Mensile d’informazione per operare nelle Repubbliche dell'EAEC

A cura di Intesa Sanpaolo con la collaborazione de Il Sole 24 ORE 20 luglio 2021 - N. 53

Russia - Bielorussia: cresce l’interscambio e Kirghizistan : Japarov in missione a Dushanbe per accelera l’integrazione tra le due economie rilanciare i rapporti dopo gli incidenti di confine

Armenia: Pashinyan riconfermato da un elettorato Kazatomprom aumenta il dividendo e manterrà poco convinto invariata la produzione (1)

Kazatomprom (ri)mette in vendita le attività della Bielorussia - Industria Armamenti: le esportazioni filiera fotovoltaica (2) superano il miliardo di dollari

Uzbekistan: interconnessioni tra Asia Centrale e Kazakistan - Fast Food: Kusto lancia catena Asia del Sud al centro del calendario politico del Wendy’s in partnership con Wissol Group. presidente Mirziyoyev

Kazakistan – Rame: KAZmineral completa il Kazakistan: entra in vigore il nuovo Codice delisting e avvia il nuovo progetto Bamsky Ambientale

Global China Master: 5 Università italiane in team per fornire le competenze necessarie ad affrontare il mercato cinese (intervista a Francesca Spigarelli e Gianluca Sampaolo) Eurasiia 24 20 luglio 2021 - N. 53

EDITORIALE N.53

Russia - Bielorussia: cresce l’interscambio e accelera l’integrazione tra le due economie

L’aumento, nel primo quadrimestre, è stato del 18%. Collaborazione tecnologica al centro dei temi dell'ottavo forum con le Regioni russe. Un business Council composto da imprenditori russi e bielorussi affiancherà il Consiglio dell’Unione Statale tra i due Paesi. Dal gennaio 2022 normative congiunte nel settore dei trasporti e degli adempimenti fiscali e doganali.

Accelera il processo di integrazione dell’economia bielorussa con quella della Russia, motivata anche dal deterioramento dei rapporti politici del Paese guidato da Alexander Lukashenko con l’Unione Europea. L’interscambio tra Mosca e Minsk, nel primi quadrimestre di quest’anno, ha registrato una crescita del 18% . L’aumento diventa ancora più significativo (+ 30%) se confrontato con il primo quadrimestre del 2020. Un momento particolarmente rilevante per fare il punto della situazione è coinciso con l’ottava edizione del Forum annuale organizzato a Minsk in partnership con il Consiglio Federale russo (Federalnoye Sobraniye) dedicato ai rapporti della Bielorussia con le differenti Regioni della Russia. A questo evento partecipano i vertici istituzionali dei due Paesi e anche i manager di molte tra le aziende più importanti dei due Paesi. Quest’anno la delegazione imprenditoriale russa contava più di 80 partecipanti. Tra le decisioni più importanti annunciate in occasione dell’evento anche la costituzione di un Business Council che affiancherà il Consiglio dell’Unione Statale Russia-Bielorussia con il compito di rappresentare, appunto, il punto di vista delle imprese dei due Paesi. ”L’obiettivo è anche di concentrarci sulle sfide tecnologiche e scientifiche dei principali settori economici”, ha sottolineato Vladimir Ulakhovich, presidente della Camera di Commercio bielorussa. Tema che è stato ripreso da Grigory Karasin, presidente del Comitato Affari Esteri del Consiglio Federale russo che ha parlato della creazione di uno “spazio tecnologico comune” tra i due Paesi, con una armonizzazione delle degli aspetti normativi e legislativi in in materia di ricerca, l’offerta di uguali opportunità di carriera e insegnamento ai docenti e ricercatori dei due Paesi, l’attuazione di programmi congiunti di ricerca e sviluppo in alcune aree prioritarie individuate nei seguenti settori: informatica ed elettronica, nuovi materiali, ecologia, utilizzo ottimale delle risorse naturali, miglioramento agricolo, lotta a epidemie e salvaguardia della salute. E le cose si stanno già muovendo in questa direzione con una sessantina di progetti congiunti in questi stessi settori in aggiunta alle tecnologie dello Sazio e della Difesa, tecnologie spaziali, e ai settori dell’ingegneria e delle biotecnologie. Un’accelerazione è prevista anche nel processo avviato per una piena integrazione dei mercati dei due Paesi, suddiviso in 28 diversi capitoli. E secondo quanto dichiarato da Vladimir Semashko, ambasciatore bielorusso a Mosca, in occasione del Forum, il 2022 potrebbe essere l’anno in cui concludere le trattative per i dossier più controversi che riguardano i settori dell’energia elettrica e dell’Oil&Gas. Accanto ad altri, in fase avanzata, che riguardano i trasporti, l’armonizzazione delle politiche industriali ed agricole e della legislazione fiscale e doganali, le cui disposizioni potrebbero diventare operative dal gennaio del prossimo anno.

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EDITORIALE N.53

Kirghizistan : Japarov in missione a Dushanbe per rilanciare i rapporti dopo gli incidenti di confine

Il presidente kirghizo accompagnato da una folta delegazione ministeriale si è incontrato con il suo omologo tagiko. C’è accordo sull’opportunità di usare i normali canali diplomatici per gli eventuali contenziosi legati alla definizione, tuttora irrisolta delle frontiere. Mentre entrambi i Paesi hanno interesse a collaborare sul piano economico, sociale e delle infrastrutture.

A fine giugno si è svolto, a Dushanbe, un importante incontro tra il presidente tagiko, Emomali Rahmon, e il suo omologo kirghiso, Sadyr Japarov. E’ durato, in pratica, un’intera giornata con l’obiettivo di ristabilire, o meglio di riaffermare un clima di collaborazione tra i due Paesi dopo gli episodi che hanno causato, in aprile, scontri con decine di vittime, in alcune aree di confine.

Difficile ricostruire con esattezza il concatenamento degli avvenimenti che hanno dato origine al conflitto scoppiato a fine aprile, nelle regioni di Batken e Soghd, in alcuni villaggi lungo il fiume Ak Suu: si tratta di antichi contenziosi riguardanti la rete idrica in aggiunta alla contestazione di alcune iniziative di sorveglianza ai confini (installazione di telecamere), a una serie di manovre militari poco opportune e a voci di concessioni e scambi di territorio tra i due Paesi che il presidente Japarov sembrava intenzionato ad avviare. Il bilancio ex post non è irrilevante: più di 60 morti da entrambe le parti e operazioni evacuazione in massa di migliaia di residenti, decine di case incendiate e distrutte. Difficile anche capire si i militari coinvolti negli scontri, soprattutto tagiki, hanno seguito una catena di comando dettata dalla capitale o se, in qualche maniera, hanno reagito in modo spropositato.

I rapporti di confine tra Takikistan e Kirghizistan restano però un problema tuttora aperto, che si presenta sotto diversi aspetti. Uno geografico/militare imputabile al fatto che, all’interno dell’Urss non erano mai stati determinati con precisione.

20 anni di negoziato sui confini, e la questione non è conclusa ….

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Con la caduta dell’Unione Sovietica quindi è stato avviato un percorso lentissimo, gestito attraverso successive riunioni (180 incontri bilaterali in 20 anni!), per determinarli con precisione e in modo consensuale. Compito che ad oggi è stato completato per circa 520 chilometri ma ne restano ancora molti . Attualmente si sta lavorando su un ulteriore tratto di 35 chilometri. “Sarebbe importante, a questo punto dare anche, un valore legale e vincolante a quanto stabilito finora”, ha commentato Rahmon. E questo sarebbe il problema minore. Certo, sulla carta ognuno dei due Paesi vorrebbe avvantaggiarsi e i rispettivi leader devono fare i conti con le reazioni di orgoglio patriottico, evitando il rischio di subire accuse di “svendita” degli interessi nazionali. Ma si guarderebbero bene dallo scatenare un conflitto armato in piena regola per queste questioni. Anche perché resta sempre l’opzione, meno impegnativa, di protrarre lo statu quo attuale.

