, pur evitando di sanzionare qualcuno in particolare, mise in luce un clima diffuso di irregolarità contabili e amministrative. Ai grandi lucri delle imprese –si svelava– non era stata neppure estranea, ovviamente con responsabilità solidale anche dagli organi di scelta militari, l’adozione di mezzi difettosi. Retroscena così poco edificanti non rendevano meno vero tuttavia che nel complesso anche in ambito aeronautico la mobilitazione industriale avesse consentito di contrastare e, verso la fine del conflitto, di superare le forze avversarie, contribuendo effettivamente al conseguimento della vittoria. La generosità con la quale furono liquidati i contratti in essere alla fine del conflitto in sostanza fu neutralizzata dall’assenza di ordini da parte dall’acquirente militare fino al 1923. Ad annullare la domanda militare contribuirono l’esistenza di un ampio surplus di aerei e motori residuato dagli ordinativi bellici, la cui liquidazione non fu esente da speculazioni, e il poco riuscito tentativo di creare un’organizzazione statale dell’aviazione civile, pur essendo ancora da progettare gli apparecchi adatti a tale impiego.

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Il sovradimensionamento produttivo e la specializzazione nella fabbricazione di armi resero insostenibile per il gruppo Ansaldo la drammatica caduta della domanda. La FIAT d’altro canto, rimasta saldamente ancorata al suo core business automobilistico, tornò tempestivamente ad esso. Nel 1923, rassicurata sulla ripresa della domanda militare, acquisì (per 6,7 milioni di lire del tempo) le attività aeronautiche dell’Ansaldo, che consistevano delle officine site a Torino e di un ampio campo di volo attiguo. Nel 1926 assunsero la denominazione di Aeronautica d’Italia SA, dalla quale proviene l’acronimo . La stabilità politica rappresentata dal Fascismo implicò la ripresa della spesa militare, analogamente a quanto stava avvenendo negli altri paesi, ad eccezione della Germania impedita dal trattato di pace. Il Fascismo dedicò un’attenzione particolare alla costituzione di un’arma aeronautica separata, cui sovraintese un Commissariato ben presto trasformato in Ministero. L’esistenza dell’arma e del corrispondente centro di spesa produsse però effetti contrastanti. Si tradusse infatti bensì nell’allargamento della platea produttiva, largamente superiore al fabbisogno del tempo di pace, ma non servì a suscitare, soprattutto negli anni ’30, una crescita tecnica alla pari di quella dei paesi anglosassoni e della stessa Germania. Negli anni tra le due guerre l’industria aeronautica piemontese si identificava quasi del tutto con la FIAT, sia per quanto concerneva i motori e le cellule, sia per la produzione militare e per quella civile. Nel 1929 il gruppo torinese inoltre acquisì la Società di Costruzioni Meccaniche di in seguito CMASA (Costruzioni Meccaniche Aeronautiche SA) e nel 1936 (tramite IFI) la Aeronautica Gabardini SA di Novara, poi denominata Costruzioni Aeronautiche Novaresi SA (CANSA). La formazione o il rafforzamento delle imprese aeronautiche in Lombarda (il gruppo Caproni, la SIAI, la Macchi per i velivoli e l’ e l’Isotta Fraschini per i motori) e in Toscana (la Piaggio, aerei e motori) e nel Napoletano (sempre l’Alfa Romeo, aerei e motori) tuttavia soprattutto negli anni ’30 ridimensionò la posizione dominante del gruppo FIAT a livello nazionale. Il rallentamento del processo evolutivo, che colpì il sistema delle imprese aeronautiche italiane negli anni ’30, si manifestò ad esempio nella difficoltà incontrata a sviluppare pienamente i motori nel frattempo realizzati in Gran Bretagna, negli USA e un po’ più tardi anche in Germania (con potenza superiore ai 1.000 hp). L’impiego di tale classe di motori (in linea o a stella) era una alternativa decisamente migliore rispetto a quella di accoppiare motori di minore potenza –si erano costruiti aerei con nientemeno che 12 motori. Negli Stati Uniti montati sui Douglas DC-3, in combinazione virtuosa con altri elementi innovativi, resero remunerativo il trasporto civile e durante il conflitto mondiale contribuirono a determinare la superiorità dei caccia e dei bombardieri anglo- americani su quelli italiani. Ci si può chiedere perché i militari non siano stati in grado di richiamare le imprese ad effettuare gli investimenti richiesti dalla realizzazione di un analogo motore anche in Italia. In particolare perché non l’abbia fatto la FIAT, quella tra le imprese nazionali dotata delle risorse tecniche e finanziarie adeguate alle bisogna. Dopotutto, lo testimonia Giuseppe Gabrielli, spesso «[rimaneva] per ore a sentire [lui e Celestino Rosatelli, il progettista senior della maggior parte dei velivoli FIAT degli anni ’20 e ’30] parlare di aeroplani, di ali, di strutture». Il tradizionalismo dei piloti dell’aeronautica, che determinò una «crisi di rigetto» nei confronti dei velivoli ad ala singola, naturali destinatari del nuovo motore, deve avere sen’altro convinto il capo della casa torinese a lasciare maggior spazio ai biplani di Rosatelli rispetto al più innovativo disegno dei monoplani del più giovane Gabrielli. D’altra parte neppure la nascita del trasporto aereo civile nel 1926 rappresentò una spinta a realizzare mezzi efficienti. È bensì vero infatti che inizialmente il servizio era svolto da compagnie private. La scarsità della domanda di trasporto tuttavia era compensata con generose sovvenzioni chilometriche pubbliche. La società Linee Italiane (ALI) della FIAT, destinataria del collegamento Milano–Roma (1928), nel 1932 esercì giornalmente anche le linee Roma–Milano– Monaco–Furth –Norimberga Halle Lipsia– Berlino (in reciprocità con la Deutsche Luft Hansa), la Milano–Trento–Bolzano–Innsbruck–Monaco e la Milano-Torino. Quando nel 1934 si costituì la compagnia pubblica Ala Littoria, la ALI fu l’unica a restare fuori dalla fusione.

