Domenico Cotugno E Antonio Miglietta: Dal Protomedicato Al Comitato Centrale Di Vaccinazione

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Domenico Cotugno E Antonio Miglietta: Dal Protomedicato Al Comitato Centrale Di Vaccinazione L'IDOMENEO Idomeneo (2014), n. 17, 153-174 ISSN 2038-0313 DOI 10.1285/i20380313v17p153 http://siba-ese.unisalento.it, © 2014 Università del Salento Domenico Cotugno e Antonio Miglietta: dal Protomedicato al Comitato centrale di vaccinazione Antonio Borrelli 1. I rapporti fra Domenico Cotugno, il più celebre medico e scienziato meridionale tra Sette e Ottocento, e Antonio Miglietta, il principale artefice della pratica vaccinica nel Regno delle Due Sicilie, sono stati solo accennati da qualche studioso e solo per la loro contemporanea partecipazione al Comitato centrale di vaccinazione, sorto in epoca francese1. In realtà i rapporti fra i due furono molto più intensi e riguardarono, in particolare, il loro contributo alla riforma del Protomedicato, una istituzione che agli inizi dell’Ottocento versava in una crisi profonda, dalla quale, al di là degli sforzi dei singoli che ne fecero parte, non si riprese più. Fra Cotugno e Miglietta, entrambi di origine pugliese, vi era una notevole differenza di età. Il primo era nato a Ruvo di Puglia, in una modesta famiglia di agricoltori, il 29 gennaio 17362; il secondo a Carmiano, presso Otranto, in una famiglia appartenente alla piccola nobiltà, l’8 dicembre 17673. Un periodo che fu di grande rilevanza per le sorti del Regno delle Due Sicilie. Divenuto autonomo nel 1734 con Carlo di Borbone, fu governato dal 1759, dopo la partenza del sovrano per la Spagna, dal figlio Ferdinando che, avendo solo otto anni, fu affiancato da un consiglio di reggenza, tra i cui membri figurava Bernardo Tanucci. Furono gli anni della costruzione dei grandi edifici pubblici, simboli della regalità4, dell’avvio degli scavi di Ercolano e Pompei, della fondazione della Reale Accademia Ercolanese, dell’insegnamento universitario di «meccanica e commercio» di Antonio Genovesi, 1 Cfr. G. IACOVELLI, Gli acquedotti di Cotugno. Medici pugliesi a Napoli tra Illuminismo e Restaurazione, Galatina (Lecce), Congedo, 1988. 2 Sulla figura di Cotugno la bibliografia è molto vasta, si rinvia pertanto ad A. BORRELLI, Istituzioni scientifiche medicina e società. Biografia di Domenico Cotugno (1736-1822), prefazione di M. TORRINI, Firenze, L.S. Olschki, 2000, e a C. TISCI, Domenico Cotugno, l’Ippocrate napoletano, in F. P. DE CEGLIA, a cura di, Scienziati di Puglia. Sec. V a.C. - XXI d.C., Bari, Mario Edda editore, 2007, pp. 130-133. 3 Su Miglietta cfr., anche per la bibliografia, C. TISCI, Antonio Miglietta, l’apostolo della “vaccinica”, in F.P. DE CEGLIA, a cura di, Scienziati di Puglia. Sec. V a.C. - XXI d.C., cit., pp. 193-195; S. ARIETI, Miglietta, Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1960-, 74 (2010), pp. 364-365. 4 Il Teatro San Carlo, l’Albergo dei Poveri, il Foro Carolina, a Napoli; le regge di Caserta, Capodimonte e Portici. Antonio Borrelli della diffusione delle teorie newtoniane, delle prime discussioni sullo statuto della medicina e sul ruolo dei medici nella società5. Dopo i primi studi presso il Seminario di Molfetta, Cotugno arrivò alla fine del 1753 a Napoli, dove visse questo clima di rinnovamento, ascoltò le lezioni di Genovesi, iniziò, dopo il conseguimento della laurea, i suoi primi esperimenti in un’angusta cameretta dell’Ospedale degl’Incurabili e dove, infine, intraprese la sua carriera scientifica e accademica. L’anno prima della nascita di Miglietta, Cotugno aveva già compiuto le sue più importanti scoperte, a cominciare da quella sugli acquedotti dell’orecchio, pubblicato le sue principali opere e ottenuto, non senza difficoltà, quantunque già famoso in Italia e all’estero, la cattedra di Anatomia. Dopo una buona preparazione a Lecce, città denominata all’epoca, per il numero e la qualità dei dotti che vi risiedevano, «l’Atene del Regno»6, Miglietta arrivò nella capitale, probabilmente tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, per frequentare la Facoltà di Medicina. Uno dei suoi maestri fu proprio Cotugno, che in quegli anni, insieme a Giovanni Vivenzio, Michele Troja e Giuseppe Saverio Poli, aveva trasferito l’insegnamento medico dalle aule universitarie del Palazzo degli studi alle corsie dell’Ospedale degl’Incurabili, dove erano stati allestiti anche un Teatro anatomico e un Laboratorio di fisica sperimentale7. Quel trasferimento era stato il naturale coronamento di quanto Cotugno aveva scritto in quel piccolo capolavoro che è il Dello spirito della medicina, l’orazione tenuta ai docenti e agli studenti degl’Incurabili nel 1772 e che costituì ben presto il manifesto della nuova medicina napoletana e, per tanti aspetti, italiana del secondo Settecento. Un testo che dovette leggere anche il giovane Miglietta, apprezzandone i risvolti pratici, l’invito ad abbandonare ogni sistema, il proclamare, senza tentennamenti, che la medicina aveva bisogno solo di «fatti», vagliati naturalmente dai lumi della ragione. Per Cotugno il medico non poteva conoscere le cause ultime dei fenomeni del corpo umano, considerato che questo tipo di domande rientravano più nelle indagini della 5 Una panoramica storico-critica delle scienze a Napoli nel periodo considerato cfr. M. TORRINI, Dagli Investiganti all’Illuminismo: scienza e società a Napoli nell’età moderna, in Storia del Mezzogiorno, IX, Aspetti e problemi del Medioevo e dell’età moderna, 2, Roma, Edizioni del Sole, 1992, pp. 603-630; in particolare per la medicina cfr. A. BORRELLI, Medicina e società a Napoli nel secondo Settecento, in «Archivio storico per le province napoletane», CXII, 1994, pp. 123-177; R. MAZZOLA, Saggi sulla cultura medica napoletana della seconda metà del Settecento, Napoli, La Città del Sole, 2009. 