Acqua libertà e spostamenti al centro del contenzioso locale

A mantenere elevata la tensione sono invece le popolazioni locali. Che hanno anche motivi concreti di divergenza: accesso all’acqua, ai pascoli, possibilità di spostamento con attraversamento del territorio “straniero” (esistono sia enclave del Tajikistan in territorio kirghizo che enclave del Kirghizistan in Tagikistan) . E su questi temi concreti crescono poi atteggiamenti di discriminazione nei confronti degli “altri” che diventano così dei nemici da contrastare con tutti i mezzi.

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“I nostri cittadini sono stati coinvolti in un conflitto che non doveva scoppiare ed entrambe le parti hanno subito dolore e danni”

Buona parte dei colloqui tra Rahmon e Japarov sono stati quindi dedicati alla ricerca di un modo condiviso e costruttivo di evitare che queste situazioni si ripetano. I termini precisi del colloquio non sono conosciuti ma il comunicato finale è abbastanza eloquente. Sdrammatizza la portata “politica” degli scontri: nessuno dei due Governi intende trasformarli in un contenzioso tra Stati. “I nostri cittadini sono stati coinvolti in un conflitto che non doveva scoppiare ed entrambe le parti hanno subito dolore e danni”, è scritto. Piuttosto, entrambi i leader hanno cercato di individuare le cause “pratiche” di questi episodi non desiderati e di porvi possibilmente rimedio impegnandosi a contrastare qualsiasi azione mirata a suscitare ostilità e odio etnico e soprattutto con la realizzazione di interventi di sostegno e sviluppo a livello locale.

Pacificazione affidata anche agli “anziani” Tra questi la costruzione di una commissione per la pacificazione composta dagli “anziani” dei villaggi posti da entrambe le parti del confine due parti. La dichiarazione, per ora generica, di un’attenzione che i Governi locali dedicheranno alle condizioni di vita dei tagiki che abitano in Kirghizistan e viceversa. Il rilancio di una commissione bilaterale per la gestione delle risorse idriche. In termini generali viene ribadito che questioni di questo tipo vanno comunque risolte attraverso un dialogo costruttivo, utilizzando i normali canali diplomatici e nel contesto di un rafforzamento dei rapporti tradizionalmente stretti tra i due Paesi e le rispettive popolazioni. Rahmon e Japarov , che era accompagnato da una folta delegazione di ministri, sono andati anche più in là, allargando il dialogo a temi strutturali, con particolare riguardo al comune interesse a realizzare una maggiore interconnessione nei settori dell’energia, dei collegamenti stradali, delle infrastrutture e dei sistemi informatici con riferimento specifico ad alcuni programmi come il CASA 1000. Sono stati poi siglati alcuni protocolli di accordo per avviare una collaborazione più stretta nel campo dell’assistenza sociale (sanità e pensioni), delle politiche giovanili, dell’informazione, dei servizi civili.

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EDITORIALE N.53

Armenia: Pashinyan riconfermato da un elettorato poco convinto

Scarsa partecipazione e grande dispersione di voti in microliste consentono al premier uscente di mantenere una consistente maggioranza in Parlamento. Ma ora servirebbe un confronto costruttivo con l’opposizione che fa capo a Robert Kocharian e soprattutto un progetto convincente per rilanciare il Paese

Le elezioni parlamentari che si sono svolte il 20 giugno in Armenia hanno segnato la prima “verifica” politica dopo la sconfitta subita da questo Paese nel conflitto con l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno Karabak con un risultato che ha sostanzialmente confermato quanto era emerso dai sondaggi che avevano preceduto la consultazione (vedi Eurasia 24, N°52 http://www.intesasanpaolo24.com/eurasia24/quindicinale/52/). Questi gli elementi più significativi per individuare lo stato d’animo dell’elettorato. - Scarsa partecipazione: 1.256.000 voti espressi coprono appena il 49% degli iscritti alle liste. dato che lascia intravedere lo stato di disillusione e di disorientamento a fronte di un’offerta politica poco convincente. - Riconferma di : il raggruppamento guidato dal Civic Contract Party del Primo Ministro in carica, Nikol Pashinyan si aggiudica il 54%dei consensi espressi. Ma sono ormai lontani gli entusiasmi che l’attuale premier era stato in grado di suscitare tre anni fa ponendosi alla guida della “Rivoluzione di Velluto” . - Kocharian principale oppositore: La coalizione elettorale (Armenia Bloc) guidata dall’ex presidente si qualifica come principale forza di opposizione mentre in terza posizione si è collocato un raggruppamento nazionalista (I Have Honour) guidato dall’ex Capo del Consiglio di Sicurezza armeno in partner ship con il Partito Repubblicano che è stato uno dei primi emersi dopo l’indipendenza. Frammentazione: segue un numero consistente di partiti al di sotto della soglia minima necessaria per eleggere i propri rappresentanti in Parlamento. Tra questi, gli unici con una certa consistenza sono , che fa capo al finanziere Gagik Tsarukyan, molto legato a Kocharian e la lista Hanrapetutyun, un partito di impronta liberale ed europeista. Premio di "soglia": ’effetto di questa dispersione però è rilevante in quanto si è tradotta in un forte “premio” nel numero di seggi in Parlamento, per i partiti che hanno invece superato la soglia.

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Risultati delle elezioni parlamentari in Armenia

Voti % Seggi Partito in Parlamento

Civil Contract 688.761 53,95 71

Armenia Alliance 269.481 21,11 29

I Have Honor Alliance 66.650 5,22 7

Prosperous Armenia 50.444 3,95 0

Hanrapetutyun Party 38.758 3,04 0

Armenian National Congress 19.691 1,54 0

Shirinyan-Babajanyan Alliance of Democrats 19.212 1,50 0

National Democratic Pole 18.976 1,49 0

Bright Armenia 15.591 1,22 0

5165 National Conservative Movement Party 15.549 1,22 0

Liberal Party 14.936 1,17 0

Homeland of Armenians Party 13.130 1,03 0

Armenia is Our Home Party 12.149 0,95 0

Democratic Party of Armenia 5.020 0,39 0

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Awakening National Christian Party 4.619 0,36 0

Free Homeland Alliance 4.119 0,32 0

Sovereign Armenia Party 3.915 0,31 0

Fair Armenia Party 3.914 0,31 0

Citizen's Decision 3.775 0,30 0

European Party of Armenia 2.440 0,19 0

Freedom Party 1.844 0,14 0

Rise Party 1.233 0,10 0

United Homeland Party 964 0,08 0

All-Armenian National Statehood Party 803 0,06 0

National Agenda Party 719 0,06 0

Totale 1.276.693 100,00 107

La visione politica di Pashinyan punta, attualmente, a conciliare il forte legame con Mosca con l’adozione di criteri affini a quelli dell’Unione Europea nella sfera dell’economia (mercato e concorrenza), dell’amministrazione della Giustizia e della governance politica in genere con la conseguente emarginazione di una radicata oligarchia economico-politica che ha dominato il Paese negli ultimi 20 anni. Impostazione che gli ha consentito di portare a casa un atteggiamento benevolo da parte delle agenzie di rating, in aggiunta ai riconoscimenti di Bruxelles e di alcuni Paesi Ue, tra cui, in particolare modo, la Francia che però non si sono tradotti in particolari dividendi economici. Le maggiori perplessità riguardo a Pashinyan, oggi, riguardano più

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che altro le effettive capacità di governo sue e del suo team.

Tema portante della campagna elettorale di Kocharian sono state le critiche alla gestione Pashinyan sia precedente che successiva al conflitto con l’Azerbaigian. All’operato del premier sono stati imputati il deterioramento delle condizioni economiche, la sconfitta militare e le condizioni di pace estremamente penalizzanti imposte al Paese che deve cedere all’Azerbaigian buona parte del territorio del Nagorno Karabak. Ma i limiti di questa impostazione sono stati la sostanziale assenza di una proposta politica alternativa e la scarsa credibilità di personaggi che in un passato precedente la Rivoluzione di Velluto non avevano dato grande prova di sé. Un contesto politico “irrisolto” Al di là dei numeri e del risultato finale però, l’obiettivo proposto da queste elezioni avrebbe dovuto essere la stabilizzazione del contesto politico del Paese, con l’instaurazione di un dialogo costruttivo tra forze di Governo e opposizione per tracciare un nuovo percorso di crescita , anche economica all’interno di uno scenario regionale profondamente mutato. Non ci sono molte speranze che questo accada. Khocharian ha già annunciato che farà ricorso alla Commissione elettorale per comportamenti prevaricatori imputati a Pashinyan al suo partito. E le cose, per ora, si fermano a questo punto.

