ANTOLOGIA DI ARTICOLI E STUDI A CURA DEL BALIATO DAI COI *** I vescovi di dal 170 al 1204 1

Prefazione Animato dal desiderio di conoscere qualche cosa sulla personalità dei ve- scovi, specialmente dei più antichi, e sul tempo nel quale lo Spirito Santo li ave- va posti a costruire e reggere la Chiesa di Dio in Belluno, mi sono dedicato un po' alla ricerca; ma per la scarsità di autori e di notizie, il mio desiderio è stato appagato solo in parte. In un secondo tempo ho pensato che le poche notizie racimolate potessero riuscire di gradimento anche ad altri: e per questo mi sono deciso di presentarle riunite nelle pagine seguenti. È un lavoretto semplice, non una tesi di laurea, e che, per mancanza di documenti veramente validi, è costretto a navigare tra sto- ria e leggenda, e per il quale ho attinto ampiamente su quanto hanno scritto al-

1 Don Giuseppe ARGENTA, I vescovi di Belluno dal 170 al 1204; Belluno, Ed. Istituto Bellune- se di Ricerche Sociali e Culturali, di Belluno, 1981. Trascrizione diffusa al link: http://www.borgopiave.diocesi.it/vescovidibelluno/primanota.htm . Questa la dedica dell’autore: «Alla venerata memoria / del mio professore / ALBINO LUCIANI / mirabile fiore / della vetusta Chiesa Bellunese / che in trentatre giorni di Sommo Pontificato / con il nome di / GIOVANNI PAOLO I / con profetica azione pasto- rale / conquistò / in modo sorprendente e folgorante / la simpatia del mondo intero / e / con il calore umano e prorompente della sua umiltà / riaccese / nel cuore angosciato dell'uomo moderno / rinnovati motivi / di fiduciosa speranza». Questa la nota del trascrittore per il sito indicato, sig. Flavio … : «Fra alcuni vecchi libri in vendita in una stazione ferroviaria del Bellunese ho notato questo libro. Ho sfogliato le prime pagine e ho trovato molto interessante il suo contenuto. L'inizio del cristianesimo nella nostra vallata segna un punto molto importante e fondamentale nella storia della no- stra popolazione. È davvero interessante conoscere l'origine dell'annuncio del Vangelo, in particolare coloro che hanno iniziato la predicazione alla nostra gente e che, per questo, hanno conosciuto il martirio. L'autore, Giuseppe Argenta, ha ringraziato i confratelli Ausi- lio Da Rif, Ottorino Pierobon, Lorenzo Dell'Andrea, Antonio De Fanti, Attilio Giacobbi e Candido Bortoluzzi, che gli furono [di] valido aiuto nel reperire i documenti. A Raffaele Buttol e al nipote Angelo Argenta un sentito ringraziamento per essersi offerti per il servi- zio fotografico […]». 1 cuni ricercatori e scrittori di cose antiche bellunesi e feltrine. Pertanto, come ad essi deve andare tutto l'onore e il merito della prima e più faticosa ricerca, così pure AD ESSI DEVE ESSERE ATTRIBUITA OGNI RESPONSABILITÀ SULLA VERIDICITÀ STORICA DI QUELLO CHE HANNO SCRITTO E CHE DA ME È STATO CITATO E RIPORTATO IN QUESTE PAGINE. Nel riunire queste notizie che riguardano i vescovi, mi sono prefisso di se- guire il consiglio che il nostro storico bellunese don Francesco Pellegrini dà a co- loro che si interessano della storia dei primi vescovi delle diocesi. Scrive il no- minato F. Pellegrini: «Io troverei opportuno e naturale che nel compilare i cata- loghi dei vescovi non si dovesse mai perdere di vista questo primo criterio: cioè che quando scritture pubbliche o private, atti notarili e diplomi contemporanei, o quasi contemporanei, o di poco posteriori vengono a collisione o sono in con- traddizione coi cronisti e con gli storici posteriori d'assai, si debba trascurare af- fatto questi ultimi, e stare attaccati senz'altro alla testimonianza dei documenti sincroni o meno lontani dai fatti. E in secondo luogo io sarei d'opinione che quando anche manchino del tutto le memorie coeve, non si debbano perciò ri- gettare addirittura quei vescovi i quali sono accennati da cronisti assai posteriori soltanto: in quanto che sebbene essi riposino sulla dubbia fede di costoro, tutta- via non si può sempre asserire che l'autore non abbia forse veduto carte antiche, a noi sconosciute e ormai perite; e, se non altro il loro nome potrebbe anche esse- re l'ultimo eco di una languida tradizione raccolto dallo scrittore prima che sva- nisse del tutto. Ad ogni modo anche un semplice cenno è qualche cosa; è sempre diversa cosa e maggiore che il nulla: né con ciò si vuole intendere che a tali poco attendibili memorie sia lecito prestare maggior credenza di quello che meritino: ma bensì come dissi sopra, che per quanto siano cosa tenue e da poco, sono sempre da più del nulla» (Della serie dei vescovi di , pp. 5-6). Per quanto riguarda specificatamente i primi vescovi di Belluno, nomi e notizie si muovono nella nebulosa incertezza delle turbinose vicende che ac- compagnarono il disfacimento dell'impero romano, le invasioni barbariche e le aspre contese tra cattolici e ariani anche in Belluno. Ci sono elenchi nominativi lacunosi e con rari riferimenti di tempo; poche notizie vaghe, che non si è in grado di collegare ad alcun nominativo determina- to; altre, di tempi differenti e distanziati, riportate per un unico personaggio a causa, forse, di una qualche possibile omonimia non sufficiente emergente dai documenti che i primi ricercatori poterono avere tra mano; tradizioni popolari che sembrano contenere non poco di fantasioso: cose tutte, queste, che ingenera- no molti interrogativi e rappresentano un serio ostacolo per una plausibile collo- cazione storica dei vescovi bellunesi dei primi sei secoli. Alla fine ho riportato alcuni documenti che potrebbero servire per un utile confronto e che per un qualche lettore potrebbero anche risultare di stimolo per ulteriori ricerche sull'argomento per superare le inevitabili deficienze e i limiti di 2 queste pagine e invogliarlo ad intraprendere un lavoro che possa risultare vali- do ed interessante sotto ogni aspetto.

Il cristianesimo a Belluno Non vi sono documenti che ci permettano di conoscere il modo e il tempo in cui il Vangelo è penetrato nella vallata bellunese. Pur tuttavia, affidandoci alle poche notizie che ci hanno tramandato gli scrittori di storia locale antica e alle tradizioni popolari, sembra si possa affermare che il cristianesimo è arrivato a Belluno fin dai primissimi tempi. Primi portatori del «Divino Messaggio» potrebbero essere stati alcuni sol- dati delle legioni romane, già convertiti e che sentivano in cuore l'impellente de- siderio di comunicare il «gran dono» della fede e la loro intima gioia a quelle persone che riuscivano ad avvicinare durante i loro lunghi stazionamenti. Un esempio, tra i tanti, lo troviamo in San Longino, legionario romano, che avrebbe evangelizzato la città di Mantova, e che per causa della sua fede fu martirizzato nella medesima città. 2 Sembra che anche San Fermo (quantunque un po' più tardi) sia stato un legionario romano, il quale fu martirizzato in Vero- na proprio perché scoperto ad evangelizzare e catechizzare la gente in casa di un certo Rustico, che ne segui la medesima sorte. 3 Un’antichissima tradizione fa risalire la prima evangelizzazione di Belluno all'ardore apostolico della Comunità Cristiana della grande Aquileia, già conver- tita alla fede da San Marco, il quale avrebbe posto a capo di quella Chiesa Ermà- gora, creato vescovo dallo stesso San Pietro. Ermàgora ordinò presbiteri e diaconi, come suoi collaboratori, per soste- nere ed animare quelle piccole comunità cristiane, che andavano sorgendo come frutto benedetto della sua predicazione. Tra questi vi era anche il Diacono For- tunato. «Fu a tal tempo il Belluno convertito alla Fede da Ermagora e Fortunato che ambidue vennero in queste parti a predicare, come afferma Carolo Paga- no...». 4 Secondo una tradizione, popolare in Alpago, il vescovo Sant'Ermàgora sarebbe giunto a Tambre d'Alpago per evangelizzare quelle popolazioni: e vi sa- rebbe giunto con Fortunato per la via del Cansiglio; attraverso quei sentieri che, sistemati ed allargati, costituirono in seguito la così detta «strada del Patriarca».

2 Sembra sia vissuto verso la metà del primo secolo. Cfr. Enciclopedia Ecclesiastica; Tasso, vol. V, pp. 289 e 473. 3 Il suo martirio sembra si possa collocare verso l'anno 236. Nell'antica iconografia viene rappresentato con il volto di colore scuro: il che farebbe pensare ad una sua origine africa- na. Cfr. Enciclopedia Ecclesiastica; Tasso, vol. III, pp. 1172-1173. 4 Cfr. il Privilegio di papa Leone VIII riportato da G. Candido in: Commentarii de i fatti d'A- quileia, pp. 42-44. 3 E forse la chiesa pievanale di Tambre è stata dedicata in onore dei Santi Ermàgo- ra e Fortunato in conseguenza di questa tradizione. Secondo un'altra tradizione, invece, questi santi sarebbero entrati nel Ca- dore per il passo della Mauria e, evangelizzate quelle popolazioni, sarebbero poi scesi nel Bellunese, per diffondervi il Messaggio cristiano. 5 Quando fecero ritorno in Aquileia, vi trovarono la comunità cristiana sconvolta dalla persecuzione scatenata dall'imperatore Nerone. Furono presi e martirizzati, per ordine di Sebasto, preside di Aquileia, il 12 luglio dell'anno 80 dopo Cristo. I loro corpi, da principio, furono venerati in Aquileia; ma con l'ir- ruzione dei Longobardi, furono trasportati nell'isola di Grado. Cessato il perico- lo, il patriarca Popone li riportò in Aquileia. Verso la metà del tredicesimo seco- lo, i Goriziani rivendicarono per sé i Beati Corpi. 6 La festa dei santi Ermàgora e Fortunato fu sempre celebrata il 12 luglio in Aquileia con grande pietà e devozione. I loro nomi venivano ricordati ogni gior- no nel cànone della Messa, alle Lodi e ai Vesperi dell'Ufficio feriale, ed anche nelle Litanie dei Santi e nelle acclamazioni che, secondo il rito, venivano cantate nelle feste più solenni. 7 Vi è però anche un'altra tradizione, secondo la quale Belluno sarebbe stata convertita alla Fede, nell'anno 60 dopo Cristo, per la predicazione di San Pro- sdòcimo, primo vescovo di Padova: «Il beato Prosdocimo, nativo della Grecia, convertito alla Fede da San Pietro e da lui consacrato vescovo, fu mandato a Pa- dova per diffondere il Vangelo di Cristo. Egli battezzò Vitaliano, prefetto della città, insieme con la moglie e la figlia e tutta la città. Di là, percorrendo Asolo, Feltre, Belluno, Concordia, , Altino, Este, e Vicenza ed altri luoghi limi- trofi, ottenne il medesimo risultato con grandissima consolazione. Morì di vec- chiaia, avendo raggiunto l'età di 114 anni». 8 «Tal opinione ancora tengono le Croniche Trivigiane, sì come riferisce il Burchellato nelle sue opere, dicendo: In quei tempi nei quali dal beato Prosdo-

5 G. Piloni, Historia della città di Belluno, p. 49. 6 Cfr. Manoscritto snonimo della Biblioteca Gregoriana. Fondo da Borso. Sembra che anticamen- te vi sia stata una sede vescovile anche in . Scrive infatti G. Candido a pagina 44 dei citati Commentarii: «Eranvi altri vescovi a nostra età annullati Ebrociense che è un borgo vicino a Cadubrio e sino ad ora conserva il nome, e molti vestigi d'antichità vi si veggono». Che questa antica sede possa avere una qualche correlazione con la predicazione di Sant'Ermàgora? E che possa corrispondere all'attuale Auronzo? 7 Cfr. Il Proprio della diocesi di Belluno per la festa dei Santi Ermàgora e Fortunato. 8 Traduzione dal latino di quanto il Piloni ha riportato sunteggiando da: Historiae de Urbis Patavii Antiquitate… di B. Scardeone alle pp. 114-115. Vedi anche Historia di Padova di Ser- torio Orsato, p. 51. 4 cimo fu battezzata la città di Padova della quale fu primo vescovo, dal medesi- mo furono consacrate a Dio Massimo per mezzo del santo Battesimo, le città di Oderzo, Concordia, , Asolo, Belluno, Feltre, Vicenza e molti altri paesi. E la veridicità di questo fatto viene registrata, tanto dalle nostre cronache, quanto da quelle della città di Padova». 9 ***

[Elenco dei vescovi]

1) TEODORO I – a. 170 ? «Se allora subito S. Ermagora vi abbia lasciato un vescovo a governar que- sta Chiesa egli è incerto». «II primo vescovo di cui vi resti memoria egli è Teodoro I che credesi vi- vesse al tempo dell'imperatore Commodo», vincitore dei Sarmatici, verso l'anno 170, «e dopo aver governata la sua Chiesa con somma prudenza in que' tempi di persecuzione, e averla edificata colle sue virtù, morisse in grande opinione di santità». 10 «Si predicò a questi tempi pubblicamente la Parola di Dio per tutto il mondo senza alcun timore, essendo vescovo nel Belluno Teodoro, huomo di vita molto essemplare. Né avanti a Lui ho potuto ritrovare qual vescovo fosse posto alla cura di questi popoli, se ben molti anni prima furono alla Cristiana fede convertiti. Pagavano però Christiani un certo tributo per poter quietamente vi- vere sotto l'imperio, essendo molto favoriti da Martia carissima all'imperatore: come di ciò fanno fede Dione, Lampridio e Tertulliano istorici di quei tempi». 11

