PALMADA, S. LORENZO e RONCHIS. di Stefano Perini

Palmada, S.Lorenzo e Ronchis, oggi dei semplici nomi, un tempo dei paesi, i cui unici segni rimasti sono quelli vergati sui documenti, mentre il terreno stesso poco o niente mantiene della loro esistenza antica. Diversamente dalla gran parte dei villaggi scomparsi in Friuli, che per lo più sparirono o furono abbandonati in età tardomedievale e che erano di piccolissima dimensione e di pochi abitanti, questi tre paesi videro invece maturarsi e compiersi la loro fine negli anni a cavallo tra fine ‘700 ed inizio ‘800, quindi in epoca ben più recente, non solo, ma possedevano una discreta popolazione, se si eccettua Ronchis, più modesto nei numeri. Tre villaggi scomparsi, demoliti, a causa della presenza di . Eppure, se la città stellata può vantare quattro secoli di storia, ben più antichi erano questi paesi e in genere la presenza umana in loco. Infatti proprio nei pressi di Palmada, anzi attorno all’abitato scomparso e quindi ad ovest di Porta , furono rinvenuti tra 1956 e 1964 diversi attrezzi litici, risalenti perciò all’età della pietra, al Neolitico in particolare (1). E come non ricordare i recenti ritrovamenti d’epoca romana repubblicana a Sevegliano ed il fatto che la via cosiddetta Julia Augusta, che da Aquileia portava verso la Carnia, passava vicina al sito di Palmada (2)? Indubbiamente la zona deve essere stata abitata anche in quella età e rilevamenti sul terreno rivelerebbero certo la presenza di insediamenti. La prima notizia positiva dei tre paesi è, però, molto più tarda, risalendo al 1031. Tarda certo rispetto all’età precedentemente ricordata, ma non sono poi molti i paesi friulani che possano vantarsi di possedere citazioni antecedenti a quell’anno. Dunque nel 1031, e precisamente il 13 luglio, il patriarca Poppone dotò il Capitolo di Aquileia di un ‘ampia zona del Friuli centrale, in cui erano compresi anche “Palmada et Ronche et Ronchetas cum silvis et venationibus usque ad silvam Sancti Laurentii ” (3). Quest’ultimo paese non era, però, incluso nella donazione e divenne del Capitolo solo con il patriarca Pellegrino I (1132-60) (4). La dotazione del 1031 fu poi riconfermata al Capitolo dall’imperatore Federico I nel 1176, da papa Lucio III nel 1184 e dall’imperatore Ottone IV nel 1208(5). A sua volta il Patriarca potrebbe essere venuto in possesso di quell’area in seguito di una precedente donazione imperiale, forse quella del 967 (6). Ad essa era seguita una rifondazione o risistemazione, anche con l’arrivo di coloni slavi, dei villaggi, provati da anni di abbandono, di difficoltà ambientali e probabilmente dalle devastazioni ungare. A dire il vero nella toponomastica dei paesi che ci interessano non appaiono termini slavi, ma certo sia la zona a nord (S. Maria la Longa in particolare) che quelle a sud (Sevegliano) e ad est (Visco e Jalmicco) ne possiedono e ciò fa pensare ad una distribuzione generalizzata, anche se non maggioritaria, di questo ripopolamento (7). In ogni caso dal 1031 i due paesi (e dalla metà del sec. XII anche S. Lorenzo) dipesero sta giudiziariamente che ecclesiasticamente dal Capitolo di Aquileia. Il documento di dotazione ci può essere anche utile per capire la situazione ambientale del tempo, che indubbiamente risulta essere stata ricca di zone boschive in quanto vengono ricordate sia le “selve” di Ronchis e Palmada sia, in particolare, quella di S. Lorenzo. Anche l’altro vicino centro abitato, Sottoselva, non fa che sottolineare nel suo nome l’essere ai margini (a meridione) di un bosco. Anzi, il termine Ronchis stesso, che significa terreno disboscato e ridotto a coltura, ancor di più ci fa entrare in una dimensione di ampie zone forestali, che, però, piano piano venivano limitate dall’intervento umano con la loro trasformazione in campi coltivati Su di essi si affaticava uno stuolo di contadini, in buona parte coloni del Capitolo e questo ci permette di conoscere il nome di alcuni di loro, nome che emerge da un rotolo censuario risalente al 1201, anche questa un’indicazione preziosa e non facile a trovarsi per tale periodo per altri paesi (8). In Ronchis c’erano nove mansi capitolari, che in totale davano annualmente al Capitolo 27 moggi di frumento, 9 di miglio, 34 orne di vino, 36 stara di avena, 9 di fave, 8 maiali, 8 pecore, 8 trasporti a piedi (evidentemente di prodotti agricoli), 21 lire in moneta (probabilmente per l’uso dei prati) più le decime di ogni animale. A Palmada i mansi erano 23 e i conduttori o i coltivatori di alcuni di essi risultavano: Iuan, Ianes, Albericus, Stephanus, Laurentius, Wilandus, Bertoldus, Johannes, Adalpertus, Altigonda, Beno, Bonus, Gofridus, Groms. Come si vede nomi (uno femminile) che rimandano ad una tradizione latina o germanica, quella slava essendo rappresentata forse solo dai primi due (9). Ma altri dati escono dal documento. La presenza, ad esempio, a Palmada di un “ Curia ” , che potrebbe forse equivalere a vicìinia paesana o forse al foro secolare formato dal gastaldo del Capitolo, che in qualche giorno dell’anno sedeva per dirimere contese civili e criminali (10). Se il termine aveva questo secondo significato, bisogna in ogni caso sottolineare che sede ufficiale del gastaldo fu dapprima Mereto poi S. Maria la Longa. Emergono inoltre tutte le produzioni locali ( frumento, sorgo, che era il cibo principale dei contadini assieme al miglio, avena , fave, vino) ed anche l’allevamento ( suini, galline ed oche, vacche, da cui veniva latte per il formaggio). Negli affitti è spesso citata la pecora, che quindi deve aver avuto una discreta diffusione, utile per il latte e la lana. Poteva sfruttare i molti incolti, boschi e praterie, per il suo pascolo, cui, assieme ad altri armenti, erano condotte da un ‘ peccorarius ”, il pastore della comunità, citato nel documento. A ricordare il permanere di questo tipo di allevamento e di attività, possiamo fare un salto di qualche secolo in avanti, per trovare nel 1483 una controversia tra il comune di Palmada e Matteo Sclavo, pastore della villa, controversia generata dal fatto che costui s’era allontanato per un certo periodo arbitrariamente dal suo incarico, perciò il comune non intendeva pagarlo (11). Per quanto nella zona vi fossero diversi pascoli, questi probabilmente non erano sufficienti alla bisogna, in quanto Ronchis, ad esempio, (assieme a Mereto ed alla pieve di S. Maria la Longa) aveva diritto di usufruire di un pascolo a Sevegliano, come appare da un documento del 1278 (12). Palmada, invece, possedeva dei pascoli in territorio di Villafranca presso Bagnaria, come risulta da una sentenza del 1313, i cui termini furono riconfermati poi nel 1417 e 1449 (13). Nel 1375 ancora Palmada è interessato in un accordo, sempre in materia di pascolo, con Nogaredo e S. Vito al Torre. Torniamo nuovamente al rotolo del 1201 per ricordare