annuarium historiae conciliorum 48 (2016/2017) 423-439 brill.com/ahc
Darò leggi a questa città. Il patriarca Raimondo della Torre e il concilio provinciale di Aquileia (1282)
Dr. Luca Demontis Pontificia Università Antonianum, Scuola di Studi Medievali e Francescani [email protected]
Abstract
Raimondo della Torre, patriarch of Aquileia (1273–1299) pacified the patriarchy, impro- ved the social condition of the population and established relations of vassalage with the nobility. He freed numerous bondservants: welcomed by the patriarch in the Chur- ch of Aquileia, they were promoted to the rank of functionaries. As a fervent pastor, he devoted his energies to eradicating abuses, calling clerics to their duties. He convoked a provincial council in Aquileia for 1282, to which almost all the suffragans participa- ted, except the bishops of Como and Mantua. The council concerned the reform of the clergy, the defense of the libertas Ecclesiae, the protection of the patriarch and various norms on the piety of the faithful. The decisions of the council were published in the several dioceses and remained in validity for a long time.
Keywords
Raimondo della Torre, patriarch of Aquileia (1273–1299) – Provincial council – Minorities – Filippo da Casaloldo, bishop of Mantua (1268–1303) – Giovanni Avvocati, bishop of Como (1274–1293) – Libertas Ecclesiae
Raimondo della Torre venne nominato patriarca di Aquileia nel dicembre 1273 da papa Gregorio X e prese possesso della sede patriarcale nell’estate dell’an- no successivo. Forte dell’esperienza politica maturata in Lombardia al servizio della sua famiglia, i della Torre, signori di Milano prima dei Visconti, il patriarca univa concrete azioni di “buon governo” a un’efficace comunicazione politica: creò un’efficiente cancelleria, compiva numerose cerimonie feudali e religiose,
© verlag ferdinand schöningh, 2019 | doi:10.30965/25890433-04802006Downloaded from Brill.com09/30/2021 11:43:26PM via free access
1 L. Demontis, Raimondo della Torre patriarca di Aquileia (1273–1299). Politico, ecclesiastico, abile comunicatore, Alessandria 2009. 2 L. Demontis, Libertà, comunicazione e lavoro. Servi di masnada e ministeriali nel Patriar- cato di Aquileia di Raimondo della Torre (1273–1299), in «La grazia di lavorare». Lavoro, vita consacrata, francescanesimo, a cura di P. Martinelli/M. Melone, Bologna 2015, 89–118. 3 L. Demontis, Da servi a ufficiali: affrancamento, promozione sociale e carriera politica al seguito di Raimondo della Torre patriarca di Aquileia (1273–1299), in: AE 39/2 (2009) 933–961.
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1 Il concilio provinciale
La lontananza del patriarca dalla sua sede produsse effetti negativi: in sua as- senza il principato ecclesiastico veniva retto dal vicedomino patriarcale e, so- prattutto, dal capitolo di Aquileia che in assenza del patriarca si disinteressava della cura degli affari della Chiesa. Si rendeva necessario un processo di rinno- vamento della Chiesa, che il patriarca aveva in parte già avviato con i due capi- toli più importanti, quelli di Aquileia e di Cividale, ma che ancora era ben lungi dall’essere concluso. La necessità di regole ferree e di protocolli da seguire in circostanze di emergenza andavano ben oltre la diocesi di Aquileia e coinvol- gevano tutta la provincia ecclesiastica, corrispondente in gran parta all’Italia nord-orientale. Il patriarca indisse un concilio provinciale nel 1282 convocan- do i vescovi delle diciassette diocesi suffraganee o i loro rappresentanti,4 gli abati, il clero aquileiese5 e i rappresentanti dei frati Predicatori e dei Minori.6 Il 18–19 dicembre 1282 si svolse il concilio: erano presenti i vescovi Bono di Capodistria, Marzio di Ceneda, Egidio di Cittanova, Adalgero di Feltre e Bel- luno, Bonifacio di Parenzo, Bernardo di Pedena, Enrico di Trento, Ulvino di Trieste, Bernardo di Vicenza; i procuratori dei vescovi Folcherio di Concordia, Giovanni di Padova, Giovanni di Pola, Presavio di Treviso, Bartolomeo di Ve- rona; Leonardo di Favignacco vicedecano di Aquileia; gli abati Corrado di Ro- sazzo, Pagano di Beligna, Federico di Ossiach; fra Prosperino, custode dei Frati Minori di Cividale e fra Giacomo lettore dei Frati Predicatori della stessa città, altri ecclesiastici, religiosi e laici.7
