PALAZZO PUBBLICO A …E DINTORNI I Palazzi pubblici nel Medioevo

•I Palazzi Pubblici si diffusero dal XIII secolo, a partire dall’Italia settentrionale. Prima della loro realizzazione, fino al Duecento, le rappresentanze delle magistrature civili erano costrette ad essere itineranti o a riunirsi nelle chiese. I nuovi palazzi erano posti in diretto rapporto con lo spazio urbano, generalmente una piazza, separata da quella della chiesa principale. Il Palazzo pubblico era generalmente separato dalla cattedrale, a testimonianza di una palese contrapposizione politica tra i due sistemi di potere.

Nell’Italia settentrionale, generalmente, il palazzo presentava portici al piano terra, dove si svolgevano il mercato o assemblee pubbliche; al piano superiore era un ampio e luminoso salone per le riunioni del consiglio, con un balcone prospettante sulla piazza.

Vedi Palazzo pubblico a Bologna Nell’Italia centrale, i palazzi civici fungevano spesso anche da residenza dei magistrati e degli amministratori, per cui viene eliminata la loggia, luogo pubblico per eccellenza. Ne sono esempio il Palazzo della Signoria a Firenze e il Palazzo Pubblico di Siena.

PIAZZA DEL CAMPO •1169, è questo l’anno in cui viene diffuso un primo documento che parla di questa piazza. E’ l’anno in cui la comunità di Siena acquista questo terreno fragile e fangoso su cui convergevano le piccole strade dell’antica città. Verso la fine del 1100 il grande spazio viene diviso, probabilmente, da un ampio muro divisorio contribuendo a creare la caratteristica forma a conchiglia.

è un unicum tra le piazze realizzate in epoca medievale, notoriamente legate da una planimetria convenzionale. •Per qualche decennio la piazza adempie alla sua funzione di mercato e di sede per fiere •Nasce poi un grande progetto civico, che porta alla costruzione dell’edificio più importante della piazza: il Palazzo Comunale. PALAZZO COMUNALE

• Siamo negli anni novanta del XII secolo quando, dopo una riunione tra i magistrati e i rappresentanti dei cittadini residenti in zona, prendono finalmente avvio i lavori per la realizzazione dell’edificio. Per creare uniformità con lo spazio che via via prendeva forma, il governo senese emana una serie di norme volte alla modifica e alla ristrutturazione di tutte le abitazioni private poste nelle vicinanze dell’edificio. Un provvedimento tanto singolare quanto severo, ma che aveva un obiettivo ben preciso: nessuno doveva competere, né superare in grandezza, eleganza e originalità il Palazzo Comunale. I lavori durano all’incirca 11 anni. E’ nel 1308 che il palazzo viene ultimato nelle forme visibili ancora oggi. L’evento però coincide con un periodo difficile per la città di Siena. Una prima epidemia colpisce la città quarant’ anni prima di un’altra più devastante, che decimerà la popolazione. Il palazzo nel corso dei secoli non ha subito particolari modifiche, tranne che per alcune minime variazioni nel corso del Seicento. Questo è un aspetto interessante perché a tutt’oggi è possibile ammirare l’edificio nella sua originale configurazione, senza avere particolari differenze da quello che potevano vedere i cittadini senesi nel corso del Trecento. Palazzo Comunale, conosciuto anche come Palazzo Pubblico, diventa subito la sede del potere della Repubblica, all’epoca gestita dal cosiddetto Governo dei Nove, una rappresentanza eletta dal popolo. SALA DEL MAPPAMONDO •L’ambiente più grande all’interno del palazzo Comunale è quello della Sala del Mappamondo. Il suo utilizzo, vista la grande capienza, è finalizzato alle riunioni del Consiglio Generale della Repubblica, che in questo ambiente si trovava a discutere dei problemi dei cittadini senesi e delle norme da varare. •La sala non è importante solo per il suo ruolo politico, ma anche per quello artistico. E’ infatti il primo ambiente dove prende vita un vasto programma di decorazione che prevede l’abbellimento di tutto il palazzo.