2) SAN SALVATORE – a. 193 ? Salvatore sarebbe vissuto al tempo dell'imperatore Settimio Severo, verso l'anno 193, e di lui parla il Ferrario nel Catalogo dei Santi: «Fu Episcopo Bellune- se Salvatore, che resse molti anni la Chiesa bellunese: e per la sua santa vita mo- strò nostro Signore molti miracoli in quelli che invocano il suo suffragio. Onde gli furono in diverse parti del Belluno poscia eretti tempij et altari delli quali sin al dì d'oggi si vede un tempio nel Vico Maresio vicino alla cittade: et un altro presso li frati Certosini con una pittura antica, scoperta per la rovina della chie-

9 Traduzione del testo latino riportato dal Piloni a p. 50. 10 Manoscritto anonimo, con pagine non numerate, della Biblioteca Gregoriana, Fondo «da Borso». 11 G. Piloni, op. cit., p. 57. 5 sa, qual era stata molti anni ascosa, che dice “S. Salvatore Episcopus Belluni” […] Si celebra in Cividale la festa di questo glorioso santo el di terzo del mese di febbraio con gran devotione». 12 «Sopra il Peron vi è una spelonca a mezzo della montagna, in cui dìcesi si fosse rifugiato e morisse S. Salvatore: presentemente vi è una croce di ferro. Quel luogo è venerato dal popolo e chiamasi il Covolo di S. Salvatore». 13 «Questo santo non fu venerato soltanto nel luogo del suo sepolcro ma nel- la villa di Maresio evvi ancora una chiesa intitolata a suo onore come pure una carta antica in cui si poté leggere l'elenco di alcuni beni situati a Rivizzola presso la chiesa di S. Salvatore mi fa sospettare che la chiesa di S. Biagio fosse prima dedicata a questo santo». 14 A proposito di san Salvatore, Francesco Pellegrini scrive: ««Qui sulle rive del Cordevole si narra che Salvatore, o primo o dei primi vescovi di Belluno, tra- esse di nascosto la vita fra gli stenti e le penitenze, per fuggire le persecuzioni nel II o III secolo dell'Era Volgare; e il pastore sa additarvi ancora attraverso al monte i sentieri che egli dice percorsi dal santo e venerabile vescovo, le cui ossa riposano dove ora sorge la chiesa di S. Gottardo. Questa tradizione sulla diffu- sione del Cristianesimo nei tempi imperiali romani, non solo combina con gli al- tri indizi che proverebbero l'esistenza di abitazioni o di ville romane, ben prima del tempo volgarmente assegnato alla supposta catastrofe del Monte Marziano; ma riuscirebbe anche a spiegare l'anomalia che queste e le attigue pendici di So- spirolo e di S. Gregorio, benché appartenenti all'antico territorio Feltrino, for- massero parte della diocesi Bellunese; in quanto che è naturale che i figli di quei pochi primi fedeli, o ammaestrati dal primo Pastore che abitò nei loro dintorni, o almeno devoti alla sua memoria, rimanessero poi con l'andare degli anni attac- cati ai suoi successori». 15

12 G. Piloni, op. cit., p. 57. 13 Manoscritto anonimo della Biblioteca Gregoriana, Fondo «da Borso». 14 Dal medesimo manoscritto anonimo. 15 Da un ciclostilato della Biblioteca della Certosa di Vedana: «Vedana cenni storici da au- tori vari», p. 2, il quale riporta anche «Notizie del luogo e Monastero di Vedana» di F. Pel- legrini, opera stampata dalla Tipo-Litografia Guernieri, Belluno, 1875. Per l'appartenenza di Sospirolo e San Gregorio alla diocesi di Belluno, il Pellegrini sembre- rebbe far valere il principio giuridico del «qui prior in tempore potior in jure»; ma dal tempo in cui egli scriveva, le ricerche storiche sull'antica confinazione tra i Municipi romani di Feltre e Belluno, ha registrato notevoli progressi; e pare che oggi non si possa più asserire che «le attigue pendici di Sospirolo e di San Gregorio... appartenessero all'antico territorio Feltrino». 6 3) TEODORO II – a. 300 «Imperando Massimino nella veneta provincia, dopo la divisione dell' im- perio romano fatta con Diocleziano suo collega, era vescovo di Belluno Teodoro huomo di santissima vita: Fu prima vescovo in Barce d'Egitto, e d'indi partitosi per le molestie d'infedeli, e stato un tempo in Adria, fu dal Pontefice mandato al governo dei popoli Bellunesi l'anno tresento di nostra Salute: e portò con sé il corpo del beato Ioatha martire, costituendolo principal protettore del Belluno». 16 «Il martirio di questo glorioso Santo è stato in versi latini elegantemente composto dal Pierio, Bellunese, così ricercando il cardinal della Rovere nepote di Giulio II sommo Pontefice. Fu martirizzato l'anno 294 nella città di Barce... es- sendo Dario [?] Tribuno in essa cittade. Era Joathà di sangue nobilissimo, cava- liere valoroso, ricco di beni e di fortuna, e copioso d'amici: et non volendo sacri- ficare agli dèi de Gentili, dopo molti cruciali, fu posto in ruota, et in giro per tan- to voltandola tenuto, finché le ossa del suo corpo furono in minutissimi pezzi fracassate». 17 Il suo corpo accuratamente nascosto, fu ritrovato dal vescovo Teodoro e dal diacono Eudaclito, che ne scrisse il martirio, e [venne] gelosamente custodito «per sin tanto che con maggior commoditade fu in questi paesi trasportato». «La festa di questo glorioso Santo si celebra con grandissima devotione il vigesimo secondo giorno del mese di Maggio: e fu il suo Officio composto da Michele de Bossi da Milano, Sacerdote e cittadino bellunese, e confermato da Enrico Scarampi vescovo di Belluno, come appar scrittura di Tadeo de Bentivo- gli da Bologna Cancelliero del ditto Episcopo». 18

16 G. Piloni, op. cit., p. 65. Si potrebbe rilevare che l'invio di questo vescovo avviene in modo inusitato per quei tem- pi, in cui clero e popolo erano soliti eleggersi il proprio vescovo: e qualora non ci fosse sta- to tra di essi un soggetto idoneo, era compito del metropolita provvedervi, col consenso degli altri suffraganei. Ma forse era già iniziata, a questo tempo, la contesa tra cattolici e a- riani, anche in Belluno, e quindi potrebbe essere che i cattolici, estromessi dalla chiesa di San Pietro (che sembra essere stata la loro prima cattedrale e costruita fuori dalle mura del decumano), per garantirsi della genuinità della Fede abbiano fatto ricorso direttamente al Papa, il quale avrebbe mandato a Belluno il vescovo Teodoro, uomo di già provata orto- dossia. Questo Teodoro, per i mutati tempi, sarebbe riuscito a dedicare una chiesa entro le mura del decumano al martire San Joathà, costituito anche patrono della diocesi. Questa chiesa, per il lungo protrarsi della contesa, si sarebbe consolidata come cattedrale dei catto- lici, per rimanere tale, pur con mutato titolo, lungo il corso dei secoli. Cfr. anche il mano- scritto anonimo» della Biblioteca Gregoriana, Fondo «da Borso». 17 G. Piloni, op. cit., p. 65. 18 G. Piloni, op. cit., p. 66. 7

4) FELICE I – a. 347 In questo tempo l'eresia di Ario aveva ripreso vigore, tanto che papa Giu- lio I (337-352) ravvisò la necessità di radunare un concilio in Roma nell'anno 347. «Fu a questo Concilio presente l'Episcopo Bellunese, come si cava da una lettera scritta da Julio Papa alli popoli di Antiochia. Sottoscrisse a questo Conci- lio Protasio Arcivescovo di Milano, Severo Arcivescovo di Ravenna, Fortuniano Patriarcha di Aquileia con tutti li loro suffraganei: Si come riferisse Athanasio santo. Ma Fortuniano sopradetto mutata opinione si accostò alla setta Ariana, il che fu causa della sua rovina...»: e forse del riacutizzarsi della contesa tra cattoli- ci e ariani nelle nostre regioni. 19 Dall'elenco riportato dal P. B. Gams risulta che in quel tempo era vescovo di Belluno Felice, il quale potrebbe, forse, essere il primo con questo nome nella serie dei vescovi bellunesi. 20

5) GIOVANNI I – a. 364 Il P. B. Gams pone come vescovo di Belluno nell'anno 364 Giovanni; e ce lo presenta come esule. 21 Tale circostanza potrebbe rendere storicamente accettabile l'esistenza di questo vescovo perché, in realtà, proprio in questo tempo l'imperatore Costanzo - che era un focoso sostenitore degli ariani – perseguitava i vescovi cattolici, mandandoli in esilio e sostituendoli nella sede con vescovi ariani. 22 «Ebbe la Chiesa Cattolica, sotto questo imperatore, grandissimi travagli e molti chierici venivano occisi. Dal che impauriti li vescovi abbandonavano le loro Cure e si ri- tiravano nei monasterj per haver vita più sicura e più quieta. Onde Liberio Papa

F. Tamis, in: La Cattedrale di Belluno, a p. 16 scrive che «Teodoro può essere considerato il primo vescovo residenziale presso di noi, sia perché le cronache che parlano di lui sono più attendibili e s'inquadrano bene nella storia generale, sia perché, favorito dalle circo- stanze, riuscì a porre le basi del culto che giunse fino ai nostri giorni». 19 G. Piloni, op. cit., pp. 67 e 68. Forse alcune delle notizie che il Piloni riporta per la fine della vita del vescovo Felice da lui riportato verso la metà del sesto secolo, potrebbero trovare collocazione più adatta se rife- rite per questo nominativo, in quanto risulterebbero più consone al contesto storico di questo periodo. 20 Cfr. P. B. Gams, op. cit., p. 776. 21 Cfr. P. B. Gams, op. cit., p. 776. 22 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 68. 8 (352-366) scrisse sue lettere a tutti gli Episcopi dandogli core, et essortandoli a non abbandonare le loro Chiese per la salute de suoi popoli». 23

6) ARRIBERTO (?) 7) LOTARIO (?) 8) VOLFRANCO (?) Questi tre vescovi vengono riportati anche da F. Ughello, oltre che dai no- stri storici locali. Il Piloni ed il manoscrutto anonimo della Biblioteca Gregoriana ce li pre- sentano senza alcun riferimento al tempo in cui sarebbero vissuti: e neppure so- no stati in grado di poterci illuminare se fossero stati di pura Fede cattolica, op- pure aderenti all'eresia ariana. In questo secondo caso, essi potrebbero essere stati vescovi contemporaneamente ad altri vescovi cattolici. Nominativi eguali vengono riportati anche dal P. B. Gams, ma collocati in secoli posteriori, con una qualche indicazione del tempo in cui sarebbero vissuti. Forse potrebbero essere le medesime persone riportate ai numeri 6, 7, 8; ma potrebbe anche trattarsi di personaggi del tutto differenti, anche se omonimi. Alle prese con tante incertezze, il Piloni scrive che «il nostro Belluno patì nello spazio di questi 70 anni grandissimi travagli, rovina e morte, ora da Goti, ora da Francesi, da Alemanni e da Greci dominato. Erano i Goti dell'Ariana set- ta, e pertanto ebbe la Chiesa ad un medesimo tempo doi Episcopi, l'un Cattolico e l'altro Arriano. Furono Episcopi Bellunesi Arriberto, Lotario, Volfranco, Felice e Giovanni: ma qual fosse il Cattolico (oltre il Felice) e qual Arriano io non ho in alcun loco ritrovato». 24 Anche il manoscritto anonimo, senza numerazione di pagine, della Biblio- teca Gregoriana (fondo «da Borso»), riporta una simile giustificazione: «Quivi rimane una lacuna di tempo su cui non ritroviamo memoria di nessun vescovo […]. Siccome però sappiamo che dominando anche l'Ariana eresia, protetta da Costanzo e da alcuni altri imperatori, le Chiese erano in questo tempo molto agi- tate, e gli Ariani cancellavano i vescovi cattolici dai Dittici, e a loro volta i Catto- lici purgavano i Dittici dei nomi dei vescovi Ariani, così è probabile che a tali cancellature, fra le altre cause, debba ascriversi la totale ignoranza in cui siamo sino del nome di questi vescovi».

23 G. Piloni, op. cit., p. 68. L'imperatore Costanzo fu anche a Belluno, come testimoniato da una lapide che era posta nella chiesa di San Pietro, davanti all'altar maggiore. Cfr. Ibidem. 24 G. Piloni, op. cit., p. 86. 9 I Dittici in oggetto, venivano adoperati durante le celebrazioni eucaristiche ed erano «delle tavolette speciali sopra cui si scrivevano i nomi dei vescovi che avevano governata la chiesa; ovvero se ne teneva memoria per la santità dei loro costumi […]. Togliere il nome dai Dittici equivaleva ad una scomunica […]. Gli scismatici, soprattutto, avevano gran cura di togliere dai loro Dittici quelli che contrariavano alla loro dottrina, e soprattutto i vescovi che avevano mostrato ze- lo per combatterli: i morti stessi non erano eccettuati da questa riprovazione. La Chiesa cattolica dovette usare di questa misura rispetto a quelli che si mostraro- no ribelli alla sua autorità». 25

Anni seguenti San Giovanni Crisostomo scrisse una lettera al patriarca di Aquileia, Cro- mazio, per informarlo della persecuzione che i vescovi di Oriente muovevano contro la sua persona. «Dette di ciò notizia il Patriarcha all'Episcopo Bellunese et altri suoi suffraganei, acciò pregassero Iddio per la sua Chiesa tanto travagliata»: 26 potrebbe essere un indizio che anche verso l'anno 400 la Chiesa bellunese ave- va il suo vescovo. «Scrisse in questi giorni Papa Leone (440-461) a Niceta Patriarcha di Aqui- leia (che le donne, le quali erano la seconda volta maritate, credendo il suo pri- mo marito essere in queste guerre morto, fossero levate al secondo marito e re- stituite al primo). De che fu dato avviso all'Episcopo di Belluno: 27 potrebbe esse- re indizio della presenza di un vescovo in Belluno anche al tempo di Attila, che seminò distruzione e morte anche nelle nostre contrade.