4 I vescovi di Mantova (fino al 1453), Como, Trento, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Concor- dia, Ceneda (Vittorio Veneto), Feltre e Belluno (unite dal 1197 al 1462), Pola, Parenzo, Pedena, Trieste, Capodistria e Cittanova d’Istria, in: P. Cammarosano/F. De Vitt/D. Degrassi, Stori della società Friulana, vol. 1, Il medioevo, Tavagnacco (UD) 1988, 159. 5 Fin dall’xi-xii secolo la diocesi di Aquileia era stata divisa in sette arcidiaconati per la sua ampiezza, quattro dei quali erano italiani (Cadore, Carnia, Superiore e Inferiore, uniti questi ultimi due dal patriarca Raimondo in un unico arcidiaconato di Aquileia) e tre transalpini (Carinzia, Saunia e Carniola-Istria): ibid., 165. 6 Lo stesso patriarca Raimondo promosse la fondazione dei conventi dei frati Minori in Friuli e fondò nel 1287 un monastero di Clarisse; invece i frati Predicatori erano già presenti nel principato ecclesiastico. Il patriarca fece grande affidamento sui due principali ordini men- dicanti sia per la pacificazione delle famiglie nelle comunità cittadine del patriarcato sia per affidare loro incarichi diplomatici e pastorali, su questo argomento vedi L. Demontis, Operosa manus et perfecta spes sanctitatis: i Frati Predicatori nel patriarcato di Aquileia ai tempi di Raimondo della Torre (1273–1299), in: afp lviii (2008) 5–30. 7 Data la brevità del concilio è ragionevole pensare che gli undici canoni fossero stati preparati in anticipo dal patriarca Raimondo della Torre e poi discussi e rielaborati nei due giorni di assemblea conciliare.
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Il concilio doveva trattare materie differenti rispetto alle costituzioni emes- se nel 1275 e a quelle fatte pubblicare nel 1279 in tutte le diocesi dell’Italia nordorientale dal cardinal legato Latino Malabranca. Il patriarca Raimondo promulgava le nuove costituzioni scaturite dal concilio non solo ad presentium certitudinem ma anche ad memoriam futurorum ordinando ai suffraganei di farle osservare diligentemente in ciascuna delle loro diocesi. Se ne evidenziava la natura eminentemente pastorale e il ruolo del patriarca di vero pastore di anime e difensore del gregge affidato alle sue cure: ne veri pastoris nomine abu- tamur. L’immagine che andava delineandosi era quella di una Chiesa attaccata su più fronti:8 la malvagità era cresciuta, la pietà e il rispetto del sacro si erano affievoliti, prevaleva la licenziosità. Le nuove costituzioni, scaturite dal concilio provinciale di Aquileia, si pre- sentavano non solo come testo normativo, ma soprattutto comunicativo, dato che dovevano essere lette pubblicamente, tradotte in volgare e spiegate ai fe- deli. Esse tracciano un bilancio dei primi nove anni del governo di Raimondo e delineano una Chiesa di Aquileia bisognosa di essere riformata, dove il veterem hominem9 era duro a morire. Termini accuratamente scelti (ruinas graves, scis- suras restaurandas) facevano breccia nell’immaginario collettivo per esprime- re la situazione precaria in cui versava la Chiesa di Aquileia e la necessità di convocare un concilio provinciale. Il patriarca Raimondo era chiamato ad agi- re pro viribus laborantes sull’esempio del pater familias qui pro grege suo etiam mori dignatus est per conseguire l’onestà del clero, la salvezza delle anime, la tutela della Libertas Ecclesiae. Quest’ultima in particolare era stata calpestata più volte dai principi confi- nanti nonostante avessero il dovere di difendere – e i benefici feudali connessi – il patriarcato di Aquileia e la persona del principe-vescovo. Il re di Boemia in- fatti si era impadronito del ducato d’Austria a cui era legata la carica d’onore di gran coppiere del patriarca di Aquileia, che fra le mansioni prevedeva anche il dovere di liberare il patriarca in caso di prigionia,10 mentre il conte di Gorizia aveva l’officium di advocatus della Chiesa di Aquileia per cui percepiva diversi censi e alcune terre in Istria: negli anni precedenti alla nomina patriarcale di Raimondo il conte di Gorizia rapì il patriarca Gregorio da Montelongo e lo ten- ne prigioniero per diverso tempo, mentre il re di Boemia, che sarebbe dovuto
8 Iam te predones circumdant atque tyranni, sclavi, latrones, spoliarores Alemanni recita il Compianto del patriarca Gregorio (vv. 13–14), composto nel 1269 all’indomani della mor- te di Gregorio da Montelongo, durante la sede vacante del patriarcato di Aquileia, in: Demontis, Raimondo della Torre (vedi nota 1), 150. 9 Col 3,9; Ef 4,23; Rm 6,6. 10 Demontis, Raimondo della Torre (vedi nota 1), 128.