La Maestà di Nella Sala del Mappamondo viene realizzata l’opera più grande dell’intero edificio, la “Maestà” realizzata da Simone Martini. Per Simone Martini, un giovane e talentuoso artista, la realizzazione di quest’opera è un’occasione da non perdere, una grande opportunità professionale da portare a compimento nel migliore dei modi. Riesce infatti nel suo intento, realizzando un dipinto definito unanimemente sublime, accuratamente definito in ogni minimo dettaglio. Il soggetto preso in considerazione è la Madonna, una figura a cui i senesi sono da sempre particolarmente devoti. Maria è al centro del dipinto, seduta su un trono e circondata dai Santi. Due angeli sono inginocchiati in primo piano, e sono raffigurati mentre porgono alla Madonna dei cesti di fiori. Mentre i Santi al suo cospetto presentano suppliche per proteggere la città. La Madonna nel dipinto è intenta ad accogliere tali suppliche, assicurando la sua protezione su Siena e al tempo stesso rassicurando così coloro che sono accorsi da lei, ma ad una condizione ben precisa, governare con criterio. Il tema scelto è coerente con le ambizioni e con la politica della Repubblica senese, rappresentando senza ombra di dubbio quello che può essere considerato un vero e proprio primo richiamo al Buon Governo. Maria si rivolge al Consiglio dei Nove, esortandoli a governare secondo principi morali e religiosi. La Maestà non è soltanto un’opera da ammirare con gli occhi, ma anche da • leggere: infatti, il colloquio che «Dilecti mie, ponete nelle intercorre tra la Vergine e la corte menti/ Che li devoti vostri celeste non è lasciato preghi onesti/Come vorrete all’immaginazione dello spettatore, ma è ricostruibile attraverso la lettura delle voi farò contenti,/ Ma se i molte iscrizioni che compaiono potenti a’debil fien molesti/ nell’affresco e che ne evidenziano l’alto significato civile, oltre che religioso. Gravando loro con vergogna Nei versetti in lingua volgare, dunque o danni,/ Le vostre orazion comprensibili a tutti, posti alla base del trono, Maria si rivolge ai non son per questi/ Né per committenti, al Consiglio dei Nove, qualunque la mia terra esortandoli a governare secondo principi morali e religiosi. inganni». •Vengono indicati i princìpi morali su cui deve sostenersi il buon governo. Sono espressi come se si trattasse di consigli pronunciati dalla Madonna e rivolti ai governanti della città. Del resto, anche nel cartiglio che il Bambino reca – realizzato in vera carta applicata e scritto con autentico inchiostro – si legge un imperativo di uguale significato, tratto dal Libro della Sapienza: «Diligite Iustitiam qui iudicatis terram», concetto sul quale si fonda anche la complessa Allegoria del Buon Governo, affrescata da Ambrogio Lorenzetti nella sala attigua a quella della Maestà. Simone Martini, qualche anno dopo, nel 1328 realizza un altro dipinto destinato a diventare un altro suo celebre capolavoro, “Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Monte Massi”. E’ un’opera dal tema insolito per l’arte di quel tempo, è infatti una delle prime vedute a volo d’uccello nella storia dell’arte. Ed in questo caso uno degli esempi di raffigurazione delle conquiste di Siena di quegli anni. Come a voler dimostrare il successo della politica intrapreso in quel periodo. E’ di fatto una vera e propria pittura di cronaca, molto distante