La visione di Mosca

L’effetto involontario di questo focus sbilanciato sui conflitti di potere interni al Paese è di lasciare che le decisioni determinanti per il futuro armeno vengano delegate, di fatto, alla Russia che ha gestito il decorso della guerra nel Nagorno Karabak insieme alla Turchia e che presidia militarmente i nuovi confini tra Armenia e Azerbaigian. La visione di Mosca, riguardante non solo l’Armenia, sarebbe attualmente orientata a ripristinare interconnessioni e transiti nell’area del Caucaso liberandola dalle diverse situazioni di blocco create, a vari livelli, dai conflitti riemersi con la fine dell’Unione Sovietica e la conseguente creazione di territori ”separati” che non sono in grado di sostenersi in modo autonomo : Nagorno Karabak, Nachkivian, Abkhazia, Ossezia del Sud. lI-tavolo-che-non-c’è Ma tutto questo richiederebbe un tavolo di confronto a cui dovrebbero partecipare anche i rispettivi Paesi di riferimento che sono, oltre alla Russia, anche Azerbaigian, Georgia e Armenia. “Tavolo” che è attualmente oggetto di proposte e riflessioni di un vasto numero di commentatori ed esperti politici. Ma che ha il difetto di non esistere nella realtà. L’unica sede di discussione, al momento, sono i dialoghi sempre più frequenti negli ultimi tempi tra il presidente russo Vladimir Putin e quello turco, Recep Tayyip Erdogan, che nel corso degli anni è emerso come principale “protettore” esterno dell’Azerbaigian e della Georgia. La “liberazione” del reale potenziale economico della Regione del Caucaso sarebbe, oggi, nell’interesse di entrambi.

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FINANZA E MERCATI N.53

Kazatomprom aumenta il dividendo e manterrà invariata la produzione (1)

Redditività al primo posto nella politica del gruppo. Il 2020 chiude in bellezza grazie alla ripresa dei prezzi dell’uranio. L’obiettivo ora è di controllare l’offerta per mantenerli a livello sostenuto

Kazatomprom, l’Ente di riferimento della filiera nucleare kazaka quotata in Borsa e controllata al 75% del Fondo Sovrano Samrut Kazyna, che ha chiuso il 2020 con un utile netto di 221 miliardi di tenge in crescita del 3,6% sul 2019, ha deciso di aumentare in modo sostanzioso il dividendo che passa da 382 a 579 tenge per azione, per un totale di 150 miliardi di tenge (99 miliardi nel 2019). La giustificazione risiede in un cambiamento della politica di gestione del free cashflow accompagnato da un significativo miglioramento dei conti nell’attività “core” di estrazione e trattamento dell’uranio.Se si eliminano gi introiti derivanti da operazioni straordinarie (dismissioni) infatti, le cifre comparate del 2020 e del 2019 cambiano. L’utile riportato nel 2020, pari a 200 miliardi di tenge supera infatti quello del 40% quello riportato nel 2019. I ricavi consolidati del 2020 ammontano a 587mila miliardi di tenge con una crescita su base annua del 19% e un margine operativo, pari a 224 miliardi di tenge, superiore del 47% rispetto a quello registrato nell’anno precedente. Questo grazie al duplice effetto di una ripresa delle quotazioni mondiali dell’uranio (circa il 20%) e anche della svalutazione del tenge rispetto al dollaro. Va aggiunto che da alcuni anni la politica societaria del gruppo è prioritariamente orientata ad aumentare la redditività rispetto ad altri obiettivi nazionali. E Kazatomprom dispone anche degli strumenti opportuni grazie alla quota significativa coperta sul mercato mondiale della produzione di uranio e ai contenuti costi di estrazione. In quest’ottica ha anche deciso di ridurre i livelli di produzione programmati nel medio periodo, tenendo conto delle indicazioni derivanti dall’andamento attuale e previsto del mercato spot e dei vincoli dei contratti di concessione e delle operazioni in joint venture siglati con terze parti. In sostanza ha deciso di tagliare di 5mila tonnellate anno produzione prevista per il 2023 che nei programmi iniziali avrebbe dovuto raggiungere 27.500-28.000 tonnellate e che invece resterà sui livelli attualmente programmati per il 2022, pari a 22.500 - 23.000 tonnellate. Resta comunque valido il programma concordato con China Nuclear Power per la cessione del 49% dei giacimenti di Mikuduk e Zhalpak. http://www.intesasanpaolo24.com/eurasia24/aziendeinprimopiano/51-1/)

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FINANZA E MERCATI N.53

Kazatomprom (ri)mette in vendita le attività della filiera fotovoltaica (2)

Sono tre società che produzione silicio metallico, celle solari e pannelli ereditate da un programma, ormai superato, che puntava a un’autonomia produttiva del Paese nell' energia solare.

Kazatomprom ha avviato da alcuni anni un programma di dismissione di diverse controllate che operano in settori estranei al core business. Tra queste rientrano quelle operanti nel settore fotovoltaico. Si tratta di tre aziende che chiudono i bilanci in rosso e che richiederebbero interventi di potenziamento produttivo e tecnologico e con prospettive commerciali che possono essere rafforzate solo all’interno di gruppi con una presenza radicata in questo settore. Non è il caso di Kazatomprom, anche se, oggettivamente, il mercato dei pannelli fotovoltaici è attualmente in netta crescita nel Paese.

L’ingresso di Kazatomprom nel settore fotovoltaico era stata un’operazione sostanzialmente pionieristica, avviata una decina di anni mirata quindi all’obiettivo “nazionale” di dare un primo impulso a una filiera che all’epoca, in Kazakhstan, era ancora ai suoi stadi iniziali. Il Gruppo, o meglio, il Governo kazako, si era avvalso del supporto dell’ente nucleare francese (CEA: Commissariat à l’Energie Atomique et aux Energies Alternatives) con l’obiettivo di imitarne il modello onnicomprensivo. Che nella nuova ottica di focalizzazione dell’attività di Kazatomprom sulla filiera nucleare accompagnata da una forte attenzione alla redditività, non ha più ragione di essere.

Il CEA francese si proponeva, e in parte continua a proporsi come punto di riferimento del Governo francese per promuovere l’innovazione nei settori dell’energia atomica per impieghi civili e militari, le energie alternative, i combustibili e i nuovi materiali ecc. Innovazione che però, quando raggiunge un sufficiente stadio di maturazione e affidabilità, viene trasferita a soggetti esterni in grado di tradurle in attività economicamente redditizie.

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Un primo tentativo di dismissione dell’intera filiera sembrava fosse andato in porto due anni fa con la cessione a un consorzio composto da quattro società: il gruppo petrolifero russo Yadran, la francese ECM greentech specializzata nella realizzazione di attrezzature e macchinari per il settore fotovoltaico (incluse quelle fornite a Kazakhstan Solar Silicon), Canadian Solar (pannelli solari) e la cinese Kasen supportata da CEEC (China Energy Engineering Corporation). Ma l’annuncio è poi rientrato, a quanto pare per il mancato rispetto di una parte degli adempienti richiesti ai compratori. L’accordo prevedeva la cessione iniziale del 75% delle quote con possibile completamento dell’operazione (100%) nell’arco di tre anni, mantenimento dell’occupazione. Quest’anno Kazatomprom ha deciso di ricorrere a un siste ma d’asta con prezzo minimo. Ma senza grandi risultati

MK Kazsilicon LLP L’azienda, localizzata a Ushtobe, nei pressi di Almaty, operante da 15 anni, è in grado di produrre 5mila tonnellate anno di silicio metallurgico con elevati livelli di purezza (fino al 99,8%) in aggiunta a microsilicio per impieghi prevalenti nel settore dei materiali pregiati da costruzione e sabbie di quarzo. In realtà la linea per la produzione di silicio policristallino sembrerebbe inattiva da alcuni anni. L’impianto lavora il materiale estratto dal sito minerario di Sarykol. Il prezzo base minimo è stato fissato attorno ai 3,2 milioni di euro. Due successive aste per la cessione della società, l’ultima dei quali è avvenuta in aprile, sono andate deserte. http://kazsilicon.kz/