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11 J. Riedman, Il re Ottocarus di Boemia dominus Portus Naonis et defensor Ecclesie Aqui- legensis et terre Foriiulii, in: Aquileia e il suo patriarcato. Atti del convegno Internazionale di Studio (Udine, 23 ottobre 1999), a cura di S. Tavano/G. Bergamini/S. Cavazza, Udi- ne 2000, 315–322, in particolare 320. 12 Demontis, Raimondo della Torre (vedi nota 1), 55–56. 13 Sull’argomento vedi: N. Housley, The Italian crusades: the Papal-Angevin alliance and the crusades against Christian lay powers, 1254–1343, Oxford 1982; Rolandino da Pado- va, Vita e morte di Ezzelino da Romano, a cura di F. Fiorese, Milano 42010, 354–396; L. Demontis, Crociata e categorie storiografiche alla luce di alcuni studi recenti, in: FF 81/2 (2015) 407–435, in particolare 421. 14 Ibid., 429. 15 Celebri furono gli esempi di difesa a oltranza dei beni, diritti e privilegi della Chiesa nel xii secolo da parte dei vescovi Lanfranco di Pavia, Cacciafronte di Vicenza e Adalpreto di Trento, vedi M. P. Alberzoni, Lanfranco di Pavia, un vescovo quasi santo, in: Ead., Città, vescovi e papato nella Lombardia dei Comuni, Novara 2001, 137–171; C. Maresca, «Se quasi Christi martyrem exhibebat». La leggenda agiografica di San Lanfranco vescovo di Pavia (†1198), Roma 2011, 32; L. Demontis, Perfetta pazienza e «Miles Celestis» nella Vita di san Lanfranco vescovo di Pavia (†1198), in: Anton. 90/1 (2015) 145–152.
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2 Canoni 1–3: primato della sede di Aquileia, devozione e onestà del clero
Per contrastare i nemici della Chiesa il patriarca mirava a migliorare la solidità dei rapporti tra i vescovi e a rafforzare l’identità della provincia ecclesiastica di Aquileia fin dal primo canone De celebratione festi beatorum martyrum Her- machore et Fortunati ac eorum conmemoratione facienda in cui si ordinava di celebrare solennemente la festa dei santi fondatori e patroni della Chiesa di Aquileia affinché tutti potessero accedere al loro potere di intercessione presso
16 Il metropolita e i vescovi suffraganei erano coscienti di essere oggetto di aggressioni pro defensione sue ecclesie, vedi: A. Tilatti, Tra santità e oblio: storie di vescovi uccisi in Italia nord-orientale (secoli xiii-xiv) in: L’Eveque, l’image et la mort. Identité et mémoire au Moyen Age, a cura di N. Bock/I. Foletti/M. Tomasi, Roma 2014, 603–620, 607. 17 Citati in questi termini nel Compianto del patriarca Gregorio (vedi nota 8), tramandato in due manoscritti conservati rispettivamente a Milano, Biblioteca Ambrosiana, Cod. R 71 sup., f. 142r (xiii secolo) e ad Udine, Biblioteca Civica “V. Joppi”, Fondo Joppi, ms. 230, f. 16 (xix secolo): sull’argomento vedi Demontis, Raimondo della Torre (vedi nota 1), 136–147. 18 Le costituzioni del cardinal Latino una volta ricevute dai rispettivi patriarchi e arcive- scovi dovevano essere pubblicate nelle proprie diocesi e trasmesse per via gerarchica ai rispettivi suffraganei: erano costituite di sei canoni riguardanti i procedimenti da attuare contro gli invasori delle chiese, sulla visita delle chiese, contro i chierici concubinari, sulle penitenze e sulle indulgenze. 19 Mt 6,34. 20 Impunita, effrenis, deformatis, dissolute, non formidant, non verentur: per l’edizione del- le costituzioni del concilio di Aquileia del 1282 vedi: L. Demontis, «Va’ e ripara la mia casa». La riforma della Chiesa in Raimondo della Torre patriarca di Aquileia (1273–1299), Berlin 2018, 75–87.