dalle innumerevoli opere a carattere religioso che raffiguravano figure sacre o in cui figure umane venivano rappresentate solo ed esclusivamente in funzione di raccordo alle tematiche sacre, in una sorta di intermediazione tra uomo e divinità. L’affresco è assai controverso, sia per quanto riguarda il soggetto, sia per quanto riguarda l’autore, che a lungo, comunque, è stato identificato in Simone Martini. A tutt’oggi, la questione rimane insoluta: alcuni studiosi continuano a considerarlo un capolavoro martiniano, riconoscendovi in particolare «la dipentura…di et Sassoforte nel Palazzo del Comune», ricordata dai documenti archivistici, per la quale Simone fu pagato sedici lire; altri, invece, sostengono si tratti dell’affresco con La presa del castello di Giuncarico, attribuito dalle fonti a di Buoninsegna; infine, altri ancora avanzano i nomi di Pietro Lorenzetti e Memmo di Filippuccio. In ogni caso, si tratta di un’immagine di grande bellezza. Che – nonostante le traversie ed i rifacimenti subìti nei secoli – conserva ancora la sua suggestione, dominata dalla figura del cavaliere silente che, con solennità, passa attraverso le crete brulle del paesaggio maremmano. Degna di un grande artista è l’invenzione della palizzata che, in calce all’affresco, digrada sino a scomparire sotto la cornice, per poi riemergere a destra, nei pressi dell’accampamento. Guidoriccio da Fogliano, che nel 1328 – data storica della presa del castello di Montemassi – era capitano dell’esercito senese, appare ammantato, così come la sua cavalcatura, da una veste ricamata con le insegne familiari: losanghe blu scuro da cui si dipartono stilizzati pampini su fondo d’oro. In origine, la veste e la gualdrappa erano ricoperte di sottili lamine di stagno argenteo, che, applicate a secco, andarono presto perdute. La struttura difensiva che si trova quasi al centro della scena, tra il castello e l’accampamento dei senesi, è un «battifolle», ossia una fortezza, che veniva eretta dagli assedianti per proteggersi, ma anche per attaccare. Sotto al "Guidoriccio" è stato rinvenuto una ventina d'anni indietro un altro affresco di tema analogo, anch'esso di eccelsa mano, raffigurante "Due personaggi e un castello". Il fatto che l'opera sia stata presto ricoperta da uno strato di intonaco ci fa mancare qualsiasi tradizione attributiva. Dopo un vivace dibattito le posizioni più serie e documentate riferiscono il dipinto all'ultima attività di Duccio, la cui attività di freschista, finora poco nota, è stata recentemente riconosciuta in numerosi episodi nel territorio senese. L'affresco fu probabilmente eliminato, insieme alla maggior parte degli altri, raffiguranti le terre e i castelli conquistati da Siena, perchè si ritenne di sostituirli con il grande "Mappamondo" di Ambrogio Lorenzetti, ormai perduto da tre secoli e di cui ci manca una descrizione soddisfacente, anche se si presume che contenesse l'immagine della città al centro, circondata dal suo Stato e, a sfumare, tutte le altre terre conosciute. Della elaborata macchina girevole, consistente in un grandissimo disco di legno e cartapecora, non restano che le impronte impresse dall'uso sulla parete ma la sua memoria ha fatto sì' che alla Sala venisse assegnato il suo nome. Sotto al "Guidoriccio" il Sodoma dipinse,nel 1529, due dei Santi protettori senesi: "San Vittore" e "Sant' Ansano".