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I modelli civili progettati da Rosatelli e da Gabrielli, i CR 25 e i G 12 o i G 18, pur assomigliando al Douglas DC 3 soffrivano entrambi di una marcata inferiorità in termini di peso utile trasportato, di velocità di crociera e di autonomia rispetto all’apparecchio americano. Anche loro, come del resto gli altri progettisti italiani, non muovendosi all’interno di un orizzonte di mercato, nel derivare i velivoli da trasporto dai mezzi militari sottovalutarono le esigenze commerciali.

3. L’età repubblicana

La firma del trattato di pace (febbraio 1947) restituì libertà d’azione all’Italia in campo aeronautico e l’adesione alla NATO (1949) contribuì a far emergere una politica della difesa in sintonia con la svolta della guerra fredda. Il decorso della riconversione postbellica del segmento piemontese del settore fu senz’altro facilitato dall’inserimento nel maggiore gruppo automobilistico italiano, da sempre fortemente impegnato nella progettazione e produzione di velivoli e motori. Il gap aeronautico accumulato dall’Italia negli anni ’30 e ’40 investiva tanto la struttura aerodinamica e la sua costruzione quanto la propulsione. Coll’appoggio dell’aeronautica militare, negli anni ’50 l’industria italiana si misurò con entrambe. Il distacco nella tecnologia della propulsione a turbina, che in questo dopoguerra sostituì sugli aerei militari e civili quella tradizionale dei motori a pistoni, fu colmato solo per quanto concerne alcune parti dell’apparato essendo in sostanza impraticabile, e in ultima analisi inutile, farlo nella sua interezza. Le imprese italiane ebbero maggior successo nella realizzazione dei velivoli. La successione di Giuseppe Gabrielli a Rosatelli e il fatto che il gruppo torinese divenisse il punto di riferimento per il rinnovamento dell’industria aeronautica mettono in risalto l’ampiezza delle risorse umane e finanziarie accumulate dal gruppo FIAT. Il processo di apprendimento prese avvio con l’acquisizione della licenza per la costruzione di 80 de Havilland Vampire nel 1948. Anche se fu l’Aermacchi a montare i velivoli, quest’ultima era associata alla FIAT e all’Alfa Romeo, e, dal 1950, alla Ambrosini. Nel 1953, nell’ambito del Mutual Defence Assistance Program, questa volta direttamente, il gruppo FIAT ottenne gratuitamente dalla North American il caccia intercettore F–86 Sabre e ne assemblò 221 esemplari per l’Aeronautica italiana e altre aviazioni militari NATO (Germania, Francia, Olanda, e Norvegia). Il nome di Gabrielli, nella seconda metà degli anni ’50, è legato alla progettazione e alla realizzazione del G 91, un cacciabombardiere ricognitore (col motore Bristol Orpheus 803–02) adottato dalla NATO che ha equipaggiato numerose forze aeree dell’Alleanza negli anni ’60 e ’70, e alla famiglia di aerei militari da trasporto, nell’ambito della quale la versione più nota fu il G 222. Gli Stati Uniti dominavano la produzione di aerei per il trasporto di merci e persone. Il loro grande mercato interno, privo delle frontiere nazionali esistenti in Europa, e la proprietà privata delle compagnie aeree stimolarono le imprese costruttrici a trasferire le conoscenze militari nei velivoli civili senza perdere di vista la convenienza commerciale, realizzando mezzi superiori a quelli, ad esempio, concepiti in Gran Bretagna, sebbene questa avesse beneficiato della tecnologia dei motori a getto in anticipo rispetto ai cugini d’oltre oceano. L’Italia, pur contando su eccellenti progettisti, aveva ben poche possibilità di affermarsi nel segmento dell’aviazione civile, come alcune imprese avevano sperato di fare. Tanto più in quanto ad conveniva attingere direttamente all’industria americana, l’accesso alla quale era relativamente facile e conveniente per ragioni di geopolitica, senza contare che lo sviluppo di una dipendenza reciproca tra produttori e acquirenti non sembra essere stato di alcun giovamento laddove è stato presente (in UK, ad esempio). Nel 1957 la «pubblica» Alitalia acquisì la «privata» LAI, che aveva già assorbito il vettore della FIAT, ALI-Flotte Riunite, alla fine del 1951, l’ultimo atto del consolidamento in un campione nazionale delle numerose compagnie aeree risorte o attivate nel 1946. In previsione dei futuri sviluppi nel 1953 Torino si dotò di un aeroporto civile, che non aveva mai avuto poiché negli anni tra le due guerre i velivoli della SISA attivi sulla rotta Venezia-Torino facevano scalo sul Po, in prossimità del Ponte Isabella. L’aeroporto di Caselle nato nel 1938 fu utilizzato come infrastruttura