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Dio. La solennità liturgica dei santi martiri doveva essere celebrata ogni anno in tutte le chiese delle diocesi della vasta provincia aquileiese:21 nei giorni fe- riali i patroni della Chiesa di Aquileia avrebbero dovuto essere ricordati al mat- tutino e nei vespri con antifone, colletta e una riflessione (legenda), nei festivi con una processione solenne con le croci: essa diventava più visibile rispetto ad altri atti di culto e quindi più efficace per influire sui fedeli, confermando il loro sentimento di appartenenza.22 Si può scorgere in questo canone anche la volontà di ricordare ai vescovi suffraganei il primato metropolitano del pa- triarca di Aquileia, dato che i due vescovi suffraganei della Lombardia, Filippo da Casaloldo di Mantova e Giovanni Avvocati di Como, non parteciparono al concilio, né inviarono un proprio rappresentante, vivendo entrambi in esilio con le loro sedi episcopali occupate dalle nascenti signorie cittadine.23 Come in altre occasioni il patriarca Raimondo dimostrava la sua arte di governo in cui messaggio politico e religioso erano strettamente connessi e spesso, come in questo caso, assolutamente intrecciati. Le cerimonie si rivelavano dei canali
21 Per incentivarne il culto il patriarca Raimondo spostava la festa di santa Margherita, che cadeva nello stesso giorno, all’ottava della festa del santo martire patrono di Aquileia – dal 5 luglio al 12 luglio – affinché la gente potesse partecipare alle celebrazioni liturgiche sia della santa martire sia dei due santi protettori del patriarcato, vedi: Annales Foroiulienses a. 1252–1331, ed. W. Arndt, Hannoverae 1866 (= mgh, Scriptores, 19), 194–222, in partico- lare 205; Juliani canonici Civitatensis Chronica, in: ris, ed. L. A. Muratori, 24/14, Città di Castello 21906, 1–58, in particolare 24. 22 Per le comunità cittadine del patriarcato che non partecipavano alla processione con le croci fino ad Aquileia per la festa dei santi Ermagora e Fortunato era prevista la scomuni- ca. La comunità di Povoleto, infatti, il 26 luglio 1292, dopo aver rinnovato l’obbedienza di tutti i suoi abitanti al patriarca, veniva assolta dalla scomunica in cui era incorsa poiché i suoi abitanti hoc anno non iverunt cum crucibus Aquilegiam, vedi: Demontis, Raimondo della Torre (vedi nota 1), doc. cxvii (1292 luglio 26, Udine), 239, 500, 501. 23 Filippo da Casaloldo viveva in esilio nella sua città natale, Brescia, dato che, avverso al potere dei Bonaccolsi, aveva visto la sua sede episcopale occupata dai signori di Mantova; governava tramite vicari e si trovava probabilmente in una condizione di indigenza. Gio- vanni Avvocati era uno dei nemici del patriarca Raimondo: aveva instaurato una signoria personale a Como in seguito a una rivolta contro i della Torre nel 1276, aveva inviato trup- pe comasche in aiuto all’arcivescovo di Milano Ottone Visconti per la battaglia di Desio ed era uno dei responsabili della dipartita del fratello del patriarca, Napoleone della Torre (†1278), esposto alle intemperie e morto di stenti in una gabbia appesa al castello del Ba- radello di Como. Tuttavia, nel febbraio 1282 la sua signoria era stata abbattuta dall’interno del suo schieramento da Lotario Rusca, che fece occupare il palazzo episcopale e i castelli vescovili del contado, saccheggiando chiese e monasteri e costringendo il vescovo Gio- vanni Avvocati a riparare in esilio a Milano dal suo potente alleato Ottone Visconti, vedi: A. Caso, Della Torre, Napoleone, in: dbi 37 (1989) 621–625; P. Grillo, Rusca, Lotario (I), in: dbi 89 (2018).
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24 G. Fedel, Simboli e politica, Napoli 1991, 11. 25 Demontis, Raimondo della Torre (vedi nota 1), doc. xxxvii (1278 febbraio 3, Udine), 227–228, 371. 26 Ibid., doc. cxxxi (1294 marzo 30, Cividale), 244, 516–17. 27 Ibid., doc. cil (1296 ottobre 30, Udine), 243, 538–539. 28 Le norme da osservare richiamavano quelle emanate dai grandi concili del xiii secolo, come il Lateranense iv e di due concili di Lione, e le costituzioni emanate da lui stesso nel 1262, quando venne nominato vescovo di Como, e nel 1275, prive ancora di edizione. La cura con cui si precisavano questi dettagli indicava che per Raimondo l’abito, contraria- mente al detto cucullum non facit monacum e in linea con il pensiero di papa Innocenzo iii, dava un contributo importante alla creazione dell’immagine del clero. Non bastava che esso fosse di sani principi e di solida pietà; occorreva un segno esterno in cui queste qualità dovevano riflettersi: l’abito esterno, così come la tonsura, «faceva» il monaco, lo faceva identificare a colpo d’occhio distinguendolo dalle altre persone. Raimondo, che aveva dato un contributo prezioso alla costruzione dell’immagine dei suoi illustri con- giunti e in seguito alla sua propria immagine di patriarca, già con questi provvedimenti disciplinari voleva dare del clero e della chiesa un’immagine speculare alla sua: talis grex, qualis pastor.