Sulla parete davanti alle finestre, nella parte alta, sono raffigurate la "Battaglia della Val di Chiana" ad opera di Lippo Vanni ( 1363 ) e la "Battaglia del Poggio Imperiale" contro i fiorentini, dipinta da Giovanni di Cristofano Ghini e da Francesco d' Andrea. SALA DI BALIA • L’interno del palazzo viene allestito in virtù delle esigenze repubblicane e governative. Una zona in particolare viene utilizzata per ospitare la Magistratura di Balia, un organo dedito all’esecuzione pratica delle decisioni prese precedentemente dal Concistoro. La sala di Balia è molto particolare, perché rispetto agli altri ambienti del palazzo viene affrescata da Spinello Aretino, un artista non proveniente da Siena, ma da Arezzo. Il pittore aretino dipinge sulle pareti le storie di Alessandro III, un pontefice senese a cui viene riconosciuto il merito di aver combattuto a lungo al fianco dei comuni contro Federico Barbarossa, lo storico Imperatore del Sacro Romano Impero che mal vedeva l’eccessiva autonomia ed organizzazione di una serie di comuni sparsi lungo il territorio italiano. Negli episodi raffigurati nelle pareti vengono descritte le gesta del pontefice in merito a queste vicende. Gli episodi più suggestivi e spettacolari sono quelli realizzati sopra i portali della sala, La “battaglia di Punta San Salvatore” è il primo episodio raffigurato in cui si contendono la vittoria finale le flotte dei veneziani, alleati con il papa, e i tedeschi. Un episodio singolare, in quanto pare invece che tale battaglia non solo non ha mai avuto luogo, ma l’oggetto del contendere pare sia stato risolto a seguito di una serie di incontri diplomatici. •L’altro episodio è invece inerente al ritorno a Roma di Alessandro Terzo. Il papa era stato precedentemente cacciato da Roma, che aspirava a diventare un comune indipendente sul modello delle altre realtà sparse nella penisola italiana. Il rientro nella Città Eterna avviene nel 1178, un anno dopo aver siglato la pace con Federico Barbarossa, che dopo le ostilità durate anni, decide di optare per più miti accordi con il pontefice. SALA DEL CONCISTORO • Se nella Sala del Mappamondo si riuniva il Consiglio Generale, è nella Sala del Concistoro che avevano sede le riunioni del Governo della Repubblica. Ruolo questo che rimane invariato nel corso dei secoli, fino alla fine del Settecento. La Sala ha al suo interno uno dei più grandi capolavori del manierismo italiano, il Ciclo delle Virtù pubbliche e dei relativi esempi desunti dalla storia greca e romana. E’ un dipinto di , pittore e scultore senese che del Manierismo era uno dei massimi esponenti. Viene realizzato tra il 1529 e il 1535 e il tema scelto per l’opera ricalca quello del Buon Governo, già visto a Palazzo. L’intento è chiaro: richiamare continuamente il popolo senese a tutti quei principi in grado di orientare positivamente i rappresentanti eletti al governo. E sono tre le virtù fondamentali che deve avere l’esecutivo per essere definito un Buon Governo: l’Amore per la Patria, la Giustizia e la Mutua benevolenza. Sono virtù raccontate non solo sulla volta, ma anche nei ritratti di antichi governanti collocati sull’ampia cornice sottostante, che meglio di altri le rappresentano. Com’ è l’Amore per la patria, che ha avuto Codro, l’ultimo re di Atene, che nonostante fosse stato allertato da un oracolo che avrebbe vinto contro i nemici solo sacrificando la sua vita, non esita a immolarsi per la causa, la sua patria. O come la Giustizia, meglio rappresentata dall’episodio del re Seleuco di Locri, che per rispettare alla lettera le leggi da lui stesso promulgate, non si esime dal punire il proprio figlio coplevole di stupro, cavandogli un occhio senza nessun tipo di sconto e riguardo. Oppure infine la Concordia, culminata nella riconciliazione pubblica dei romani Emilio Lepido e Fulvio Flacco, nemici acerrimi fino alla comune lezione a censori, motivo che costringe i due, in virtù della ragione di stato, a mettere da parte le vicende private. SALA DEI NOVE • La sala più famosa del Palazzo è senza ombra di dubbio la Sala dei Nove. E’ stata chiamata nei modi più svariati nel corso degli anni, è stata Sala delle Balestre, Sala del Buon Governo, perfino della Pace. Non è cambiato invece lo spirito della sala, che incarna appieno la mentalità del Governo dei Nove, che con gran grande successo opera a Siena tra il 1287 e il 1355, periodo in cui, fatta eccezione per la devastante peste del 1348 la città ha uno sviluppo economico e artistico straordinario, senza precedenti e senza eguali. • La sala era adibita al ricevimento degli ospiti più prestigiosi, per questo anche la decorazione pittorica al suo interno doveva riprendere nel modo più assoluto quegli ideali di Buon Governo che tanto ispiravano i rappresentanti del popolo chiamati a governare su Siena. I Nove, per la decorazione pittorica, privati di Simone Martini, che nel frattempo era partito per Avignone al servizio del Papa, si affidano a colui che al tempo rimane il principale interprete della scuola senese: Ambrogio Lorenzetti. Il pittore realizza per la Sala dei Nove l’Allegoria del Buon Governo. Il dipinto non è altro che la rappresentazione di quel concetto che divide i poteri tra Governo, raffigurato con le sembianze di un vecchio saggio vestito di bianco e nero, ovvero con i colori di Siena, e la Giustizia, che ha con sé la bilancia, simbolo di equità. Mentre il Governo ha dalla sua l’apporto delle virtù cristiane, che lo aiutano nell’operare, la Giustizia viene assistita dalla Sapienza. Dai piatti della bilancia della Giustizia si diparte un doppio filo, poi riunito dalla figura della Concordia e consegnato da questa a 24 cittadini che lo riconducono al Governo, a significare che la separatezza dei poteri, secondo l’antica concezione dello Stato, deve conoscere aspetti di vicinanza, garantiti dalla partecipazione dei cittadini alla gestione degli aspetti pubblici. • Negli altri lati del dipinto gli scenari cambiano, in un lato è schierato l’esercito con dei prigionieri in catene, altro simbolo di equilibrio politico, in un altro, posto sopra la porta d’accesso, sono raffigurati gli effetti del Buon Governo in città e in campagna. Questi non sono elementi astratti, come le raffigurazioni allegoriche delle altre scene del dipinto. Quella che vediamo è davvero Siena e il suo territorio, raffigurata mettendo ben in evidenza tutte le sue migliori caratteristiche. Viene esaltato il fervore medievale della città: i commerci, le manifatture, la costruzione di nuovi edifici, i traffici intensi lungo tutta la città, il tutto sotto l’ala protettiva di una particolare figura: la Securitas.