Kazakhstan Solar Silicon sarebbe stata formalmente ceduta in aprile per circa 640 mila euro a fronte di un prezzo base di partenza attorno ai 33 miliardi euro. Ma alla data del 30 giugno il compratore non aveva ancora versato la cifra e a questo punto non è certo che l’operazione possa essere finalizzata. La fabbrica è in grado di produrre wafer policristallini di silicio di 156x156 utilizzati nei pannelli fotovoltaici. La capacità produttiva ammonta a circa 60 MW annui corrispondenti a circa 16,5 milioni di wafer. Il valore dell’impianto esistente, che però richiede ulteriori interventi di completamento e modernizzazione per diventare realmente competitivo, è stato stimato in 20 milioni di euro. http://www.kazsolarsilicon.kz/

Astana Solar LLP produce pannelli fotovoltaici basati su silicio policristallino nella fascia 235- 315 Wp. E’ stata una delle prime fabbriche localizzate nella Astana Free Trade Zone della capitale kazaka. La capacità produttiva annua è calibrata sui 50 MW anno per un totale di oltre 217mila moduli, ed esistono già i progetti per un raddoppio. L’offerta base era indicata attorno ai 3,4 miliardi di tenge ( 6,7 milioni di euro). Ma due successive aste con prezzo base minimo sono andate deserte nonostante un taglio del 50% nella offerta di base richiesta. A fine giugno è stata effettuata un’ulteriore asta senza prezzo minimo. L’aggiudicazione è avvenuta praticamente a un costo zero: 380 mila tenge pari a 750 euro. Non è stato però annunciato il nome dell’acquirente e sono in corso verifiche per valutare la credibilità. www.astanasolar.kz

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SETTORI DELL'ECONOMIA N.53

Bielorussia - Industria Armamenti: l'obiettivo è il rilancio dell'export

L’edizione 2021 della Fiera (Milex) si chiude con nuove esportazioni e contratti per 210 milioni di dollari. Presentati nuovi mezzi corazzati e droni interamente progettati nel Paese. Molti prodotti sono realizzati in collaborazione con l’industria degli armamenti russa. Ma procedono anche le collaborazioni con la Cina ed altri Paesi.

Si è tenuta in giugno a Minsk, in giugno, l’edizione 2021 della Fiera annuale Milex, dedicata agli armamenti nel corso della quale le imprese bielorusse del settore hanno siglato contratti di esportazione per un valore di 140 milioni di dollari e avviato ulteriori accordi di vendita per 70 milioni. I dati sono stati annunciati a fine manifestazione dal presidente dell’Autorità di Stato per l’industria militare, Dmitry Pantus. Il catalogo dei prodotti esposti tra sistemi d’arma e componenti conteneva circa 300 voci, molti di questi presentati al pubblico per la prima volta. Particolare interesse ha suscitato il nuovo mezzo corazzato da trasporto truppe realizzato da Minsk Wheel Tractor plant destinato a sostituire il BTR russo, progettato ancora in epoca sovietica, in dotazione alle Forze Armate bielorusse. Non esistono dati ufficiali ma si valuta che nel 2019 le esportazioni bielorusse di armamenti avessero superato largamente il miliardo di dollari. Nel 2020 però il dato ha subito un significativo ridimensionamento. L’intero settore fa capo, per quanto riguarda le esportazioni verso Paesi terzi, a BelTechExport. Ma una parte significativa delle vendite all'estero, valutata nell'ordine dei 250-300 milioni di dollari, è coperta da sistemi e componenti forniti all’industria bellica russa. Mezzi corazzati per lancio di missili e "revamping" di velivoli Ad esempio, nel settore aeronautico un ruolo importante è ricoperto da 558th Aircraft Repair Works specializzata nell’ammodernamento di diversi modelli di aerei ed elicotteri militari di fabbricazione russa tra cui i caccia Mig 29, gli aerei di attacco al suolo Sukhoi-25 e Sukhoi-30 in dotazione a Paesi terzi (Bulgaria, Serbia, Angola, Kazakistan ecc). In Bielorussia vengono anche prodotti alcuni sistemi di avionica e su apparecchiature di avionica utilizzati non solo per i Sukhoi 27 ma anche per i più moderni caccia multiruolo stealth T-50. Nel settore dei mezzi corazzati, MZKT (Minsk Wheel Tractor Plant) realizza gli chassis per la movimentazione e il lancio di numerosi sistemi d'arma di Mosca tra cui missili balistici Iskander, i missili terra aria S-400 ne diversi missili di difesa costiera Bastion, Bal-E, Bereg. Il complesso militare industriale bielorusso è anche specializzato nella produzione di sistemi di visione montati sui veicoli corazzati e sui tank delle Forze Armate russe (T 72, T80 e T90) in aggiunta alla fornitura di sistemi di controllo del bersaglio Un nuovo lanciamissili in comune con Pechino In parallelo procedono però collaborazioni con altri Paesi. Ad esempio KB Radar con il Vietnam, la ha sviluppato una versione migliorata del radar russo Vostok -E venduta poi anche ad Azerbaigian e Myanmar. Con la Cina, MZKT ha sviluppato un sistema lanciamissili multiplo (Polanez) con 8 lanciatori da 480chili con portata fino a 300

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chilometri. Con l’Ucraina ha realizzato un lanciamissili anticarro corazzato (Karakal) e un corazzato per impieghi tattici (Bars) venduto anche al Turkmenistan. Di concezione autonoma, anche se derivato dal modello BRDM-2, è invece il corazzato da ricognizione Cayman, sviluppato da JSC 140 repair plant. WEB Un catalogo completo ed aggiornato dei sistemi d’arma prodotti in Bielorussia è presentato sul sito di BelTecheExport, l’azienda statale che presiede alle esportazioni in questo settore. https://bte.by/en/o-kompanii/

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DOSSIER N.53

Uzbekistan: interconnessioni tra Asia Centrale e Asia del Sud al centro del calendario politico del presidente Mirziyoyev

Si è aperta a Tashkent una Conferenza regionale dedicata al tema delle infrastrutture di trasporto ed energetiche in aggiunta alle politiche ambientali, di sicurezza e di sviluppo sociale e culturale che consentiranno di moltiplicare gli scambi tra le due aree, tagliare i costi logistici e di trasporto. Strategiche, in questo contesto, la stabilizzazione dell’Afghanistan e la valorizzazione delle sue risorse minerarie con il completamento degli assi di percorrenza e transito del Paese

Il 15 luglio si è a Tashkent un importante appuntamento (Central and South Asia: Regional Connectivity, Challenges and Opportunities) promosso dal presidente uzbeko Shavkat Mirziyoyev, mirato a promuovere un maggiore interconnessione tra i Paesi dell’Asia Centrale. Il tema comporta diverse considerazioni che riguardano, in primo luogo, la piena valorizzazione del potenziale economico della Regione che richiede importanti interventi sulle infrastrutture di trasporto, i transiti transfrontalieri, le procedure doganali, l’integrazione e sviluppo delle reti energetiche. In questo contesto assumono particolare rilevanza, sotto il profilo geografico due direttrici. Che sono un maggiore collegamento degli Stati dell’Asia Centrale, privi di sbocco al mare, con i Paesi dell’Asia Meridionale (Pakistan, India e Subcontinente Indiano, Iran) e con i porti dell’Oceano Indiano. In aggiunta ai collegamenti attraverso l’Afghanistan, che è un punto di transito strategico che potrà essere valorizzato pienamente soltanto se si riuscirà a garantire adeguate condizioni di stabilità e sicurezza. Un nuovo ruolo per l'Asia Centrale nello scenario mondiale Nella visione di Mirziyoyey tutto questo può deve realizzato in primo luogo con il consolidamento di un dialogo politico strutturato in modo sistematico tra i Paesi coinvolti ed esteso anche ad aspetti che riguardano l’utilizzo razionale delle risorse naturali e la tutela dell’ambiente, gli scambi culturali e tecnico scientifici, la garanzia di condizioni di stabilità e sicurezza (lotta al traffico di droga e ai movimenti di guerriglia). L’evento di Tashkent si propone quindi di creare una piattaforma stabile e autonoma da interferenze esterne, per procedere in questa direzione. L’obiettivo è indubbiamente ambizioso e conferma anche il crescente attivismo sul piano internazionale assunto dall’Uzbekistan a seguito della politica di apertura e di dialogo perseguita dal Mirziyoyev.