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3 Canoni 4–9: sicurezza e tutela di persone e beni della Chiesa
Contra sacrilegos in personas ecclesiasticas excedentes è il quarto e più lungo canone di tutte le costituzioni: veniva emanato per estirpare un modo di agire non troppo raro all’epoca, che aveva coinvolto in prima persona il patriarca Gregorio da Montelongo, predecessore di Raimondo e lo stesso della Torre quando era vescovo di Como, affinché l’ostinazione degli empi e dei crudeli non cresc[esse] in superbia29 per aver catturato il patriarca di Aquileia o uno dei vescovi suffraganei. In caso di cattura del patriarca, ad esempio, il vescovo che ne fosse venuto a conoscenza avrebbe dovuto recarsi di persona o, nel caso del rischio della propria incolumità, far arrivare quanto prima la notizia al capitolo di Aquileia. I suffraganei inoltre avrebbero dovuto recarsi ad Aquileia o in un altro luogo concordato per organizzare la liberazione del patriarca seguendo un protocollo che prevedeva limiti di tempo ben precisi. Fino a quando non fosse stato liberato il patriarca in tota Aquilegensi civitate, diocesi et provincia divina sint officia interdicta.30 I colpevoli del rapimento del patriarca, o coloro che lo avessero attaccato, senza alcun riguardo alla loro condizione sociale, au- torità e potere, dopo che i loro nomi fossero stati scritti dal capitolo di Aquileia, dovevano essere pubblicamente scomunicati in ogni chiesa cattedrale, colle- giata o parrocchiale della provincia ecclesiastica di Aquileia ogni domenica e in occasione di ogni festa al suono delle campane e con le candele accese,31 e sia essi che i loro figli ed eredi, fino alla quarta generazione, dovevano essere privati dei feudi ricevuti dalla Chiesa di Aquileia o dalle diocesi suffraganee, e di tutte le dignità, uffici e privilegi ed essere dichiarati inabili a riceverne altri. Tutti gli incarichi che ricoprivano per nomina o elezione dovevano essere dichiarati nulli e coloro che li avessero eletti o nominati sarebbero incorsi au- tomaticamente nella scomunica. Nel caso in cui il patriarca venisse ucciso o catturato e morisse in prigio- nia, i sacrileghi e i loro complici, indipendentemente dalla loro condizione so- ciale e dagli incarichi o dignità ricoperti, dovevano essere privati in perpetuo dei feudi, benefici, onori e uffici, sia ecclesiastici che secolari, e dichiarati ina- bili a riceverne altri, e i loro beni dovevano essere confiscati dalla Chiesa di
29 Demontis, «Va’ e ripara la mia casa» (vedi nota 20), doc. 1 (1282 dicembre 18–19, Aquileia), § 4, 77–82. 30 Ibid. 31 A Roma il rito di scomunica prevedeva anche il lancio delle candele accese da parte del papa e dei cardinali ai fedeli riuniti in chiesa per ricordare le fiamme dell’inferno, vedi: A. Paravicini Bagliani, Il papato e altre invenzioni. Frammenti di cronaca dal medio- evo a papa Francesco, Firenze 2014, 29.
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Aquileia. Inoltre il suo successore alla sede patriarcale con l’auxilium et consi- lium dei suffraganei e del capitolo di Aquileia era tenuto a perseguire i colpe- voli sia presso l’imperatore sia presso la Sede Apostolica,32 E se qualcuno dei colpevoli entrava in un centro abitato della diocesi o della provincia ecclesia- stica di Aquileia si dovevano sospendere gli uffici divini fino a tre giorni dopo la sua partenza. Coloro che avessero aiutato i colpevoli o gli avessero anche solo dato o venduto qualsiasi cosa o concesso ospitalità sarebbero incorsi automa- ticamente nella scomunica, che già da quel momento il patriarca Raimondo aveva pronunciato. Inoltre il vescovo del luogo del misfatto doveva chiedere il sostegno del braccio secolare e, unite le loro forze, doveva assolutamente catturare i colpevoli e consegnarli nelle mani del successore del patriarca. Nel caso in cui il patriarcato venisse attaccato militarmente da una potenza laica,33 i suffraganei con i loro vassalli e i fedeli delle altre città e diocesi erano tenuti non solo a non aiutare l’invasore, ma anzi a contrastarlo quanto prima con azioni concrete e spirituali. Chiunque avesse voluto inviare aiuti al patriarca non doveva essere ostacolato in alcun modo. In caso di cattura o morte di un vescovo suffraganeo, o di attacco contro la sua persona da parte di un potere laico, si seguivano le stesse disposizioni