la menzione dell’esistenza a Palmada della chiesa ( “mansus qui stat iuxta ecclesiam” ) e di un “ sacerdos” (cui era legato un manso, evidentemente per il suo sostentamento). Il nome di un officiante a Palmada, pre Bartolomeo, appare per la prima volta nel 1277. Nella donazione del 1031 quale centro temporale ed ecclesiastico della zona risulta Mereto, ma in seguito, per quest’ultima supremazia le cose devono essere cambiate,con la creazione di tre distinte pievi: , S. Maria la Longa e Palmada. Nell’elenco delle decime del 1296 Palmada risultava ancora sottoposta ecclesiasticamente a S. Maria la Longa, con un prete, un“ titularius “, che si scusava di non poter pagare la decima. Invece era citata come pieve autonoma quella di S. Lorenzo, piccolissima pieve certo, indipendente forse per essere stata quella località inclusa, come sappiamo, in un tempo successivo nella giurisdizione del Capitolo (14). Probabilmente nel corso del XIV secolo Palmada fu scorporato da S. Maria ed unito a S. Lorenzo, tanto è vero che nei documenti, anche abbastanza tardi, si parla spesso di pieve di “S. Lorenzo” oppure “di S. Lorenzo e Palmada”, ponendo per primo il nome di S. Lorenzo, certamente a causa della sua più antica dignità pievanale. Può darsi, però, che la maggior importanza abitativa di Palmada abbia reso più comoda la residenza del pievano (vicario capitolare) in questo paese, dando ad esso la supremazia. Ciò potrebbe avere avuto la sua sanzione ufficiale nell’anno 1604, quando Bernardo Montanario, che in precedenza era chiamato “pievano di S. Lorenzo”, divenne beneficiario di Palmada. Probabilmente il cambiamento è legato alla costruzione di Palmanova ed alle trasformazioni da ciò prodotte. Fu poi certo motivo di successive diatribe. Non mancarono infatti contrasti tra le due comunità su tale argomento, sulle precedenze nelle processioni e nelle feste e in genere sull’importanza che l’una o l’altra avrebbe dovuto avere. Nei primi anni del ‘700 S. Lorenzo promosse un’azione legale per vedere riconosciuto il suo antico diritto, ma nel 1714, con sentenza del tribunale veneziano della Quarantia, risultò sconfitto. Non domo s’appellò allora al Patriarcato. Le autorità patriarcali alla fine pilatescamente si lavarono le mani della faccenda, sentenziando che in realtà la chiesa pievanale originale (né giurisdizione di Palmada né di S. Lorenzo), dedicata alla Madonna, era ormai scomparsa nell’edificazione della fortezza (15). In effetti una chiesetta con tale intitolazione era esistita. Viene citata per la prima volta nel 1393, quando si ricorda che il giorno della sua dedicazione cadeva la prima domenica di maggio (16). Nel 1481 appare che al vicariato o cappellania di S. Maria di Palmada rinunciò pre Antonio di , forse segnale che le era collegato un beneficio (17). Viene citata poi in merito a diverse donazioni di fedeli. Probabilmente legata ad essa, era esistita anche una fraterna, quella di S. Maria della Concezione. Che questa chiesetta campestre fosse veramente la primitiva pievanale non possiamo, però, al di là delle parole della curia patriarcale, dirlo. Aveva, comunque, un cimitero annesso. Essa sarebbe stata demolita nel 1602, con licenza del Patriarca di Aquileia, e le sue pietre devolute ad uso dei cappuccini di Palma. Da lì proverrebbe la Madonna lignea ora presente in S. Francesco a Palmanova (18).

I tre paesi nel tardo Medioevo La vita dei tre paesi nel basso Medioevo fu, in ogni caso, quella di tanti altri centri abitati della pianura friulana: una vita dominata dall’agricoltura, ritmata dalle stagioni, tra momenti più sereni ed altri più difficili: guerre, epidemie, carestie. Nell’incursione turca del 1477, a detta di Ercole Partenopeo, essi rimasero gravemente danneggiati e così nel 1499 (19). In effetti negli anniversari del “Catapan” della parrocchia appare il ricordo di diverse persone uccise dagli ottomani. Per il 1540 abbiamo la notizia, amara, che in occasione di una 1unga siccità si tennero processioni propiziatorie della pioggia, ma il 16 luglio su vari paesi, tra cui S. Lorenzo, Sottoselva e Palmada, si “ discargò una maxima tempesta, ruinandoli tutti con maxima estirpatione di arbori (...) sichè suplicata la pioza tanto bramata, ne succedette la grandine ” (20). Attraverso Palmada passava un’importante via di comunicazione: la strada che collegava Aquileia ed , segnalata anche dagli antichi toponimi cinquecenteschi di “via d’Aquileia” e “via d’Udene”. Essa sarà poi attratta a sè dalla fortezza palmarina (21). S. Lorenzo invece, si trovava su di una delle diramazioni della Stradalta, la grande via di traffico del medio Friuli, che ad Ontagnano si divideva. Il ramo settentrionale raggiungeva appunto S. Lorenzo e di lì proseguiva poi verso Jalmicco ed il torrente Torre. Dopo la guerra del 1508- 1516 i paesi erano rimasti in territorio veneziano, ma si trovavano al confine con quello austriaco. Possiamo anche menzionare, un po’ alla rinfusa, i nomi di alcuni degli abitator di quelle ville, per lo più affittuari del Capitolo, ma non solo di esso, che emergono dalle polverose carte. Nel 1249 appare un Goren di Ronchis, nel 1319 Galluzio ed Ostassio di Ronchis, nel 1351 un Martino fu Vincenzo, sempre di Ronchis, che era “uomo di masnada” di Costantino e fratelli di Castellerio, che lo offrirono, dopo averlo manomesso, alla chiesa di Aquileia. É il segno della presenza in loco di quella categoria di semi-schiavi quali erano appunto gli uomini di masnada. Nel 1321 troviamo Mileto, Silvestro, Antonio, Fortunasio, Orlando e Guariento di Palmada, nel 1332 Giovanni di Guariento e Antonio fu Cono. Nel 1358 abbiamo un “Golderius”, che regge un manso in Palmada (22). Già un secolo prima nel 1258 era apparso comunque un palmadino: “Buissus de Palmada”. Nel 1378 troviamo Bagatello di S. Lorenzo, affittuario degli Strassoldo. Nel 1437-40 sono ricordati Pauli de Palmata, Stiefin de Palmada e “ lu frady de Cernoy de Palmada ”. Forse figlio di Stiefin è Pascolo fu Stefano citato nel 1465 assieme a Matteo fu Ermacora di Palmada: entrambi piccoli proprietari a Strassoldo. Sempre lo stesso anno Budulo fu Giovanni Chiavon di Palmada. Nel 1480 ecco i nomi di Giovanni del Blanch, Flambulo e Giovanni Grinon di S. Lorenzo, affittuari del Capitolo; a Ronchis Gregorio Sclavo, Odorico Zin, Odorico Pizul e Giovanni Janzigl, quest’ultimo cameraro della chiesa. Nel 1494 ci sono Domenico Nardi e Nicolò di Pascutio di Palmada (23). Nel 1496 Michel q. Nart de Palmata; sempre di Palmata nel 1497 era Stefan Chaco, che però ora abitava a Strassoldo, come Flambulo di Palmata che vi faceva il mugnaio. Per il ‘500 ,poi, i nomi si infittiscono. A Palmada erano ben rappresentate le famiglie della Conta o Sclavo, del Forte, Passalot, Basso, di Filippo, Matalon, Besoi, Bulis, del Prete, Chiaruz, del Gobbo, di Rocco, Ciscut, Cargnello, Franciscutto, d’Osti. A