Il Patrimonio Culturale E Il Saccheggio Del Mondo
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Quest'opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Giovanni Pinna Divagazioni sulla storia politica dei musei Capitolo 2 Il patrimonio culturale e il saccheggio del mondo “Appropriarsi di quello che sembra prezioso, le icone dei popoli conquistati, è una pratica vecchia come le conquiste stesse. L’esposizione del bottino di guerra per dimostrare la supe- riorità è una tradizione che risale alla notte dei tempi, una tradizione che fa parte integrante della storia dei musei europei”. Duncan F. Cameron Come hanno scritto il conte di Caylus (1757) e Adam Smith (1776), il pa- trimonio culturale nelle sue espressioni materiali, i prodotti della scienza e delle arti, è ornamento e gloria delle nazioni, è l’anima di etnie e di gruppi sociali, la forza di credo religiosi. Ciò spiega perché nei conflitti armati abbiano sempre avuto luogo saccheggi di opere d’arte, di collezioni o di biblioteche, perché il vandalismo sia stato un’arma micidiale nelle mani delle folle rivoluzionarie e perché l’iconoclastia sia stata uno strumento dei conflitti di religione. Mentre il vandalismo e l’iconoclastia sono azioni distruttive, come lo è la distruzione deliberata di opere d’arte o di architettura durante le guerre, il saccheggio è invece un’azione che si risolve in traslazioni di oggetti e opere da un soggetto a un altro, dal vinto al vincitore. Questo passaggio da un proprietario a un altro, sia esso nazione o comunità, fa sì che gli oggetti/simboli subiscono una trasformazione del loro poten- ziale simbolico, attraverso l’accumulazione di nuovi significati e valori che forma quella che è chiamata “biografia culturale degli oggetti”. Men- tre per la comunità saccheggiata i simboli sottratti assumono lo status di “patrimonio assente” (Harrison 2013), per i saccheggiatori gli oggetti sottratti alla comunità conquistata sono acquisiti e integrati nel proprio patrimonio, il quale viene così arricchito delle vicende che hanno prece- duto e prodotto il saccheggio che vengono inserite in quella che viene chiamata “narrazione nazionale” nel caso delle nazioni, o “narrazione dominante” quando si tratta di un gruppo o di un’etnia. In ambedue i casi il risultato è l’annientamento del vinto e la crescita della potenza politica, culturale, o economica del vincitore. Due vicende storiche sono esemplari pagina 156 Capitolo 2 [Aggiornato 20 settembre 2019] Giovanni Pinna Divagazioni sulla storia politica dei musei a questo riguardo: l’assorbimento della cultura greca da parte dei Romani e della cultura romanico-latina da parte dei Longobardi in Italia. La distruzione, il vandalismo e l’iconoclastia possono assumere signi- ficati simbolici. I primi tendono alla cancellazione dell’avversario attraverso l’annientamento dei suoi simboli e della memoria a essi collegata. Esempi non mancano: dopo la riunione della Germania, la Piazza Marx-Engel ha ripreso il suo nome di Piazza del Castello (mentre sono rimaste le strade de- dicate a Rosa Luxemburg e a Karl Liebknecht) ed è sparito il Palast der Re- publik con la scusa che era pieno di amianto; quando Macao passò alla Cina Popolare poco mancò che il monumento a João Ferreira do Amaral, gover- natore della colonia dal 1846 al 1849 ucciso dai cinesi, venisse distrutto, e fu perciò inviato a Lisbona; nel 1958 Sékou Touré distrusse migliaia di og- getti di culto per eliminare l’oscurantismo nella indipendente Repubblica di Guinea, e negli stessi anni l’islamizzazione provocò la distruzione in massa delle sculture senufo; nel 1979 fu creato il termine “muralicidio” per la can- cellazione dei murales sui muri di Managua che esaltavamo l’ideale e le vit- torie dei sandinisti, dopo che essi persero il potere; nel 1932 gli autonomisti bretoni distrussero la scultura allegorica di Jean Boucher situata in una nic- chia del municipio di Rennes; nel 1986 i separatisti del Giura distrussero la Fontana della Giustizia a Berna; nel 1961 in Tirolo fu attaccata la statua di Andreas Hofer. L’iconoclastia agisce nello stesso modo sulla visione tra- scendentale e sulla parte più intima di una popolazione, con l’annientamento dei simboli religiosi che non di rado precede la loro sostituzione. Due primi esempi, fra loro molto diversi, dimostrano quale importanza abbiano il sac- cheggio e la distruzione dei simboli dei vinti e il possibile conseguente an- nullamento della memoria: nel 1991 il tentativo delle milizie croate di cancellare il ricordo delle centinaia di serbi uccisi dagli ustascia nel campo di concentramento di Jasenovac con la distruzione del museo costruito da Tito per commemorarne le vittime (Weil 1995); dopo il 1860 la volontà da parte dei Savoia di cancellare la memoria degli antichi Stati italiani attra- verso la diaspora degli arredi delle loro dimore reali, con conseguente cam- bio d’uso, di padrone e di significato. È questo un vandalismo che potremmo chiamare di Stato. Le società hanno bisogno di fondarsi su un passato Per ogni comunità è fondamentale il ruolo d’identificazione che giocano