Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE

Corso di laurea in Culture e Diritti Umani

Elaborato in storia e istituzioni dell’Africa Sub-Sahariana

VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI NEL SAHARA

OCCIDENTALE

Candidato Relatore Chiar.ma Prof.ssa Margherita Molinazzi Anna Maria Gentili

Sessione I

Anno Accademico 2005/2006

Introduzione

Capitolo 1: Gli anni di piombo”: le violazioni dei diritti umani sotto il regime di Hassan II Capitolo 2 : La svolta di Mohamed VI ?

Capitolo 3 : La rispta pacifica dei difensori dei diritti umani

Conclusioni

Bibliografia

INTRODUZIONE

Una scelta di lotta

La questione del Sahara Occidentale, dimenticata dall’opinione pubblica mondiale e lasciata ai margini nella scena politica internazionale, mi ha sempre colpito per la determinazione del suo popolo e dei suoi rappresentanti di continuare a credere nelle organizzazioni internazionali e in una risoluzione pacifica del conflitto.

Visitando i campi profughi Saharawi, nonostante il disagio sociale determinato da trent’anni di esilio, è ammirevole constatare l’organizzazione pubblica basata sui principi solidali e democratici in cui è fondamentale il ruolo dell’educazione e dell’identità Saharawi. Non mi dilungherò sulla situazione dei rifugiati in , ma concentrerò il mio studio sulla questione dei diritti umani nel territorio “al di là del muro”, ovvero nel Sahara Occidentale.

La totale mancanza di informazione sulle condizioni della popolazione nei territori occupati, determinata da una mirata politica del governo marocchino di completa omertà, rende senz’altro questa problematica sconosciuta e di conseguenza distante dall’opinione pubblica mondiale. Inoltre a livello internazionale sembra cieca la volontà dei governi di prendere posizioni forti sulle continue violazioni dei diritti umani (dall’occupazione Marocchina ad oggi) nel Sahara Occidentale.

Questa mia curiosità nel volere approfondire un tema di tale importanza è nata a seguito di incontri avvenuti a Bologna con i due principali attivisti dei diritti umani nei territori occupati, nel giugno del 2005 Tamek e nel giugno di quest’anno : le loro visite in Europa hanno la finalità di mettere in luce quelle violazioni dei diritti fondamentali oscurate a livello mondiale.

Fin da subito sono stata profondamente colpita dalle loro storie soprattutto per l’immenso coraggio dimostrato, come tutto il popolo saharawi, nel portar avanti una scelta di lotta pacifica, nonostante siano evidenti le repressioni e le violenze subite sulla loro pelle. Nelle pagine seguenti affronterò le violazioni che sono state commesse sotto il regime di Hassan II per poi passare a verificare se effettivamente il figlio Mohamed VI, come promesso, ha effettuato un radicale cambiamento, che avrebbe dovuto consistere nella denuncia delle violazioni commesse dal padre e nell’inizio di un nuovo processo di democratizzazione. Tale processo è auspicato da alcuni paesi europei, che, come la Francia, aderiscono ai principi stipulati dalla Convenzione sui Diritti Umani. Concluderò infine con le possibili tragiche conseguenze determinate dal protrarsi del disinteresse dell’opinione pubblica e dei governi sulla questione dei diritti violati nel Sahara Occidentale.

Inquadramento storico – politico: un conflitto senza fine. Il conflitto del Sahara Occidentale si distingue per il suo negato diritto al processo di decolonizzazione avvenuto negli anni ‘701 [1] . Dopo più di trent’anni di occupazione marocchina, nonostante la causa principale del conflitto sia stata generata da un paese occidentale (la Spagna coloniale) e nonostante vi siano state innumerevoli risoluzioni di carattere internazionale (ONU e UA), il Sahara Occidentale è l’unico paese Africano a non avere ancora ottenuto il diritto all’autodeterminazione del proprio popolo.