S. Lorenzo di Pascolo, Cossaro, Chiaselot. A Ronchis Janzil, del Piccolo, della Vecchia, del Bianco. Come in tutti gli altri paesi friulani vi era un certo ricambio di famiglie con emigrazioni ed immigrazioni, per lo più da zone vicine, ma non mancava chi arrivava pure da quelle più distanti. Ricordiamo ad esempio nel 1558 G. B. Fachino proveniente da Milano o nel 1582 mastro ( dunque un artigiano) Giuliano di Lorenzago in Cadore, che era “ monaco ”, cioè sacrestano, in Palmada. L’elenco potrebbe continuare, trattandosi di paesi che, per le loro discrete dimensioni demografiche, hanno lasciato un’ampia traccia documentaria della loro vita. Naturalmente, come ogni comunità, i tre paesi avevano il loro organo di autogoverno nella vicìnia, l’assemblea paesana, con il decano quale suo rappresentante esecutivo. A Palmada esisteva anche una “loggia comunale” , quasi certamente il porticato della cantina parrocchiale, sotto la quale la vicìnia si riuniva (24). La chiesa di Palmada era dedicata alla S. Croce, anche se in qualche documento si parla di S. Elena. Così nel 1278, quando la chiesa viene citata poichè davanti ad essa fu emessa la sentenza in materia di pascoli già ricordata: “ ante ecclesiam S. Helene Palmatae” . Così anche nel 1468. In altre occasioni le due intitolazioni sono congiunte: 1508, 1527 chiesa di S. Croce e S. Elena. Del resto si tratta di elementi che possono coesistere o confondersi, in quanto S. Elena, madre di Costantino, è colei che ha ritrovato la “Vera Croce”. La chiesa era ricordate da diversi lasciti di fedeli ed in genere la comunità, come tutte le comunità, cercava di abbellirla e renderla sempre più dignitosa. Nel 1527 si fece eseguire al pittore Giovanni Martini di Udine una pala d’altare lignea , di piuttosto complessa figurazione. Doveva infatti riportare la Madonna con il Bambino in braccio, attorniata da S.Pietro e S. Giovanni Battista, poi S. Elena con a lato S. Ermacora e S. Antonio da Padova. Sopra a tutto la S. Croce con due angeli ed una Madonna annunziata ( 25). Da ricordare inoltre che nell’altar maggiore era incastonato un pluteo, risalente all’XI secolo, oggi conservato al Museo Diocesano di Udine. Raffigura l’incontro di Gesù con Marta e Maria e probabilmente viene da Aquileia, giunto a Palmada per chissà quali vie, forse attraverso il Capitolo aquileiese, giurisdicente della zona (26). A S. Lorenzo la chiesa era naturalmente dedicata al santo che dava nome al paese, ma vi era devozione pure per S. Urbano. A Ronchis la chiesa era intitolata a S. Andrea. Elementi di una fervida vita religiosa e nello stesso tempo di coesione comunitaria sono le diverse confraternite che esistevano in questi paesi e che magari mutarono nel tempo i santi cui furono dedicate. A Palmada già nel 1465 è ricordata la fraterna di S. Elena. Nel ‘500 vi sono le fraterne dei SS. Sebastiano, Valentino e Quirino nonché della Concezione di Maria (27). A Ronchis quella di S. Andrea. A S. Lorenzo ne verrà fondata nel 1604 una dedicata a S. Urbano. Anch’esse ricevettero numerose donazioni di fedeli. Alcuni abitanti locali entrarono pure negli interessi dell’Inquisizione per pratiche religiose ritenute poco ortodosse. In particolare possiamo ricordare Antonio Pascolut di Palmada e Piero e Giovanni Cosser di S. Lorenzo, menzionati nel 1606 come “benandanti” (28) .

L’impatto di Palmanova Tutte testimonianze,comunque, di una vita attiva, di comunità variegate, di una campagna ben coltivata o comunque sfruttata e certo suona un po’ offensivo per gli abitanti locali il fatto che un anonimo, per esaltare la nascita di Palmanova, abbia affermato che essa sorse dal nulla “ in luogo disabitato et che prima era abitacion di fiere ” (29). Perchè alla fine, non possiamo non giungere al momento del pesante impatto della nuova fortezza sulla sorte delle ville di Palmada, Ronchis e S. Lorenzo, accanto alle quali possiamo aggiungere anche Sottoselva cui, però, non è toccato il destino della scomparsa totale. Il 12 ottobre 1593 Leonardo Donato ricordava: “ Scrivemo in questo giorno alla Serenissima Signoria demonstrandole che dopo molte altre considerazioni e luoghi veduti convenissimo di firmare la nostra risoluzione di fortificare questo vicino sito tra Ronchis, San Lorenzo e Palmada...” . Luoghi che, si aggiungeva, avevano il comodo di poter ospitare direttori dei lavori e maestranze. Di lì a poco la gran macchina, uscendo dal terreno, venne a sconvolgere la vita dei palmadini e dei loro vicini. Non fu priva di presagi, almeno a dare ascolto alle leggende, questa costruzione. Infatti si narra che più di vent’anni prima della edificazione “ un uomo,chiamato Camozzo, pastore d’armenti, haveva secondo il suo solito, condotti gli animali in questo luogo al pascolo: stando egli quivi soprappensiero (siccome da lui medesimo più et più volte intesi molto tempo innanzi che si fabbricasse) gli sopraggiunse una visione d’innumerabile gente, che pareva tutta fabbricare in quel sito una fortezza ”, ognuno intento al suo compito. Spaventato, il pastore chiese ad uno dei lavoratori cosa facessero e gli fu risposto: “ Non vedi tu, che noi qui vogliamo fare una fortezza ? “, Camozzo, allora, impaurito, “ lasciati gli animali al pascolo, ritornò a S. Lorenzo, dove havendo egli narrato la visione fu da tutti schernito come imbriaco et a lungo tempo burlato dagli uomini di quei villaggi. Ma moltissimi anni di poi, verificandosi la visione di Camozzo con l’ effetto delle opere, tutti rimasero stupefatti “ (30). Stupefatti certo vedendo anche quanti mutamenti sul piano economico nonché su quello sociale la costruzione portava, direi pure che metteva in crisi un modello tradizionale di vita, di comunita. In effetti l’area della fortezza occupò un gran numero di campi di proprietà del Capitolo e di privati, per lo più ricchi udinesi, ma anche modesti proprietari locali, senza contare i beni comunali. Nel 1594 erano stati occupati ormai 364 campi a misura trevisana (5200 mq), di cui 82 di pascoli comunali, situati nella località Ronchi, venuta a trovarsi nella parte orientale della fortezza. Nel 1596 i campi perduti erano ormai 630, di cui 100 di pascoli comunali di S. Lorenzo. Con la perdita di questi pascoli furono fortemente limitate le possibilità di mantenere gli animali da lavoro, stremati poi dai trasporti per la costruzione, tanto che essi in pochi anni calarono da 50 a 12 e per di più “male in arnese ” Cosi una delle prime richieste delle ville interessate dai grandi lavori fu quella di poter usufruire di pascoli in altri comuni. Gli ulteriori gravi danni di cui le comunità si lamentavano con le autorità veneziane erano il taglio degli alberi e delle viti rimasti all’interno della fortezza per un totale di 1000 ducati di valore, legna che era finita nelle case dei funzionari veneziani e degli osti invece che in quelle