Il primo annuncio degli obiettivi e dei contenuti della Conferenza di Tashkent risale al suo intervento di tre anni fa in occasione della 75esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite preceduto

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peraltro da una risoluzione ONU sulla cooperazione e lo sviluppo in Asia Centrale del giugno 2018. Sempre nello stesso anno si è instaurata, su impulso di Myrziyoyev, la prassi di stabilire un calendario di consultazioni periodiche tra i capi di Stato centroasiatici Il denominatore comune di queste iniziative è di superare i rimanenti ostacoli che si frappongono a una maggiore cooperazione regionale e al completamento di diversi progetti di interconnessione regionale già avviati o comunque in fase avanzata di definizione

Interscambio, investimenti e crescita economica in Asia Centrale

Nel corso degli ultimi 4 anni l’interscambio tra i Paesi dell’Asia centrale è cresciuto del 250% e oggi ammonta a 5,2 miliardi di dollari annui. E’ un dato importante ma bisogna considerare che gli stessi Paesi, alcuni dei quali sono importanti produttori di gas, petrolio e minerali diversi, registrano un interscambio complessivo con il resto del mondo di oltre 168 miliardi annui. C’è spazio per un ulteriore crescita, quindi. L’insieme della Regione è anche una meta attraente di investimenti esteri: nello stesso quadriennio sono stati pari a 36,7 miliardi di dollari con una crescita del 40%. E la quota degli stessi Paesi sul totale mondiale è salita dall’1,6 al 2,5 per cento. Un’analoga crescita si è verificata nei flussi turistici che sono raddoppiati da 9,5 a 18,4 milioni di persone. Complessivamente il PIL di questi Paesi è cresciuto da 253 miliardi nel 2016 a 303 miliardi nel 2019. E anche l’effetto recessivo della pandemia Covid è stato contenuto. Il PIL 2020 si è attestato a 290 miliardi di dollari con un calo nell’ordine del 2,5%. Ora i compiti principali risiedono nel rilancio di questo processo di crescita finalizzando diversi progetti transnazionali con relativi investimenti e il consolidamento di strutture stabili di cooperazione e coordinamento

Nel corso dell’ultimo anno l’Uzbekistan ha contribuito a preparare ulteriormente il terreno con due incontri al vertice, prima con l’India (dicembre 2020) e poi con il Pakistan (aprile 2021).

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"Food " per il subcontinente indiano Un settore che presenta un importante spazio di aumento dell’interscambio con l’Asia del Sud è l’agroalimentare, tenuto conto che attualmente le importazioni indiane di diversi prodotti “food” ammontano a 30 miliardi di dollari annui, quelle del Pakistan a 23 miliardi (con una crescita del 62% negli ultimi 5 anni). A cui si aggiungono anche Paesi più piccoli, come il Nepal che importa l’80% del grano che consuma (+ 62% in 5 anni).

Lo “snodo” afghano In particolare, nel vertice con il Pakistan, il presidente Mirziyoyev ha iniziato ad affrontare un tema chiave, e cioè la costruzione del cosiddetto “corridoio transafghano”. Sotto questo profilo l’intera Regione centroasiatica si trova a una svolta cruciale. Con il definitivo ritiro del contingente militare statunitense, previsto per il mese di settembre di quest'anno, occorre che siano gli Stati contigui a supportare il Governo di Kabul nella creazione di adeguate condizioni di sicurezza e di sviluppo. Le due cose vanno evidentemente insieme, tenuto conto dell’ inasprimento in atto degli attacchi talebani nei confronti delle forze governative e del fatto che il 75% del budget statale di Kabul dipende dagli aiuti esterni che sono in

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netta diminuzione. Erano di 6,7 miliardi di dollari nel 2011, sono scesi a 4 miliardi nel 2020 e nei prossimi 4 anni è previsto un ulteriore calo di circa il 30%.

In questo contesto, l’iniziativa “forte” promossa dal presidente uzbeko è il completamento della linea ferroviaria Mazar e Sharif - Kabul - Peshawar che oltre a essere uno nodo cruciale per i collegamenti tra Asia Centrale, Iran e subcontinente indiano, riveste una grande rilevanza economica. Consentirebbe infatti di avviare lo sfruttamento di importanti giacimenti di rame, zinco stagno e minerale di ferro con il trasporto dei relativi materiali, creando, tra l’altro, decine di migliaia di posti di lavoro.

Accesso più conveniente ai porti dell’Oceano Indiano L’interconnessione delle linee ferroviarie afghane con le attuali reti ferroviarie in Asia Centrale da un lato, e Pakistan e Iran dall’altro, consentirebbe di abbattere almeno del 30-35 % i costi di trasporto interregionali in direzione dei porti oceanici su un volume di traffico valutabile in 20 milioni di tonnellate annue. Basta considerare che il trasporto di un container da Tashkent al porto pakistano di Karachi verrebbe a costare attorno ai 1.400 dollari a fronte dei 2.600-3.000 dollari attualmente necessari per raggiungere Bandar - Abbas in Iran. Verrebbero inoltre valorizzati anche il nuovo porto iraniano di Chabahar e pakistano di Gwadar con l’introduzione di ulteriori vantaggi: maggiore concorrenza sulle tariffe e sui collegamenti marittimi, minori tempi di attesa per le operazioni portuali. Per ulteriori approfondimenti vedi Eurasia 24 N° 50

Abbattere i costi logistici e di trasporto Più in generale, il miglioramento delle infrastrutture interregionali di trasporto incluse la costruzione di adeguati hub intermodali ruota-rotaia e l’introduzione di procedure di transito e controllo doganale rapide, efficienti e condivise è una sfida di portata strategica per tutti gli Stati dell’Asia Centrale che da un lato sono privi di sbocchi diretti al mare, dall’altro però sono localizzati in posizione strategica lungo le diverse linee direttrici della nuova Via della Seta che collega i mercati dell’Estremo Oriente con quelli europei. Esistono varie stime che quantificano il primo aspetto secondo cui, ad esempio, ancora oggi, le attese e le procedure di transito incidono mediamente del 40% sui tempi di trasporto lungo le principali direttrici. E nonostante alcuni miglioramenti effettuati lungo la via della seta, a parità di distanza, i tempi di collegamento di qualsiasi Paese dell’Asia Centrale con la Cina, per i trasporti su rotaia, superano ancora di 5 volte quelli all’interno dell’Europa. Attualmente. le principali direttrici ferroviarie su cui si stanno discutendo ulteriori miglioramenti sono la tratta occidentale della via della seta attraverso il Caucaso (Baku-Tbilisi-Kars), e i collegamenti con l’Iran dall’Uzbekistan e dal Kazakistan attraverso il Turkmenistan.

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Una leva strategica per i flussi turistici

Il miglioramento delle infrastrutture e la disponibilità di collegamenti veloci a costi sostenibili anche per le persone dovrebbe contribuire a moltiplicare anche i flussi turistici tra Asia Centrale e Subcontinente Indiano. Secondo valutazioni dell’organizzazione mondiale del turismo nel 2022 il numero di visitatori indiani in Paesi esteri supererà i 50 milioni di persone (erano 23 milioni nel 2019) per una spesa complessiva di 23 miliardi di dollari. E le cifre sono in crescita anche per Bangladesh e Sri Lanka con una crescita, nel biennio in corso, pari rispettivamente ne a 2,6 e 2 milioni di persone.

Energia centroasiatica per il subcontinente indiano Considerazioni analoghe valgono per il settore dell’energia. In questo caso le maggiori opportunità da cogliere riguardano l’interscambio tra i Paesi dell’Asia Centrale con l’India. Grazie alle importanti risorse energetiche di cui dispongono, sia nella filiera Oil&Gas che in quella idroelettrica, con adeguate infrastrutture, potrebbero posizionarsi tra i principali fornitori dell’intero subcontinente indiano che è importatore netto di energia, nelle sue diverse forme, per circa 350mila dollari annui. Sotto questo profilo un progetto, già avviato, di grande rilevanza è il CASA 1000 che prevede l’interconnessione delle reti dei mercati elettrici dell’Asia Centrale e del Pakistan fino, eventualmente, all’India (vedi: ) che attualmente è il terzo consumatore netto di energia elettrica nel mondo (25mila miliardi di kWh annui).