Territorio di 280.000 kmq che si affaccia sull’Atlantico nell’Africa Nord Occidentale, il Sahara Occidentale è sempre stato rivendicato dai paesi confinanti: a sud dalla Mauritania e a nord dal Regno Alauita con il suo progetto del “Grande Marocco”2 [2] . Il problema della “marocchinità” dell’ex Sahara Spagnolo è tuttora sostenuto dal Re Mohamed VI che rivendica per la casa reale ogni iniziativa e decisione sulle “Province del Sud”3 [3] , nonostante la sentenza dalla Corte Internazionale di giustizia dell’ Aja del 1975. La Corte, fu interpellata dagli stessi paesi confinanti per verificare, prima dell’applicazione del principio dell’autodeterminazione, le origini e i rapporti giuridici con il Marocco e la Mauritania prima dell’occupazione Spagnola. Si pronunciò con una sentenza secondo cui tale territorio non era “terra di nessuno” ma esisteva un popolo con una propria organizzazione e aggiunse che “gli elementi e le notizie in nostro possesso non consentono di stabilire l’esistenza d’alcun legame di sovranità territoriale tra il territorio del Sahara Occidentale, da una parte, e il regno del Marocco o lo Stato maritano dall’altra”4 [4] . Nonostante ci fossero tutte le condizioni per l’applicazione della risoluzione 1514 (XV) 1960, il processo di decolonizzazione del territorio non si effettuò.

Sotto la pressione di Hassan II che, a seguito della sentenza della Corte dell’Aja, promosse nello stesso anno “la Marcia Verde” (appoggiata da Francia e Stati Uniti) verso le frontiere del Sahara Occidentale, si diede inizio a negoziati segreti tra Spagna, Marocco e Mauritania che determinarono la spartizione e “la nuova colonizzazione” del Sahara Occidentale.

La popolazione civile che vive nei territori occupati sta subendo tuttora le conseguenze della negligenza della Spagna che, nell’accordo firmato a Madrid nel ’75, decise di cedere la sua colonia ai futuri occupanti (a Nord il Regno Alauita e a Sud la Mauritania).

In seguito la forte repressione e i bombardamenti aerei da parte delle autorità marocchine costrinsero 200.000 Saharawi a rifugiarsi nel deserto dell’Hammada in

1 [1] Marco Galeazzi, La questione del Sahara Occidentale: profilo storico e documentazione, Fondazione Internazionale, Lelio Basso, Roma, 1985.

2 [2] Elvio Mancinelli , L’odissea del popolo Saharaoui, edizione dell’Arco, Bologna, 1998.

3 [3] Discorso del Re alla Nazione sulle “Province del Sud”, Marocco, 25/03/06

4 [4] Marco Galeazzi,La questione del Sahara Occidentale: profilo storico e documentazione, Fondazione Internazionale, Lelio Basso, Roma, 1985. Algeria5 [5] . Mentre il resto della popolazione che non riuscì a scappare è rimasta sotto l’occupazione. Ancora oggi, dopo più di trent’anni le intere famiglie che si divisero non si sono ancora ricongiunte.

Con l’ inizio del conflitto tra l’esercito di Hassan II e il Fronte POLISARIO ( Fronte Popolare di Liberazione del Saguia el Hamra e Rio de Oro, fondato nel 1973)6 [6] la causa del popolo Saharawi echeggiò nell’arena internazionale. Tra il 1979 e il 1980 quarantatre paesi membri dell’ONU, di cui ventisei nel solo continente Africano,hanno riconosciuto la RASD (Repubblica Araba Saharawi Democratica)7 [7] .

Nel 1979 la Mauritania firmò la tregua con il FP e si ritirò dai territori occupati nel 1975 e il Marocco subentrò immediatamente occupando così l’intero Sahara Occidentale.

Dopo anni di guerra nel 1990 vennero firmati gli accordi di pace con la mediazione delle Nazioni Unite. Il piano previde il cessate il fuoco, il dispiegamento di forze Onu ma, soprattutto, un referendum di autodeterminazione (indipendenza o integrazione al Marocco). L’accordo di pace contenuto nella risoluzione S/21360 del 18 Giugno 1990 prevedeva “ " un cessate il fuoco…. seguito da uno scambio di prigionieri sotto il controllo del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR)"e la liberazione “prima dell'inizio della campagna referendaria, tutti di i prigionieri o detenuti politici Saharawi, in modo che possano partecipare liberamente e senza restrizioni al referendum". Questo non è avvenuto bilateralmente. Il Fronte Polisario che deteneva oltre 2000 soldati marocchini li ha liberati a scaglioni completando la sua parte di accordo nel 2005, come dimostra il rapporto di Kofi Annan ( S/2005/648) del 13 ottobre 2005: "... Il 18 agosto, grazie agli sforzi di mediazione degli Stati uniti d'America, il Fronte Polisario ha liberato i 404 prigionieri di guerra marocchini ancora imprigionati, questo permette di chiudere uno dei capitoli più dolorosi del conflitto. I prigionieri sono stati rimpatriati in Marocco dal comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), che continuerà a collaborare con le parti per tentare di