il patrimonio culturale e le istituzioni che lo conservano e lo comunicano. pagina 157 Capitolo 2 [Aggiornato 20 settembre 2019] Giovanni Pinna Divagazioni sulla storia politica dei musei Poiché una comunità è un gruppo di individui che si forma attorno a un in- sieme di simboli condivisi – memorie, miti, credenze, riti – è evidente che nessuna comunità può esistere se non possiede un patrimonio culturale con- diviso dai suoi membri, ed è altrettanto evidente che nessuna comunità so- pravvive alla perdita del proprio patrimonio di storia, di arte o di scienza. Tale perdita corrisponde alla perdita della memoria collettiva, cosicché la comunità si trasforma da un complesso di individui che condividono una stessa eredità, in un insieme di individui isolati. “La società ha bisogno di fondarsi su un passato: nessuna civilizzazione umana può durare senza un passato” ha scritto Jean-Michel Leniaud! La perdita del patrimonio culturale conduce a un processo di disgregazione delle comunità ben noto ai conqui- statori, per i quali una conquista non poteva dirsi totale e definitiva se non attraverso il saccheggio, l’asportazione, l’appropriazione, la dispersione o la distruzione del patrimonio culturale del popolo da soggiogare. Tutto ciò è vero anche per le nazioni, ove diverse comunità sono unite da un patto di solidarietà sociale (Renan 1882). La distruzione del patrimonio culturale ha molte facce. Fra queste un meccanismo di conquista sottile e apparentemente incruento, che ha luogo quando una nazione o un’etnia forte prendono possesso di una nazione o di un’etnia debole, insinuandone i propri usi e costumi e la propria lingua. Que- st’ultima, soprattutto, ha un ruolo fondamentale, sebbene non assoluto, nella conservazione dell’identità culturale, come si evince dal presupposto della teoria linguistica relativista che considera lo spirito inseparabile dal linguag- gio e sostiene che ogni lingua sia espressione di un atteggiamento culturale del pensiero. Da qui si deduce che nei soggetti obbligati a esprimersi in una lingua diversa dalla propria si genera uno scivolamento dalla propria cultura verso la cultura cui appartiene la lingua che si è costretti a usare per comu- nicare. È fatto comune che la lingua parlata nelle nazioni (nelle comunità quando si tratta di territori non nazionali) a economia più sviluppata, e quindi più potenti economicamente e politicamente, tenda a soppiantare la lingua dei paesi più deboli attraverso la progressiva assunzione e traduzione della lingua locale da parte della classe dirigente e dei media (come la continua sostituzione di vocaboli italiani con vocaboli inglesi cui assistiamo in Italia); il che avviene sia per sviluppare le attività economiche, sia per uniformarsi a un modello di società ritenuto superiore (Hagège 2000). Alle lingue si ri- conosce quindi un ruolo di identificazione per le comunità. “Si è ciò che si parla” hanno scritto i linguisti inglesi Daniel Nettle e Suzanne Romaine pagina 158 Capitolo 2 [Aggiornato 20 settembre 2019] Giovanni Pinna Divagazioni sulla storia politica dei musei (2000), un proverbio gallese recita “Heb iaith, heb genedl” (“nessuna na- zione senza una lingua”), e il capo maori Sir James Henare, scomparso nel 1989, era solito affermare che “la lingua è la forza vitale della nostra cultura Maori e del nostro mana. Se la lingua muore, come predicono alcuni, che cosa ci rimarrà?”. Conservare le lingue significa perciò mantenere la di- versità culturale e salvaguardare la cultura e l’autonomia delle minoranze. L’imposizione di una lingua diversa dalla lingua locale è lo strumento usato per distruggere le identità delle comunità, come ha sostenuto l’etnologo francese Jean-Loup Amselle (1990) che ritiene la conservazione dalla pro- pria lingua uno dei diritti fondamentali delle minoranze. L’imposizione di una lingua diversa è stata uno strumento cardine del colonialismo Quello che segue nel sintetico excursus storico fra saccheggio, vandalismo e iconoclastia di questo capitolo vuole rendere chiaro che i musei, in quanto custodi delle memorie storiche delle nazioni, in cui sono integrate guerre, sac- cheggi, colonialismo e rivoluzioni, hanno goduto e godono dei prodotti delle prevaricazioni storiche, ma ne hanno anche subito gli effetti. La maggior parte delle collezioni dei musei non sono prodotti di normali transazioni fra soggetti paritari e consenzienti, ma sono invece il prodotto di spostamenti di beni, di rimescolamenti seguiti a periodi di crisi politiche, economiche e morali. Le collezioni dei musei sono anche nate dall’eccessivo spirito collezionistico e dall’ansia di supremazia che aleggia nelle loro gallerie e nei loro uffici, che giustifica acquisizioni moralmente disdicevoli, se non truffaldine, e conduce alla frammentazione e alla dispersione di opere composite. È noto il rapporto del 1801 di Quatremère de Quincy contro il collezionismo eccessivo (Des dé- pots d’objects de sciences et d’art, des Musée […]), nel quale si legge che “nella formazione dei ‘cabinets’ e delle collezioni d’arte vi è un eccesso da cui difficilmente ci si protegge.