[ VISIONI 164 ]

Roma

4 febbraio 2020

V I S I O N I ~ incontri di cinema ~

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“ Lenny”

La comicità dissacrante di , antesignano di tutti i cabarettisti

Titolo originale: Lenny Regia: Sceneggiatura : Julian Barry Interpreti e Personaggi: Stanley Beck (Artie Silver), (Lenny Bruce), Jean Miner (Sally Marr, madre di Lenny), Rascel Novikoff (zia Mema), (Honey Bruce, moglie di Lenny), Guy Rennie (Jack Goldstein), Gary Wade Morton (Sherman Hart); Monroe Myers (giudice), Martin Begley (procuratore) Fotografia: Bruce Surtees Montaggio: Alan Heim Musiche: Ralph Burns, Origine: USA Anno: 1974 Durata: 110 minuti

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Sinossi

E' la storia della carriera di Lenny Bruce , ebreo americano, artista fantasista, contestatore e satirico. Nel 1951 debutta a Baltimora ma lo si considera fiacco, dalle battute scontate e superate. Nel medesimo periodo incontra casualmente Hot Honey Harlow, una spogliarellista, e la sposa. Pressato dalla necessità di incontrare il grosso pubblico, ispirato da una spiccata sensibilità e da un umore caustico, egli finisce per farsi un nome aggredendo il pubblico e servendosi di un vocabolario greve, noto a tutti, ma proibito dal comune senso del pudore. Mentre Honey si trova all'ospedale per un incidente di macchina, Lenny mette a frutto il suo "sistema" e lo carica sempre di più, nonostante gli ammonimenti dei collaboratori.

Lenny Bruce era un comico. guidare dal suo istinto, rinunciando a Inscenava pezzi teatrali satirici sugli funambolismi tecnici in favore di uno stile più argomenti più disparati: dalla politica alla asciutto, diretto, non crudo, ma funzionale. religione, dalla filosofia alla morale. Nei Di straordinaria fattura sono le interviste a night club divenne estremamente famoso e mo’ di documentario che costellano il riuscì persino ad approdare brevemente in lungometraggio. Qua e là parlano di fronte televisione. Il pubblico apprezzava quel suo alla macchina da presa la madre di Lenny, la parlare schietto e sincero, fuori dagli schemi moglie e il suo manager. Sono attori che e dalle restrizioni politiche e pubblicitarie. interpretano i personaggi realmente esistiti, Lenny Bruce venne trovato morto il 3 agosto ma se nel caso del manager la figura appare 1966 nel bagno della sua casa di Hollywood. un po’ troppo caricaturale, il canuto volto E’ toccato a Bob Fosse , due anni prima della madre pare bucare lo schermo con i suoi regista di Cabaret con Liza Minnelli, il sguardi in macchina mentre le interviste difficile compito di portare sul grande riservate alla [finta] moglie di Lenny sono da schermo la drammatica storia del antologia. La semplicità e l’autenticità con la commediante statunitense. Ma Fosse non quale Valerie Perrine si muove durante il dimostra alcuna riserva o timidezza, anzi. film non sono passate inosservate, tanto da Dietro la macchina da presa sa lasciarsi essere insignita di un premio Oscar.

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Trama

Lenny è la trasposizione cinematografica dell’omonimo spettacolo teatrale scritto e diretto da Julian Barry che all’inizio degli anni Settanta ha ottenuto un buon successo a Broadway con nella parte del protagonista. A dirigerlo viene chiamato Bob Fosse , un regista particolare, con precedenti come ballerino e coreografo, abile tessitore di trame ambientate nel mondo dello spettacolo e fresco reduce da un Oscar per la miglior regia ottenuto con il film Cabaret. Fin dal primo momento Fosse sostiene che la versione cinematografica può avere un solo protagonista: Dustin Hofffman . Tanta determinazione non sembra destinata a buon fine perché l’attore è perplesso. Ha visto l’opera in teatro e non gli è piaciuta anche se ha molto apprezzato l’interpretazione di Cliff Gorman. In più ritiene che il personaggio di Lenny Bruc e non sia adatto alla sua recitazione. Per queste ragioni la sua prima risposta è un diniego deciso e apparentemente immodificabile, accompagnato dal suggerimento ai produttori di scritturare Cliff Gorman. Fosse però non si arrende. Senza Hoffman il film non si fa. Vinto da tanta insistenza e tenacia alla fine l’attore accetta. Nelle mani di Bob Fosse il testo teatrale rivisto dallo stesso autore Julian Barry viene innervato dalla suggestione delle immagini, spesso in dettaglio o in sequenze “anomale”, utilizzate come parte sostanziale della narrazione. Non è un caso che il film si apra con il dettaglio ravvicinato di una bocca, quasi una dichiarazione programmatica che la chiave del racconto della vicenda di Lenny Bruce è da cercare nella sua bocca, nella sua voce, nelle sue parole, terribili ed esaltanti al tempo stesso, capaci di regalargli fortuna e dannazione. Il personaggio è poi spezzettato dal ricordo di chi l’ha conosciuto, con salti temporali sottolineati dall’alternarsi di sequenze in cui è senza barba ad altre nelle quali è arruffato e barbuto, e finisce per ricomporsi soltanto nell’epilogo drammatico. A guidare la ricostruzione sono le testimonianze di persone che hanno partecipato, incrociato o anche soltanto sfiorato la sua vita e che grazie alla 3