dei legittimi proprietari; l’occupazione di tante case da parte di ufficiali e rappresentanti della Repubblica, per cui i padroni erano costretti a vivere nelle abitazioni dei loro coloni e chiedevano almeno di ricevere affitti decenti e di poter usufruire di cantine e “foledori” nei momenti dei raccolti; infine, ma era la cosa più grave, la perdita di tanti campi, che colpiva soprattutto i piccoli proprietari (i grandi ne avevano altri, i coloni non possedevano nulla nemmeno prima), per cui i benestanti s ‘erano fatti poveri e non avevano più le rendite con cui un tempo “ mantenevano le figliole, mantenevano i figlioli alle schole e mantenevano in vita le loro numerose famiglie ” (31). E ancora: “Quelli che erano alquanto comodi di beni di fortuna sono divenuti poveri e li poveri fatti mendichi” , tanto che non pochi avevano preferito abbandonare ipaesi, per lo più dirigendosi nelle ville austriache. Nel 1597 a Ronchis non c’erano più uomini bastevoli a fare una vicìnia. Dei campi delle quattro ville “ era restata una grossa partita sepolta nei boloardi, terrapieni, fosse, strade piazze et altre fabbriche simili (...). Sono partiti molti altri campi nella spianata di fuori et coperti dalla giara et molti altri sono andati di male per ilnuovo alveo della navigatione ” (32). In effetti, oltre alla fortezza vera e propria, creava dei problemi anche la necessità di tener libera da impacci alla visuale l’area ad essa contermine, per cui niente alberi, anzi venne ai contadini proibito, anche se esso “ è quello che li dà da vivere ”, di piantare il sorgo, perché, essendo una pianta di fusto alto, poteva nascondere alla vista eventuali nemici (33). Inoltre la terra per i terrapieni non bastava mai, per cui venivano levate le zolle fertili dai campi, cosicché, ci si lamentava nel 1597, non solo tanti terreni erano scomparsi sotto le mura, ma i costruttori andavano “ espolpandosene anchora tuttavi dellj altri per servitio d’essa fortezza. Essendo che non escavano per campo più di 3 in 4 piedi in circa in profondità (...) che immediate trovano la piera et semplice giara; per il che è necessario che s’allarghino con l’escavatione ” e su quei campi non si poteva seminar nulla perché sulla ghiaia nulla cresce (34). Ci si mise anche il Capitolo di mezzo, volendo farsi pagare censi e quartese come un tempo anche per quei terreni ormai inghiottiti dalla fortezza. Naturali quindi le proteste e il disgusto degli abitanti verso quei canonici già poco amati in precedenza, che, come scrissero nelle suppliche alla Repubblica, erano “ricchi et opulenti » e che “piuttosto doveriano aiutare noi oppressi che cercare di maggiormente opprimere » (35). É chiaro perciò che in questa situazione “molte famiglie de contadini sono disfatte et molte povere vedove et pupili vanno mendicando il pane et molte povere donzelle per necessità hanno perso l’onore ” (36). Ecco qui, quindi, l’altro lato negativo della nuova situazione, la distruzione cioè, del tessuto sociale e lo “shock”, potremmo dire, derivato dal repentino cambiamento di uno stile di vita immemorabile, anche per l’arrivo di migliaia di lavoratori che s’ammassavano nei paesi ed erano per lo più persone di poca creanza: “ Proviamo che li frutti che ci crescono sono (a pena nati) divorati dall’ingordigia de soldati, guastatori, gente senza pietà et rapacissima ” (37). Ne nascevano quindi furti, violenze, concubinaggi, donne di Palmada e dintorni che, pur maritate, vivevano con forestieri e lo stesso pievano, pre Bernardo Montanario non vedeva l’ora di andarsene da quella confusione, non vedeva l’ora “ d’usir de qua per non poter resistere ” essendo “ più che desideroso d’uscire fora di questo loco così pericoloso che certo non potrò soportare; dove non se scodono li affitti soliti, nè quartesi e ogni cosa va pegiorando, io non manco del mio solito costume si con li antichi parochiani come con li moderni ma sono mescolati con costumi pravi ” (38). Le monache di Aquileia gli avevano proposto la carica di pievano di Cervignano, ma quando, nel 1597, quel posto fu vacante, scelsero invece un gradiscano e nonostante il Montanario cercasse la raccomandazione di qualche personaggio importante dovette restarsene a Palmada ancora per alcuni anni, fino al 1604. I paesi erano pieni di soldati e gente straniera, ma vi alloggiavano anche distinti funzionari come i provveditori veneti o gli ingegneri. A Ronchis fu impiantato un ospedale per i tanti ammalati od infortunati presenti tra i lavoranti alle opere militari. Un nugolo di persone che trascinava con sè osti, mercanti, prostitute: “ li hosti e li venditori delle vettovaglie li quali si riducono al presente in Palmada ” (39). C’era, però, ancora di peggio e cioè la minacciata distruzione delle tre villaggi, he i provveditori di Palma reclamarono per anni a gran voce, a cominciare da Giovanni Mocenigo (1596) per passare ad Alvise Priuli (1600) a Nicolò Delfino (1605) ad Andrea Minotto (1609) a Giovanni Pasqualigo (1611). Le ragioni erano per tutti le stesse: la prima era la vicinanza alle mura, pericolosa dal punto di vista militare (scriveva il Pasqualigo “esser tanta la boscaglia, tante le case da tutti i lati et molte di quelle di Palmada in particolare così vìcine che si può dire che bevino nelle fosse della fortezza ” (40)); la seconda la necessità di rimpolpare la popolazione di Palma. A dire il vero quest’ultima istanza con il tempo fu abbandonata, in quanto ci si rese conto che quei contadini non potevano risiedere in una città che chiudeva le porte la notte e parte del giorno e si propose perciò di farli alloggiare nei paesi vicini (41). Per allettarli ad abbandonare le ville e lasciar distruggere “ quelli nidi nelli quali sono essi et li loro maggiori nati et allevati ” il provveditore Mocenigo proponeva esenzioni fiscali, prestiti di danaro, esonero per un po’ d’anni dal servizio sulle galee. La decisione dell’abbattimento sembrò certa nel 1606, ma, di fronte alle proteste degli abitanti, dapprima furono concessi due anni di tempo per abbandonare le case, poi tutto fu rimandato “sine die” e, come spesso accade, quelle precarietà divenne stabilità. I contadini con accorate parole (naturalmente scritte dai loro avvocati) protestarono la loro fedeltà alla Repubblica e la loro utilità per Palma, asserendo di essere “ quattro Ville anzi quattro borghi della Citta di Palma, da quali ha sinhora levata tanta servitu con le persone e con gli animali tanta forza et utilità ” e ancora dissero di offrirsi “ quasi novo antemurale con li propri petti in ogni ochorenza di far scudo e difesa ad essa Fortezza ” (42). Sono parole che sembrano fare il paio con quelle di alcuni anni prima (1597), dalle quali esce tutto lo sforzo sostenuto dai quattro paesi nella costruzione della fortezza. “ Noi sudditi paghiamo li sussidi, le tanse, le Gabelle et s ‘esercitiamo