C'era Una Volta… E Un'altra Ancora
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Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex D.M. 270/2004) in Storia delle arti e conservazione dei beni artistici Tesi di Laurea C’era una volta… e un’altra ancora. La ripetizione nella fiaba dalle prime fonti scritte alle serie tv. Relatore Dott. Alessandro Tedeschi Turco Correlatore Dott. Marco Dalla Gassa Laureando Miriam Michieletto Matricola 832713 Anno Accademico 2014 / 2015 SOMMARIO INTRODUZIONE p. 4 CAPITOLO 1. Premesse 1.1 La difficile definizione della fiaba. p. 10 1.2 Le radici storiche: dalla tradizione orale alla forma scritta. p. 11 CAPITOLO 2. Le prime raccolte scritte 2.1 Un modello comune. p. 17 2.2 Straparola, Le piacevoli notti. p. 20 2.3 Basile, il Cunto de li cunti. p. 24 CAPITOLO 3. I narratori francesi, Charles Perrault e i fratelli Grimm 3.1 Il contesto dei salotti dell'aristocrazia francese. p. 35 3.2 Charles Perrault, I racconti di Mamma Oca. p. 38 3.3 Jacob e Wilhelm Grimm, Le fiabe del focolare. p. 44 CAPITOLO 4. La diffusione della serialità e la nuova veste della fiaba 4.1 Le fiabe illustrate. p. 53 4.2 Prime forme di serialità. p. 54 4.3 Definizione moderna della serialità. p. 58 4.4 Disney e i film d’animazione tratti dalle fiabe. p. 62 CAPITOLO 5. Sviluppi recenti della fiaba 5.1 Dalla teoria… p. 73 5.2 …Alla pratica: la serie televisiva Grimm. p. 78 5.2.1 Alcune osservazioni sulla serie Grimm. p. 88 5.3 Bill Willingham e il fumetto Fables. p. 91 CAPITOLO 6. C’era una volta… 6.1 Definizione di termini. p. 105 6.2 La diegesi e la metadiegesi in C’era una volta. p. 109 6.3 Struttura della serie: tempo della storia e tempo del racconto in C’era una volta. p. 121 6.4 I nuovi personaggi delle fiabe tradizionali. p. 133 6.5 Analisi di se1x01: Mai più un lieto fine. p. 144 CONCLUSIONI p. 158 BIBLIOGRAFIA p. 162 SITOGRAFIA p. 166 FILMOGRAFIA p. 167 3 INTRODUZIONE Questo studio prende piede dalla fascinazione per qualcosa di antico, ma che continua ad apparire come nuovo. Dopo aver conosciuto casualmente l’esistenza della serie televisiva C’era una volta1, sono stata ispirata a rileggere le fiabe della mia infanzia, ma, ignorando i libri dalla copertina rigida e le pagine colorate che mi hanno dato la buona notte per anni, e a maggior ragione le videocassette dei cartoni che mi hanno mostrato come vivono le principesse quando sognavo di appartenere al loro stesso lignaggio, sono andata direttamente alla fonte, con l’edizione italiana de Le fiabe del focolare2. È difficile spiegare la mia sorpresa, a chi che non le abbia conosciute nella loro versione «originale», quando mi sono resa conto che troppi dettagli, e non solo, non quadravano: ad esempio la verità narrata da quelle fiabe era ben più cruenta di quella che ricordavo. La matrigna di Biancaneve era stata costretta a ballare con delle scarpe roventi fino alla morte, i genitori di Raperonzolo l’avevano ceduta in cambio di un mazzo di ravanelli, Cenerentola veniva soggetta a delle prove ridicole ed umilianti da una matrigna che non si limitava ad assistere ghignante allo sfregio del suo vestito da parte delle sorellastre – che per inciso finiscono accecate da due innocenti colombe. Insomma, tutto era molto diverso da quello che credevo di conoscere. Quando la mia ricerca si è ampliata lungo un asse diacronico, mi è parso evidente che le fiabe, molto più di altri generi letterari, presentino tratti quasi identici con una notevole frequenza, pur con titoli e particolari differenti; in altri termini, la struttura di una fiaba può essere quasi la stessa in più storie, ma 1 Once Upon a Time (USA 2011-in corso) di E. Kitsis, A. Horowitz. 2 Cfr. J. GRIMM, W. GRIMM, Le fiabe del focolare, Einaudi, Torino, 1972 . 4 pochi elementi le rendono sufficientemente distinte da essere considerate diverse narrazioni. Nell’elaborare quest’idea mi sono stati di grande sostegno i testi di Vladimir Propp, in particolare Le radici storiche dei racconti di fate3, che permette di approfondire l’aspetto antropologico della cultura folclorica, e soprattutto la Morfologia della fiaba4. In questo studio Propp definisce ciò che mi era parsa una situazione curiosa, come l’effetto della «legge di trasferibilità», ovvero quel fenomeno per cui le componenti di una fiaba possono essere trasferite in un'altra senza necessitare alcuna modifica; questi elementi sono poi denominati funzioni e costituiscono i capisaldi della teoria di Propp5. Mi preme qui evidenziare la facilità con cui elementi, o funzioni, identici compaiono in diverse fiabe senza apparire per questo fuori luogo. Questa fluidità è la premessa ideale per rendere un prodotto oggetto di serializzazione, e inoltre ha reso possibile alle fiabe, nel corso del tempo, di cambiare pelle adattandosi sia alle aspettative dell'uditorio sia ai mezzi di trasmissione più innovativi e influenti dell’epoca. Un altro elemento fortemente innovativo rivelato da Propp, ma a mio parere finora poco valorizzato, è che una fiaba possa essere costituita da più movimenti (ovvero intrecci che si sviluppano a partire da un danneggiamento, o la percezione di una mancanza, nel tentativo di porvi rimedio da parte del protagonista, fino ad impiego di funzioni di scioglimento) o addirittura da più fiabe6. Ciò significa, portando il ragionamento alle sue estreme conseguenze, che una fiaba può essere teoricamente infinita. 