stabilite per il patriarca, e questi era tenuto ad intervenire in suo favore con tutti i mezzi di cui disponeva. Se il patriarca, o un vescovo suffraganeo, veniva assediato nei suoi domini o nella sua diocesi gli assedianti dovevano essere fulminati dalla scomunica, con l’aggiunta dell’interdetto nel caso si trattasse di una comunità cittadina o della perdita dei feudi nel caso di vassalli ribelli. Se un vescovo era espulso dalla città o costretto all’esilio a causa della difesa del- la libertas Ecclesiae e dell’osservanza delle costituzioni, la città doveva essere colpita dall’interdetto e il podestà, i consoli e gli altri ufficiali del comune do- vevano essere scomunicati in tutta la provincia di Aquileia. Il vescovo esiliato doveva essere provvisto dal patriarca e dagli altri vescovi suffraganei di quattro cavalli e di cinque persone al seguito e di qualunque altra cosa fosse ritenuta necessaria. Nel caso in cui un prelato della sua diocesi venisse imprigionato o ucciso, il vescovo era tenuto a procedere come stabilito per il patriarca. Se un chierico fosse stato ucciso o catturato, i colpevoli sarebbero stati scomunicati con i loro complici in tutte le chiese della diocesi e il luogo del misfatto colpito da inter- detto. Se un canonico o un chierico fosse cacciato a causa della difesa della
32 Il patriarca Raimondo aveva sperimentato di persona l’efficacia della minaccia di ricorre- re alla Sede Apostolica quando aveva resistito alle pretese del re di Boemia, vedi: Demon- tis, Raimondo della Torre (vedi nota 1), 56. 33 Circostanza che si era verificata più volte anche dopo il periodo di vacanza del patriarcato.
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34 Le costituzioni miravano a garantire completa solidarietà degli ecclesiastici dai vescovi fino ai chierici per tutelare la libertas Ecclesiae. 35 Il Chronicon de potestatibus Padue riporta la morte violenta di Bernardo di Agde vescovo di Padova nel 1295, e la cattura, tortura e impiccagione dell’assassino Cixana, seguita all’u- miliazione rituale di essere trascinato legato alla coda di un cavalo. Nonostante questo fatto “non è escluso che gli statuti del 1282 fossero stati presi anche nella consapevolezza della situazione patavina, dove l’omicida di un prete secolare era punito con una semplice ammenda pecuniaria”, vedi: Tilatti, Tra santità (vedi nota 16), 609. 36 Sul rapimento di Raimondo vedi supra; vedi anche M. N. Covini, Della Torre Raimondo, in: dbi, 37 (1989) 657; L. Martinelli Perelli, Ai confini settentrionali della diocesi comasca. Note sulla storia di alcune dipendenze dei Benedettini in alta Valtellina, Como 1991, 173–192, in particolare 180–181. 37 Storia del Trentino, vol. 3, L’età medievale, a cura di A. Castagnetti/G. M. Varanini, Bologna 2004, 275–283. Pare quindi che le costituzioni avessero anche potere retroattivo, almeno per i casi portati davanti all’assemblea conciliare. Non è chiaro se anche i Bonac- colsi al potere a Mantova, che avevano scacciato il vescovo Filippo da Casaloldo dalla sua sede, fossero stati pubblicamente scomunicati e fosse stata intrapresa qualche iniziativa contro di loro.
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38 Tilatti, Tra santità (vedi nota 16), 603–04. Sul problema del perché solo sulla morte di alcuni vescovi si sia sviluppato un discorso agiografico tira in ballo la fama che ciascuno di loro si era fatta in vita vedi: G. Schwedler, Damnatio memoriae - oblio culturale: concetti e teorie del non ricordo, in: Condannare all’oblio. Pratiche della damnatio me- moriae nel medioevo. Atti del convegno di studio svoltosi in occasione della xx edizione del Premio internazionale Ascoli Piceno (Ascoli Piceno, Palazzo dei Capitani, 27–29 no- vembre 2008), a cura di I. Lori Sanfilippo/A. Rigon, Roma 2010, 3–17. Sulla “fama” o reputazione nel medioevo, vedi sopra. 39 Es 21,24–25. 40 Item statutum est quod si quis interfecerit aliquem in civitate Sacili moriatur et caput ei au- feratur a busto, hoc idem dominus patriarcha noluit confirmare. Sed ubi dicitur moriatur et caput ei auferatur a busto, sic correxit: quod si quis talia fecerit in civitate Sacili et eius districtu, secundum quod iuris ordo postulat, puniatur, vedi: Demontis, Raimondo della Torre (vedi nota 1), doc. lxxxii (1286 giugno 5, Cividale), 459–60. 41 Vedi Concilio Lateranense iv, c. xliv.
