IL COLORE DELLA LIBERTÀ - GOODBYE BAFANA

Sito: http://www.goodbyebafana.com/ Trailer: http://www.mymovies.it/trailer/?id=46465 Anno: 2007 Titolo Originale: Goodbye Bafana Altri titoli: Detenuto 46664 Durata: 117 Origine: BELGIO, FRANCIA, GERMANIA, ITALIA, SUDAFRICA Genere: DRAMMATICO Specifiche tecniche: 35 MM, CINEMASCOPE Tratto da: autobiografia ", da nemico a fratello" di James Gregory e Bob Graham (ed. Sperling & Kupfer, 1996) Produzione: BLU CINEMATOGRAFICA, FONEMA SPA., ARSAM INTERNATIONAL, BANANA FILMS, CHOCHANA SA., X-FILME CREATIVE POOL, FILMAFRIKA Distribuzione: ISTITUTO LUCE Data uscita: 30-03-2007

Regia: Attori: Joseph Fiennes James Gregory Dennis Haysbert Nelson Mandela Diane Kruger Gloria Gregory Shiloh Henderson Brett Gregory Mehboob Bawa Adrian Galley Brigadiere Kemp Megan Smith Natasha Gregory Faith Ndukwana Winnie Mandela Terry Pheto Lesley Mongezi Zingi Mtuzula Mehboob Bawa Ahmed Kathadra Shakes Myeko Sizwe Msutu Khaya Sityo Jonas Motsadi Clive Fox Colonnello Piet Barnard Warrick Grier Vann Niekerk Patrick Lyster Maggiore Pieter Jordaan

Soggetto: Bob Graham (libro), James Gregory (libro) Sceneggiatura. Bille August, Greg Latter Fotografia: Robert Fraisse Musiche: Dario Marianelli Montaggio: Hervé Schneid Scenografia: Tom Hannam Costumi: Dianna Cilliers

Critica: "Molto più tradizionale ma anche meno stimolante 'Goodbye Bafana' di Bille August, che racconta la lunghissima prigionia di Mandela con gli occhi del carceriere (Joseph Finnes) che lo segue da una prigione all' altra, conquistando il rispetto del leader africano (Dennis Haysbert) perché giorno dopo giorno impara ad ammirarne la coerenza e le idee. Un film semplice, chiaro, didattico, che racconta una presa di coscienza non scontata nel Sud Africa degli anni Settanta e che Bille August filma con corretta professionalità." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 12 febbraio 2007)

"Una bella storia, quella di Nelson Mandela (Dennis Haysbert) prigioniero e del suo carceriere, il sergente James Gregory (Joseph Fiennes). Una sceneggiatura, tratta dalla memorie di Gregory, ben adattata da Greg Latter e Bille August. Una ricostruzione del 1968-1992 in Sud Africa girata nei luoghi reali. Una capacità di raccontare nitidamente, senza voce fuori campo e senza didascalie... Sono le prime doti di 'Goodbye Bafana' ('Arrivederci, amico') di Bille August, regista danese che vanta due palme d'oro ('Pelle alla conquista del mondo' e 'Con le migliori intenzioni'). Raro che un carceriere diventi amico del prigioniero, come August sa, avendo diretto anche 'I miserabili', dove il galeotto Jean Valjean non trova requie dall'ispettore Javert. Coproduzione fra Germania, Belgio, Francia, Sud Africa, Italia e Regno Unito, 'Goodbye Bafana' sopravvive a tanta coalizione di investitori e, nelle sue due ore, spiega apartheid e rivolta contro di esso, fine della Guerra fredda e implicita fine del segregazionismo. E poi il film evita i manicheismi: come Mandela - gigante del '900 - ha insegnato." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 13 febbraio 2007)

Sud Africa, 1968. Quattro milioni di bianchi mettono sotto scacco la vastissima popolazione di colore (circa venticinque milioni), innescando un forte squilibrio politico, economico e sociale che sottrarrà innegabili diritti come la possibilità di votare, muoversi in libertà, possedere casa, istruirsi. L’apartheid sembra ormai dilagare senza alcuna possibilità di riscatto, finchè non emerge una personalità forte e determinata a risollevare le sorti di questo insanabile conflitto. Nelson Mandela diventa da subito, e continua ad essere, uno dei personaggi più incisivi del ventesimo secolo. Dapprima incarcerato nelle prigioni di , Mandela si fa portavoce di una popolazione oppressa e sofferente. Negli anni di prigionia lo fa anche attraverso la sua guardia carceraria, James Gregory. Partendo proprio dalle sue memorie, Bille August confeziona un classico film che si dipana lungo trent’anni di lotte, sconfitte e nuove conquiste. James Gregory, interpretato da Joseph Fiennes, viene scelto perché a conoscenza del dialetto nativo di Mandela, lo Xhosi. Attraverso questo strumento linguistico, le forze di regime avrebbero di fatto potuto controllare sia i rapporti epistolari che Mandela manteneva con l’esterno, sia le conversazioni, a distanza di sicurezza, con la moglie. Si parte dal 68 per approdare all’ormai famoso 11 aprile 1994, quando il leader di colore viene liberato dopo ben ventisette anni di prigionia, per poi diventare il primo presidente democraticamente eletto in un Sud Africa profondamente cambiato. Sono questi i due estremi, all’interno del quale si muove tutto il tessuto narrativo che, mano a mano che si procede, assume forme narrative ormai già abusate. Il rapporto fra i due uomini diventa sempre più intenso e ravvicinato. Mandela cerca di scuotere l’animo del povero carceriere, spostando l’asse del confronto verso un profondo discorso critico sulla storia, dentro la storia. Il mondo che il regista descrive all’interno del carcere diventa così l’immagine speculare di una società radicalmente ingiusta. Naturalmente lo spettatore lo apprende attraverso l’occhio sempre più consapevole del carceriere, che in questo atto di apprendimento trascina la bellissima moglie Gloria. Se da un lato il confronto-scontro fra i due cerca di chiudere entrambi i personaggi in altrettante prigioni (quella reale e fisica di Mandela, quella più invisibile di Gregory, percepita nel rapporto subalterno vissuto all’interno del regime), dall’altra il racconto si dipana lungo un asse ricco di ideali inneggianti alla libertà, alla giustizia e all’uguaglianza. Ciò che è in realtà la storia di Mandela, ma che nel film percepiamo come essenza confezionata con un fiocco rosa. I gesti, le discussioni, i fatti che sovrastano la vita di entrambi sembrano apparire piuttosto che essere, regalando allo spettatore l’ennesima biografia storicamente corretta, umanamente candida. (www.fice.it)