con le Piche et con l’Archibugi per poter essere sempre in ogni bisogno Antemurale coi nostri petti alla fortezza. Noi volentieri scortichiamo li nostri boi sotto il giogo delle gravissme pietri et altre munitioni necessarie per la fortezza sulle fangose stradde di Cervignano; questi contadini sono quelli che fiaccano la carne et l’ossa sotto chari e carette, quanti di questi grami sduciolando giù dai Ponti si sono precipitati giù dalle fosse, et altri infiniti quelle escavando sono stati incautamente coperti dalle giare et sepolti vivi ” (43). Superato il brutto momento del 1606 e quelli delle successive richieste di abbattimento, la situazione cominciò a divenire migliore per i quattro paesi, cui furono pure tolti alcuni balzelli ed alcune tasse in cambio dei servizi che compivano in favore della fortezza. In quegli anni essi vengono così descritti: “ Palmada: villa assai grossa, villa di S. Lorenzo alquanto minore, Sottoselva: contigua l’un all’altra e posta sopra un ramo della Stradalta. Palmada pare che sia la villa che ha cento uomini da fatti. S. Lorenzo 50. Sottoselva 60. Ma le abitazioni di tutte queste ville sono di muro, coperte di coppi e son amplissime rispetto alla poca gente che le abitano. Gli abitanti di Palmada posseggono diversi terreni a loro confini nel territorio della villa d’Ontignano Arciducale ” (44). Quanti abitanti avevano allora i quattro paesi? Una statistica del 1606, che li comprende tutti, cita la presenza di 240 famiglie e 1270 abitanti di cui 440 utili “ a fation di guerra ” (45). Un’altra del 1611 parla di 359 abitanti a Palmada, 145 a S. Lorenzo e 145 a Sottoselva. Ronchis era “ villa di sole venti case alcune tra queste di paglia ” e probabilmente non arrivava alle cento anime (46). Saremmo quindi a circa 700 persone, molte di meno di quelle rilevate cinque anni prima, segno forse di una fuga dai villaggi o forse di censimenti poco curati e un po’ tendenziosi. Il primo infatti è ricordato da una protesta degli abitanti, il secondo da una relazione di un Provveditore che voleva lo spianamento dei paesi. In un censimento del 1683, però, non siamo distanti da quest’ultima cifra: 720 anime, divise in 147 famiglie, abitanti in 130 case “tutte di muro e coppi, fatte alla rustica, eccettuate alcune, che servono per il stare della gente civile ” (47) . La popolazione s’era dunque stabilizzata, ma comunque su numeri inferiori a quelli precedenti la costruzione di Palmanova. Ciò era dovuto in parte al fatto che il terreno agricolo s’era ridotto e quindi non c’era lavoro per tutti, in parte al trasferimento altrove di diversi abitanti, che avevano evidentemente preferito allontanarsi, temendo la sempre minacciata distruzione. I quattro paesi furono pesantemente coinvolti nella guerra cosiddetta di Gradisca (1615-18), ma non diversamente da tanti altri dei dintorni, con alloggiamenti di militari, presenza di ospedali (a Ronchis), somministrazioni di derrate alimentari, trasporti. In ogni caso da allora si aprì un periodo di tranquillità e di simbiosi con la fortezza, da cui vennero anche dei vantaggi: lo sfalcio dell’erba sulla spianata, ad esempio, o la preferenza che i mercanti o gli osti palmarini dovevano dare ai prodotti dei quattro villaggi (48). Gli abitanti avevano, in cambio dell’esenzione da qualsiasi altra “angheria”, l’obbligo, però, di compiere diversi servigi per la fortezza, tra cui trasporti di materiali o restauri delle mura; due palmadini, con paga di soldati, erano tenuti a riparare i terrapieni che si sgretolavano e a riempire le buche fattevi dagli animali, lavoro nel quale possedevano “ habilità et esperienza ” (49). Le quattro ville erano state dal 1597 tolte alla giurisdizione capitolare e sottoposte a quella del Provveditore di Palma ed anche i loro sacerdoti non dipesero più dal Capitolo, ma direttamente dal Patriarca. L’ultima collazione del beneficio operata dal Capitolo risale al 1640 (50). Una soddisfazione per Palmada era data dal fatto che il pievano locale ebbe la supremazia ecclesiastica anche sulle chiese di Palma e tale situazione si mantenne fino al 1777, anno in cui fu istituita la parrocchia della fortezza. Inoltre, da quando, nel sec. XVII, vennero create le foranie Palmada fu a capo di una di esse, comprendente, oltre al suo territorio (Palmada, Palma, S. Lorenzo, Sottoselva, Felettis), anche Sevegliano, Strassoldo, Malisana e Belvedere. Nel giorno della S. Croce, cui era dedicata la chiesa palmadina, cioè il 3 maggio, dal 1634 fu pure attivata una fiera, che si teneva fuori Porta Marittima. L’ultima rogazione annuale di Palmada arrivava fino al duomo di Palmanova e lì in piazza si leggeva il Vangelo, evidente ricordo dei tempi in cui tale zona era un territorio campestre raggiunto, appunto, dalle processioni rogazionali. Ronchis apparteneva invece alla pieve di S. Maria la Longa.

La spianata Per circa due secoli la vita tornò dunque ad inalvearsi nella quotidianità, fatta di lavori campestri, di difficoltà,di carestie, di morie di animali e di pochi momenti di serenità, ciò fino al funesto autunno del 1797, quando la spianata dei villaggi fu nuovamente decisa e questa volta rapidamente posta in essere. Certo nulla di tutto ciò era stato presagito questa volta. Nessun segno o visione erano comparsi, quale quello che aveva divinato la costruzione di Palmanova. Anzi, prima della distruzione vi furono anni in cui in alcuni dei suddetti paesi si fecero importanti e costosi restauri alle chiese, centri della vita religiosa ed in fondo cuore delle comunità. Quindi si guardava fiduciosamente al futuro. A Palmada era stato costruito l’altar maggiore in marmo nel 1707- 08, mentre vasti lavori al soffitto, al coro, l’edificazione in pietra degli altari di S. Sebastiano e della Immacolata Concezione si erano svolti nel 1721-30. Nel 1773 era stata costruita ex-novo la canonica. A S. Lorenzo la chiesa era stata completamente rinnovata nel 1721, tanto che poi era stata riconsacrata dall’arcivescovo Delfino. Sempre a Palmada nel 1759 si chiedeva la benedizione di un nuovo cimitero perchè il vecchio era ormai saturo. La vita religiosa era intensa sottolineata dalla presenza delle solite confraternite del Santissimo Corpo di Cristo, di S. Valentino, di S. Sebastiano. A S. Lorenzo le confraternite erano dedicate al Santissimo e a S. Urbano e Redigonda. Ronchis, che, comunque, per la sua posizione a nord della fortezza ed i legami con S. Maria la Longa, viveva una vita piuttosto staccata dalle altre tre ville che ci interessano, aveva una chiesetta intitolata a S. Andrea (con altari laterali dedicati alla Trinità ed a S. Nicolò da Tolentino) e una confraternita omonima. confortare qualche speranza di miglioramento della vita era pure giunta nel 1795 una disposizione luogotenenziale che aveva imposto per dieci anni una tassa sul vino venduto a Palmanova e