In sostanza esiste la possibilità di creare, a termine, un mercato interregionale dell’energia, dove l’Uzbekistan è destinato a ricoprire un ruolo strategico in quanto centro di dispacciamento del

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CAPS la rete di interconnessione dell’intera Asia Centrale. Mercato che consentirebbe, tra l’altro, al Tagikistan e al Kirghizistan di dare finalmente il via a diversi grandi progetti idroelettrici, in discussione da anni ma che richiedono massicci investimenti. Nella filiera Oil&Gas un’iniziativa altrettanto rilevante, che richiede una “spinta” definitiva, è il progetto TAPI che prevede di aprire una nuova direttrice per le esportazioni di gas naturale del Turkmenistan, sempre in direzione del Pakistan e dell’India , attraverso l’Afghanistan.

Con un percorso di 1.400 chilometri, e una capacità, a regime, pari a 33 miliardi di m3 anno, richiede però investimenti nell’ordine di investimento richiesto pari a 7,5 - 8 miliardi di dollari . Sono progetti impegnativi, quindi, sia in termini economici, per il volume degli investimenti richiesti, sia in termini politici in quanto richiedono da parte di tutti. I Paesi coinvolti una visione win-win dove l’innalzamento dello sguardo a livello interregionale, al di là dei singoli particolarismi, si traduce in rilevanti vantaggi finali per ciascuno. Ed è per questo motivo che il “format” della Conferenza di Tashkent prevede un allargamento dalla sfera economica e delle infrastrutture anche ad altri aspetti che possono contribuire a creare il clima adatto: la sicurezza con il contrasto al terrorismo e al traffico di droga, le sfide ambientali con particolare riguardo alla gestione ottimale delle risorse idriche, la collaborazione nel contrasto alle pandemie. Nel contesto degli interscambi culturali un ruolo di primo piano può essere svolto dalla collaborazione in campo universitario e della ricerca scientifica. Molte cose iniziano a muoversi in questa direzione. Ad esempio si calcola che nelle università dei Paesi centroasiatici siano iscritti anche 20mila studenti provenienti dal subcontinente indiano grazie anche a due fattori. Diversi insegnamenti di eccellenza, soprattutto nel settore medico e costi di formazione decisamente sostenibili. Ma lo spazio per iniziative comuni può essere allargato di molto, soprattutto in aree di formazione e ricerca connesse ai diversi settori trainanti di quella che oggi viene chiamata “economia della conoscenza”.

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Senza dimenticare gli aspetti umanistici. Si parla infatti di una vasta area geografica ricca di tradizioni culturali che risalgono anche molto indietro nel tempo, e che per la loro stessa natura non conoscono confini. Questi stessi Paesi infatti, in epoche diverse, sono stati riuniti all’interno di vasti imperi continentali: quello persiano della dinastia Achemenide, l’impero di Kushan e quello di Bactria, solo per nominarne alcuni. Che hanno posto le basi per lo sviluppo di antiche vie di scambio commerciale, culturale ed umano lungo i percorsi della Via della Seta. Con una formula si può dire che l’ambizione, oggi, è di avviare un nuovo Rinascimento che investe l’intera Regione dell’Asia Centrale del Sud dell’Asia.

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AZIENDE IN PRIMO PIANO N.53

Kazakistan - Fast Food: Kusto lancia catena Wendy’s in partnership con Wissol Group

Previste 45 aperture nel prossimo decennio in Kazakistan e Uzbekistan. La formula concordata prevede un'ampia copertura di approvvigionamenti locali

Kusto Group, uno dei principali conglomerati del Kazakistan fondato nel 2001 da Yerkin Tatishev, e inizialmente attivo nel settore del petrolio, ha annunciato il suo ingresso in grande stile nel settore del fast food con la prevista apertura di 45 ristoranti nei prossimi 10 anni sotto la sigla Wendy’s. Di questi, 25 saranno localizzati in Kazakhstan e 20 in Uzbekistan. L’operazione è in joint venture con il gruppo georgiano Wissol che già gestisce una catena Wendy’s nel proprio Paese e insieme alla quale Kusto ha già aperto due locali ad Almati. In Kazakistan la copertura sarà estesa ad altre città nel Sud del Paese (Taldykorgan, Taraz e Shymkent) in aggiunta ad Aktau, Atyrau e Aktobe nella regione occidentale e a Nursultan e Karaganda nel Nord. L’occupazione complessiva prevista è di 800 persone. Una formula "localizzata"

Il modello di business, concordato con la statunitense Wendy’s che ha accordato la licenza di franchising, prevede un vasto utilizzo di prodotti e materie prime locali. "Uno dei meriti di Wendy's' è di essere flessibile sotto questo profilo e questo ci consentirà di mantenere uno standard statunitense in termini di qualità e servizio ma con l’impiego di prodotti freschi dei nostri territori”, ha puntualizzato Tatishev. I menu di Wendy’s propongono prevalentemente hamburger, preparazioni a base di pollo, sandwich e insalate. Già oggi, nei ristoranti già aperti, i prodotti locali copro il 60% degli approvvigionamenti, ma la quota è destinata ad aumentare. “Ci stiamo organizzando per consolidare forniture garantite e di qualità con produttori e allevatori uzbeki e kazaki”, spiega Tatishev che aggiunge: “sotto questo profilo abbiamo già accumulato importanti esperienze grazie alle nostre attività agroindustriali che ci consentiranno di essere più competitivi rispetto ad altre sigle straniere di fast food attualmente presenti in Kazakistan che a mio avviso fanno un eccessivo utilizzo di prodotti importati” .

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Kusto originariamente operante nel settore Oil&Gas (estrazione, stazioni di distribuzione di carburante) ha successivamente esteso il suo portafoglio attività in Kazakistan ad altri settori : agricoltura e allevamento (http://www.intesasanpaolo24.com/eurasia24/aziendeinprimopiano/38, materiali da costruzione (vernici e strutture in cemento), immobiliare. Si sta anche espandendo all’estero con particolare riguardo al Vietnam dove detiene rilevanti partecipazioni in diverse società operanti nel settore del cemento, delle costruzioni, immobiliare, della logistica marittima e su ruota, diagnostica medica. e dei crediti al consumo.

Wissol Group fa capo a due imprenditori georgiani, Samson Pkhakadze e Levan Pkhakadze. In Georgia controlla una delle principali reti di distribuzione di carburanti, una catena di supermercati (Smart Retail) ed altre attività minori tra cui altri ristoranti con la sigla Dunkin. operante in Georgia. Le sedi fiscali di queste attività sono generalmente localizzate nei Paesi Bassi e a Malta.

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AZIENDE IN PRIMO PIANO N.53

Kazakistan – Rame: KAZmineral completa il delisting e avvia il nuovo progetto Bamsky

Ora è sotto il pieno controllo di Vladimir Kim e Oleg Novachuk. Il riacquisto delle azioni si è concluso a 8,5 sterline per ogni titolo. La valorizzazione del nuovo megagiacimento localizzato in Russia richiederà investimenti pari ad almeno 7 miliardi di dollari

ll 15 giugno si è concluso il delisting dal la Borsa di Londra (LSE) e dall’Astana Stock Exchange, di KAZminerals che ora è interamente controllata da Nova Resources B.V. (Bidco), che fa capo a Vladimir Kim, considerato come l’uomo d’affari più ricco del Kazakhstan e a Oleg Novachuk i quali hanno riscattato con una pubblica offerta il 56,7% dei titoli in mano al pubblico. Per portare a termine l’operazione hanno dovuto effettuare due successivi rialzi nel prezzo offerto che inizialmente (ottobre 2020) era di 6,4 sterline, poi salito a 7, 8 per concludersi infine a 8,5 sterline per ogni titolo. Ammontare che sale a 8,69 sterline tenendo conto della distribuzione del dividendo. Parte dell’operazione è stata finanziata da VTB bank.