Per Joseph Fiennes interpretare James Gregory, il carceriere "personale" di Nelson Mandela per oltre vent'anni, è stata «un'occasione incredibile come attore». Ma è stata anche l'occasione per portare sullo schermo «uno dei più grandi umanisti dei nostri tempi». E Joseph ricorda come abbia «incontrato Mandela una volta nella lobby di un magnifico albergo coloniale a Città del Capo mentre stavamo girando il film. È stato il mio incontro con la storia, qualcosa di molto diverso dal modo in cui la gente circonda i divi del cinema». Joseph è rimasto colpito dalla sua figura, riaffiorano alla sua memoria gli anni dell'apartheid quando «alla fine degli Anni '70 ogni volta che passavo da Trafalgar Square mettevo la mia firma sotto la petizione per Mandela. C’era una grande foto di Nelson, non è che capissi benissimo cosa fosse, ma un po' alla volta compresi cosa significasse il regime segregazionista». Del resto per poter interpretare un personaggio complesso come quello di Gregory Joseph ha dovuto comprendere «la schizofrenia dei sudafricani bianchi, moltissimi con sangue nero nelle vene, spesso allattati da balie nere, pronti ad andare a messa come a picchiare a sangue un nero ritenuto pigro». È innegabile che Nelson Mandela (carismatica l'interpretazione di Dennis Haysbert), il leader dell'African National Congress, incarcerato per 27 anni, sia la figura di riferimento di Il colore della libertà, il film di Bille August, ma la sua vicenda carceraria è raccontata attraverso un'altra figura, appunto quella di Gregory (il film è tratto dalla sua autobiografia), un giovane bianco, di modesta estrazione sociale, cresciuto in campagna, dove ha imparato la lingua xhosa dai suoi amici d'infanzia (il titolo originale è Goodbye Bafana, che in lingua xhosa significa ragazzo). Lo ritroviamo sposato (con l'ambiziosa Diane Kruger), padre di due bimbi, arruolato come guardia carceraria in arrivo a Robben Island, il carcere di massima sicurezza al largo di Città del Capo (ora divenuta museo). Qui ha la sua occasione, proprio perché conosce la lingua parlata dai neri, i servizi gli affidano la custodia dei carcerati più importanti per spiarli e controllarne le mosse. E qui inizia anche la sua metamorfosi. Lui, persona modesta, che sogna l'università per i figli, si trova a contatto con personaggi neri lontanissimi dai pregiudizi di cui è stato nutrito. Sono professionisti, avvocati, medici, persone di grande cultura e dignità, non i subumani dipinti dalla minoranza bianca che controlla il Paese con un razzista pugno di ferro. E nel corso degli anni l'atteggiamento di Gregory subisce l'influenza di Mandela, «partendo da quelli che sono i rapporti con i figli, un dato che li accomuna», sottolinea Fiennes: allora si documenta, cerca di conoscere, instaurando un rapporto speciale e singolare con il suo prigioniero, sino a svolgere un ruolo delicato al momento della liberazione. «L'evoluzione del personaggio rispecchia in qualche modo proprio le idee di Mandela», dice Bille August. «Mandela era profondamente convinto che la gente potesse cambiare se stessa e durante quei 27 anni si è preparato al momento della liberazione, a gestire il cambiamento del Paese, consapevole che uno sbaglio avrebbe provocato un bagno di sangue. Ho dovuto dare anche qualche informazione, con garbo, perché la storia corre veloce e non tutti si ricordano quel che era successo in Sudafrica. Mi era capitato di parlare con una donna in Danimarca la quale credeva che Mandela fosse un rapper». (Antonello Catacchio, Ciak)

Note: - BERLIN INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2007: WON PEACE FILM AWARD; NOMINATED GOLDEN BERLIN BEAR