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42 Nel 1274 Giacomo de Ragogna consegnava al patriarca Raimondo l’elenco dei colpevoli dei danni commessi e delle offese arrecate alla Chiesa di Aquileia: erano tutti uomini alleati o al servizio del conte di Gorizia, vedi Demontis, Raimondo della Torre (vedi nota 1), doc. xxiii (1274 agosto 19, Cividale), 353–55. 43 Concilio Lateranense iv, c. liv. 44 At 5,1–11.
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45 Cammarosano/De Vitt/Degrassi (vedi nota 4), 271–435; 419–23. 46 D. Degrassi, Uso del denaro e circolazione monetaria in Friuli e nel litorale alto-adriatico tra la metà del xii e la metà del xiii secolo, in Ead., Continuità e cambiamenti nel Friuli tardo-medievale (xii-xv secolo). Saggi di storia economica e sociale, Trieste 2009, 13–41 (già in: Die Friesacher Münze in Alpen-Adria Raum / La moneta frisacense nell’Alpe- Adria, Akten der Friesacher Sommerakademie, Friesach-Kärnten, 14.-18. September 1992, a cura di R. Härtel, Graz, 1996, 313–338; A. Tilatti, Il denaro e i preti. Qualche riflessio- ne per i secoli basso medievali, in: CrSt 33/2 (2012) 493–517. 47 Ibid., 499; G. Fasoli, Prestazioni in natura nell’ordinamento economico feudale: feudi ministeriali dell’Italia nord-orientale, in: Storia d’Italia, Annali 6, Torino 1983, 67–89; B. Castiglioni, L’altro feudalesimo. Vassallaggio, servizio e selezione sociale in area vene- ta nei secoli xi-xiii, Venezia 2010. 48 Vi aveva fatto ricorso prima di iniziare il viaggio d’ingresso in Friuli chiedendo ai fratelli la somma di 10000 lire di mezzani, impegnando il suo palazzo di Milano e altri beni a Montorfano. 49 Demontis, Raimondo della Torre (vedi nota 1), 356, 392–94, 394–96, 491, 514, 557–58. 50 Ibid., 365–66, 369, 470–71. 51 Ibid., 396, 397–98. 52 I Toscani – per lo più Fiorentini e Senesi – operanti in Friuli nella seconda metà del xiii secolo erano presenti in tutti i settori dell’economia: mercanti, imprenditori, esattori, banchieri, uomini d’affari alla ricerca di profitti. Nonostante questa diversità di ruoli e trattando una pluralità di affari nelle fonti sono sempre definiti mercatores, vedi: ibid., 269–287, 411–412. 53 Nel 1278 un certo Letto era monetiere del Patriarca, vedi: ibid., 280.
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54 Il diritto di battere moneta pubblica risaliva a una concessione di Corrado ii il Salico del 1028 al patriarca Poppone rimasta in vigore fino al 1420, quando il patriarca perse il potere temporale. In questo periodo ebbero luogo 20 rinnovazioni della moneta. Raimondo della Torre la rinnovò quattro volte (1274, 1277, 1281, 1287). Il denaro aquileiese era l’unità di misura del sistema monetario del patriarcato. Il denaro d’argento equivaleva a 14 piccoli battuti in rame con un ottavo d’argento. Il “grosso” equivaleva a 2 denari d’argento. Erano le monete reali circolanti. Il denaro e il grosso erano ritenute monete “buone” e avevano corso anche fuori del patriarcato; i piccoli avevano corso legale solo all’interno di esso. Le monete di conto erano la lira di denari (ne conteneva 20) e la lira di soldi, che pur contenendone 20 aveva meno valore, perché ogni soldo era costituito da 12 piccoli, come nella moneta veronese. La moneta di conto più utilizzata era la marca di denari, che ne conteneva 160. Un quarto d’una marca era detto fertone. La moneta di conto di maggior valore era la marca ad usum curie, così chiamata perché la Camera patriarcale computava con essa i suoi redditi. Questa corrispondeva a 800 denari d’argento, ma spesso veniva associata a una rendita costituita da derrate agricole e insieme da denaro contante. Da questa derivava anche la moneta chiamata denaro curiale equivalente a 5 denari d’argen- to. Un esempio di tale rendita è in un documento del 1298 marzo 12 contenente il canone d’affitto che un massaro è tenuto a versare: X marcas de redditibus ad usum curie, cioè 76 staia di frumento cum tribus staris frumenti de avocanti, 5 staia di fave e segale, 43 di miglio, 80 di avena, 15 urne e mezza di vino, 46 galline e 8 spalle di maiale, et in denarium una marca aquileiese e 28 denari, vedi: ibid., 168–181; F. Di Manzano, Annali del Friuli, ossia raccolta delle cose storiche appartenenti a questa regione,iii, dall’anno 1231 dell’era volgare all’anno 1310, Udine 1860, 109. 55 Tilatti, Il denaro (vedi nota 46), 501.