23 milioni di tonnellate di rame e 2mila tonnellate di oro

Ora Kazmineral sta facendo le prime mosse per un raddoppio che sarà reso possibile dallo sfruttamento in Russia, del sito di Peshanka, che fa parte del giacimento di Baimsky localizzato nel Circolo Artico, con risorse estraibili valutate in 23 milioni di tonnellate di rame e 64,3 milioni di once (2 mila tonnellate) di oro. La parte di Peschanka, in particolare, consiste in 7,1 milioni di tonnellate di rame e 16,5 milioni di once d’oro, valutate con metodo JORC. La produzione annuale dovrebbe attestarsi, neii primi 10 anni in 250mila tonnellate annue di rame e 400mila once d’oro. Gli investimenti richiesti sono ingenti anche per la localizzazione del giacimento. Le valutazioni per effettuare una stima definitiva sono ancora in corso , ma sono partite da un valore iniziale di 5,8 miliardi di dollari per salire successivamente a 7 miliardi.

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KAZ Minerals acquisì la concessione del giacimento di Baimsky dal finanziere russo Roman Abramovich nel gennaio del 2019 per una cifra pari a 900 milioni di dollari in parte in titoli (22,3 milioni di azioni appositamente emesse) e in parte in cash di cui 436 alla firma del contratto e 225 milioni dilazionati e sottoposti a specifiche condizioni. La decisione di Abramovich è stata dettata dalla considerazione delle condizioni climatiche, minerarie e logistiche estremamente connesse alla valorizzazione e sfruttamento del giacimento.

Entro il 2024 collegamento stradale e porto Il primo intervento previsto riguarda le infrastrutture, e in questo caso la valutazione è di 600 milioni di dollari per costruire in proprio una centrale elettrica, 200 chilometri di un collegamento stradale fino a Bilino, località situata a situata a 228 chilometri dalla costa (Capo Nagloynyn) e costruire un porto che servirà da base per i lavori e anche per il caricamento del concentrato di rame estratto dal giacimento e destinato ai mercati mondiali. E’ previsto che la costruzione del tratto da Bilibino fino al mare sarà co-finanziato anche da altri operatori interessati. Il completamento è programmato per il 2024. Nel frattempo KAZ Minerals che ha chiuso il 2020 con una produzione pari a 306mila tonnellate di rame , confermandosi come primo produttore del Paese con un trend di crescita negli ultimi 5 anni che è stato in media del 30% annuo, sta completando il potenziamento del giacimento di Aktogay.

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OPPORTUNITA' N.53

Kazakistan: entra in vigore il nuovo Codice Ambientale

Introduce, dal primo luglio di quest’anno, nuovi principi e approcci di regolamentazione ambientale a livello statale. Entro il 2030 il 15% dell’energia consumata sarà fornita da fonti rinnovabili. Il Codice prevede anche forti incentivi a favore di un utilizzo sostenibile delle risorse e della protezione dell’ambiente

Strategia e obiettivi coerenti nel tempo Nel 2013, l’allora Presidente Nazarbayev fissava la sua ambiziosa agenda per la green economy nell'ambito del piano di sviluppo nazionale denominato “Strategia 2050”, attraverso il quale venivano stabilite alcune tappe e fissate varie soglie per la riduzione delle emissioni di gas serra che, nel corso degli anni a venire, avrebbero portato alla definizione del primario obiettivo nazionale della carbon neutrality entro il 2060. Da allora, i legislatori kazaki hanno spinto per un aumento dell'efficienza delle tecnologie energetiche esistenti - in particolare il carbone - come uno dei cambiamenti immediati da apportare alle infrastrutture energetiche. Sull’onda di queste politiche green, negli anni 2019-2020 sono iniziati i lavori per la redazione del Nuovo Codice Ambientale (da ora in poi NCA), entrato in vigore il primo luglio. Sull’egida di questo approccio, nei mesi scorsi il Kazakistan ha aumentato dal 10% al 15% la quota totale di energia rinnovabile da produrre entro il 2030. L’NCA stabilisce, inter alia, quali siano le categorie alle quali si applica la nuova normativa (Titoli 14-15-16-17) nonché la documentazione e le procedure autorizzative necessarie (Titoli 11-12-13-19). Non solo energia La nuova normativa riguarda in particolare: - i progetti di energia rinnovabile ed efficienza energetica - la prevenzione e il controllo dell'inquinamento - la gestione sostenibile delle risorse naturali - la conservazione della biodiversità terrestre e acquatica - la transizione verso trasporti a basse emissioni - la gestione sostenibile dell'acqua e l’adattamento ai cambiamenti climatici - gli incentivi per prodotti, tecnologie e processi produttivi eco-efficienti. Nuove procedure di autorizzazione e valutazione Le norme codicistiche stabiliscono anche le procedure autorizzative e valutative della compliance ambientale. Tra di esse sono elencate le Autorizzazioni Ambientali Integrate (IEP) per gli impianti di prima categoria di rischio cd “1st GHS hazard class” e l’introduzione delle best practices disponibili (BAT). Quale misura di incentivazione per la transizione all'IEP e alle BAT è prevista l’esenzione dalle imposte per l'impatto negativo sull'ambiente. In caso di mancata transizione, sono previsti invece un aumento graduale dei tassi di pagamento. La normativa introduce un nuovo sistema di valutazione d’impatto ambientale (EIA) che prevede la priorità del

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risarcimento del danno ambientale tramite un unico metodo diretto di valutazione del danno. Tra gli altri interventi a favore di una maggiore tutela dell’ambiente vanno sottolineati i seguenti aspetti: - il passaggio dalle norme igienico-sanitarie alle norme ambientali - la modifica della classificazione dei rifiuti con l’introduzione del principio della gerarchia dei rifiuti - l’inasprimento della responsabilità in caso di violazione della legislazione ambientale e l’applicazione di un nuovo tipo di sanzione relativa ai benefici economici ottenuti dalla violazione della normativa ambientale - una garanzia finanziaria relativa all'adempimento degli obblighi di annullamento dell’impatto ambientale degli impianti rientranti nella prima categoria di rischio (vedi sopra). Finanza Verde L’NCA definisce (Titolo 4), inoltre, la "finanza verde" come investimenti finalizzati alla realizzazione di “progetti verdi" attraverso strumenti quali obbligazioni e prestiti "verdi". Progetti simili dovrebbero essere, inter alia, diretti ad aumentare l'efficienza dell'uso delle risorse naturali e diminuire l'impatto negativo per l'ambiente, aumentando l'efficienza energetica e il risparmio di energia. Si prevede che nel prossimo futuro il legislatore svilupperà la tassonomia dei progetti verdi e fornirà misure a sostegno. Una visione che supera i confini nazionali L’introduzione dell’NCA kazako prevede espressamente la cooperazione a livello internazionale nel settore della protezione dell’ambiente (Titolo 22), e rappresenta un importante progresso per l’Asia Centrale, che possiede circa il 5% della capacità naturale mondiale produttiva di energia eolica e solare. A tal proposito, i progetti transnazionali della regione sarebbero in grado di produrre oltre 1,3 trilioni di kWh di energia rinnovabile. L'aumento degli investimenti nel settore delle energie rinnovabili, le politiche verdi e un mercato sempre più sensibile stimoleranno la crescita, l'innovazione e l'occupazione nei settori eolico, solare e idroelettrico. Mentre l'Asia Centrale continua a sviluppare importanti relazioni con le istituzioni finanziarie internazionali, il mercato dell'energia alternativa capitalizzerà il massiccio potenziale della regione. Articolo di Daniele Pascale

Studio Legale “Carnelutti Law Firm Russia”

“Carnelutti Law Firm Russia" è uno studio legale indipendente che dal 2011 opera nella Federazione Russa nella sua sede di Mosca. Fin dalla sua costituzione sostiene l'innovazione e la crescita del business italiano e straniero mettendo a disposizione delle imprese e dei privati le proprie competenze in materia legale, fiscale e contabile e la propria conoscenza dei mercati della Federazione Russa e dell'Asia Centrale. L’expertise dei suoi 40 professionisti copre tutte le aree del diritto d’impresa. Lo Studio collabora con i più qualificati studi professionali europei, sudamericani e centro asiatici. Carnelutti Law Firm Russia pubblica approfondimenti costanti su tematiche relative alla Federazione Russa e ai paesi dell’Asia Centrale e Caucaso accessibile online nella pagina LinkedIn.