5 [5] Il Polisario divise i rifugiati in tre poli di aggregazione che rappresentavano le rispettive città abbandonate nei territori occupati. I campi hanno una loro organizzazione interna in cui la donna ricopre un ruolo centrale nell’amministrazione pubblica,La vita negli nelle tendopoli e tuttora precaria; la sopravvivenza è garantita dall’ospitante Algeria e dalla solidarietà internazionale. Luciano Ardesi, Sahara Occidentale: una scelta di libertà, EMI, Bologna 2004

6 [6] Nel 1979 l’Assemblea generale dell’ONU insieme all’OUA hanno riconosciuto il Polisario come il “rappresentante del popolo del Sahara Occidentale” raccomandandone a piena partecipazione alla ricerca di “una soluzione di una politica giusta, durevole e definitiva”. Elvio Mancinelli, L’odissea del popolo Saharaoui, edizione dell’Arco, Bologna,1998

7 [7] Con il ritiro ufficiale della Spagna fu proclamata dal Fronte Polisario il 27/02/197 la RASD.Nata in rispetto ai principi fondamentali che regolarono sia l’Organizzazione delle Nazioni sia l’Organizzazione dell’Unità Africana, la RASD fu riconosciuta nel ’85 da 62 paesi. Biancamaria Scarcia, La RASD – contro documentazione “El Uali”,CUEN, Napoli, 1986. scoprire cosa è successo alle persone che sono ancora scomparse a causa del conflitto.”. Il Marocco si è invece dimostrato reticente nel fornire rapporti trasparenti riguardo ai propri prigionieri militari e civili. Infatti il giurista Emmanuel Roucounas,incaricato dall’ONU di verificare le sorti di 167 saharawi presumibilmente prigionieri, chiese una relazione al governo Marocchino e questi identificò una sola persona della lista dichiarando che era un membro delle forze armate, che aveva disertato e che era stato condannato prima a morte e poi all'ergastolo. Le altre persone della lista erano: a ) erano morte, b) erano sconosciute, c) avevano raggiunto il fronte Polisario,d) erano state liberate, o e) avevano ricevuto l’amnistia8 [8] .

Dal cessate il fuoco (1991) e dall’intervento dei caschi blu, la selezione degli aventi diritto al voto in attesa dello svolgersi del referendum è stata ostacolata e ritardata dal Marocco che intendeva allargare gli aventi diritto al voto nei territori occupati anche a una parte della popolazione marocchina. Le liste provvisorie vennero presentate dall’Onu nel 19999 [9] . Il Marocco prima pose una serie di ricorsi poi si pronunciò apertamente per la rinuncia al referendum e propose “l’autonomia del territorio”. Il primo piano di autonomia venne respinto dal Fronte Polisario nel 2001. Nel 2003 un secondo piano venne proposto dall’inviato speciale di Kofi Annan, James Backer. Il piano, che rimase tutt’ora l’unica proposta di risoluzione dell’ONU, prevedeva cinque anni di autonomia seguiti da un referendum con tre opzioni: indipendenza, integrazione e autonomia; venne accettato dal Polisario e respinto definitivamente nell’aprile 2004 dal Marocco. Il Re rifiutò ogni soluzione e qualsiasi iniziativa che andasse contro la “marocchinità” del Sahara Occidentale. Dopo le dimissioni di Baker nel 2004 la situazione sembrò non trovare soluzione e venne definita da Kofi Annan un “vicolo cieco” .

Attualmente l’inviato speciale dell’ONU per il Sahara Occidentale è l’ex-diplomatico olandese Peter Van Walsum; l’italiano Francesco Bastagli è il rappresentante speciale, cioè il capo della MINURSO; il comandante militare è il danese Kurt Mosgaard; tre europei nei posti chiave.