9) FELICE II – a. 547 «Il vescovo Felice, illustre per santità di vita, intervenne al concilio romano nell'anno 547». 28 In quel tempo «fioriva Fortunato vescovo di Pottiers nella Francia, di na- tion Trevigiano, e nato nella valle di Dobbiade non longi da Trevigi, huomo ce- lebre nelle lettere. Era Felice vescovo di Belluno amicissimo di questo Fortunato, il quale ritrovandosi con Fortunato, in Ravena con gran dolore degli occhi fu fat- to sano con l'oglio che ardeva nel tempio del Beato Martino». 29

25 Cfr. Enciclopedia Ecclesiastica; Tasso, vol. III, pp. 231-232 26 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 70 27 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 78. 28 F. Ughello, Italia Sacra, tomo V, col. 170 (traduzione dal latino). 29 G. Piloni, op. cit., p. 85. 10 In quella circostanza «dicesi... che abbia fatto voto di far erigere in Belluno un tempio a San Martino, per intercessione del quale aveva riacquistata la vista. Pertanto arrivato a Belluno si adoperò con grande impegno per mandar ad ese- cuzione il voto fatto, cosiché da quel tempo quel tempio servisse anche da Cat- tedrale per i vescovi. Il vescovo Felice morì dopo una lunga amministrazione della sua chiesa. Fu sepolto presso la chiesa di Santa Maria di Valdenere di Bol- lago, 30 territorio della giurisdizione bellunese». 31 «Fu questo Episcopo Felice sepolto nella chiesa di Santa Maria di Bollago Territorio Bellunese, dove si era ridotto ad habitare per fuggire i Bellici tumulti, e per star lontano dalli Arriani». 32

10) GIOVANNI II – anni 553-564 Nell'anno 553 si tenne in Aquileia il secondo concilio del patriarcato. 33 Capi di questo concilio erano Macedonio, patriarca di Aquileia; Onorato arcivescovo di Milano e Massimiano arcivescovo di Ravenna. Erano presenti tut- ti i suffraganei della regione. In questo concilio, da chiamarsi forse più propriamente conciliabolo, vi fu- rono molte sessioni: ed alla fine fu deliberato che non si dovessero accettare al- cuni decreti del Concilio Costantinopolitano, convocato da papa Vigilio (537- 555), ritenendo che fossero contrari al Concilio Calcedonese, già universalmente accettato nella Chiesa Cattolica. Se a questo concilio provinciale erano presenti tutti i suffraganei, proba- bilmente fu presente anche Giovanni vescovo di Belluno: e le vicende personali occorsegli in seguito, sembrerebbero darne conferma. 34

30 Bolago è ora il centro dell'attuale parrocchia di Libano. 31 F. Ughello, op. cit., tomo V, col. 170 (traduzione dal latino). 32 L'espressione «per star lontano dalli Arriani...» riferita dal Piloni, più che a questo ve- scovo, farebbe pensare al vescovo Felice del 347, perché era in quel tempo che ancora infu- riava la contesa tra cattolici e ariani. Florio Miari, in «Cronache Bellunesi» (pp. 8-9) riferi- sce che nel rifabbricare la chiesa della Madonna di Valdenere presso Bolago, nella parroc- chia dei santi Faustino e Giovita di Libàno, «Nell'anno 1762... vi si trovò un sepolcro, entro cui eranvi le ossa di un uomo, con sopra un'iscrizione che aveva inciso: Felix eps, lapida che ancora si conserva. Le ossa ritrovate vennero riposte ai piedi dell'altare della Beata Vergine nella chiesa medesima». Attualmente questa chiesa, sconsacrata. viene adibita a ripostiglio. 33 Cfr. Enciclopedia Ecclesiastica; Tasso, vol. I, pp. 402 e 1100. 34 L'autore del manoscritto anonimo, della Biblioteca Gregoriana, Fondo «da Borso», asse- risce che fu presente. 11 Papa Pelagio I (555-561) successore di papa Vigilio, con inviati particolari e con lettere, cercò di chiarire la retta interpretazione dei decreti costantinopolita- ni. Scrisse più volte a Paolino, successore del patriarca Macedonio; ma senza ri- cavarne il frutto sperato. Si rivolse allora al generale Narsete, chiedendo il suo intervento per castigare i vescovi scismatici. In obbedienza al sommo Pontefice, Narsete mandò prigionieri a Costantinopoli quei vescovi che riuscì ad avere nel- le sue mani: gli altri invece che erano riusciti a fuggire, furono da lui banditi dal territorio. Tra questi ultimi vi era anche il vescovo Giovanni, il quale terminò i suoi giorni in esilio verso l'anno 564. 35

11) LORENZO – anni 573-589 Il vescovo Lorenzo, insieme con gli altri suffraganei, partecipò nell'anno 573 all’elezione del patriarca Elia. 36 Questo patriarca Ella chiese ed ottenne dal sommo pontefice Pelagio II (579-590) la traslazione della sede di Aquileia alla vicina isola di Grado, ritenen- dola più sicura dalle incursioni e devastazioni dei barbari. 37 La traslazione di fatto ebbe luogo l'anno 580, durante un sinodo dei vesco- vi suffraganei convocato in Grado. «Non potendo trovarsi presente Fontejo ve- scovo di Feltre, mandò in suo luogo Lorenzo prete, che si sottoscrisse in nome di lui a quanto era stato in detto sinodo decretato. La sottoscrizione fu in questa forma: Laurentius Praesbiter superveniens in S. Synodo loca faciens viri beatis- simi Fontej Episcopi sanctae Ecclesiae Feltrinae his gestis in relictis subs». 38 In altro sinodo del 584, anche i vescovi di Padova, Altino, Concordia, Ce- neda e Oderzo, furono autorizzati a risiedere (per gli stessi motivi di sicurezza) ciascuno sopra una delle isole della laguna. 39 Sotto il patriarca Elia riprese ad agitarsi la controversia dei «tre capitoli», e il patriarca, incorso nell'errore, forse sotto pressione dei Longobardi, riuscì ad avere dalla sua parte Vindemio, vescovo di Cèneda e Giovanni di Parenzo. «Ma al detto Concilio adherirno Lorenzo vescovo di Belluno, Fonteo di Feltre, Rusti- co di Trevigi, Orontio di Vicenza, e altri vescovi della provincia». 40

35 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 88. 36 Cfr. Manoscritto anonimo della Biblioteca Gregoriana, Fondo «da Borso». 37 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 90. 38 A. Cambruzzi, Storia di Feltre, p. 103. 39 Cfr. G. Piloni, op. cit. p. 90. 40 G. Piloni, op. cit., p. 91. Sembra che il riferimento sia per il Concilio Costantinopolitano. 12 Prima di morire, anche il patriarca Elia accettò i «tre capitoli». Il suo suc- cessore, Severo, che era cittadino di Ravenna, accettò anch'egli la dottrina dei «tre capitoli» suscitando le ire dei Longobardi, i quali gli contrapposero Giovan- ni Abbate, fatto eleggere dal clero in patriarca di Aquileia. 41 Ci furono così nello stesso tempo due patriarchi, uno in Grado e l'altro in Aquileia, e ciascuno di essi aveva dei vescovi che lo sosteneva. 42 Questo arcivescovo Giovanni cercò di avere dalla sua parte anche il patri- arca Severo; ma non essendovi riuscito, con l'aiuto dell'esarca lo fece catturare in Grado, insieme con altri tre vescovi istriani che si trovavano in sua compagnia e lo fece condurre prigioniero in Ravenna dove, con ingiurie e maltrattamenti, lo costrinse ad aderire al suo volere. Ma appena liberato e tornato in Grado, Severo radunò un sinodo a Mu- rano, nell'anno 589, nel quale fece pubblica ritrattazione, rigettando quanto con la violenza gli era stato carpito in Ravenna, e accettò senza riserve la dottrina dei «tre capitoli». 43 I suffraganei che nel frattempo lo avevano abbandonato come eretico, ri- tornarono alla comunione ecclesiale con il proprio patriarca. «Furono presenti a questa abiurazione Lorenzo vescovo di Belluno, Pietro vescovo d'Altino, Angelo di Trento, Fonteio di Feltre, Rustico di Trevigi, Giovanni di Verona, et Adriano di Pola, li quali episcopi haveano abbandonato Severo come eretico, ne volevano prestargli obedienza, se del suo errore non si pentiva». 44 «Questo vescovo Lorenzo di Belluno comparisce con altri vescovi della Venezia e dell'Istria sottoscritto al libello mandato dagli scismatici a Maurizio imperatore, dove arrivano ad invocare la sua autorità contro il sommo Pontefice Gregorio il Grande, per non recarsi al concilio romano al quale erano stati da lui invitati». 45

12) ALBOINO – a. 607 Del vescovo Alboino conosciamo che partecipò al concilio tenuto in Roma l'anno 607 da papa Bonifacio III, nel 607. In questo concilio, tra l'altro, «fu terminato che mentre vive l'Episcopo, non si possa trattar del successore: Ma passato il terzo giorno della sua morte, li

41 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 91. 42 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 91. 43 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 91. 44 G. Piloni, op. cit., p. 91. 45 Enciclopedia Ecclesiastica; Tasso, vol. I, p. 767. 13 chierici debbono congregarsi, e far elettione di persona idonea, remota ogni pas- sione». 46 Nell'anno 624 fu edificato un monastero di monache a Farra d'Alpago. 47 Il fatto potrebbe essersi verificato sotto il vescovo Alboino.

13) ARIMBERTO – a. 630 Questo vescovo si trova nella «Series Episcoporum catholicae Ecclesiae» con datazione dell'anno 630. 48

14) ALTEPRANDO – a. 649 Il vescovo Alteprando partecipò, nell'anno 649, al concilio del Laterano convocato per disposizione di papa Martino (649-655). In questo concilio fu condannata l'eresia dei monoteliti, i quali propugna- vano che nella persona di Cristo vi era una sola volontà, quella divina: mentre invece, come in Cristo vi sono due nature, la divina e l'umana, così vi devono es- sere anche due volontà: quella divina e quella umana. Questa condanna irritò fortemente l'imperatore Costante II, il quale fece catturare papa Martino I e relegarlo nel Chersoneso dove, tra gli stenti e i mal- trattamenti, finì i suoi giorni come glorioso campione della Fede e martire dell' Ortodossia. Nessuna meraviglia pertanto che anche gli altri vescovi che parteciparono al concilio, dovessero essere sottoposti ad angherie e maltrattamenti. È quanto sembra aver avuto in sorte anche il vescovo di Belluno Alteprando, il quale «sof- ferse grandissimi travagli per la sua Chiesa da Ariani molestata, essendo egli cattolico e di vita innocentissima». 49

Anni seguenti Nell'anno 680 fu celebrato nella chiesa di san Giovanni in Laterano un concilio di vescovi occidentali sotto il pontefice Agatone (678-681) per concorda- re il voto da mandarsi al concilio generale che si doveva celebrare in Costanti- nopoli, perché era troppo disagevole per i vescovi recarsi personalmente in una città tanto lontana.

46 G. Piloni, op. cit., p. 92. 47 Manoscritto anonimo della Biblioteca Gregoriana, Fondo «da Borso». 48 Cfr. P. B. Gams, Series Episcoporum catholicae Ecclesiae; Ratisbonae 1873, p. 776. 49 Cfr. G. Piloni, op. cit. p. 94. 14 Risulta che a questo concilio era presente anche il vescovo di Belluno, co- me lo si può rilevare dagli «Atti del Concilio»: «Episcopi qui Concilium appro- barunt etc. Aquilegiensis et huius suffraganei ...Feltrinus, Sacillanus, Bellunen- sis...». 50 Il nome di questo vescovo però rimane sconosciuto. 51

15) LOTARIO – a. 690 Questo vescovo si trova nella «Series Episcoporum catholicae Ecclesiae» di P. B. Gams, a p. 776: in forma dubitativa il nome, ma non la datazione. Forse ci potrebbe essere una qualche correlazione con la notizia del Piloni riportata ap- pena sopra?