suggestione del bianco e nero appaiono come i coreuti di una drammatica ricomposizione della memoria collettiva di un’epoca oltre che di un personaggio. Lenny , anzi la sua voce e la sua libertà, sono destinate a spegnersi nel grigiore di un’America chiusa in se stessa e nelle sue certezze, che cerca nella "caccia alle streghe" l’antidoto alle sue paure. La parola, vera protagonista del film, è la sua condanna e contemporaneamente la sua sola arma che alla fine vive quasi di vita propria e sembra incontrollabile perché non dipende più da chi la pronuncia ma dagli eventi che la circondano. Lo sottolinea bene Lenny quando dice «…è la repressione di una parola, che le da’ violenza, malvagità...»

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Critica

Lenny Bruce fu una persona controversa, un comico eccezionale, una figura atipica per i suoi anni. Un uomo che faceva dei tabù la sua virtù, della satira il suo stile di vita. Lenny Bruce uomo estroso e geniale, mal compreso e demonizzato fu un’icona; un prodotto che andava ben oltre la semplice comicità. Nel film diretto da Bob Fosse ed interpretato dal (quasi) sempre magistrale Dustin Hoffman, si ripercorre proprio la vita del cabarettista e comico di origini ebraiche Lenny Bruce . L’opera a metà fra il documentario ed il film drammatico è un prodotto che analizza a fondo l’ascesa al successo di un uomo fuori dal comune, l’ascesa ed il suo declino. Se da un lato il pubblico lo adora, dall’altro i mass media e la critica americana lo detestano. Armato di un umorismo corrosivo ed allo stesso tempo offensivo, con una spogliarellista tutto pepe come musa ispiratrice, Lenny passa dalle peggiori bettole di periferia ai più grandi cabaret di N.Y.C. Eppure, eppure, al di là del suo stile pungente, della battuta pronta e del sorriso a trentadue denti, si capisce che sul nostro grava un peso enorme. Nel profondo Lenny è triste, deluso, amareggiato perché se è vero che egli costringe il pubblico, il mondo dello spettacolo e tutta l’America a dargli ascolto, è anche vero che in pochissimi lo ascoltano davvero. Moltissimi sono più interessati al dopo show, ovvero agli arresti e alle denunce che colpiranno egli stesso. Si perché in cambio della fama, dell’adorazione, Lerry Bruce conquista un buon numero di nemici fra le istituzioni ed i piani alti della società. Ambientato nell’America degli anni ’60, il film risente dell’atmosfera “pura” e puritana di quegli anni. In un Paese che fa di tutto per salvare le apparenze, sempre attento a mostrarsi perfetto, una figura come quella del protagonista dell’opera firmata Bob Fosse viene accettata si ma mal volentieri. Il comico imposta le sue gag su argomenti delicati e poco spesso toccati. Si spazia così dalla morale alla politica, dalla religione cristiana a quella ebraica (mostrando una forte autoironia), fino ad arrivare ai personaggi di spicco della politica a stelle e strisce, alle malattie, alla segregazione razziale, e chi più ne ha più ne metta. Lenny , insomma, dice la sua su ogni cosa ed il suo fare lo porta al sentirsi sopra gli altri. Invincibile e sopra la legge, un moderno Icaro che si schianterà contro il conservatorismo e i dogmi di una Nazione in cambiamento. Probabilmente se fosse vissuto dieci anni più tardi, avrebbe avuto un’esistenza più o meno facilitata ma così non fu: il nostro subisce una vera e propria persecuzione, gli innumerevoli arresti lo portano più