6 «Premurosi i genitori di fornirgli l’animo di ogni genere di ammaestramenti inviarono a profittare della istruzione di presentissimi uomini, questi si furono il Palmieri, il Briganti, il Tafuri, il de Leo, il Presta, il Moschettini, che a quei dì rendevano Lecce l’Atene del Regno» (C. MIGLIETTA, Elogio-storico del professore Antonio Miglietta. Omaggio di riconoscenza e di affetto […], Napoli, Dalla Tipografia del Filiatre- Sebezio, 1831, pp. 5-6). 7 Cfr. A. BORRELLI, Le origini della Scuola medica dell’Ospedale degl’Incurabili di Napoli, in «Archivio storico per le province napoletane», CXVIII, 2000, pp. 135-149. 154 Domenico Cotugno e Antonio Miglietta metafisica che della medicina. Lo scienziato di Ruvo di Puglia anticipava nella sua orazione quello che, qualche anno dopo, affermerà Pierre-Jean Cabanis nel suo celebre Du degré de certude de la médecine, scritto nel 1788-89 e pubblicato nel 1798: L’uomo non conosce l’essenza di checchessia, né quella della materia, che ha sempre sotto gli occhi, né quella del recondito principio che la vivifica e determina tutti i fenomeni dell’universo. L’uomo parla spesso delle cause che si lusinga di aver scoperto come di quelle che lamenta di non poter scoprire; ma le vere cause, le cause prime, rimangono a lui nascoste quanto l’essenza delle cose: non ne conosce nessuna8. In fondo le idee di Cotugno e di Cabanis sono molto vicine a quelle di Miglietta che, trattando delle funzioni degli organi, affermava che bisognava separare nettamente «i fatti dalle ipotesi» e che nella «scienza della vita» «i punti più essenziali» rimanevano «involti in un gran numero di dubbj», molti dei quali forse l’uomo non sarebbe mai riuscito a sciogliere9. Al di là di questi aspetti più prettamente teorici, l’assonanza tra l’ideale di medicina di Cotugno e quello di Miglietta consisteva nella convinzione che essa doveva avere un forte scopo sociale: salvare la vita a quante più persone possibile, a nobili e plebei, a chiunque, in città e in campagna, produceva, con il suo lavoro, ricchezza e prosperità per la collettività. Cotugno e Miglietta, come si vede, avevano fatto proprio uno dei concetti chiave della cultura e della medicina illuministiche: negli Stati moderni la «pubblica felicità» si raggiungeva, quando si raggiungeva, soprattutto con la sanità pubblica e la cura del benessere fisico e morale dei cittadini. Nella seconda metà del Settecento lo Stato e i medici dovevano considerare questa attività come un compito irrinunciabile e un dovere primario. Le istituzioni mediche, dall’ospedale al Protomedicato, dovevano costituire l’ossatura del sistema sanitario pubblico, nel quale i medici si svincolavano, anche economicamente, 8 P.-J. CABANIS, La certezza della medicina, a cura di S. Moravia e con traduzione di G. Cantelli, Roma-Bari, Laterza, 1974, p. 39. 9 C. MIGLIETTA, Elogio-storico del professore Antonio Miglietta, cit., p. 14. La grande scoperta di Cotugno fu ricordata con queste parole da Antonio Miglietta: «Ma in qual epoca non sarà richiamata con applauso l’attenzione del notomista e del fisiologo su le acque e gli acquedotti Cotunniani; su le novità discoperte da questo chiarissimo professore nel quinto pajo de’ nervi e soprattutto sul nervo orbicolare della prima branca di esso; su quelle che concernano il nervo stenoniano che di già tutto il mondo conosce? Noi attendiamo frattanto dalla stessa mano benefica de’ doni ulteriori e non meno considerevoli: tra gli altri la pubblicazione di un esimio travaglio sul plesso nervoso timpanico ci si fa sperare non lontana» (A. MIGLIETTA, Prolusione accademica per l’inaugurazione della cattedra di storia medica nella Regia Università degli studj di Napoli, Napoli, Nella Stamperia della Società Tipografica, pp. 6-7). 155 Antonio Borrelli dallo status di servitori delle persone ricche e facoltose, per diventare dei liberi professionisti che si guadagnavano da vivere con l’antica «arte di Ippocrate»10. Conseguita la laurea, Miglietta, pur ottenendo un posto di «medico pratico» nell’Ospedale di San Giacomo, soppresso di lì a qualche anno, preferì tornare a Lecce, dove nel 1790 fu nominato professore di Medicina nella locale Università. «Le mie lezioni furono colà interrotte nel fatale vortice del 1799, che trasse sul mio capo memorandi mali», scriveva in una memoria non datata ma successiva al 181011. Alludeva alla sua partecipazione ai moti rivoluzionari di quell’anno, che gli costò un anno di carcere.
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