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OPPORTUNITA' N.53

Global China Master: 5 Università italiane in team per fornire le competenze necessarie ad affrontare il mercato cinese (intervista a Francesca Spigarelli e Gianluca Sampaolo)

Lingua e cultura cinesi ma anche economia, diritto e informatica con un forte contributo anche di manager ed esperti aziendali. Di seguito una presentazione dell'iniziativa con intervista a due tra i principali organizzatori.

Oggi non siamo in grado di sapere quanta Cina ci sarà nel futuro delle nostre economie, ma una cosa è certa: il Sistema Italia ha bisogno di un sostanzioso numero di uomini-azienda provvisti delle conoscenze necessarie a operare con e nel mercato più grande del mondo. Il contesto formativo italiano non è particolarmente attrezzato per affrontare questa sfida. Alcune Università hanno avviato con controparti cinesi uno scambio di docenti, corsi e studenti, che però non possono essere considerate come un percorso di apprendimento sistematico. Esiste però una rilevante eccezione che unisce le Università di Ca’ Foscari, l’Orientale di Napoli, Roma 3 e le Università di Bergamo e Macerata: si tratta del Global Management for China Master (GMC). E' un master di primo livello che ha la particolarità di rivolgersi a studenti che hanno conseguito almeno una laurea triennale di lingua cinese o comunque che dispongano delle conoscenze di base di questa lingua a cui viene proposta una seconda tappa. E cioè l’acquisizione delle conoscenze tecnico - economiche (web e informatica incluse) giuridiche e di contesto politico sociale che sono indispensabili per poter operare in modo efficace in quel Paese. Un’ulteriore caratteristica, poco frequente nel contesto italiano, è rappresentato dall’elevato livello di esperienza operativa del corpo docente. Sono in prevalenza persone che operano da anni in Cina o comunque con la Cina in qualità di top manager di imprese industriali (Finmeccanica, Brembo, Procter&Gamble ecc.), società internazionali di accounting (Dezan Shira), aziende e studi professionali italiani con sedi in Cina nel settore della consulenza, del supporto giuridico e legale, dell’informatica (Sudio Ambrosetti, Erede Bonelli e Associati,Digital Bros ecc). Molte di queste persone tengono corsi anche in atenei stranieri tra cui la London School of Economics, Hitotsubashi in Giappone, Harvard negli Usa, Tsinghua in Cina e ricoprono incarichi anche in istituzioni e economiche e centri di ricerca italiani e internazionali. Il corso si suddivide in 5 moduli che coprono altrettante aree di conoscenza: - Diritto commerciale incentrato sugli aspetti contrattualistici e sul modo di operare del sistema giuridico cinese anche in un’ottica di diritto comparato. - Politica e Istituzioni Il corso copre gli aspetti fondamentali del sistema politico cinese, dei suoi strumenti operativi e obiettivi e anche degli attuali indirizzi della politica “go global”di Pechino

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- Economia considerata nei suoi principali aspetti: politica del lavoro, inclusi sistema sanitario e welfare. finanza e mercati, politica economica e gestione m onetaria e fiscale. - Gestione aziendale Il modulo, estremamente articolato, include organizzazione aziendale, comunicazione e marketing, contabilità e adempimenti fiscali, contrattualistica. - Lingua con particolare focalizzazione sulla comunicazione business. - Informatica il modulo parte dalla constatazione che per operare in Cina, oggi, in qualsiasi settore, è indispensabile una conoscenza dei social media e più in generale dell’utilizzo del web che per diversi aspetti è più avanzato che nei nostri Paesi. Sulla struttura e gli obiettivi del master, Eurasia24 ha intervistato Francesca Spigarelli, che dirige il “China Center” dell’Università di Macerata e Gianluca Sampaolo, uno dei principali coordinatori del corso che attualmente si tiene nell’Ateneo marchigiano.

Questo master ha una propria “storia” che ha subito una evoluzione nel tempo? L’iniziativa è stata avviata nel contesto della facoltà di diritto dell’Università di Ca’ Foscari, un Ateneo che ha una lunga e prestigiosa tradizione di studio e ricerca sulla lingua e la cultura e anche sull’ evoluzione del sistema giuridico cinesi. In quel contesto è emersa l’ osservazione che molti studenti di lingua e civiltà cinese non erano pienamente a conoscenza delle crescenti opportunità di lavoro che si presentavano in ambito aziendale. Mentre stava crescendo il numero di imprese italiane interessate a operare in Cina, o con la Cina. Di qui l’idea di offrire anche una formazione di carattere economico aziendale di base, con una forte impronta pratica, mirata a fornire competenze anche e soprattutto in campo normativo, contrattualistico, oltre che economico.

Per operare in Cina, però, non è sufficiente conoscerne il mercato? No, servono evidentemente delle competenze economiche ma, a differenza di quanto accade per altri Paesi, da sole non consentono di andare molto lontano. Un passaggio imprescindibile, per applicarle in modo efficace, è la consapevolezza della specificità culturale, storica e linguistica, del Paese. La particolarità del corso di studi che abbiamo messo a punto è, appunto, di innestare un approccio tecnico-operativo su una base fondamentale di carattere umanistico in senso lato.

Quale è stata la risposta delle aziende italiane? Molto positiva. Inizialmente si è trattato soprattutto di grandi aziende, di studi professionali operanti nell’ambito della consulenza legale, fiscale, di marketing. Ma con l’estensione dell’iniziativa a più Università, la platea di aziende si è allargata a un numero davvero vasto anche di piccole e medie imprese operanti su tutto il territorio nazionale. Aggiungiamo che, con la pandemia, ritenevamo che questo interesse avrebbe subito un rallentamento, mentre sta accadendo l’opposto.

Anche se attualmente i rapporti tra il mondo Occidentale e la Cina non sono al loro apice? Direi che si tratta di un motivo in più. A fronte di questa freddezza istituzionale emergono con maggiore evidenza le esigenze del mondo delle aziende che invece non solo hanno bisogno di procedere nei rapporti con la Cina, il suo sistema produttivo e il suo mercato, ma hanno anche una crescente esigenza di capire quali sono le dinamiche di questo Paese, in quale direzione procede il suo sviluppo.

Il taglio “aziendalistico” di questo master si riflette anche nella composizione del corpo docente? Sì, e sotto questo profilo ritengo che il master sia un’iniziativa abbastanza rara nel contesto italiano. Nell’approccio alla Cina i nostri studenti hanno l’opportunità di un duplice approccio. Da un lato quello teorico-accademico che è indispensabile per conoscere le “radici” storiche, economiche e politico sociali su cui è cresciuta la Cina. Dall’altro

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hanno modo, attraverso le testimonianze di manager e professionisti che operano nel Paese da anni, di capire come queste “radici” si traducono, di fatto, nella pratica quotidiana.

Mettere insieme 5 Università per strutturare un corso non è cosa comune? Però, soprattutto oggi, sta diventando un esercizio indispensabile. Per consentire una formazione di qualità in un settore così complesso e in continua evoluzione occorre infatti concentrare e selezionare le migliori competenze a disposizione di ciascuno.

Queste , a loro volta, richiedono un aggiornamento continuo? La prova più evidente riteniamo che sia l’introduzione di un modulo specificamente dedicato all’informatica e digitalizzazione. La Cina sta emergendo come front runner dell’informatizzazione a livello globale e ormai è un fatto riconosciuto che il Paese proseguirà in questa direzione. E l’emergenza Covid ha indubbiamente contribuito ad accentuare questa percezione. Che si sta traducendo in una crescente richiesta da parte delle aziende che operano con la Cina di competenze nel settore del web marketing, dell’e-commerce. Aggiungiamo che sta emergendo anche un numero crescente di aziende informatiche italiane interessate a offrire i loro prodotti e servizi su quel mercato. Questo ci ha spinto a costituire anche un team di docenti e specialisti in grado di coprire queste tematiche.

Dal punto di vista logistico come vi siete organizzati? Ci siamo accordati su una formula che prevede un’alternanza, in linea di massima triennale, tra le tre sedi. Lo scorso anno è stato in parte un’eccezione in quanto abbiamo dovuto organizzarci per una docenza a distanza a causa della pandemia. Siamo riusciti comunque a garantire in presenza due sessioni, una all’inizio e una alla fine del corso.

Sito web https://www.mastergmc.it/il-master/

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