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volte nelle aule dei tribunali, i soggetti messi in scena subiscono le censure di ogni tipo. Lenny viene ostacolato in tutti i modi e le frequenti pressioni che subisce danneggiano gravemente la sua vita privata. La pellicola è meravigliosa, è stata nominata a sei premi oscar nel 1974, tra cui quella per il Miglior Film. E’ un dramma che lascia ampi spazi alla commedia ma le risate son sempre amare, è un film eccezionale con un Dustin Hoffman imperdibile. Da notare come nella versione italiana a dare la voce a Lenny sia Gigi Proietti, perfetto nel ruolo da doppiatore, riesce a dare un tono scanzonato ed allo stesso tempo drammatico al timbro del nostro. E’ un prodotto che vi consiglio caldamente.

.^_^ “È la repressione di una parola che le dà violenza, forza, malvagità!” Ne era convinto Lenny Bruce , comico, cabarettista ed autore teatrale che scandalizzò l’America puritana e benpensante degli anni Sessanta. Nei suoi spettacoli discuteva apertamente di sesso, rapporti di coppia, religione, razzismo e integrazione sociale, ma il suo intento era dimostrare quanto la società americana fosse ipocrita e malata, incapace di riconoscere una qualsiasi forma di libertà di espressione. Personaggio scomodo, controverso e ostile verso le istituzioni, visse una rapida ascesa verso il successo costellata da un difficoltoso rapporto con la moglie Honey, da problemi giudiziari e arresti, e da una dipendenza dall’eroina che gli stroncò la vita a soli 40 anni.

« Non puoi mica scrivere "tette e culi" su un'insegna. Perché no? Ma perché è volgare, è sporco, ecco perché. Le tette sono sporche e volgari? No, non mi prendi in trappola: non sono le tette, sono le parole. Le parole. Non si scrivono certe parole, dove anche un bambino può vederle. Il tuo bambino non ha mai visto una tettina? Non ci credo. Credo invece che per te siano proprio le tette

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ad essere sporche. Mettiamo che l'insegna dica "seni e sederi". Va già meglio. Interessante. Vediamo in latino avrà anche maggior austerità: gluteus maximus et pectorales majores ogni sera. Così sì, che è pulito. Per te, schmuck... ma è sporco per i latini! » (Lenny Bruce )

Nel 1974 Bob Fosse (autore di celebri musical quali Cabaret e All That Jazz , e proveniente anch’egli dal mondo del cabaret e degli spettacoli teatrali), mette in scena la sua vita nel bellissimo Lenny . Fosse realizza un film biografico ancora oggi incredibilmente moderno per l’uso del montaggio e della macchina da presa, alternando la vita di Lenny (Dustin Hoffman) con finte interviste ai personaggi a lui più vicini, ovvero la moglie Honey (Valerie Perrine) , la madre e l’agente Artie . In tal modo, riesce a dare forza alla disperata ribellione di un uomo contro le convenzioni sociali e la “buona morale” statunitense, alla parabola autodistruttiva di un artista fragile e incompreso. E riesce a parlare di cosa sia considerato osceno, indecente, immorale. “Ed è qui che comincia il conflitto: tutti noi vorremmo per moglie un incrocio tra una maestrina di scuola parrocchiale e una puttana da 500$ a notte”. Fosse ritrae con dolcezza la difficile relazione tra Lenny e sua moglie Honey : lui la incontra e, incurante del passato di lei come spogliarellista, decide di sposarla. Insieme conoscono le vie dell’eroina, ne escono a fasi alterne e ci ricascano, finendo col rovinare la loro storia sentimentale. Un rapporto che però non smette mai di essere amore sincero. Dustin Hoffman (doppiato in modo egregio da Gigi Proietti che asseconda un difficile tour de force linguistico) si cuce mimeticamente sulla pelle il suo personaggio, in una performance eclettica e straziante, forse la sua più grande di sempre. Altrettanto magnifica è Valerie Perrine (premiata a Cannes), che restituisce la sofferenza e le fragilità di Honey . Da applausi anche la strepitosa fotografia in bianco e nero di Bruce Surtees . Sei nomination agli Oscar, nemmeno un premio. Non c’è da meravigliarsi: Lenny è un film troppo antiamericano, troppo onesto e spudoratamente sincero. Ma, del resto, lo stesso Lenny Bruce credeva che “La verità è ciò che è, non ciò che dovrebbe essere. Ciò che dovrebbe essere è una sporca bugia”. 7