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militare fino alla convenzione del 1949 tra il Comune di Torino e l’Aeronautica militare colla quale si misero le basi della sua trasformazione in scalo civile. Dopo un triennio di gestione da parte dell’assessorato ai trasporti del Comune di Torino nel 1956 fu costituita la SAGAT S.p.A. (Società azionaria gestione aeroporto Torino), controllata dal Comune e dalla Provincia di Torino e dalla Camera di Commercio di Torino, alle quali si aggiunse in seguito la Regione Piemonte. Nel 2000, pur avendo mantenuto gli enti pubblici una quota sostanziale di proprietà, la gestione è stata assunta dai privati, la famiglia Benetton e il gruppo bancario Intesa S.Paolo. Il settore aeronautico italiano, nonostante l’uscita del gruppo Caproni e della Breda, era rimasto un mosaico decisamente ampio di imprese piccole e poco cooperative, anacronistico rispetto alla concentrazione in corso negli altri paesi europei (Gran Bretagna, Francia e Germania) e le imprese inserite nella compagine della finanziaria dell’IRI non facevano eccezione. In Liguria ad esempio i figli del fondatore della Piaggio interpretarono diversamente i segnali del dopoguerra. L’uno convertì Pontedera alla produzione di massa degli scooter, la Vespa e la famiglia di mezzi legata alla medesima filosofia di prodotto. L’altro mantenne gli impianti di Finale Ligure dedicati alle costruzioni aeronautiche dove, progettisti Giovanni Casiraghi e Alberto Faraboschi, furono concepiti alcuni addestratori di successo, i P 136, i P 148 e i P 166, per passare negli anni ’80 ai velivoli executive, quali il P 180 Avanti. La IAM Armando Piaggio (1964) conservò la sua autonomia fino al 1998, quando la cessione a un gruppo italiano fece da ponte all’acquisizione da parte del fondo di investimenti del governo di Abu Dhabi e dell’indiana Tata. Aeritalia (1969), nata dalla fusione delle attività della FIAT e di Finmeccanica, avviò la ristrutturazione del settore aeronautico, diventando Alenia nel 1990 (v. la voce). La sua nascita e le successive evoluzioni furono uno dei tasselli del complicato processo, di durata ultraventennale, attraverso il quale Finmeccanica ha assunto il ruolo di gruppo industriale dedicato alla produzione per la difesa italiana. Si trattava di raggiungere un assetto coerente capace di esaltare le realtà contraddistinte da eccellenze, eliminando duplicati e specializzazioni produttive incompatibili. L’uscita di FIAT da Aeritalia nel 1975, sebbene tra le sue motivazioni ci fosse senz’altro la crisi del settore automobilistico, non implicò l’abbandono del settore aeronautico bensì la scelta di concentrarsi nella motoristica. L’orizzonte della trasformazione di (dal 1989 FIAT Avio), come anche per le imprese impegnate nella struttura aerodinamica, è stato quello di acquisire competenze nell’ambito della progettazione e dello sviluppo. Compatibilmente all’evoluzione della divisione del lavoro, che nel settore aeronautico ha portato a una crescente