• Se da una parte questi sono tutti gli effetti positivi di un Buon Governo, Lorenzetti non si esime dal raffigurare, in modo opposto, quali sono gli effetti di un Cattivo Governo, con un’allegoria totalmente opposta. Il Cattivo Governo è rappresentato dalla Tirannia, un modo di esercitare il proprio potere senza guardare al bene del popolo, ma badando solo ed esclusivamente ai propri interessi. Per raggiungere questo bieco scopo, il Tiranno neutralizza una Giustizia, che qui è raffigurata legata e spogliata, e si tiene ben stretto tutti i suoi Vizi. Lo scenario di tale egoismo si riflette sulla disperazione della popolazione e sulla devastazione della città e della campagna, ridotte a teatro di morte e distruzione, in cui l’unico lavoro possibile è la produzione continua di armi, quasi a contribuire ancora di più all’ignobile desiderio distruttivo.

SALA DEL RISORGIMENTO • Molti ambienti all’interno del palazzo Comunale rimangono invariati nel corso dei secoli, altri però si prestano ai cambiamenti politici e sociali della storia, come il caso della Sala del Risorgimento, inaugurata nel 1890, e conosciuta anche come Sala di Vittorio Emanuele Secondo. Un tributo della città di Siena al primo re d’Italia. E’ un grande ambiente che in precedenza ospitava da una parte le udienze del podestà e dall’altra i trombetti del Comune. L’intento è quello di riproporre l’antica abitudine di celebrare determinati avvenimenti sulle pareti del Palazzo, usanza che nel corso dei secoli si era affievolita fino ad essere quasi nulla nel corso del Seicento e del Settecento. • La celebrazione di re Vittorio Emanuele Secondo, all’interno del Palazzo, è lo spunto ideale per un nuovo ciclo pittorico, che viene commissionato a Luigi Mussini, che di queste opere ne è il coordinatore. Vengono così riproposte alcune tappe fondamentali della vita e della carriera del re, come l’incontro tra Vittorio Emanuele Secondo e il generale Radetsky a Vignale, per la firma dell’armistizio che poneva termine alla prima guerra di Indipendenza italiana, oppure il celeberrimo incontro di Teano tra Giuseppe Garibaldi e il re. Tappe quindi fondamentali, ma anche un dipinto che raffigura la sua morte, il trasporto della salma di Vittorio Emanuele Secondo al Pantheon. Sulla falsa riga di quelle che nei secoli precedenti erano state un vero e proprio status symbol del Palazzo, vengono realizzate anche delle allegorie, affrescate tra il 1886 e il 1888, raffiguranti l’Italia libera e tutte le regioni che formavano lo Stato nato da pochi decenni.

FONTANA GAIA •L’edificazione del Palazzo Comunale ed il conseguente adeguamento delle residenze limitrofe non rappresentano l’assetto completo di quella che sarà poi definitivamente Piazza del Campo. Nel 1346 prende vita la Fontana Gaia, posta al centro della Piazza, è il risultato di un’importante opera idraulica. Per il passaggio dell’acqua viene costruita una galleria lunga ben 30 chilometri, sottoposta a manutenzione e migliorie continue anche nei secoli successivi. Realizzata in marmo nei primi decenni del Quattrocento, viene decorata con una serie di bassorilievi.

TORRE DEL MANGIA • Due anni dopo l’installazione della fontana, viene ultimata la realizzazione della cosiddetta . E’ chiamata così perché l’incarico della sua costruzione viene affidato inizialmente a Giovanni di Balduccio, a cui viene presto dato il soprannome “Mangiaguadagni”, per via delle sue pessime abitudini finanziarie, capaci di portarlo ad un continuo sperpero dei suoi guadagni. Viene realizzata dai fratelli Francesco e Nuccio di Rinaldo, che la terminano nel 1348. Per Piazza del Campo è una torre che rappresenta tanto il potere quanto l’eleganza. E’ alta ben 87 metri e sulla sua estremità viene posta, circa tre secoli dopo, nel 1666, una grande campana, chiamata dai cittadini “Il campanone”. L’anno di realizzazione della torre del Mangia, il 1348, è lo stesso di un evento che segna in modo inconfondibile tutta l’Europa. Una devastante epidemia di peste decima la popolazione di tutto il continente. E’ la cosiddetta “peste nera”, che miete milioni di vittime, un inferno senza apparente fine che fa sparire interi paesi, intere città, e porta i cittadini a rassegnarsi ad una imminente ed atroce morte. Neanche Siena riesce ad essere immune all’epidemia. La vicina Firenze aveva perso l’80% dei suoi abitanti, mentre la città senese si era drasticamente ridotta a meno di 16.000. CAPPELLA •Al termine dell’epidemia la cappella progettata qualche anno prima ai piedi della Torre del Mangia viene ultimata e in un certo senso considerata dai senesi come ringraziamento per la fine dell’epidemia. E’ una cappella che presenta forme gotiche al suo esterno, mentre l’interno è caratterizzato da una serie di arcate rinascimentali realizzate circa un secolo dopo l’edificazione della struttura.