16) AMATORE ? – a. 718 ? «L'anno 714 scrisse il Papa (Costantino 708-715) ai Bellunesi, che nelle chiese si dovesse conservar le tradizioni antiche, riguardo alle sacre immagini, e non obedissero a Leone imperatore né all'Esarco, i quali volevano che le imma- gini dei Santi venissero tolte dalle chiese e distrutte». 52 Sembrerebbe più naturale che il Papa abbia scritto al vescovo della Chiesa bellunese, anche se è assai problematico individuare quale sia stato il vescovo di questo periodo. Forse Amatore? 53

50 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 95. 51 Il manoscritto anonimo della Biblioteca Gregoriana, Fondo «da Borso», alla data 680 fa seguire un vescovo Valfranco con l'annotazione «Tempo incerto». 52 G. Piloni, op. cit., p. 97. 53 È questo il nome che ricorre nella «Serie dei vescovi di Belluno» riportata nell'Annuario diocesano di Belluno e Feltre del 1974. In questo periodo vi fu un vescovo di Zuglio Carnico di nome Amatore. Il suo predecesso- re, Fidenzio, «non trovandosi sicuro nella sua residenza dalle scorrerie degli Avari e degli Slavi, ottenne licenza dai precedenti duchi del di poter fissare la sua abitazione in Cividal del Friuli. Venne a morte il vescovo Fidenzio, e in suo luogo fu eletto Amatore che seguitò a tenere la sua residenza in quella città... II Patriarca Calisto mal sofferiva, che un vescovo suffraganeo si fosse stabilito nella diocesi sua […] venne un dì a Cividal del Friuli con molto seguito di persone e cacciato dalla città il nuovo vescovo»; dopo molte peripe- zie, «fissò l'anno 727 nella casa del nostro vescovo Amatore la sua residenza, che poi fu dai Patriarchi successori per più secoli continuata. Qui la storia ci abbandona, né ci sommini- stra notizia alcuna dei vescovi di Giulio Carnico né del vescovato». Cfr. Nicolò Grassi, No- tizie storiche della provincia della Carnia, pp. 75-78; e Giovanni Candido, Commentarii dei fatti di Aquileia, pp. 39-40; e Florio Miari, Cronache bellunesi, p. 10; e Giorgio Piloni, Historia della città di Belluno, p. 98. 15

17) REGINALDO – a. 725 Nel suo racconto il Piloni, che di solito segue un ordine cronologico, scrive tra il 718 e il 725, che «morto Sereno Patriarca, successe a lui Callisto Trevigia- no... il quale insieme con li suoi suffraganei (e tra questi Reginaldo Episcopo di Belluno) andò al Concilio che si tenne in Roma: dove fu concluso che si dovesse- ro nelle chiese conservare l'immagini dei Santi, secondo il rito e l'instituto delli antichi Santi Padri». 54 Un concilio con tali intendimenti fu convocato in Roma l'anno 732, nella chiesa di San Pietro, nel quale appunto «fu decretato che se alcuno, in avvenire, disprezzando le consuetudini di santa Chiesa intorno alle sante immagini, le to- gliesse, le distruggesse, le profanasse, sarebbe escluso dalla partecipazione del corpo e del sangue di Gesù Cristo, nonché separato dalla comunione della Chie- sa». 55 Forse era questo il concilio al quale partecipò il vescovo Reginaldo.

18) VALFRANCO – a. 750 ? Il nome di questo vescovo di Belluno ricorre nella «Series Episcopurum ca- tholicae Ecclesiae»: ma tanto il nome quanto la datazione sono seguiti da un punto interrogativo. 56

19) LODOVICO – a. 796 «Fu in Roma celebrato un Concilio de tutti gli Episcopi Italiani, così vo- lendo Stefano Papa: nel quale fu deliberato, che non si promovesse nessuno al Papato, che non fosse dell'ordine dei Cardinali, al qual fu presente Ludovico E- piscopo Bellunese». 57

Forse questo vescovo Amatore, in seguito alle vicende con il patriarca Calisto, potrebbe es- sere passato da «Cividal del Friuli» a «Cividal di Belluno» con la protezione del Duca Pemmone che era di origine bellunese, e con il quale era in grande amicizia. 54 G. Piloni, op. cit., p. 98. 55 Enciclopedia Ecclesiastica; Tasso, vol. IV, p. 823. 56 Cfr. P. B. Gams, op. cit., p. 776. 57 G. Piloni, op. cit., p. 104. 16 Probabilmente trattasi del Concilio convocato da Stefano III (768-772), nel mese di aprile del 769, per riordinare la disciplina ecclesiastica turbata dalla fa- ziosità dell'antipapa Costantino. 58

20) AIROLDO – anni 781-813 L'anno 781, Carlo Magno fu a Roma con i suoi figli Pipino e Lodovico. Il papa Adriano I (772-795) incoronò Pipino re d'Italia e Lodovico re di Aquitania. «Era a questo tempo patriarca in Aquileia Urbano e vescovo in Cividale Airoldo, a quali Pipino Re d'Italia concesse molti honori e privilegij; il simile fa- cendo con Errigetto vescovo di Feltro». 59 Tra l'altro, proibì «che giudice alcuno non riscotesse dall'Episcopo tributo, mansionaria, federo né parata; 60 né ricercasse fideiussione dalli episcopi, né mo- lestasse alcuno delli suoi soggetti, confirmando le donationi che alle Chiese era- no state fatte dalli Re Longobardi e da devoti particolari […]. A questi tempi an- cora Aldo bellunese fece edificar la chiesa di San Giorgio: dotandola di doi Cor- te, cioè Bloxio e Travazois con tutte le Massaritie, e con li huomini così liberi co- me servi che in dette Corte si ritrovavano». 61 Il vescovo Airoldo «partecipò ad un sinodo in Aquileia nell'anno 796. Nell'anno 803 intervenne alla elezione del patriarca Massenzio e nell'anno 813 ricevette porzione del tesoro di Carlo Magno, lasciata ai vescovi in Legato». 62

21) ODELBERTO – a. 827 In Mantova «l'anno 827, a dì 6 Giugno, si celebrò un concilio provinciale, presieduto da papa Eugenio Il, per metter fine agli antichi dissidi fra i patriarchi di Aquileia e di Grado. Vi intervennero molti Cardinali, gli arcivescovi di Mila-

58 Cfr. Enciclopedia Ecclesiastica; Tasso, vol. VI, pp. 585 e 1155. 59 G. Piloni, op. cit. p. 106. 60 Erano le tasse del tempo. 61 G. Piloni, op. cit. p. 106. Queste corti verranno confermate possesso della Chiesa bellune- se, dall'imperatore Carlo il Grosso, il 13 febbraio 882. Potrebbe trattarsi dell'attuale chiesa di S. Sebastiano che si trova nel territorio di Travazzoi, attiguo a quello di Vezzano. Sembra che detta chiesa fosse dedicata a San Giorgio, del qua- le anche attualmente si fa particolare memoria liturgica. L'uso di chiamarla di S. Sebastia- no potrebbe essere invalso da quando «Nicolò de Stefani […] dipinse pure nel 1594 il S. Sebastiano in S. Giorgio di Vezzano» (Cfr. F. Miari, Dizionario storico...., p. 64). 62 Manoscritto anonimo della Biblioteca Gregoriana, Fondo «da Borso». 17 no e di Ravenna, con tutti i vescovi dell'Emilia, Liguria e Lombardia, non che Si- cardo e Testone, plenipotenziari degli imperatori Lodovico e Lottario». 63 Vi intervennero Massunzio 64 patriarca di Aquileia, Amato vescovo di Fel- tre, Alberto di Belluno, Anselmo di Concordia...». 65

22) PIETRO – anni 843-851 «L'anno 843 venne in Italia Lodovico primogenito di Lotario per la sua Co- ronazione, facendo sapere la sua venuta alli Episcopi e Baroni italiani, acciò fos- sero pronti a riceverlo come Re loro: andorno a Roma tutti li Principali delle città per riceverlo e rendergli obbedienza tra i quali andò Pietro Vescovo di Belluno». 66 Dall'elenco del P. B. Gams si ricava che il vescovo Pietro morì nell'anno 851. 67

23) TEODALDO – a. 853 «Vi è un documento del primo marzo 853, e vi si legge che il vescovo Te- odaldo dona alla chiesa di San Martino del duomo alcuni beni». 68 «Ritrovandosi il Re in Pavia l'anno 855 scrisse a Venantio Patriarca di A- quileia, che egli desiderava sapere, come fossero dalli suoi suffraganei e dalli Chierici loro ben governate le Chiese poste sotto la loro cura […] se li templi e- rano ben fabricati, e se li Conti abusavano la sua giurisdittione». 69 Notificato il desiderio del Re Lodovico al vescovo di Belluno, 70 e fatta di- ligente ricerca per tutti i luoghi a lui sottoposti, il patriarca si recò a Pavia per esporgli i risultati della sua diligente inchiesta, e per sollecitare della sua autori- tà quei provvedimenti che erano ritenuti necessari per rimuovere gli inconve- nienti riscontrati.

63 Enciclopedia Ecclesiatica; Tasso, vol. V, p. 473. 64 Forse sta per Massenzio. 65 A. Cambruzzi, Storia di Feltre, vol. I, p. 130. Questo «Alberto di Belluno» pare corrispon- da all'Odelberto di F. Ughello e di P. B. Gams. 66 G. Piloni, op. cit., p. 105 [?]. 67 P. B. Gams, op. cit., p. 776. 68 F. Tamis, La Cattedrale di Belluno, p. 16. 69 G. Piloni, op. cit., p. 108. 70 Il vescovo di Belluno del tempo, stando alla data del citato documento, sarebbe stato Te- odaldo e non Pietro, come riferito dal Piloni. 18 E, di fatto, «fece il Re Lodovico, non molto tempo dopo, alcune provisioni, e tra le altre: che i palazzi pubblici fossero nei luoghi soliti restaurati, nelli quali possa il Re e il suo Legato recapitare, senza incomodar le chiese».

24) ARNOLFO – a. 861 Questo vescovo «Arnulphus Bellue» si ritrova con scrittura in corsivo nel- la «Series Episcoporum catholicae Ecclesiae» di P. B. Gams, a p. 776; e non vi so- no segni di punteggiatura che mettano in dubbio né il nome, né la datazione.

25) AIMONE – anni 874-923 Deve essere stato eletto vescovo abbastanza giovane, questo Aimone, che resse per quasi cinquant'anni le sorti della diocesi di San Martino. Sembra si possa collocare l'inizio del suo episcopato verso l'anno 874, quando intervenne al concilio di Ravenna. «Era Valperto Patriarca di Aquileia e nel Belluno era stato assonto all'episcopato Aimone, il quale chiamato da Papa Giovanni andò al concilio di Ravena». 71 A questo concilio, presieduto da papa Giovanni VIII (872-882) «vi parteciparono settanta vescovi e tra l'altro furono pacificate le discordie tra Orso doge di Venezia e Pietro Patriarca di Grado». 72 Sembra che Aimone sia sempre stato in buone relazioni con papi, re e imperato- ri. L'imperatore Carlo III il Grosso «confermò ancora ad Aimone vescovo di Belluno tutte le possessioni e ragioni, che li passati re e principi così Longobardi come Francesi ed altri particolari haveano donato alla Chiesa Bellunese. Fu tal privilegio dato il dì 13 di Febraro l'anno 882, alla presentia di Luitgardo vescovo, e scritto per mano di Ermanno di Valdo notaio in vece di Lituardo vescovo di Vercelli e suo Archicancelliero». 73 Il Conte e marchese Berengario, che era al seguito di Carlo il Grosso, ebbe modo di conoscere ed apprezzare il vescovo Aimone: lo ebbe in alta stima e grande amicizia: e divenuto a sua volta re d'Italia e poi imperatore, egli pure largheggiò in privilegi e concessioni con il vescovo della Chiesa bellunese. «L'anno 896 mese di Gennaro il re Berengario venne con gran compagnia alla città di Cèneda dove si fermò molti giorni dando alli sudditi suoi pubblica udienza e facendo ivi molte provisioni a beneficio del regno... Andato poi il re Berengario a Pavia, fu Aimone vescovo di Belluno a ritrovarlo, il quale essendo

71 G. Piloni op. cit., pag. 109. 72 Enciclopedia Ecclesiastica; Tasso, vol. VI, p. 463. 73 G. Piloni, op. cit., p. 110. 19 graditissimo ad esso Re impetrò alli 19 (?) del mese di Novembre, che fosse alla Chiesa di Belluno donato alcuni fondi nel territorio di Cèneda in un loco chia- mato (il Fondo di Ligone) quali beni erano della Camera Regia, con tutte le terre, selve, pascoli, saletti, rive, paludi, monti, piani, e molendini pertinenti a detto luoco. Della qual donatione fece publico instrumento e privilegio sottoscritto de mano propria del detto Re e col suo sigillo sigillato l'anno undicesimo del suo regno». 74 Con altro «Diploma» stilato nella città di Verona l'anno 923, Berengario, re e imperatore, anche per le suppliche di Anna regina sua consorte, concede al ve- scovo Aimone e alla Chiesa bellunese di San Martino, una Corte di diritto regio chiamata Docale, con la cappella costruita in onore del Salvatore appartenente alla medesima corte, e situata nel contado di Cèneda, con tutte le cose e massari- zie e villaggi, come pure con le decime di Cadore e di Agordo spettanti alla me- desima cappella, ed anche «Le Chiuse di Venzone» situate nella Marca del Friu- li, e due massarizie situate nella «Sculdascia» di Belluno poste sotto il Cansiglio; come pure due deganie che si trovano nella valle Lapacinense, i confini delle qua- li sono: il primo confine che si chiama «Pietra Incisa», il secondo dal monte che si chiama «Crux ferrea», il terzo dal monte che si chiama Montecavallo e di là vengono a confinare al lago «Lapisino» (ora di Santa Croce) e al Piave, con tutti i territori e castelli esistenti entro questi confini, fatta eccezione di quello che il re aveva già donato in antecedenza al presbitero Rathpodo (o Recipodio); con la espressa volontà che tutto questo passasse nel diritto e possesso del vescovo e della sua Chiesa, in modo da poterne usare liberamente, senza opposizione di alcuno e sotto pena, per i contravventori, di duecento libre di ottimo oro da pa- garsi per una metà alla Camera regia e per l'altra ad Aimone e ai suoi successori. 75 [Aimone] fece costruire dalle fondamenta una canonica nuova, collocan- dovi sacerdoti e leviti secondo l'ordinamento canonico, 76 nella speranza di aver così contribuito, con l'aiuto del Signore, ad una loro vita ordinata e serena. Con l'appoggio di Berengario, quando era ancora Marchese, recuperò per la Canonica 77 una piccola proprietà che i suoi predecessori «per incuria o per

74 II «Diploma», nella trascrizione di mons. G. De Donà, porta la data del 10 novembre 898. 75 Cfr. Diploma di Berengario Imperatore nella seconda parte di questo libro [Non ripreso in questa antologia. N.d.R.]. 76 Cfr. «Pergamena del vescovo Aimone» riportata nella seconda parte di questo libro [Non ripresa in questa antologia. N.d.R.]. In essa, forse, vi si potrebbe ravvisare un influsso del Concilio Turonico III: «Canonici e chierici delle città, che vivono negli espiscòpi, abitino insieme nei chiostri...». Si parla dei chierici secolari, perché di quelli viventi canonicamente nei monasteri si occupa il canone 24». Cfr. Summa conciliorum ecc., p. 180. 77 Sembrerebbe quindi che una Canonica fosse esistita anche prima. 20 negligenza» avevano perduto; e ne ottenne precetto dall'imperatore Carlo III il Grosso. 78 Ritenendo poi che la quarta parte delle decime, riservata ai presbiteri e chierici dalle vigenti consuetudini canoniche, fosse insufficiente al loro sosten- tamento, con gesto magnanimo il vescovo Aimone «donò tutte le decime dell'Ol- trardo ai sacerdoti che fossero vissuti, seguendo una regola, nella predetta Ca- nonica, affinché con cuore libero potessero pregare per i loro benefattori e per tutto il popolo cristiano». 79 Non si conosce l'anno della morte di questo vescovo. Sembrerebbe essere avvenuta nell'anno 923. Sembrerebbe, infatti, che fosse già morto al tempo della stesura del Diploma di Berengario imperatore; ma il suo decesso doveva essere avvenuto da poco perché l'estensore, dopo qualche espressione che sembra al- ludere alla sua morte, verso la fine parla di lui come fosse presente. 80

26) ERMANO – a. 930 L'anno 926 Ugo di Provenza fu creato re d'Italia. «L'anno 930 Ugo Re e Signore d'Italia confirmò ad Ermano vescovo di Bel- luno tutti i privilegi che la sua Chiesa haveva havuto da Rachisio Bellunese che fu Re dei Longobardi e dalli altri successori et altri Re che dominorno l'Italia fino a quel tempo». 81 È l'unica notizia che si abbia del vescovo Ermano.