3 Cfr. PROPP, Le radici storiche dei racconti di fate, Bollati Boringhieri, Torino, 2001. 4 Cfr. PROPP, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino, 1996. 5 Cfr. Ivi, p. 12. A mio modesto parere, se la ripetizione delle funzioni in fiabe dall'intreccio diverso è innegabile, la pretesa di Propp di stabilire un ordine in cui invariabilmente esse si presentano è se non un po' debole, quanto meno riduttiva, perché applicabile solo al numero ristretto di fiabe analizzate dall'accademico, tutte provenienti esclusivamente dalla tradizione russa e slava, quindi non propriamente occidentale. 6 Cfr. Ivi, pp. 98-102. 5 Sommando ad un racconto una fiaba che condivida con il primo dei punti di contatto, esperimento facilmente verificabile grazie alla fluidità delle funzioni, si può creare una catena di eventi molto molto lunga, che tenga il pubblico incollato al medium che lo trasmette. Questo è esattamente ciò che accade nelle produzioni contemporanee, come dimostrerò nei prossimi capitoli: Grimm7 ma soprattutto Fables8 e C’era una volta, dove la serialità è ancora più esplicita trattandosi di formule a ‘serial’ anziché a ‘serie’, sfruttano fiabe già note al pubblico per intrecciare nuove trame, rileggere personaggi classici, fornire agli antagonisti e non solo nuovi ruoli, proporre agli eroi nuove sfide, offrire agli spettatori nuovi spunti narrativi e nuove domande su quelle storie di cui pensavano di conoscere ormai ogni dettaglio. La parentesi terminologica che seguirà potrà forse apparire ridondante, in quanto il concetto di ripetizione e di serialità possono sembrare banali, dato che da anni siamo avvolti nel rumore e bombardati da immagini trasmesse da palinsesti che fanno ampio uso di questo formato, ma quando è necessario darne una definizione le possibilità si sprecano. Per tale ragione nell’affrontare questo studio è stata illuminante la raccolta di saggi curata da Francesco Casetti, L’immagine al plurale, che documenta, arricchita da contributi di altri studiosi, gli interventi dei critici presenti all’edizione 1983 del Convegno Internazionale di Studi sul Cinema e gli Audiovisivi, svoltosi ad Urbino. Nonostante spesso si faccia riferimento a questo testo per il merito di presentare una versione molto schematizzata e di facile lettura delle tipologie di ripetizione nell’audiovisivo stilate da Umberto Eco, sono varie le interpretazioni che gli studiosi danno della serialità, ed in particolare due sono parse le più inerenti a questo studio. 7 Grimm (USA, 2011- in corso) di D. Greenwlat, J. Kouf. 8 B. WILLINGHAM, Fables, DC Comics – Vertigo, 2002-in corso. 6 Giorgio Tinazzi nel suo saggio identifica nel complesso quattro tipi di serialità, che intendo qui illustrare perché costituiscono, a mio avviso, la spiegazione migliore del termine: la «serialità oggettuale» viene identificata nella produzione in serie di più oggetti, ed ha luogo ad esempio nel settore industriale; la «serialità esplicita» concerne l’esistenza di più varianti afferenti al medesimo schema formale e sostanziale, come può essere un racconto che funga da supporto a più apparati spettacolari, o, nel caso specifico, la riproposizione di alcune fiabe attraverso media differenti. Tinazzi parla di «serialità implicita» riferendosi a quelle formule in cui la presenza di uno schema sostanzialmente immutabile viene di volta in volta camuffata, arricchendo il modello di base di variazioni superficiali. È questa in ultima analisi la serialità attuata nelle serie televisive, come avrò modo di spiegare più diffusamente nei capitoli successivi. La «serialità intenzionale» invece ha luogo quando si effettua un richiamo nel contesto più ampio di un’opera originale, sia quando il rimando è ad un’opera propria (variazione sul tema, insistenze-verifiche, ri-formazioni) oppure a creazioni altrui (rifacimento, citazioni, varianti…)9. Per rendere completa questa descrizione credo sia necessario però aggiungere la definizione che Francesco Casetti dà della ripetizione come attributo della serialità, e con cui inaugura la raccolta, che riporto qui per intero: In particolare, la ripetizione appare come un ritorno di qualcosa che è insieme simile e diverso da quanto l’ha preceduto; dunque non come una riproposizione dell’identico (qual è il caso del calco o della copia) ma come una nuova occorrenza che mescola richiamo e originalità. Sorge allora il problema di scoprire che cosa nella ripetizione si palesa come eguale e che cosa invece si mostra come differente […]. La serialità invece sembra resa possibile dalla 9 Cfr. G. TINAZZI, La copia originale (serialità e invenzione), in L’immagine al plurale.