nelle nostre tre ville, con la quale sostenere scuole per i fanciulli sia nella fortezza che nei paesi suddetti (51). Il territorio di Palmada era interessato inoltre da alcune attività “industriali”: sulla roggia, che scendeva da nord , era posta infatti una sega idraulica e lì vicino si trovava inoltre una conceria. Speranze, dunque, fiducia anche, ma le cose bruscamente mutarono con l’occupazione francese del 1797. Dapprima (3 marzo) arrivarono gli austriaci, poi dal 18 successivo i francesi: per cui requisizioni, alloggiamenti, trasporti certo e come sempre. In più la malattia dei bovini (afta probabilmente), che depauperò il parco animali. Il peggio, però, venne più tardi. Il giorno 22 settembre 1797 (primo giorno dell’anno secondo il calendario rivoluzionario) il comandante della piazza di Palmanova, Calvin, rese nota la decisione di spianare tutto il territorio che circondava la fortezza, decisione venuta dall’alto: “ In virtù degli ordini del Generale in Capo devo far abbattere tutti gli alberi, non che tutte le case tutte alla distanza di 300 tese dalla Piazza ”. Il 24 settembre si sarebbero cominciati a tagliare gli alberi e due giorni dopo a demolire le case, così che, secondo quell’ordine, sarebbero stati distrutti Palmada, S. Lorenzo e Sottoselva. Come si vede Ronchis non appariva e forse da parte dei suoi abitanti si tirò allora un sospiro di sollievo, anche se la cruda realtà fece subito emergere che il paese era interamente dentro le 300 tese, mentre Sottoselva ne era fuori, eccettuate alcune case poste sulla strada in direzione di Palmanova. Calvin invitò, onde evitare loro ulteriori inconvenienti, gli stessi proprietari a tagliare gli alberi ed abbattere le case. Per il 23 settembre dovevano essere convocati i capi dei comuni, per concertare soprattutto gli indennizzi che il Buonaparte aveva promesso a tutti coloro che sarebbero stati toccati dall’operazione. Periti di parte avrebbero stimato i danni e di conseguenza stabilito gli indennizzi, che, concludeva magnanimamente e in sintonia con una pelosa morale rivoluzionaria, il Calvin, “ i Proprietari hanno diritto di esigere dalla Giustizia d’una grande e generosa Nazione che le sole circostanze della Guerra riducono a questa dura necessità ” (52) Dunque la decisione era venuta da Napoleone Buonaparte, che aveva visto nei quattro paesi un impedimento alla difesa della piazzaforte, ed ora non c’erano più le tergiversazioni o le giuste remore della repubblica veneziana. Perciò la decisione fu messa in pratica, nonostante le proteste delle comunità, i cui rappresentanti si recarono pure davanti al generale a Passariano. Egli fu irremovibile, ma cercò di spiegare ai postulanti la necessità della sua decisione:” volle egli convincerli facendo loro presente essere necessaria succedendo la guerra, ed egualmente nel caso di Pace, dovendo servire di frontiera e di difesa contro li tedeschi alla grande Repubblica Italiana unita alla Cisalpina ”. Certo non li convinse. Unica cosa che i malcapitati ottennero fu una piccola dilazione della data d’inizio delle operazioni di abbattimento, per avere essi modo di cercare e trovare un ricovero con un po’ più di agio, poi fu giocoforza iniziare (53). Le demolizioni vennero in seguito sospese per il sopraggiungere della pace di (17 ottobre), che consegnò il territorio all’Austria. Erano, però, ormai scomparse molte case e le chiese, mentre gran parte della popolazione s’era alloggiata provvisoriamente nei paesi vicini. Dapprima gli austriaci negarono ogni possibilità di ricostruzione, per le stesse ragioni che avevano spinto i francesi ad intervenire (54). In realtà, però, lo spianamento non proseguì e nelle comunità cominciò a crescere la speranza che si potesse tornare indietro. Comunemente si dice che le tre ville (Sottoselva, come detto, fu toccata solo marginalmente dalle demolizioni) siano sparite nel 1797. In realtà la loro vita durò ancora per qualche anno. I comuni proseguirono la loro attività amministrativa (era in piedi pure la loggia comunale di Palmada), i cimiteri furono ancora utilizzati, le case agibili continuarono ad essere abitate, altre semidiroccate ad essere utilizzate e riattate alla bell’e meglio. Le istanze per la ricostruzione fecero alla fine breccia, anche perché le comunità erano disposte a rimettere in piedi i loro paesi in una località, proprietà della chiesa di Privano, fuori dal perimetro difensivo della fortezza. Così nel corso del 1804 le autorità austriache acconsentirono ufficialmente, certo tra il giubilo della popolazione, dapprima alla ricostruzione della chiesa di Palmada, poi alla rinascita dei villaggi. Indubbiamente il numero degli abitanti era ulteriormente diminuito, perchè diverse famiglie già avevano fatto fagotto o s’erano sistemate in vicini paesi, non volendo vivere di speranze o di precarietà (55). In realtà, alla fine, nulla si fece. Il tempo trascorse inutilmente e ritornarono i francesi. La zona fu annessa al Regno d’ Italia. Vennero elaborati progetti per l’allargamento della cerchia fortificata di Palmanova con l’erezione delle lunette, per cui ora spazio e volontà di permettere ricostruzioni non c’erano più. Anzi, quello che ancora era in piedi andava completamente demolito. Così fu stabilito alla fine del 1806. Questo sancì la scomparsa definitiva dei paesi e con essi delle comunità (56). Il loro territorio divenne parte del comune di Palmanova (57). Gli abitanti si dispersero: chi lontano, chi a Sevegliano, chi a Privano, chi a Sottoselva. Molti anche in Palmanova, nonostante che il generale Lery, comandante del genio francese in Italia, avesse consigliato di non introdurli nella fortezza: “Non dans Palma ou il y a trop peu de maisons et déjà beaucoup de monde,mais dans les villages le plus reproches de leur demeure” (58). Un elenco di famiglie presenti in Palmanova nel 1820-30 ci dice, però, che non poche tra esse provenivano dai paesi distrutti: infatti 4 erano originarie di Ronchis, 18 di S. Lorenzo e 40 di Palmada (59). La relazione catastale del 1823 afferma inoltre he “ alcuni ” degli agricoltori dei paesi spianati abitavano a Palmanova e avevano delle difficoltà nel loro lavoro, perché le porte cittadine si aprivano la mattina e si chiudevano la sera, limitandone l’attività o costringendoli spesso a pernottare fuori dalle mura (60). La parrocchia di Sevegliano fu erede degli arredi, proprietà e memorie di quella di Palmada, la chiesa di Sottoselva di quella di S. Lorenzo. Ultimo pievano palmadino era stato l’ampezzano Carlo Antonio Nigris, che aveva ottenuto la carica proprio pochi mesi prima della spianata. Abbastanza rapidamente il senso di appartenenza a quei paesi si smarrì, anche se il loro ricordo è riuscito a permanere nel territorio contermine. Recentemente il comune di Palmanova ha fatto porre delle tabelle sui luoghi ove essi sorgevano.