27) GIOVANNI III – anni 959-999 La seconda metà del secolo decimo è dominata dalla prestigiosa figura po- litica del vescovo Giovanni III, passato alla storia sotto il nome di Giovanni II. «Nulla sappiamo di positivo della sua origine e della sua nascita, benché qualche indizio ci induca a... dedurre che Giovanni fosse bellunese e della fami-

78 La frase della pergamena del vescovo Aimone («... qui hoc Praeceptum in hac episcopali domo propria firmavit manu») potrebbe essere tradotta in due maniere: 1) «… il quale di propria mano confermò questo precetto, in questa casa episcopale». Tenendo per valida questa traduzione, si potrebbe dedurre che Carlo III fu a Belluno, e avrebbe fatto scrivere il suo precetto, nella casa del vescovo; 2) «... il quale di propria mano confermò questo precet- to, in favore di questa casa di istituzione vescovile». Questa traduzione sembrerebbe più confacente allo spirito della concessione: e in tal caso il precetto potrebbe anche non essere stato scritto in Belluno. 79 Cfr. Pergamena del vescovo Aimone. 80 Cfr. Diploma di Berengario imperatore, nella seconda parte di questo libro [Non ripreso in questa antologia. N.d.R.]. 81 G. Piloni, op. cit. p. 114. 21 glia o schiatta, probabilmente longobardica, che si chiamò poi dei Tassina o Tas- sinoni». 82 Non si conosce il tempo della sua nascita, «ma non andremo lungi dal ve- ro collocandola verso il 920». 83 E neppure si conosce con certezza in quale anno fu eletto vescovo. «E' probabile che fosse eletto nel 963; difatti anche da un «Chronicon» manoscritto del 1587, già appartenente alla Curia vescovile, senza nome di autore e che può essersi basato a carte ora smarrite, è assegnato l'anno 963 come principio del suo vescovado» 84 Altri invece fanno risalire l'inizio del suo episcopato al 959 85 e sarebbe sta- to eletto vescovo per acclamazione direttamente dal popolo bellunese. 86 È certo, invece, che nell'anno 963 si recò a Montefeltro per rendere omag- gio ad Ottone I, che assediava la rocca di San Leo. Il neo imperatore deve essere rimasto molto bene impressionato dalla forte personalità del vescovo Giovanni; e fu largo con lui di privilegi e di amplissime concessioni, probabilmente perché lo riteneva un soggetto molto adatto a realizzare quella nuova politica che an- dava instaurando per una maggiore sicurezza e tranquillità dell'impero. Queste concessioni e privilegi furono siglati in Montefeltro il 10 settembre 963 con amplissimo diploma. 87 Da una prima lettura di questo diploma, risulta evidente che l'imperatore Ottone Magno concede a Giovanni vescovo molto più che una semplice proprie- tà. Le parole infatti «pro anima iudicandi» e la «facoltà di edificare torri, castelli e fossati» dimostrano che si tratta della concessione di un vero feudo. 88

82 F. Pellegrini, Ricerche sulle condizioni politiche di Belluno e della provincia fino al secolo decimo e specialmente del vescovo Giovanni II, pp. 20-21. 83 F. Pellegrini, op. cit., p. 22. 84 F. Pellegrini, op. cit., p. 23. A questo proposito potremmo porci l'interrogativo se il Piloni, bellunese, sia stato a conoscenza di questo «Chronicon», e quale valore gli possa aver at- tribuito, dal momento che esso non risulta citato tra le 150 opere da lui consultate per la compilazione della sua «Historia della città di Belluno». 85 G. Piloni, op. cit., pp. 115-116. Del resto, che Giovanni sia stato eletto vescovo ancor pri- ma del 963, lo si deduce dallo stesso Diploma di Ottone I. 86 Ughello Fiorentino, Italia Sacra, tomo V, col. 172. 87 Per il Diploma di Ottone I, cfr. F. Pellegrini, op. cit., pp. 45-46. 88 F. Pellegrini, op. cit., p. 15. 22 Il feudo era governato da un conte: e di fatto il nome di comitato, attri- buito a Belluno e al suo territorio, appare in un atto del 22 luglio 998. 89 Ma ci sono poi anche le conferme posteriori di Enrico II nel 1014, e di Cor- rado II con diploma stilato a Worms il 10 giugno 1031. 90 Dalla lettura del diploma di Ottone I sembra di poter fare anche una se- conda considerazione. È un po' difficile accettare che l'imperatore abbia largheggiato in conces- sioni e privilegi se non avesse avuto di lui una buona conoscenza. Sembrerebbe quindi naturale il supporre che Giovanni, subito dopo la sua elezione a vescovo, avesse operato con notevole successo nella sistemazione e difesa del patrimonio ricevuto dai suoi predecessori. Lo spazio di appena qualche mese sembra troppo ristretto perché egli ab- bia potuto realizzare quelle imprese che gli procurarono la stima, la benevolenza e la magnanima larghezza dell'imperatore. Per questo sembrerebbe opportuno retrodatare di qualche anno la eleva- zione di Giovanni alla cattedra di San Martino; e forse la data dell'anno 959 nella quale Giorgio Piloni ci presenta Giovanni già come vescovo, potrebbe avere una forte probabilità. Ottenuto questo diploma, Giovanni accompagnò a Roma Ottone I e il 6 novembre 963 intervenne a quella adunanza di vescovi, presieduta da Ottone, nella quale fu deposto il papa Giovanni XII dei conti di Tuscolo. 91 Nel 967 fu al concilio di Ravenna, presenti il Papa e l'imperatore: nel qual concilio furono sostenuti i diritti metropolitani della sede di Grado contro l'in- vadenza del patriarcato di Aquileia. In questo stesso concilio, «Joannes Bellunensis Episcopus», si sottoscrive alla Bolla con la quale Giovanni XIII depose Eroldo dalla sede di Salisburgo e creò in sua vece arcivescovo Federico, in data 25 aprile 967. 92 In quello stesso periodo, per un accordo tra il Papa e l'imperatore fu eretta in arcivescovado la chiesa di Magdeburgo, della quale fu primo arcivescovo S. Adalberto. «In questa Bolla di erezione non figurano più come firmatari né il pa-

89 Cfr. F. Pellegrini, op. cit., p. 23. 90 Cfr. F. Pellegrini, op. cit., p. 39. 91 F. Pellegrini, op. cit., p. 39. 92 F. Pellegrini, op. cit., p. 15. 23 triarca Rodoaldo, né Sicardo di Cèneda, né Giovanni vescovo di Belluno; proba- bilmente essi avevano già raggiunto o stavano per raggiungere le loro sedi». 93 Giovanni, uomo estremamente dinamico, forte del diploma e più ancora dell'appoggio dell'imperatore, cominciò a riassestare le cose della sua città. Cin- se Belluno con forti mura, vigilate da torri a difese da ampio fossato. Permise che anche i cittadini fabbricassero alte torri e difesa delle loro abitazioni. Fece compartecipi del governo della cosa pubblica quattro delle più antiche ed in- fluenti famiglie, dalle quali ebbero inizio i «Rotuli» e perentele, gettando così il seme di quelle che saranno poi le gloriose «libertà comunali». 94 «Concesse Polcenigo in Feudo a Fantuccio, suo fedele e valoroso capitano insieme con tutte le sue ragioni, così al monte come al piano, con la Corte, Do- minio, Advocaria et Giurisdittione tra questi confini: da monte Cavallo fin a Co- volana; e dindi al prato Paderno: e poi alli Colliselli di Campagna sin a pietra Paganat et al fiume della Livenza, costituendolo suo avvocato e difensore della sua chiesa, con obbligo suo e dei suoi successori di venir personalmente e con la sua militia a servir nelle occorrenti guerre che havesse la cittade, giurando fedel- tà agli Episcopi e prestando l'omaggio del debito Vassallatico». 95 Accativatasi la stima e la simpatia dei suoi concittadini, gli riuscì facile al- lestire un manipolo di uomini armati, con il quale prese possesso dei terreni e delle contrade avuti in dono dall'imperatore, venendo per questo anche in aspra contesa con i Veneziani per i confini tra Oderzo ed Eraclea. Probabimente i Veneziani, approfittando della distruzione di Oderzo da parte dei Longobardi e del suo conseguente abbandono, oltrepassarono la linea di confine tracciata a suo tempo dal re Liutprando, fornendo così motivo ed esca al vescovo Giovanni di rivendicare il legittimo possesso. Entrato però nella mischia, non solo non si accontentò di ricuperare il suo, ma varcò i confini entrando in territorio veneziano con minacciose scorribande, mettendo in serio pericolo la sicurezza stessa del Dogado, «mandando li suoi capitani a piantar li stendardi suoi in sul lito per mezzo la cittade». 96 Siamo verso l'anno 982: e i Bellunesi, esaltati forse da questi successi con- tro i Veneziani, «guidati dal loro vescovo, passarono nel Trevigiano, e comin- ciando dal contado di Ceneda, s'impossessarono del castello di Fregona, quello

93 Nell'atto, edito per la prima volta da F. Pellegrini in appendice all'opera citata, si legge: «ista Vizza, de comitatu Bellunensi». 94 Cfr. F. Pellegrini, op. cit., p. 16. 95 G. Piloni, op. cit., pp. 118-119. Da questo feudatario, Fantuccio, ebbero inizio quelli che poi furono chiamati i Conti di Polcenigo. Cfr. anche F. Pellegrini, op. cit. 96 G. Piloni, op. cit., p. 120. 24 di Colle, Pinidello, Soligo e Paderno con altri luoghi nel territorio di Coneglia- no». 97 «Forse questi luoghi e castelli erano stati o dagli imperatori o dai Mar- chioni di Verona, sottratti già innanzi all'autorità dei Conti di Cèneda, per asse- gnarli a lui». 98 O forse, più verosimilmente facevano parte delle donazioni di Berengario al vescovo Aimone nel 899 e nel 923. «E poi passata la Piave, con mirabile prestezza, pigliarono Lanceniga, Vil- laorba, Cavaso, Margnano, e Teverone; et edificarono un castello, chiamandolo Bellona, volendo che ivi fosse il termine delle vittorie dei bellunesi. E ritornando per il Feltrino presero il castello di Pietra Bullada, de Lusia e de Fonzaso: e più a dentro nel Trentino allargarono molto il suo dominio, edificando il castello che fu Cividono chiamato, sopra l'Adige vicino a Vallese: fa di queste vittorie in gran parte mentione, l'Istoria Trevigiana e specialmente nel terzo libro di quella. Furono questi acquisti de Bellunesi confirmati nella città di Verona da Ottone II imperatore l'anno 983». 99 Per una plausibile spiegazione di queste scorrerie, altro non si può sup- porre che una approvazione, se non addirittura un comando (del quale a noi non sia pervenuta notizia) da parte dell'imperatore Ottone II; il quale del resto, si affrettò a confermare l'avvenuta conquista l'anno 983 in Verona. 100 Di un altro ordine invece ci è pervenuta notizia: ed è quello con il quale Ottone II «comandò ai Bellunesi che non dovessero somministrare ai Veneziani vittovaglia di alcuna sorte: anzi dovessero con le sue genti impedire, che per la Piave non fossero da altri portate. «Et a questo si indusse Ottone, pregato dalli Caloprini, li quali per aver congiurato contro il Memo Doge di Venezia, erano stati dalla patria scacciati, le loro case rovinate, e le mogli con li figliuoli incarce- rati. Non si fecero li Bellunesi, con Giovanni suo Episcopo, molto pregare, es- sendo stati altre volte dal Doge Candiano de molti suoi beni spogliati. Travagliò il bellunese Episcopo, grandemente la Repubblica di Venezia, tenendo la sua mi- litia sopra il detto fiume, proibendo il passo a tutti quelli che volessero passare: onde per questo e per altri impedimenti, che da altri li venivano fatti, cominciò Vinegia a soffrir molto: e le isolette più vicine si staccarono dalla sua amicitia, apertamente rebellandosi». 101