collaborazione internazionale tra imprese anche nell’ambito della progettazione, e alle sue dimensioni, che le precludono il concepimento di un motore per intero, FIAT Avio ha raggiunto tale obiettivo specializzandosi in alcune parti del motore. Lo testimoniano le recenti posizioni di risk sharing partner in numerosi consorzi internazionali. Sono infatti una costante di questo dopoguerra i rapporti di collaborazione tecnica con i maggiori produttori mondiali e la partecipazione a numerosi consorzi internazionali. Con Rolls Royce, ad esempio, coopera negli anni ’70 alla produzione del motore RB 199 per il Tornado e negli anni ’90 è responsabile dello sviluppo e della produzione di uno stadio della turbina di bassa pressione del motore turbo fan Trent 500 per grandi aerei commerciali. Lavora con la Pratt & Whitney sui motori PW 4000 e PW 2037 e ADP, PT6-B-536, CF-80, T700, CT7/6 e con la General Electric sul GE90. Fa parte di MTU (Motoren-Turbinen Union) che progetta e costruisce l’EJ200 (destinato all’Eurofighter). Attraverso le acquisizioni di imprese all’interno del gruppo e all’esterno, FIAT Avio, originariamente radicata a Torino (gli stabilimenti di Caselle e di Sangone), possiede ora unità produttive in tutta Italia, e acquista un certo grado di diversificazione. Nel 1979 ha assorbito Motoravio Sud (già Nuova SACA) di , adibita alla manutenzione dei motori dell’Aeronautica militare. Negli anni ’90 la diversificazione si istituzionalizza nelle tre divisioni, Avio, Spazio ed Energia . Nel 1996 assume una partecipazione in Simmel Difesa (appartenente al gruppo FIAT), ma soprattutto acquisisce da Finmeccanica, che negli stabilimenti di Pomigliano d’Arco e di Acerra (all’incirca 1.500 addetti) svolge la progettazione e la realizzazione di sub-sistemi per motori

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aeronautici di piccola, media e grande potenza nonché di revisione, riparazione e assemblaggio finale di vari tipi di motore. Nel 1997 acquisisce il 100% di SEPA da Magneti Marelli, rafforzandosi nella progettazione e nella costruzione di sistemi elettronici di automazione e controllo per l’industria, l’energia e la difesa. Nel nuovo secolo i poli di eccellenza tecnologica di FIAT Avio sono a Rivalta: trasmissioni (ingranaggi, alberi trasmissioni, fusioni e montaggi garbo, fusioni, trattamenti termici e galvanica) e turbine (dischi, supporti cuscinetto, fusioni acciaio, alberi turbina e montaggi moduli); a Pomigliano d’Arco: meccanica (area tubi, area formatura lamiera camere combustione, montaggio modulo, area trattamenti termici, laser, EBW, area meccanica); Acerra: meccanica (pale); Brindisi: revisione (aree ciclo base, perizia, repair, trattamenti termici, riporti, plasma, ecc., aree magazzini parti motori, prove motori, motori navali). Nel 2003 la crisi costringe la FIAT a cedere FIAT Avio al fondo di private equity statunitense Carlyle (70%) e a Finmeccanica (30%) per 1,5 miliardi di euro.

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