Note 1) A. Candussio - A. Del Fabbro, Note preliminari sull’insediamento preistorico a sud-ovest di Palmanova , in AA.VV, Palme. 53° Congres SFF , Udine 1976, pag. 21-25. 2) Al proposito si veda A. Rossetti, Julia Augusta. Da Aquileia a Virunum lungo la ritrovata via romana per il Noricum , Mariano del Friuli, 2007, pag. 71. 3) Il doc. in BSU (Biblioteca Seminario di Udine), Archivio Capitolo di Aquileia, vol. I Pergamene e si può leggere in BSU, Indice delle materie contenute nei due Archivi del Capitolo Metropolitano di Udine, pag. 147. “Ronchetas” è l’attuale Ronchiettis, in comune di S. Maria la Longa. 4) Necrologium aquileiense , a cura di C. Scalon, Udine 1982, pag. 400: “ Pelegrinus (...) , qui villam S. Laurentii cum silva et omnibus suis pertinentiis (...) canonicis dedit ”. 5) BSU, Indice ecc., ms. cit. 6) Si veda C. G. Mor, Palma e la Bassa friulana , in AA. VV, Palme , op. cit.,pag. 12. Sui tre paesi si veda anche S. Perini, Prima di Palma: Palmada e le altre ville , in Eventi di vita quotidiana nel territorio di Palma , “Appunti di Storia”, vol.II, Circolo Comunale di Cultura, Palmanova, 1993, pag.109-23. 7) Il nome Palmada viene fatto risalire al termine “palmitem” = tralcio di vite, ma non sembra una spiegazione soddisfacente. Esiste una piccolissima località in provincia di Lucca che si chiama Palmata. 8) G. Biasutti, Il più antico rotolo censuale del Capitolo di Aquileia , Udine 1956. 9) Appaiono nel rotolo, riferiti a Palmada, due termini che sembrano di origine slava: “prasnicus” e “plitinareza”, che potrebbero equivalere, secondo il Biasutti, op. cit., pag. 14, l’uno a cameraro della chiesa, l’altro a tessitrice, ma con forti dubbi. Ad entrambi era legato un manso. Dai mansi di Palmada, oltre al resto, venivano al Capitolo ben 800 uova. 10) Si veda G. Biasutti, op. cit., pag. 12. Per la “Curia” Palmada pagava al Capitolo un moggio di miglio pestato, tre orne di vino, due porci di 10 libbre e 12 denari per il misuratore e le sue spese di trasferta oppure 12 denari, un porcellino da latte di una libbra oppure ancora tre oche, 10 galline, 50 uova, un pesinale di senape. 11)BSU, Atti Capitolo di Aquileia, vol. III, c. 173. 12) Biblioteca Comunale Udine (BCU), ms. 899 Bianchi, n.429. 13) Archivio Parrocchiale Bagnaria (APB), Cenni storici della parrocchia e villaggio di Palmada, pag.13. Villafranca ( oggi La Franca) è una piccola località del comune di . Su queste basi in seguito la pievania di Palmada pretese (inutilmente) di avere la superiorità ecclesiastica sul territorio di Villafranca ed il Capitolo di Aquileia quella giurisdizionale.Inoltre la comunità di Palmada spesso affittava altri pascoli per suo uso: nel 1470 gli Strassoldo , ad esempio, diedero ad essa in affitto un territorio in Cerclara. 14)Sella-Vale, Rationes Decimarum Italiae saeculi XIII et XIV Venetia Histria-Dalmatia , Città del Vaticano 1941, pag. 8. Anche il vicario di S. Lorenzo si scusò di non poter pagare. 15)Archivio Curia Arcivescovile Udine, Paesi, b. Sevegliano e Palmada. In questa situazione di scontro potremmo inserire anche la causa legale sorta tra il comune di Palmada e quelli e quelli di S. Lorenzo, Sottoselva ed anche Jalmicco, cui il primo diceva toccasse contribuire fattivamente per la costruzione della casa del vicario a Palmada. Cosa invece contestata dagli altri. Elenchiamo alcuni beneficiari od officianti di Palmada fino al 1593: 1461 pre Antonio,1468 pre Antonio di Sicilia, 1474 pre Antonio di Palmata, 1475 pre Antonio (probabilmente la stessa persona), 1490 pre Giovanni di Lauzana, 1496 pre Leonardo, 1507 pre Antonio delle Puglie, 1516 pre Nicolò Paulino di Cividale, 1516-34 pre Odorigo Piton di Aiello, 1550 pre Zuan Florian di Ceneda, 1557 pre Orazio de Lollis di Cesena,1563 pre Andrea de Nordis. Vicari (in quanto il vero pievano era il Capitolo) di S. Lorenzo: 1395 pre Nicolò di Urbino, 1444 pre Enrico, 1478 pre Antonio di Tricano , 1501 pre Antonio Pizzomano, 1502 pre Nicolò di , 1516 pre G.B. de Federicis di , 1516 pre Angelo Rodeiano, 1530 pre Nicolò Peribono, 1583 pre G.B. Damiano di Cividale, 1595 pre Bernardo Montanario o Molinaro. 16) BSU, Schedario Biasutti, Palmada. 17)BSU, Atti Capitolo di Aquileia, vol. III, c. 150. Il beneficio passò ad Antonio da Lauleta (Auletta è un paese in prov. di Salerno). 18) P. Damiani, L’arte a Palmanova , in AA. VV, Palme , op. cit., pag. 90. Dato che un terreno chiamato lì della Gesiuta scomparve nel canale per la navigazione possiamo pensare che questa chiesetta esistesse poco fuori Porta Marittima. 19) R. Tirelli, 1499 : corsero li Turchi la Patria. Le incursioni dei Turchi in Friuli , Pordenone 1998, pag. 78 e 124. 20) L. e G. Amaseo, Diari Udinesi 1508-41 , Venezia 1884, pag. 486. 21) APB, Cenni storici, pag. 10.Il parroco di Sevegliano don Ferdinando Tonutti nel 1883 scriveva che “ ad est di Sevegliano era una via della Stradalta che va da Palmada verso Aquileia. Ora è interrotta da campi ed altre strade, la provinciale del Taglio e la comunale (...), è tradizione che questa strada vada in Aquileia e perciò si dice Stradolea”. 22) Necrologium , op. cit., pag. 419, 136, 74, 160 rispettivamente; F. De Vitt, I registri del notaio Maffeo di Aquileia , Roma, 2007, pag. 76, 200,233. 23)BSU, Atti Capitolo di Aquileia, vol. Il e III. 24) Ricordiamo i nomi dei partecipanti ad una vicìnia di Palmada del 1570, riunitisi sotto la loggia comunale: decano Gerolamo Mataloni, giurato Pietro Buluzi, vicini Giacomo Cau, Giacomo di Gerolarno Mataloni, Antonio di Lorenzo detto la cudizza, Giacomo Dosti, Leonardo, Giuseppe e Battista Ronuti, Domenico delle Pettaze, Sebastiano Venuto, Giuseppe Molinaro, Simon di Lazzaro, Bertoldo di Lazzaro, Mattiusso Pithi, Pietro Luca, Antonio Tonz Odorico Lisotti, Rocco dela Morsana, Domenico Cau, Domenico Seravalle, Nicolo Pasculuti, Battista Fabbro, Nicolò Molinaro e Domenico Gasparini. BSU, Confinazioni, Capitolo di Aquileia, tomo 88, fasc Palmada. Nel 1667 viene ricordata pure l’esistenza di una “casa del Comun” , anche se è probabile ci si riferisse semplicemente alla citata loggia. 25) BCU, ms.Joppi 681, vol. I, notaio Bartolomeo Decio. Giovanni Martini (1475-1535) fu un apprezzato pittore ed intagliatore di origine tolmezzina. Nello stesso anno realizzò per la chiesa di un altro grande altare che, diversamente dal palmadino, si è fortunatamente conservato. 26) R. Cessi, in Storia di Venezia , Venezia 1957, vol. 2, pag. 573. Giancarlo Menis lo dice proveniente dai muri della chiesa. Anche in G. Gaberscek, Scultura in Friuli, il romanico , Udine 1981, pag.3. 