97 G. Piloni, op. cit., p. 119. 98 F. Pellegrini, op. cit. p. 26. 99 G. Piloni, op. cit., p. 119. Pare che Cividono possa essere individuato nell'attuale Civez- zano. 100 Cfr. F. Pellegrini, op. cit., p. 29. 101 G. Piloni, op. cit., p. 119. 25 «Morto Ottone II, tale stato di cose durò a lungo, durante la minorità del terzo Ottone: e sebbene il terribile prelato fosse innanzi con gli anni, nulla smet- teva della sua fierezza». 102 Giovanni «era molto amato da suoi Bellunesi... Egli non risparmiava né fa- tica né pericolo... e nella austerità della sua indole era affabile verso i suoi militi e fedeli: Usava le insegne comitali e marchionali, e nelle solenni funzioni di Chiesa teneva la spada nuda sull'altare 103 e se la faceva portare innanzi in segno di Dominio che pel titolo di Conte gli veniva: ed aveva proprio stendardo dietro al quale cavalcavano i suoi militi, non sotto quello di altro signore». 104 Le cose cominciarono a prendere una piega diversa quando salì al dogado di Venezia Pietro II Orseolo il quale, invece di affrontare direttamente il temibile avversario, cercò di mettersi in buone relazioni con l'impero: si fece amico di Ot- tone III e «il 19 luglio 992 a Muellhausen» ottenne «la conferma dei vecchi confi- ni luitprandici tra il dogado e il regno d'Italia,... invitò a farsi mediatore il duca di Baviera Enrico il Rissoso, che nel 989 era stato nuovamente investito della marca di Verona». 105 Ma andando troppo a rilento le cose, «Pietro mandò ambasciatore Gio- vanni Diacono suo cappellano in Aquisgrana presso Ottone III, il quale ri- provando assolutamente l'agire del duca Enrico, gli fece estendere (il 1° maggio 995) una nuova solenne conferma dei confini luitprandici. E contemporanea- mente mandò in Italia Bruno, uno dei suoi vassalli per distogliere il vescovo dall'illegale procedere: il quale non disposto ad adattarsi tanto facilmente al re- gale comando, non volle nemmeno riceverlo. Tanto a quel tempo era alterato il vescovo – dice il nostro Piloni – che né per prieghi, né per minacce dell'impera- tore eletto, non volle rallentar punto le incominciate imprese contro i veneziani». 106 «Bruno, inasprito certamente da tale trattamento, diede al doge il consiglio di chiudere ogni commercio con la marca di Verona e con l'Istria», 107 mettendo in atto quello stesso modo di guerreggiare che, a suo tempo, Ottone II aveva suggerito ai Bellunesi.

102 F. Pellegrini, op. cit., p. 29. Forse ciò rientrava nel costume longobardo del quale sarebbe rimasta traccia nella «Messa dello Spadone» che anche attualmente si celebra in Cividale del Friuli il giorno dell'Epifania. 103 G. Piloni, op. cit., p. 119. 104 F. Pellegrini, op. cit., p. 30. 105 F. Pellegrini, op. cit., p. 31. 106 F. Pellegrini, op. cit., p. 32. 107 F. Pellegrini, op. cit., p. 33. 26 L'attuazione del consiglio raggiunse lo scopo desiderato. «Il vescovo di Treviso, infatti, e Sicardo vescovo di Cèneda possessore anch'egli di diverse ter- re in quel comitato, presto si accordarono coi veneziani: e poco dopo anche Gio- vanni sia che fosse mosso dal loro esempio e dal bisogno dei suoi soggetti, o che temesse l'ira di Ottone e la fermezza del doge, considerando la deferenza che mostrava il giovane coronando per questo principe a cui aveva voluto legarsi personalmente colla parentela del comparatico, si piegò finalmente agli accor- di». 108 «Il 25 marzo del 996 fu tenuto in Verona solenne placito dai due Messi im- periali, Ottone di Carinzia e margravio di Verona e Pietro vescovo di Como per decidere il litigio». 109 Neppure dopo la sentenza di questo placito le cose andarono lisce fra i contendenti. Ma finalmente nel 998, impressionati forse per l'ascendere della potenza di Venezia che l'anno prima «aveva aquistato la Dalmazia et superato i popoli di Narrenta, quali haveano longotempo conteso con Venetiani, cominciorno li Bel- lunesi a pensar meglio a casi suoi: e fatti più piacevoli dettero orecchie a quelli che haveano trattato di pacificarli». 110 E così quando «Wangerio, Messo dell'imperatore, tenne placito solenne nel comitato cenedese insieme con Azeli conte di quel comitato, col vescovo Ro- zo di Treviso e con una gran quantità di altri giudici e baroni, […] Giovanni ve- scovo di Belluno, con Magilelmo suo avvocato, confessò e riconobbe i diritti dei veneziani ai vecchi confini longobardici tra Cittanova e Oderzo e promise di os- servarli, sotto pena […] di cento lire di buoni denari d'argento: e il messo Wan- gerio pose il bando imperiale di mille mancosi d'oro sopra qualunque presu- messe di inquietare i veneziani pel possesso di quel territorio, senza legale giu- dizio». 111 «Questa sentenza di pace definitiva fu promulgata il 3 maggio 998 a Staf- folo, meschino casale tra le paludi più di due chilometri a mezzodì di Torredi- Mosto e in quel comune, allora probabilmente corte regia di qualche importan- za, situata proprio presso i confini in contestazione». «Tre mesi dopo fu confermata ancora più solennemente questa sentenza e terminato per sempre il litigio ai 18 luglio nella città di Verona nella loggia del palazzo vescovile presso l'Adige […]. In questo atto noi vediamo Giovanni or-

108 F. Pellegrini, op. cit., p. 34. 109 G. Piloni, op. cit., p. 120. 110 F. Pellegrini, op. cit., p. 35. 111 F. Pellegrini, op. cit., pp. 35-36. 27 mai fuori causa, assistere alla sentenza e segnarla cogli altri vescovi e conti come giudice e non come parte». 112 «La pace conchiusa da questo nostro glorioso e potente vescovo, e conte o vassallo imperiale coi veneziani, venne meritatamente celebrata dal pennello dell'illustre nostro pittore Giovanni Demin, che fu chiamato a decorare la sala municipale di questa città». 113 La morte del vescovo Giovanni, probabilmente, avvenne nell'anno 999: comunque tra l'agosto 998 e il mille, perché in quest'anno troviamo nella sede di Belluno il vescovo Ernefredo: «e giusta i nostri computi, nella grave età di oltre 80 anni, dopo 35 interi anni di vescovado e di doppio regime, e una tanto attiva, operosa e travagliata vita». 114

28) ERNEFREDO – anni 1000-1015 Il fatidico e tanto temuto anno Mille, trovò sulla cattedra episcopale di Bel- luno il vescovo Ernefredo, il quale, essendo morto il patriarca Rodoaldo, proprio in quell'anno partecipò, insieme con gli altri suffraganei, alla elezione del «Patri- arca Giovanni, che fu il quinquagesimo, ch'hebbe la Chiesa di Aquileia». 115 Si ritiene che Ernefredo fosse bellunese, e della famiglia Piloni. Questo ve- scovo, insieme con i consoli della città ed altri bellunesi, si recò in Treviso l'anno 1014, per rendere omaggio all'imperatore Enrico II che ritornava da Roma, dove era stato incoronato imperatore da papa Benedetto VII (1012-1024). Gli portò le chiavi della città e gli prestò giuramento di fedeltà, come conte e feudatario dell'impero. 116 L'imperatore Enrico, in quella circostanza, confermò ad Ernefredo il rispet- to per le antiche consuetudini, e il possesso di quanto era stato donato dai pre- cedenti re e imperatori. «Et in particolare quello che havevano li bellunesi acqui-

112 F. Pellegrini, op. cit., pp. 37-38. 113 F. Pellegrini, op. cit., p. 41. 114 Volendo iniziare il computo dall'anno 959 nel quale G. Piloni e F. Ughello ci presentano Giovanni come già vescovo, gli anni del suo episcopato sarebbero stati circa quaranta. 115 G. Piloni, op. cit., p. 120. 116 G. Piloni, op. cit., pp. 120-122. Il Cambruzzi nella Storia di Feltre ritiene, invece, che que- sto incontro sia avvenuto in Feltre. Tale divergenza di luogo si potrebbe forse spiegare supponendo che Ernefredo, almeno per deferente cortesia, da Treviso abbia voluto ac- compagnare fino a Feltre l'imperatore Enrico che faceva ritorno in Germania. 28 stato al tempo del vescovo Giovanni nel Trentino, e Trevigiano, come nel Friuli e nel territorio di Feltro». 117

29) PIETRO LODOVICO – anni 1015-1021 Il vescovo Ernefredo, nel 1015, doveva già essere passato a miglior vita per- ché «nell'anno 1015 il vescovo di Belluno Pietro Lodovico fu presente, con Anto- nio Richerio vescovo di Feltre, all'atto di donazione che il patriarca Giovanni fe- ce in Aquileia al Preposito e ai Canonici della chiesa di Santo Stefano, poco lungi da Aquileia, di molti beni, ville, decime e giurisdizioni». 118 Il vescovo Pietro Lodovico, o comunemente solo Lodovico, morì il 6 di- cembre 1021. 119

30) ALBUNIANO – a. 1027 Questo vescovo Albuiniano risulta essere nella sede di Belluno nell'anno 1027. 120

31) ODELBERTO II – anni 1029-1030 Questo vescovo ebbe un episcopato assai breve. Nell'anno 1030 il vescovo Odeberto o Odelberto fece costruire «il tempio di santo Giovanni Battista, nella città di Belluno, e lo dotò di alcune entrate so- pra un monte che Brozo si chiama». 121 Si ritiene che anche Odelberto fosse bellunese. 122

32) EZEMANO – anni 1030-... In quello stesso anno 1030 morì il vescovo Odelberto ed ebbe come succes- sore Ezemano, pure bellunese. 123

117 G. Piloni, op. cit., p. 122. 118 A. Cambruzzi, Storia di Feltre, p. 142. 119 P. B. Gams, Series episcoporum ecclesiae catholicae, p. 776. 120 Cfr. P. B. Gams, Series episcoporum ecclesiae catholicae, p. 776. 121 G. Piloni, op. cit., p. 123. Probabilmente si tratta di una località posta nei pressi dell'attu- ale frazione di Broz, in comune di Tambre d'Alpago, ai margini occidentali del bosco del Cansiglio. 122 G. Piloni, op. cit., p. 123. 29 Il qual Ezemano si fece premura di recarsi in Germania, accompagnato da molti bellunesi, per rendere omaggio all'imperatore Corrado il Salico (1024-1039) e fu accolto con molta cortesia. In quella circostanza gli furono riconfermate tutte le possessioni che i pre- cedenti imperatori avevano concesso ai vescovi e alla chiesa bellunese; e partico- larmente le conquiste fatte al tempo del vescovo Giovanni, che già in anteceden- za erano state confermate dall'imperatore Enrico Il nell'anno 1014. Questa conferma ebbe luogo nella città di Worms con decreto imperiale ri- lasciato nel mese di giugno dell'anno 1031. 124 Il vescovo Ezemano dimostrò sollecitudine anche per il buon andamento della canonica di Belluno, alla quale «donò ...il monte di Premezze con una assai buona rendita, che al presente vien detta la Canonica». 125

33) MARIO – anni 1050-... Nella basilica di S. Andrea in Mantova si conservava una reliquia del San- gue di Gesù Cristo. Vuole la tradizione che questa reliquia fosse stata portata in Mantova da quel medesimo soldato Longino che trafisse con la lancia il costato di Cristo in croce. Questa tradizione acquista una forte verosimiglianza storica, considerati gli spostamenti della Sesta legione «Ferrata», che al tempo della cro- cifissione di Gesù si trovava in Giudea e sotto Nerone fu spostata nella Cappa- docia, e al tempo di Vespasiano, «Geminata» fu dislocata nelle regioni del Man- tovano. 126 Il vescovo di Belluno, Mario, nell'anno 1050 intervenne in Mantova, con Olderico vescovo di Trento, alla solenne traslazione di questa reliquia del San- gue di Gesù Cristo. 127

34) LANFRANCO – anni 1064-1070 L'anno 1064 fu convocato un concilio nella città di Mantova: vi partecipa- rono molti Cardinali e prelati con quasi tutti i vescovi d'Italia. In questo concilio fu riconosciuto per vero papa Alessandro II (1061-1073) e fu condannato l'anti- papa Onorio II, Cadolao, che gli era stato contrapposto da Enrico IV.