Lenny Bruce

Una delle cose che si dice più spesso riguardo a Lenny Bruce è che se non ci fosse stato lui, non ci sarebbero stati neanche Richard Pryor, George Carlin o Bill Hicks , alcuni dei più grandi comici americani della seconda metà del Novecento. Non possiamo saperlo, di certo c’è però che nessun’altra persona nella storia della stand up comedy, la comicità tipicamente statunitense in cui un comico recita un monologo da solo davanti al pubblico, è stato più importante di Bruce nell’aprire la strada alle cose che i comici potevano dire su un palco. Bruce ebbe una carriera breve, tra l’inizio degli anni Cinquanta e la metà dei Sessanta, e diventò famoso per il suo linguaggio molto volgare e per la sua satira sociale giudicata oscena e irrispettosa, che gli costò moltissimi arresti e processi. Morì di overdose a Hollywood il 3 agosto 1966. Bruce era nato in una famiglia di origini ebraiche il 13 ottobre 1925 a Mineola, nello stato di New York, e il suo vero nome era Leonard Alfred Schneider . Suo padre era inglese e vendeva scarpe, mentre sua madre era una ballerina: divorziarono quando Bruce aveva 5 anni, e lui passò l’infanzia vivendo con vari parenti e traslocando spesso, finché nel 1942 si arruolò nella Marina. Durante la Seconda guerra mondiale prestò servizio nel Mediterraneo, e un giorno nel 1945 fece uno spettacolo sulla sua nave travestito da donna. Gli ufficiali si arrabbiarono, e lui fu congedato. Tornò negli Stati Uniti e si trasferì a New York, dove provò a inserirsi nel mondo dello spettacolo, con l’obiettivo di diventare un comico. Alla fine degli anni Quaranta cominciò a fare i suoi primi spettacoli nei night club, anche grazie ai contatti della madre: faceva monologhi e imitazioni, e sviluppò 8

in fretta uno stile caratterizzato da humour nero e battute oscene, che suscitarono fin da subito critiche e rimproveri. Nel 1951 Bruce conobbe la spogliarellista Honey Harlow , che sarebbe diventata sua moglie e che avrebbe cambiato lavoro per volere del marito. Ebbero una figlia nel 1955 e divorziarono nel 1957: dopo, Bruce frequentò per un periodo l’attrice . La prima performance importante, invece, Bruce la fece nel 1948, al programma televisivo Arthur Godfrey’s Talent Scouts. All’inizio degli anni Cinquanta Bruce , che si era trasferito a Los Angeles, lavorò alla sceneggiatura di alcuni film, e registrò quattro dischi con delle sue esibizioni dal vivo, sui temi di cui parlava più spesso: sesso, religione, droga, patriottismo, politica e questioni razziali. Per via della volgarità dei suoi spettacoli, Bruce non andò quasi mai in televisione: un’eccezione fu la sua apparizione nel 1959 allo Steve Allen’s Show, dove fu presentato come «il comico più shockante dei nostri tempi». A partire dall’inizio degli anni Sessanta, Bruce cominciò ad avere problemi con la legge. La polizia cominciò a tenerlo d’occhio soprattutto dopo uno spettacolo nel 1961 alla Carnegie Hall di New York, e fu arrestato per la prima volta per oscenità il 4 ottobre dello stesso anno, dopo uno spettacolo al Jazz Workshop di San Francisco nel quale aveva detto cocksucker (“pompinaro”) e aveva fatto una disquisizione sulla parola venire usata in senso sessuale. Negli anni successivi la polizia lo prese di mira, e fu arrestato e processato in diverse occasioni, per oscenità e anche per possesso di droga. Dopo un suo arresto nel 1964 per uno spettacolo al Cafe Au Go Go nel Greenwich Village di Manhattan, diverse importanti personalità dello spettacolo e della cultura statunitensi firmarono un appello per la sua liberazione: tra queste c’erano Woody Allen, Bob Dylan, Allen Ginsberg, Saul Bellow, Arthur Miller e Norman Mailer . Negli ultimi anni della sua vita, Bruce finì con l’essere bandito dalla maggior parte dei night club delle grandi città americane, perché i gestori avevano paura di essere arrestati per averlo fatto esibire. Nei suoi ultimi spettacoli, Bruce dedicò parte dei suoi monologhi a raccontare le persecuzioni e i soprusi della polizia nei suoi confronti. Si esibì per l’ultima volta il 25 giugno 1966 al Fillimore Auditorium di San Francisco. La sua dipendenza dalla droga era peggiorata, e le sue condizioni di salute non erano buone, secondo chi lo frequentò in quel periodo: fu trovato morto di overdose il 3 agosto di quell’anno, nel bagno