27) Quest’ultima legata forse alla chiesa di S. Maria. Appare nel ‘500 la confraternita delle SS. Maria, Polonia e Lucia, ma forse si tratta della stessa. 28) A. Del Col, L’Inquisizione in Friuli; mostra storica , 2000, pag. 85. 29) Rip. in La leggenda intorno alla fondazione di Palma , in Palma, Terzo Centenario , Udine 1893, pag. 8. 30) Ibidem, pag. 7-8. 31)BCU (Biblioteca Comunale Udine), ms. 864, Libro dell’edificatione di Palma, pag. 23. Che i proprietari fossero diversi lo rivela una statistica del 1594, che ricorda che i 64 campi di S.Lorenzo occupati dai lavori appartenevano a 19 proprietari, i 15 di Ronchis a 6 proprietari ed i 135 di Palmada a 34. 32) Ibidem, pag. 33. Un primo calcolo aveva rivelato che a Palmada sotto i terrapieni erano rimasti 78 campi, 31 dentro la fortezza, 13 occupati da edifici, in più da 23 era stata levata la terra. A S. Lorenzo erano 157 i campi disalberati, 9 dentro la fortezza e 10 senza terra; a Ronchis 105 disalberati e 16 sia dentro la fortezza che senza terra. Possiamo ricordare i nomi di alcune di quelle zone: campi lì delli Ronchi scomparsi nel baluardo Villachiara; campi lì della Gesiuta nell’alveo della navigazione; via di Molin, via d’Ontagnan, Merlana, Gruis, li Cavadi nella fortezza. Altri nomi di luogo sono: in Pitin, Armentarezza, via di Joanniz, del Sterpo, via del Pozzo, Benezal, via della Mezzana.. 33) Ibidem, pag. 36. 34) Ibidem, pag. 274. 35) Ibidem. 36) Ibidem, pag. 9. L’impressione che il provveditore Mocenigo ebbe di quei contadini fu quella di gente che viveva in “ una miseria grande, potendo io quasi dire et certo con non poco dolore,di aver veduto in buona parte di quella contadinanza un ritratto della contadinanza di Candia, cosi nella poverta come anco nel resto ”. Relazioni dei Rettori Veneti di Terraferma , Vol XIV, Palma , a cura di A. Tagliaferri, Milano 1979, pag 26. Candia era una delle colonie veneziane tra le piu sfruttate e misere. 37) BCU, ms 864 cit., pag 104. Come esempio riporto il fatto del processo del 1595 contro G.B. e Giorgio Cargnello di S. Lorenzo, che avevano preso a randellate due guastadori (sterratori) bresciani sorpresi a rubare l’uva sulle piante. BSU, Schedario Biasutti, S. Lorenzo di Sottoselva. 38) Palma e Palmada , ciclostilato a cura di A Prelli, Palmanova 1975, pag. 15 e 16. 39) Relazioni , op cit, pag 27. Quanto prima, per evidenti ragioni, le autorita cercarono di attrarli tutti dentro la fortezza e nel 1599 ormai “ li botteghieri et hosti sono andati ad abitar dentro la fortezza ” BSU, ms 864 cit, pag 33. 40) Relazioni , op. cit., pag 211. Il Pasqualigo usa la stessa espressione del suo predecessore Andrea Minotto, che aveva affermato che “ Palmada è cosi vicina alla controscarpa che per dir così beve nella fossa ”. Ibidem pag 171. 41)Il provveditore Pasqualigo affermava nel 1611 che, comunque, 11 famiglie di quelle ville si erano dichiarate disposte ad abitare nella fortezza, se ci fossero stati dei prestiti per la costruzione di nuove abitazioni. Ibidem, pag 211. 42)BCU, mas 864 cit, pag 272. 43)Ibidem, pag 31. 44) BCP, Archivio A. Ferrante, vol. 12. 45)Ibidem, pag 273. 46) Relazioni , op. cit., pag. 211. Ma a Ronchis c’era anche qualche casa di pregio, dato che nel 1593 il provveditore Barbaro vi soggiornò, nell’abitazione degli udinesi Alesso. A. Prelli, Le milizie venete in Palma (1593-1797) ,Udine 1988, pag. 78. 47) BCP, Archivio A. Ferrante, vol.41, n.146. 48)Norma quest’ultima non sempre rispettata. Nel 1728 abbiamo una protesta dei villaggi in questo senso contro i “ Cittadini, Mercanti et abitanti ”di Palma, sostenendovi tra l’altro la compartecipazione ai privilegi della fortezza. BCU, ms. 864 cit., pag. 305. Sia Palmada che S. Lorenzo furono sede di notai. Nel ‘400 questa funzione la svolsero i sacerdoti lì presenti, poi, dopo il Concilio di Trento, essa passò ai laici. 49) Relazioni , op. cit., pag. 371 (1676). 50) Con atto del 31 ottobre 1597 la Repubblica veneta s’impegnò a versare annualmente al Capitolo stara 200 di frumento, 76 di avena, 38 di miglio, 3 di fave, 246 conzi di vino per risarcirlo di ciò che ricavava dalle quattro ville ed in più annualmente 200 ducati per la rinuncia alla giurisdizione temporale. BSU, Atti Capitolo di Udine ,sez. XIV,vol. X. 51) R. Gianesini, Lettere, ordini, mandati della Biblioteca Civica V. Joppi , Firenze 2005, pag. 34. 52)Archivio di Stato Udine, Archivio Comunale Antico, b. 150. 53) Raccolta di carte pubbliche (...) del nuovo governo democratico , volume nono, Venezia, 1797, pag. 271. A Palmada furono concessi sei giorni di dilazione, nove a Sottoselva e dodici a S. Lorenzo. Da un contemporaneo quei paesi vengono descritti come “ villaggi di belle fabbriche coloniche ed abitazioni di vari proprietari Signori ”. Aggiunge inoltre che “ fu fatto ricorso al Generale in Capo e dicessi sospesa la demolizione per sei giorni che a quest’ora son spirati ”. Lettera di Francesco di Spilimbergo del 1 ottobre 1797 in L’Archivio Polesini. Lettere 1796-98 , tomo I, Trieste 2004, pag. 270-71. 54) Il 30 luglio 1798 il comandante dell’armata austriaca in Italia Wallis vietò qualunque riattamento delle tre ville atterrate e di fabbricare nuove chiese sul loro territorio. 55) Questi sono i capifamiglia partecipanti ad una delle ultime vicìnie di Palmada il 16 luglio 1804: G.B. Ronutto decano; Pietro Menos giurato; vicini: Zuanne Rovere, Domenico e Michiel Martelos, Antonio, Zuanne e Domenico Ortolan, Domenico Cetul, Antonio e Giacomo Gon, Giuseppe Sabot, Zuanne de Carli, Antonio Cocul, Pietro Segato, sig. Carlo Covichio, Carlo e Francesco Negrin, Valentino Visintin, Zuanne Cecot, Leonardo Bonin, Antonio Petean, Zuanne Poz, Valentino Canesin, Francesco Ferigutto, Francesco Macoratto, Giacomo Zus, G. B. Bergamasco, Giacomo Trus, Niciola Cavedal. BCP, Archivio A. Ferrante, vol. 46. 56) Per una trattazione più analitica delle vicende delle demolizioni rinvio a S. Perini, Le “Orribili demolizioni”. Palmada e la spianata del 1797 , in “Quaderni del Civico Museo Storico”, Palmanova 1996, pag. 9-35. 57)Le superfici dei tre comuni erano le seguenti: Palmada 1791, 41 pertiche quadre, S. Lorenzo 1136,52 e Ronchis 1030, 03. 58) Doc. rip. in Paesi distrutti , in “Pagine friulane”, VI, 1893, pag. 140. 59) BCP, Archivio A. Ferrante, vol.49. 60) Archivio di Stato Venezia, Catasto Austriaco, Atti preparatori 1856. Teniamo presente che pure nel 1807 furono abbattute alcune case di Sottoselva. Esistono ancora in loco dei cippi che delimitavano l’area della spianata, cippi sia francesi che austriaci. Viaggio a Palma Nova . C. Burino-C. Garbari, Ai confini di Palma , pag. 17-23, Palmanova 1993.

Stefano Perini