123 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 123. 124 Cfr. G. Piloni, ibidem. 125 G. Piloni, ibidem. 126 Cfr. Enciclopedia Ecclesiastica; Tasso, vol. V, col. 290. 127 Cfr. Ughello Fiorentino, Italia Sacra, tomo V, p. 174. 30 «Era a questo tempo vescovo di Belluno Lanfranco huomo che fu utilissi- mo alla sua chiesa». 128 Al detto concilio, partecipò anche il vescovo Lanfranco. 129 Anche questo vescovo ebbe molto a cuore l'onesto sostentamento del suo presbiterio e «donò alli Canonici Bellunesi dodeci poderi e mansi; sei in Soligo, e sei nel Belluno: acciò ogni anno dodeci volte si celebrassero i divini officj per be- neficio e salute dell'anima sua». 130 Lanfranco morì verso l'anno 1070. 131

35) VUALFRANCO – anni 1080-1100 Nel libro della «Historia della città di Belluno» del Piloni si trova un «E- lenco dei vescovi premesso alla Cronaca, e che è assai raro» 132 nel quale ricorre il nome del vescovo Vualfranco collocato dal 1080 al 1100. 133 Però nello svolgi- mento della cronaca non si trova alcun riferimento specifico per questo nomina- tivo. Se le date segnate su questo «Elenco» corrispondono, almeno approssima- tivamente, a veridicità storica, Vualfranco potrebbe essere quel vescovo di Bel- luno che, ritornato in patria dal Concilio di Clermont (1094), «infiammò di ma- niera gli animi del popolo Bellunese, che a garra correvano ognuno a pigliar il Santo Segno della Croce» per la prima Crociata. 134 In quella circostanza, alla antica insegna dei due serpenti che campeggia- vano sullo stendardo della città di Belluno, fu aggiunta la croce e collocata tra i due serpenti. 135

128 G. Piloni, op. cit., p. 126. 129 Manoscritto anonimo della Biblioteca Gregoriana, Fondo «da Borso». 130 G. Piloni, op. cit., p. 126. 131 Ughello Fiorentino, Italia Sacra, tomo V, col. 176. A. Alpago Novello in «Da Altino a Ma- ia, sulla via Claudia Augusta», a p. 51, accenna a un documento del 1070 che riguarda il vescovo Lanfranco. 132 Enciclopedia Ecclesiastica; Tasso, vol. I, p. 766. 133 «Vescovi di Belluno dall'anno 185 di Cristo fino ai tempi moderni»: elenco premesso dal Piloni, in pagina non numerata. 134 G. Piloni, op. cit., p. 128. 135 G. Piloni, ibidem. 31 Capitano dei crociati bellunesi fu «Gofrido di Alessandro della famiglia Tasina, huomo prode della sua persona, potente nel Belluno... sì come dei feltri- ni fu capitano Giovanni da Vidoro, padre di Arbone episcopo di quella città». 136

36) RAINALDO – anni 1100-1118 L'elenco, del quale appena sopra si è fatto cenno, colloca il vescovo Rai- naldo dal 1100 al 1118. Quando nel 1113 137 fu eletto Gerardo, nativo delle valli di Primiero, come patriarca di Aquileia, «era vescovo di Belluno Rainaldo, di Treviso Almerico, di Vicenza Turingo, et Aibone vescovo di Feltro». 138 Sembra che il vescovo Rainaldo sia morto verso l'anno 1118; nel qual anno troviamo come suo successore Ottone, primo di questo nome.

37) OTTONE – anni 1118-1130 L'anno 1119 si tenne in Roma un concilio al quale parteciparono 540 ve- scovi e prelati. Scopo di questo concilio era quello di tener vivo l'interessamento per i luoghi santi e di portar aiuto a quei cristiani che ancora militavano in O- riente per la loro custodia e difesa. A questo concilio partecipò anche il vescovo di Belluno, Ottone, 139 il quale era direttamente interessato che non venissero a mancare i sussidi necessari a quei Bellunesi che ancora militavano in Terra santa. Certamente si trovavano ancora laggiù Goffredo di Tassinoni e Ugo Paga- ni «li quali andarono in quei paesi fin dal principio che fu fatto il passaggio per la recuperazione di Terra Santa». 140 «L'anno 1118 fu in Jerusalemme instituito l'ordine di Templarij overo della Militia del Tempio: e tra li primi che vi entrorno, vengono dalli Historici reccor- dati Gofredo de Tasinoni insieme con Ugo della famiglia di Pagani». 141

136 [Non indicato all’originale. N.d.R.] 137 Secondo A. Cambruzzi, come si può riscontrare nella sua «Storia di Feltre» a p. 154, sa- rebbe invece l’anno 1112. 138 G. Piloni, op. cit., p. 131. 139 G. Piloni, op. cit., p. 131. 140 G. Piloni, ibidem. 141 Piloni, ibidem. Per un confronto ed eventuali deduzioni, si riporta quanto scrive G. Her- genroeter nella sua «Storia universale della Chiesa», a p. 123 del vol. IV: «Intorno al 1119- 1120 nove cavalieri francesi, tra i quali Ugo de Payns (de Paganis) e Goffredo di S. Omer, si 32

38) ALTEPRANDO – anni 1130-1139 Alla morte di papa Onorio Il (1124-1130), fu eletto Innocenzo II (1130- 1143). Alcuni cardinali, però, elessero l'antipapa Anacleto II: il quale, come in al- tre sedi, così anche in Belluno pose un suo fautore, nella persona di Alteprando. «Fu il vescovo Alteprando Bellunese molto inclinato alli piaceri mondani e distrusse e dissipò i beni della sua Chiesa». 142 «L'anno 1139 fu celebrato in Roma un Concilio de più de mille tra vescovi et altri gran Prelati. Et fu statuito, che le ordinationi fatte da Anacleto antipapa fossero annullate, condannando tutti li fauttori di Anacleto; perilche fu deposto Alteprando dall'Episcopato Bellunese, et in suo luoco surrogato Bonifacio». 143

39) BONIFACIO – anni 1139-1156 «Bonifacio, huomo molto esemplare». 144 Il vescovo di Belluno Bonifacio intervenne alla riconsacrazione della chiesa (che era stata violata) di san Gregorio in Verona. Questa riconsacrazione fu fatta dal patriarca Pellegrino il 1° dicembre 1140; e i nomi di coloro che vi partecipa- rono furono scolpiti in una lapide che si trova nella chiesa di sant'Elena, vicinis- sima alla cattedrale. Tra questi nomi si leggono anche «...Episcopus Bonifacius Bellunensis et Episcopus Gilbertus Feltrensis». 145

40) OTTONE II – anni 1156-1184 Il vescovo Ottone II si trovò ad esercitare il suo episcopato in quegli anni burrascosi nei quali furoreggiarono le lotte tra guelfi e ghibellini, e ne subì il contraccolpo. Appena eletto, come feudatario dell'impero, si recò in Verona, l'anno 1156 «con Teupo de Noxadani e Manfredo di Casteono Consoli della cittade» 146 per prestare il giuramento di fedeltà all'imperatore.

riunirono a vita comune in Gerusalemme e oltre i voti monastici si obbligarono alla prote- zione dei pellegrini. Ugo fu loro primo gran maestro». 142 G. Piloni, op. cit., p. 132. 143 G. Piloni, op. cit., p. 133. 144 G. Piloni, op. cit., p. 133. 145 A. Cambruzzi, Storia di Feltre, libro II, p. 157. 146 G. Piloni, op. cit., p. 140. 33 Fatto il giuramento nelle mani del Legato imperiale, (essendo l'imperatore ancora in Germania) furono licenziati con l'ordine di ripresentarsi l'anno seguen- te, alla calata in Italia di Federico Barbarossa, per ricevere direttamente da lui ordini e disposizioni. Quando, nell'anno 1159, venne a morire papa Adriano IV (1154-1159), la maggior parte dei cardinali elesse Alessandro III (1159-1181); mentre altri pochi elessero l'antipapa Vittore, che ebbe il vantaggio politico di venir riconosciuto da Federico imperatore, dal duca di Boemia, da Pellegrino patriarca di Aquileia e da altri vescovi e prelati. 147 Papa Alessandro III scomunicò l'antipapa Vittore e Federico imperatore insieme con tutti quei vescovi e quelle città che li sostenevano. Fu in questi frangenti che le popolazioni si divisero in due fazioni: una che sosteneva il papa Alessandro, ed erano i guelfi; l'altra che parteggiava per l'im- peratore e l'antipapa Vittore, ed erano i ghibellini. 148 Queste fazioni scatenarono discordie e lotte in tutta Italia e fomentarono ambizioni e rivalità cruente, anche tra gli abitanti di una medesima città. I milanesi, che avevano tante ragioni di dolersi dell'imperatore Federico, parteggiarono per il papa Alessandro, il quale, insieme con molte altre città d'I- talia, si confederò con Milano. Anche Belluno si schierò dalla parte del papa, incorrendo per questo, nelle ire dell'imperatore, che privò Ottone del suo episcopato e di tutto il contado, fa- cendone dono al patriarca Pellegrino, suo focoso sostenitore. L'atto relativo fu stilato in Pavia il 15 maggio 1160, subito dopo la distru- zione di Crema. Accordatosi poi Federico con i Milanesi, lasciò in città un suo favorito co- me governatore e se ne tornò in Germania. Aveva da poco varcato le Alpi che i Milanesi si sollevarono e, scacciato il governatore, ripresero a governarsi secondo i loro liberi statuti. Federico, sde- gnato, ritornò in Italia, fermamente deciso di radere al suolo Milano. Intimorito, il papa Alessandro, con l'aiuto delle galere genovesi, si rifugiò in Francia, perché non si fidava troppo del popolo romano. Ottone vescovo, vedendo che dal Papa fuggito dall'Italia, più non si pote- va sperare aiuto, pensò di ritornare nelle grazie dell'imperatore. 149 Con l'appog- gio di eminenti personaggi che erano al seguito dell'imperatore, riuscì a riconci-

147 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 148. 148 Cfr. G. Piloni, ibidem. 149 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 149. 34 liarsi con lui; ed essendo morto nel frattempo il patriarca Pellegrino, gli riuscì anche abbastanza agevole recuperare l'episcopato con tutti i suoi beni e privile- gi. Tutto questo fu siglato con atto imperiale del primo settembre 1161. 150 In tanto trambusto, anche i beni della Chiesa correvano il rischio di andare dispersi: ragion per cui il vescovo Ottone nel 1172, approfittando della mancan- za di un prefetto imperiale, emanò un decreto in forza del quale ognuno che a- vesse in uso beni della Chiesa, doveva dichiarare davanti a pubblico Notaio, se erano feudi episcopali, oppure proprietà della Canonica o Capitolo bellunese. «Di tale manifestazione fu fatto pubblico Instromento per mano di Arpolino No- taio Bellunese». 151 Intanto la fortuna, per una volta, aveva voltato le spalle anche all'impera- tore; il quale, a Legnano nel maggio 1176, rimase sconfitto dalla Lega Lombarda. Per la pace, fu scelta dai confederati la città di Ferrara. Tra i molti ivi convenuti, vi furono anche Ottone vescovo di Belluno e Drudo da Camino vescovo di Feltre; ma l'imperatore Federico non si presentò perché riteneva quella città poco sicura per sé. Fu deciso allora per la città di Venezia: e quivi, nella chiesa di San Marco, il Papa e l'imperatore si riconciliarono e fu stipulata una tregua di sei anni con i confederati della Lega. Era l'anno 1177. 152 Continuavano però le lotte tra i Trevigiani, i Cenedesi e i Coneglianesi, a causa dell'ostinazione dei Trevigiani a non voler riconoscere il diritto che queste due città avevano di governarsi ciascuna con una propria e separata ammini- strazione: diritto questo, che l'imperatore Federico aveva solennemente sancito. I Coneglianesi, allora, fecero ricorso a Gottifredo, patriarca di Aquileia, per solle- citarne il suo aiuto. Il patriarca si adoperò presso il vescovo Ottone affinché i «Bellunesi pigliassero la protezione di quelli, sottomettendo Cèneda e il cenede- se al vescovo di Belluno». 153 Allora il vescovo Ottone, che doveva sentirsi ormai vecchio ma che pur tuttavia voleva far onore ai suoi impegni, «elesse per suo Vicedomino Guecello da Camino, mandandolo subito all'imperatore per la confirmatione». Il quale imperatore «il primo de Marzo dell'anno seguente, confirmò con diploma a Ot- tone vescovo di Belluno e alli successori suoi, Oderzo, Polcenigo, Fregona, Fele- to, Ceneda, Tarzo, Montebelluna, Camino, Cadore et altri luoghi, volendo che

150 Cfr. G. Piloni, op. cit., pp. 149-151. 151 G. Piloni, op. cit., p. 156. 152 G. Piloni, op. cit., p. 157. 153 G. Piloni, op. cit., p. 159. 35 l'episcopato di Belluno fosse all'imperio e al Patriarca di Aquileia raccomanda- to». 154 Il vescovo Ottone «pacificò le discordie de' Guelfi e Ghibellini e con solen- ne processione volle benedire le quattro famiglie principali rapacificate come oggi ancora costumasi nella processione del Corpus Domini». 155 Sembra sia anche intervenuto nella «gran discessione tra li Comuni di A- gordo e di Zoldo con la citade […] che recusavano pagar l'imposta fatta dalla cit- tade, per il che erano stati dall'Episcopo Bellunese interdetti e molti di quelli homeni erano stati dal Podestà banditi». 156 Dimostrò sollecitudine anche per la Canonica bellunese, riordinandone i beni e le possessioni e facendo un decreto, nel 1183, in virtù del quale «ogni chierico nel suo testamento potesse lassar un campo alla Canonica, su ogni dieci che possedeva la chiesa». 157 «Fu quest'anno (1184) consecrata la Chiesa di S. Biagio di Campestrino, al- la quale sono state concesse da Pontefici de tempo in tempo molte indulgentie». 158 Il vescovo Ottone «morì nella città di Verona il mese di Decembre», ove si era recato per rendere omaggio al papa Lucio III che colà si trovava insieme con l'imperatore, ed in quella città «fu con molto onore sepellito». 159

41) GERARDO DE TACCOLI – anni 1184-1197 Avvenuta la morte del vescovo Ottone, il papa Lucio III (1181-1185) creò vescovo di Belluno Gerardo de Taccoli, da Reggio Emilia. 160 Con Bolla data in Verona il 14 Ottobre 1185 elencò i diversi luoghi sopra i quali si estendeva la giurisdizione, «così temporale come spirituale» della sede di Belluno. 161 Il papa mostrò anche di essere bene informato dei continui soprusi ai quali veniva sottoposta la Chiesa di Belluno, per cui decise di prenderla sotto la sua