Saprà l’Europa contrastare la politica del Regno Alauita rivolta alla divisione e alla dispersione dell’identità Saharawi? Dispersione simboleggiata dalla costruzione negli anni ’80 del muro10 [10] lungo 2700 km che divide intere famiglie dei Territori Occupati da quelle dei campi profughi e che tutt’oggi rappresenta l’evidente sofferenza di del popolo Saharawi.

8 [8] Rapporto al CDS ONU, 24 settembre 1997, ( S/1997/742). 9 [9] Luciano Ardesi, Sahara Occidentale: una scelta di libertà, EMI, Bologna, 2004.

10 [10] Secondo più lungo del mondo, dopo la muraglia cinese, il muro è stato costruito per osteggiare l’avanzamento della guerriglia saharawi che stava riconquistando alcuni territori occupati. Tutt’oggi altamente sorvegliato dalla milizia marocchina e circondato da mine antiuomo .Infatti Il Marocco non ha firmato il trattato di Ottawa del 1997 che vieta le mine antiuomo, ed ha installato milioni di queste mine lungo muro di sabbia fortificato.

CAPITOLO 2

La svolta di Mohamed VI ?

Lo IER (Istance E’quité et Réconciliation)

Mohamed VI cercò fin da subito – almeno sulla carta - di intraprendere una politica alternativa al “pugno di ferro” attuata dal padre defunto nel 1999.

Il 7 gennaio del 2004 Mohamed VI inaugura i lavori dello IER (Istance E’quité et Réconciliation) annunciando che : “L'obiettivo di questa Istanza, sarà di fare in modo che i marocchini si riconcilino con loro stessi e la loro storia, che liberino le loro energie, e che siano parte integrante nell'edificazione di una società democratica moderna, contro ogni recidiva”11 [1]

Lo IER era formato da sedici Commissari, sei dei quali venivano dalla prigione politica e due dall’esilio forzato, incluso il presidente Benzekri , che ha trascorso sedici anni in prigione per aver fatto parte dell’opposizione. La commissione era nata per indagare sui crimini contro l’umanità commessi dal padre Hassan II durante gli anni di piombo.

Le modalità di azioni della Commissione per la Riconciliazione e l’Equità, cosi come riportato dal documento introduttivo dello stesso IER, erano l’ investigazione, la raccolta di testimonianze, la consultazione degli archivi statali, che hanno portato alla luce gravi violazioni di diritti umani durante il periodo dal 1956 al 1999. L’indagine includeva la sparizione forzata, la detenzione arbitraria, la tortura, le violenze sessuali, gli attentati al diritto alla vita, l’uso sproporzionato della forza e l’esilio forzato 12 [2] .Lo IER fece un resoconto esauriente sulle oppressioni passate, indennizzando e riabilitando le vittime in base al grado di violenza subita. Molte furono le fosse comuni scoperte; nel 2005 venne ritrovata alle periferie di una fossa comune con più di 100 cadaveri, risultato di una forte repressione rivolta ai manifestanti che nel 1981 erano scesi in piazza per l’aumento del prezzo del pane. Circa mille manifestanti vennero uccisi.13 [3]

Tutto ciò però, risulta vano poiché nell’ articolo 6 del documento, si precisa che il mandato dello IER “non è un'istanza giudiziale e non può individuare responsabilità individuali “ e ancora sottolinea che“l'istanza non può, in nessun caso, dopo le inchieste necessarie, individuare responsabilità di tipo individuali qualunque siano.

11 [1] , Marocco’s Truth Commission, Novembre 2005 Volume 17,No.11(E)) 12 [2] IER (Instance Equité et Réconciliation), www.ier.ma (introduzione al documento ufficiale)

13 [3] Peace Reporter,Fantasmidel passato, Marocco, 15/12/2005 Farà attenzione a non prendere nessuna iniziativa tale da suscitare la disunione o il rancore o seminare la discordia. “

Il presidente Benzekri ha precisato a Human Rights Watch che l'interdizione di indicare i responsabili si applica solo nelle relazioni pubbliche dell'IER. Durante il suo lavoro, l'IER ha registrato i nomi dei presunti responsabili, ma la parte del rapporto contiene questi nomi sarà presentata solo al Re e non al pubblico. Questo comporta che i torturatori di una volta, impuniti per i crimini passati, si possono trovare a ricoprire le stesse cariche precedenti. Questa impossibilità, criticata da molte associazioni marocchine ed internazionali , tra cui la stessa Human Right Watch, non mette fine all’impunità di cui godono i responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani del passato14 [4] .