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4 Canoni 10–11: visite ad limina e osservanza delle norme
Il decimo canone Ut suffraganei Aquilegensis Ecclesie ipsam annis singulis vi- sitent ut tenentur prescriveva ai vescovi, secondo il giuramento prestato, di far visita al patriarca e alla Chiesa di Aquileia almeno una volta all’anno. Gli ordi- nari che non avessero prestato quel giuramento avevano un mese di tempo per farlo. Coloro che non potevano recarsi di persona dovevano farsi rappresentare da un procuratore.56 Questo canone doveva servire a rinsaldare i rapporti tra i suffraganei e il patriarca e a garantire a quest’ultimo informazioni precise sulla situazione in ciascuna diocesi. Un esempio dell’applicazione di questo cano- ne è senz’altro il caso del frate Predicatore Giovanni Savelli vescovo di Padova che il 15 agosto 1296 delegava il cappellano Stefano di Giordano de Urbe ad se presentandum nostro nomine et nostre Ecclesie Paduane coram venerabili patre domino R(aymundo) patriarcha Aquilegensi prefato, et ad prestandum eidem nomine Aquilegensis Ecclesie iuramentum sibi debitum secundum canonicas sanctiones, et ad visitandum ipsam Ecclesiam Aquilegensem.57 La formula del giuramento era piuttosto chiara: il vescovo, oltre a giurare fedeltà e obbedien- za ai santi Ermagora e Fortunato, alla Chiesa di Aquileia, al patriarca e ai suoi successori, secundum modum debitum de iure et consuetudine approbatum, dichiarava che non avrebbe tramato né partecipato ad attentati contro il pa- triarca58 e che non avrebbe rivelato a suo danno le confidenze da lui ricevute; sarebbe intervenuto al sinodo, avrebbe fatto ogni anno la visita ad limina, non
56 Vedi oltre il giuramento di fra Giovanni vescovo di Padova. 57 Demontis, Raimondo della Torre (vedi nota 1), doc. cxlvii (1296 agosto 15, Padova). 58 Questa è la formula: (…) Ego Stephanus (…) nomine et vice ipsius domini fratris Johannis episcopo Paduani iuro in animam eius quod ipse frater Johannes episcopus Paduanus ab hac hora in antea fidelis et obediens erit beato Hermachore et sancte Aquilegensi Ecclesie et reverendo patriarche Aquilegensi et suis successoribus canonice intrantibus. Numquam erit in consilio aut consensu vel facto ut vitam perdant aut membrum aut capiantur mala captione. Consilium vero quod sibi confidatum fuerit per se aut per nuncios suos seu per litteras ad eorum damnum nemini pandet. Patriarchatum Aquilegensem et regalia patriar- chatus eiusdem adiutor erit ad retinendum et defendendum, salvo ipsius ordine, contra om- nem hominem. Legatos et nuncios ipsius domini patriarche et Ecclesie Aquilegensis eundo et redeundo honorifice tractabit et in suis necessitatibus adiuvabit. Vocatus ad synodum veniet, nisi prepeditus fuerit canonica prepeditione. Limina Ecclesie Aquilegensis annis singulis vi- sitabit aut per se aut per suum nuncium, nisi dicti domini patriarche absolvatur licentia. Possessiones vero ad mensam sue Ecclesie Paduane pertinentes non vendet neque donabit neque impignoravit neque de novo infeudabit, neque alio modo alienabit inconsulto domino patriarcha Aquilegensi (…), vedi: ibid., 537–38.
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5 Conclusioni
Le costituzioni di Raimondo del 1282 furono ripubblicate dai suoi successo- ri come il patriarca Ottobono de Razzi nel 1307, e confermate e rinnovate da Bertrando di Saint-Geniès nel 1351. La riforma della Chiesa portata avanti dal patriarca Raimondo ebbe senz’altro effetti benefici e positivi sulla provincia ecclesiastica di Aquileia del xiii secolo. L’energia dimostrata nel reprimere gli abusi aveva dato inizio a un nuovo corso nel patriarcato mettendo dei limiti all’arroganza di molti: mentre prima alcuni agivano nella sicurezza dell’im- punità, ora sapevano di dover render conto del loro operato. I singoli casi di disobbedienza alle costituzioni che si verificarono lo stesso fino agli ultimi anni della vita del patriarca Raimondo furono trattati da lui con misericordia, fermezza e rigore insieme: caratteristiche proprie di un vero pastore che si prendeva cura della sua Chiesa.
59 Ibid., doc. lxviii (1283 marzo 21, Cividale).
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