154 G. Piloni, op. cit., p. 159. 155 Manoscritto anonimo della Biblioteca Gregoriana, Fondo «Da Borso». Cfr. anche G. Pi- loni, op. cit., p. 154. 156 G. Piloni, op. cit., p. 162. 157 G. Piloni, op. cit., p. 161. 158 [Non indicato all’originale. N.d.R.] 159 [Non indicato all’originale. N.d.R.] 160 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 162 e seguenti. 161 G. Piloni, op. cit., p. 162. 36 diretta protezione, al fine di sottrarla alle angherie dei Trevigiani e dello stesso patriarca. È probabile che il vescovo Gerardo, prima di venire a Belluno, abbia parte- cipato ai funerali di Lucio III, che morì in Verona il 24 novembre dello stesso an- no 1185. Ed è anche probabile che, come feudatario dell'impero, abbia fatto il suo atto di omaggio e il giuramento nelle mani di Federico imperatore, che pure si trovava in Verona. Appena entrato nella sua sede in Belluno, fece restaurare le mura della cit- tà, dotandole di merlatura e torri: fece costruire una grande piazza, «il Foro», che fosse di uso comune per tutti i cittadini: volle costruire un palazzo turrito per la sua residenza. 162 Ebbe però modo anche di constatare quanto venissero calpestati i diritti della sua Chiesa. Alla morte di Lucio III, i Trevigiani si affrettarono a presentarsi al suo suc- cessore Urbano III, supplicandolo di liberarli dalla scomunica del patriarca di Aquileia; e in quella circostanza promisero anche di restituire le possessioni e i castelli che appartenevano ai Bellunesi, come era chiaramente descritto e specifi- cato nella Bolla di papa Lucio III. 163 Di fatto però, mai si decidevano a questa re- stituzione. Per entrare in possesso dei suoi diritti, Gerardo tentò da prima le vie paci- fiche: si recò dal patriarca di Aquileia e gli espose i suoi gravi problemi, pre- gandolo di convocare un concilio regionale per dirimere ogni controversia. Il pa- triarca, Gottifredo, fu ben lieto di accondiscendere al desiderio del vescovo Ge- rardo; tanto più che egli stesso aveva modo di constatare a proprie spese, come in realtà i beni delle chiese venissero dilapidati per le continue lotte tra guelfi e ghibellini. Convocato il concilio, vi parteciparono tutti i vescovi della regione: e fu deciso di emanare un decreto con il quale si rendeva noto che il concilio sco- municava tutti coloro che devastavano le chiese e i beni di esse, e coloro che si rifiutavano di restituire alle chiese tutto quanto fosse da essi illegalmente posse- duto. Pur tuttavia, i Trevigiani persistevano nel loro rifiuto di restituire quello che di diritto aspettava alla Chiesa bellunese. Esasperati, i Bellunesi, nel consta- tare che nessuna sentenza né di concilio, né di imperatore, né di papa, riusciva a far smuovere i Trevigiani dalla loro ostinazione, decisero di far ricorso alle armi, assicurandosi prima il favore e l'aiuto di uomini potenti. 164

162 G. Piloni, op. cit., p. 178. 163 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 168. 164 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 167. 37 A tale scopo il vescovo Gerardo, con altri Bellunesi, si recò da Megnardo conte di Gorizia, che estendeva il suo dominio anche nella Carinzia e nel Tirolo, per procurarsi la sua amicizia e il suo aiuto. 165 Accolto con grande cordialità, strinsero tra loro alleanza, con la promessa di aiutarsi vicendevolmente in ogni circostanza. Ritornato in Belluno, Gerardo convocò tutti i suoi feudatari: espose loro la situazione e fece conoscere quali erano le sue intenzioni: raccomandò a ciascuno di mettersi sul piede di guerra, predisponendo quanto poteva essere necessario in uomini, cavalli, carri, scale ecc. 166 Matteo Senese, vescovo di Cèneda, che si trovava in Belluno in qualità di delegato del papa Urbano III, per dirimere la controversia tra i canonici di Bel- luno e Drudo da Camino vescovo di Feltre per il possesso del territorio di Veda- na, rimase fortemente impressionato da questi preparativi di guerra e, temendo che la furia si potesse riversare anche sopra di lui, pensò di avvicinarsi ai Trevi- giani e fece alleanza con loro. 167 Ma le cose si calmarono per l'intervento del nunzio dell'imperatore, Enrico VI il Ciclope, il quale rimise ogni decisione all'arbitrato dei consoli delle città di Mantova e Verona. 168 I contendenti furono invitati a presentarsi nella città di Mantova per esporre ognuno le proprie ragioni. Il vescovo Gerardo vi andò ac- compagnato dai consoli e sindaci di Belluno. 169 Sentite le parti, gli arbitri sentenziarono «che il castello di Zumelle, con tutte le sue ragioni, possesso già dalla contessa Sofia e da Guecello suo marito, e tutto quello che i trevigiani aquistorno dalli figlioli di Gabriele da Camino, fosse de Bellunesi: dovendosi però distruggere il Castello di Zumelle, acciò fosse leva- ta l'occasione della discordia». 170 Le terre di Oderzo, Fregona, Mussolente e So- ligo dovevano essere restituite a Belluno, e i Trevigiani non potevano vantare su di esse diritto alcuno. 171 Queste decisioni non riuscirono gradite ai Trevigiani «e non vollero giurar la sentenza tra loro e il popolo Bellunese». 172 Delusione e amarezza fu quanto il vescovo Gerardo portò in cuor suo nel ritorno in Belluno. Radunati, pertanto, i maggiorenti della città e del contado; constatato che tutte le sentenze pronunciate in loro favore non erano state suffi-

165 Cfr. G. Piloni, ibidem. 166 Cfr. G. Piloni, ibidem. 167 Cfr. G. Piloni, op. cit., pp. 167-168. 168 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 168. 169 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 169. 170 G. Piloni, ibidem. 171 Cfr. G. Piloni, ibidem. 172 G. Piloni, op. cit., p. 175. 38 cienti per reintegrarli nei loro diritti, decisero di por mano alle armi per recupe- rare con la forza quanto loro spettava di diritto. 173 Anche il vescovo di Feltre, Drudo da Camino, decise di sostenere la causa dei Bellunesi; mentre il Patriarca di Aquileia, i Cenedesi, i Coneglianesi e i Padovani si impegnarono a far atti di disturbo ai confini con i Trevigiani, per indebolire la loro potenza. 174 Dopo che il campanone (la Trevisana) aveva suonato a lungo, il 6 aprile 1196, il vescovo Gerardo uscì dalla città alla testa del suo esercito. «Era uomo al- to di statura, di bella e maestevole presenza... et era di tanta eloquenza che con quella, mirabilmente moveva gli animi di ognuno a porsi a qualunque più risi- gata impresa». 175 Congiuntosi ai Feltrini, diede l'assalto al castello di Mirabello, sopra il colle di Sedico, ed espugnatolo dopo otto giorni di furibonda lotta, lo incendiarono e distrussero, insieme con tutti gli edifici adiacenti. 176 Passarono poi sotto il ca- stello di Landrìs 177 «et con mortalitate d’ambe le parti lo presero e lo distrussero facendo prigionieri quaranta soldati tra cavalieri, pedoni e sagittarij». 178 Entu- siasmati per queste vittorie, senza perder tempo, passato di notte il Piave con gran silenzio, Gerardo condusse i suoi soldati sotto Casteldardo, sorprendendo nel sonno i difensori; i quali, svegliatisi quando i Bellunesi erano già sopra le mura, opposero strenua resistenza. Si arresero, alla fine, e furono fatti prigionie- ri, mentre alcuni, usciti per un pertugio delle mura, riuscirono a rifugiarsi nel castello di Zumelle. Tra i prigionieri vi erano sei cavalieri trevigiani, qualificati come tra i più importanti. Rasero a terra il castello, facendolo rovinare nel tor- rente Ardo «a ciò che in questo non si annidasse più trevigiano alcuno». 179 II 6 maggio espugnarono la chiusa di Quero, facendo grosso bottino, e se ne ritornarono trionfanti in Belluno, conducendo con sé sessantasei soldati pri- gionieri. 180 Udite queste nuove, i Trevigiani cercarono di correre ai ripari ed inviarono nel Zumellese Valperto da Onigo, detto anche «il Cavassico», con una grossa banda di soldati vicentini. Lo prevenne, però, il vescovo Gerardo, il quale volse il suo esercito verso Zumelle e più sopra ancora, verso il passo di Praderadego,

173 Cfr. G. Piloni, ibidem. 174 Cfr. G. Piloni, ibidem. 175 G. Piloni, op. cit., p. 176. 176 Cfr. G. Piloni, ibidem. 177 G. Piloni mette Landredo. 178 G. Piloni, op. cit., p. 176. 179 G. Piloni, op. cit., p. 176. 180 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 176. 39 dove i soldati feltrini e bellunesi, con abile colpo di mano, si impossessarono di «una torre ch'era nel Canal di Banca fabricata» 181 e, distruttala, condussero seco prigionieri 18 ladroni. Questa torre probabilmente era una postazione di vedetta (forse di origine romana) posta a cavallo del valico, occupata dai Trevigiani per la sua enorme importanza strategica. Assicuratisi così le spalle da possibili colpi di mano nemica da Sud, diede- ro l'assalto al castello di Zumelle, il quale fu conquistato dopo diciassette giorni di continui assalti, il 24 giugno 1196: e fu incendiato e raso al suolo. 182 Dopo di che, i soldati tornarono in Belluno pieni di esultanza. Ma la primavera seguente furono i Trevigiani a prendere per tempo l'ini- ziativa. Valperto, con i suoi soldati, valicò i monti sopra Valmareno e, giunto a Cesana, pose in ordine di battaglia il suo esercito, deciso di quivi aspettare i Bel- lunesi. Vi giunse anche il vescovo Gerardo e, benché i suoi soldati fossero stan- chi per la lunga marcia, li arringò con la sua infiammata eloquenza; e tutti con- cordi decisero di entrare in campo. Da ambo le parti il corno di guerra fece risuonare a lungo il suo rauco suono e si diede inizio a una tremenda battaglia che, tra urla, rantoli e grida di incitamento, si protrasse per sei lunghe ore, con incerta fortuna. 183 «Scorreva il vescovo di lucid'arme armato, soccorrendo dove era il maggior bisogno; inani- mando i suoi a ben ferire, finché [il vescovo Gerardo] da Gualperto con una lan- cia ferito, fu dal cavallo gettato, e fatto dalli nemici pregione, fu negli alloggia- menti condotto». 184 Diffusasi la grave notizia per il campo, seminò il panico tra i soldati bellu- nesi e feltrini: e tutti cercavano la salvezza nella fuga, mentre molti rimanevano uccisi o fatti prigionieri. Anche Valperto cadde sul campo: mentre continuava ad infierire sul nemico in fuga, fu sorpreso e colpito dalla lancia di un soldato. 185 Cessò allora l'inseguimento. I Trevigiani, ritornati nei loro alloggiamenti, «per vendicare in qualche modo la perdita del loro Capitano, scaricarono il furore sopra il povero vescovo

181 G. Piloni, op. cit., p. 176, e A. Alpago Novello specifica che «Canal di Banche è la stessa cosa che Praderadego, come risulta, per esempio, da concessioni minerarie del tempo della Repubblica Veneta». Vedi nota in: Da Altino a Maia. Sulla via Claudia Augusta, p. 66. Cfr. anche «Archivio Storico» ecc., p. 1315. 182 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 176. 183 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 177. 184 G. Piloni, ibidem. 185 Cfr. G. Piloni, ibidem. 40 Gerardo, trascinandolo per i boschi, finché, fra tanti strazi, rimase miseramente estinto ed amaramente difformato». 186 Era il 20 aprile 1197. Dopo la vittoria i Trevigiani si affrettarono ad occupare il castello di Zu- melle e lo ricostruirono: quindi si volsero verso Oderzo, occupando e devastan- do tutte le terre e i castelli che i Bellunesi possedevano in territorio trevigiano. 187 «L'infausta nuova, riportata dal Patriarca di Aquileia al pontefice Celesti- no, della spietata morte del vescovo Gerardo e delle continue molestie che prati- cavano i trevigiani nei territori di Feltre e di Belluno, provocò il santo pastore a fulminare le censure di scomunica e interdetto contro de' trevigiani». 188 «Questo fine miserevole hebbe Gerardo vescovo di Belluno, huomo nell' armi egregio, il quale per beneficio de Bellunesi, et per honor della sua chiesa espose la propria vita ad una morte quasi manifesta». 189 Di lui è doveroso ricordare che fece anche costruire di nuovo quella parte del ponte di Polpet che è posta verso Lastreghe. Ebbe sollecitudine anche per il suo Presbiterio e «lassò alla Canonica di Belluno un podere in Mussolento et uno in Podenzoio. Onde ebbe fine non condegno all'animo suo nobilissimo». 190

42) BALDOVINO – anni 1197-1199 Successore di Gerardo de Taccoli fu il vescovo Baldovino. 191 In quel tempo i Padovani erano in lotta con i Vicentini per il possesso del castello di Montegalda. II buon vescovo Baldovino nell'anno 1199 mandò in aiu- to dei Padovani un buon numero di soldati, sotto il coniando di Giovanni di Corte, «huomo in quei tempi ricchissimo e di gran seguito in tutto il Belluno». 192 L'impresa ebbe però esito infelice e lo stesso Giovanni di Corte cadde in batta- glia sulle rive del Bachiglione. «Mori quest'anno Baldovino episcopo Bellune- se...». 193 ***

186 A. Cambruzzi, Storia di Feltre, p. 185. 187 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 178. 188 A. Cambruzzi, op. cit., p. 189. 189 G. Piloni, op. cit., p. 178. 190 G. Piloni, ibidem. 191 Cfr. G. Piloni, op. cit., p. 178, e Fiorentino Ughello, Italia Sacra, tomo V, col. 187. 192 G. Piloni, op. cit., p. 178. Cfr. anche Cambruzzi, Storia di Feltre, p. 195. 193 G. Piloni, op. cit., p. 181. 41