Riporto la testimonianza di Abdltif Ngadi, rappresentante per il Marocco di Trasparency International, un’ONG che lotta contro la corruzione, imprigionato nel 1975 per aver fatto parte di un gruppo studentesco che si opponeva alle politiche di Hassan II.” No, non sono andato a testimoniare e non ci andrò. Da quando sono uscito, ho incontrato diverse volte l’uomo che mi ha torturato, lo incontro anche oggi, e lui è sempre lì, a fare il suo lavoro da poliziotto. Se andassi a testimoniare non cambierebbe nulla, perché la Commissione non può punire nessuno e nelle udienze non si possono fare i nomi delle persone accusate di crimini. Ci si siede lì e si racconta la propria storia. A che serve? Io voglio giustizia, giustizia vera. Voglio che questa gente vada in prigione e che certe cose non succedano più. E non voglio soldi per quello che ho passato: come farebbero a stimare la sofferenza mia e di mia madre? E i mie sogni spezzati?”15 [5]

Ali Amar e Younès Alami16 [6] sottolineano, in un articolo di Le Monde Diplomatique, come alcune società, tra cui il Sud Africa ,l’Argentina, il Cile , l’Uruguay, che hanno effettuato una transizione democratica, chiudendo definitivamente con il loro passato oscuro, mentre il Marocco, non è riuscito nell’impresa poiché non si è spezzata la continuità al regime precedente.

L’informazione censurata

Con il rapporto annuale del 2006 di Reporters Sans Frontières, sulla libertà di stampa in Marocco, si comprende come si è ben lontano da un diritto di informazione, fin da sempre censurato, prima con Hassan II ora con Mohamed VI. Il Rapporto denuncia molti casi di violazione nonostante “nel 2004 le autorità marocchine avessero dato segnali incoraggianti” . Cita alcuni casi tra cui due giornalisti incarcerati per diffamazione: “Anas Tadili, direttore del settimanale Akhbar Al Ousboue, ancora in

14 [4] Human Rights Watch, Marocco’s Truth Commission, Novembre 2005 Volume 17,No.11(E)) 15 [5] Francesca Caferri, Il Marocco alza il velo sui suoi “anni di piombo”, Venerdì, n. 64 16 [6] Rispettivamente Direttore e giornalista del Journal Hebdomadaire, Casablanca.(Settimanale marocchino), Riconciliazione fragilissima in Marocco:i torturatori di un tempo sono ancora in servizio, Le Monde Diplomatique, Aprile 2005. carcere al 1 gennaio 2006” e “Abderrahmane El Badraoui, vecchio direttore del settimanale Al-Moulahid Assiyassi, ha beneficiato di una grazia reale, il 15 dicembre 2005, dopo tre anni e mezzo di detenzione in condizioni difficili.”.

I giornalisti marocchini sono relativamente liberi di esercitare il loro mestiere solo se “non superano le linee rosse fissate dal Palazzo reale : cioè la questione territoriale ( il Sahara occidentale), la questione politico-religiosa ( tutto ciò che riguarda il re), e i vari traffici in cui sono implicati a volte, importanti personalità del Regno.”

La lista delle condanne a giornalisti e giornali riporta puntualmente da Reporters Sans Frontières è lunga.