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della sua casa di Hollywood. Bruce oggi è considerato uno dei simboli della battaglia per la libertà di parola degli anni Sessanta negli Stati Uniti, e il più importante pioniere della comicità americana. È considerato quello che ha permesso ai comici americani di usare la parola fuck nei propri monologhi, e una delle persone che più ha spostato i confini dei temi sui quali era permesso fare satira negli Stati Uniti. Nel suo primo spettacolo dopo la morte del presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, Bruce salì sul palco scuotendo la testa e sospirando, e disse: «Vaughn Meader è fottuto». Meader era un comico famoso per le sue imitazioni della famiglia Kennedy. Nel 1974 uscì Lenny , un film di Bob Fosse sulla vita di Bruce, interpretato da Dustin Hoffman. In una delle scene più famose del film, viene riproposto un vero monologo di Bruce, nel quale si mise a identificare tra il pubblico le persone chiamandole negri e kyke, spic e wop, tre termini molto offensivi usati per rivolgersi a persone ebree, ispaniche e italiane. Il senso, diceva Bruce , era che se quelle parole fossero state usate in continuazione, anche dal presidente Kennedy, avrebbero perso peso e «nessuno potrà mai fare piangere un bambino nero di sei anni perché qualcuno lo ha chiamato negro a scuola». Bruce è stato citato in molti film e canzoni, tra cui la famosa canzone di Simon & Garfunkel “Silent Night/7 O’ Clock News”: nella registrazione di un notiziario che fa da sottofondo alla canzone, si sente parlare del ritrovamento del corpo di Bruce. È tra i personaggi sulla copertina di «Sgt. Pepper» dei Beatles.

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Bob Fosse

Chicago, 23 giugno 1927 Washington, 23 settembre 1987 Coreografo, ballerino, regista, attore e sceneggiatore

Nato a Chicago da famiglia norvegese, era il più giovane di sei figli. Dopo il diploma del liceo, fece coppia con Charles Grass, un altro giovane danzatore, e iniziarono una collaborazione sotto l'appellativo di The Riff Brothers . Insieme girarono per i teatri dell'area di Chicago.

Sempre molto ambizioso, Fosse cambiò vita ed iniziò a lavorare come intrattenitore in una serie di piccoli locali notturni. Fu in una di queste occasioni che coreografò il suo primo numero, coinvolgendo quattro ragazze che muovevano ventagli a forma di ostrica sulla musica di Cole Porter . Alla fine Fosse fu assunto per lo show Tough Situation , girando per le basi militari e navali dell'Oceano Pacifico. Dirà in seguito che aveva "perfezionato la tecnica di danzatore, coreografo e direttore mentre eseguiva il suo dovere".

Fosse si trasferì a Hollywood con l'ambizione di diventare il nuovo Fred Astaire . Le sue prime apparizioni sullo schermo furono in Baciami Kate! , Tre ragazze di Broadway, in cui collaborò con Stanley Donen in qualità di aiuto regista, e The Affairs of Dobie Gillis , tutti del 1953. Fu la coreografia di un piccolo pezzo in Baciami Kate che attirò l'attenzione dei produttori di Broadway. Anche se la carriera cinematografica di Fosse finì piuttosto presto a causa di una prematura calvizie che gli precludeva gran parte dei ruoli, il trasferimento da Hollywood ai teatri di Broadway non fu proprio entusiasmante. Nel 1954, coreografò The Pajama Game, seguito da Damn Yankees nel 1955. Durante la lavorazione di quest'ultimo conobbe la danzatrice Gwen Verdon .

Dopo aver lavorato per la tv diresse Shirley MacLaine in Sweet Charity - Una ragazza che voleva essere amata (1969) che ottenne un buon successo. Tale film gli consentì di firmare negli anni settanta i suoi capolavori:

Cabaret (1972) con Liza Minnelli , il musical teatrale Chicago (1975) , Lenny (1974) con uno strepitoso Dustin Hoffman All That Jazz - Lo spettacolo comincia (1979) con Roy Scheider . Il suo ultimo film è Star 80 (1983) .

Nel 1986 scrisse, diresse e coreografò la produzione di Broadway Big Deal. Morì stroncato da un infarto nel 1987, all'età di 60 anni.

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