Il settimanale Le Journal Hebdomadaire è stato denunciato dal Centro europeo di ricerca, di analisi e di consigli in materia strategica (ESISC, agenzia del Belgio), per i dubbi sollevati dal settimanale sull’obiettività di una ricerca, effettuata dallo stesso ESISC (commissionata dal governo marocchino), sul coinvolgimento del Fronte Polisario in attività di terrorismo internazionale. Le Journal Hebdomadaire è stato condannato a 274.000 Euro di multa che se fosse confermata in appello costringerebbe il giornale alla chiusura. Sembra quindi un cambio di strategia, con lo scopo di far chiudere i giornali impossibilitati a pagare multe così eccessive17 [7] . I giornali sono condannati " Essenzialmente perché rifiutando di sottoporsi ai " sacri valori" che il regime pretende di imporre sempre più ai marocchini, al centro dei quali si trova una monarchia di diritto divino che ricorda al mondo che il Marocco vive ancora sotto un regime medievale dissimulato dietro una vernice di modernità.”18 [8]

Il Simbolo della libertà di stampa in Marocco è il giornalista Ali Lmrabet19 [9] , redattore capo di Demain Magazine e Douman. E’ stato condannato il 21 maggio 2003 dal tribunale di a quattro anni di prigione per “ oltraggio alla persona del re”, “attentato all’integrità territoriale” e “ attentato al regime monarchico”, per poi essere liberato il 10 dicembre 2004 con grazia reale. Denunciato nel marzo 2005 da Ahmed El Khe portavoce l’Association des parents des Sahraouis victimes de la répression dans les camps (PASVERTI), il tribunale di Rabat ha condannato il giornalista a dieci anni di interdizione dalla professione. “Lmrabet era accusato di "tradimento" e "volontà di nuocere al Marocco" per due articoli pubblicati a novembre e a gennaio sul quotidiano spagnolo El Mundo e sul settimanale arabo Al Mustakil. Nei due pezzi Lmrabet affermava che i rifugiati sahrawi che si trovano nei campi profughi di Tindouf, nel sudovest dell'Algeria, non si sentono marocchini e non hanno intenzione di tornare in Marocco: se lo volessero

17 [7] Reporters Sans Frontières, Maroc ,Rapport annuel 2006

18 [8] Des intllectuels è pinglent le régim, Le Journal Hebdomadaire, (http://www.lejournal- hebdo.com/article.php3?id_article=7135). 19 [9] Francesco Correale, Il Marocco sugli scogli della democrazia. Riflessioni su un’instabilità annunciata , Afriche e Orienti, n° 3-4, 2003 potrebbero farlo facilmente passando per la Mauritania. La versione ufficiale di Rabat è che questi profughi sono stati20 [10] .

Nel Sahara Occidentale la censura è quasi totale e le informazioni escono solo grazie all’utilizzo di internet e ad alcuni giornalisti che entrano clandestinamente. Dall’inizio dell’Intifada, nel maggio 2005, i siti internet, creati direttamente nel Sahara occidentale, sono aumentati, poiché strumento che ha permesso alle notizie di uscire e contrastare la propaganda dell’agenzia reale (MAP – Maghreb Arabe Presse). E’ questo che ha spinto il governo marocchino ad oscurare nel Sahara Occidentale tutti i siti internet che parlano di saharawi.“Reporters sans frontières ha potuto verificare che i siti arso.org, cahiersdusahara.com, cahiersdusahara.com, wsahara.net et spsrasd.info sono inaccessibili dal Marocco dal 21 novembre 2005 . Questi siti denunciano l’occupazione Marocchina nel Sahara occidentale e incoraggiano l’organizzazione di manifestazioni ma non fanno appelli alla violenza. La decisione di bloccare questi siti può essere stata presa dal ministro delle Comunicazioni, incaricato della censura, o da quello dell’interno che segue la questione saharawi21 [11] .”

L’intifada saharawi

Continuano le denuncie da parte di organizzazioni, tra cui , sulle violazioni dei diritti umani: torture, maltrattamenti e l’uso eccessivo della forza durante ed in seguito a manifestazioni nel Sahara Occidentale, in particolare dopo lo scoppio dell’intifada (così chiamata dai Saharawi) nel maggio dell’anno scorso.

Il 21 dello stesso mese i famigliari e alcuni attivisti hanno organizzato una manifestazione contro il trasferimento di un ragazzo saharawi dal carcere di El Aiun ad (550 Km a nord del Marocco). La forte repressione da parte delle forze di sicurezza marocchine ha determinato la dispersione violenta della protesta. A seguito di questo evento centinaia di manifestanti scesero in piazza rivendicando l’indipendenza del Sahara Occidentale e sventolando bandiere della RASD. Alla fine di maggio le proteste si estesero in altre città del Sahara Occidentale come Smara e Dakhla e del Marocco come Agadir, Casablanca, Fez, Marrakech e Rabat. Molti sono gli studenti che fanno parte di questo movimento. I manifestanti hanno portato avanti la loro protesta in modo pacifico tranne nelle giornate dal 24 al 26 maggio quando furono bruciate le bandiere marocchine e lanciate pietre e bottiglie molotov; ma furono sempre e fin da subito repressi in maniera violenta dalla polizia che agiva con pestaggi e arresti sommari.

20 [10] Reporters Sans Frontières, Confirmation de l’interdiction d’exercer à l’encontre d’Ali Lmrabet : "Ce jugement est nul et non avenu", Maroc 24/06/2005.

21 [11] Reporters sans frontières, Dénonce la censure des sites sahraouis, 2/12/2005. In varie occasioni il Comitato dei diritti Umani delle Nazioni Unite ha espresso preoccupazioni per l’alto numero di denuncie di tortura o maltrattamenti e per la mancanza di indagini su tali episodi, ricordando al Marocco la dichiarazione del Comitato contro la tortura delle NU :”..basta che l’atto di tortura sia denunciato dalla vittima perché scatti l’obbligo dello Stato di esaminarlo al più presto ed in modo imparziale..”22 [12] . Tutto ciò in Marocco non è mai successo.

Sono stati inoltre denunciati abusi compiuti durante la Campagna “anti-terrorismo”, promossa da Mohamed VI, iniziata nel 2002 ed intensificata dopo l’ attentato di Casablanca del 16 maggio 2003. Amnesty Iternational e l’AMDH ( Associazione Marocchina per la difesa dei Diritti Umani), hanno espresso la loro preoccupazione poiché la legge contro il terrorismo da ad altre forze di polizia il diritto di detenere un sospetto per otto giorni, senza che questi possa contattare né un avvocato né qualsiasi altra persona, di perquisire case e negozi senza mandato. Inoltre la definizione di “terrorismo” è vaga e poco specifica: include infatti anche tutti i turbamenti dell'ordine pubblico.23 [13]

22 [12] Comunicato stampa di Amnesty International, Marocco/Sahara Occidentale: la giustizia deve cominciare a fare inchieste sugli atti di tortura, 22/06/2005. Amnesty International, Marocco e Sahara Occidentale, sezione Italiana, 29/04/2005 23 [13] Amnesty International, la situazione dei diritti umani in Marocco, sezione italiana, 17/11/2005 Anderw Elkin, Démocratie en péril au Maroc,Le journal Alternatives, 30 Maggio 2003. CAPITOLO 3

La risposta pacifica dei difensori dei diritti umani:

“Potete uccidermi ma non riuscirete mai ad uccidere le mie idee”24 [1] .

Amnesty International in un dossier del 2005 individua otto difensori dei diritti umani la cui attività è rivolta da anni ad una campagna di raccolta di informazioni e diffusione delle violenze commesse dal governo marocchino nel Sahara Occidentale (dal maggio 2005 attenti alle repressioni delle autorità contro le manifestazioni ad Al Aiun e in altre città del Marocco e del Sahara Occidentale). Sette attivisti sono stati arrestati tra il giugno e agosto dello stesso anno accusati di appartenere ad associazioni non autorizzate ( forse per la loro affiliazione all’associazione per i diritti umani del Forum per la Verità e Giustizia – Sezione Sahara, sciolta il 18 giugno del 2003) e di aver incitato ad attività di protesta violente la popolazione (gli attivisti negano con fermezza quest’ultima accusa). Le attività così denominate “illegali” sembrano essere proprio quelle sopra indicate: la loro libera opinione sull’autodeterminazione del popolo Saharawi, la diffusione di informazioni e di idee e i rapporti con le organizzazioni esterne, inclusa la stessa Amnesty International25 [2] .

Al termine del processo dei difensori, Amnesty International afferma che “c’è stato un grave passo indietro per i diritti umani nel Sahara Occidentale”, e che “la condanna dei sette imputati, accusati di aver partecipato a manifestazioni contro il Marocco, non ha rispettato le regole dell’equità”; considerando infine i difensori dei diritti umani prigionieri di opinione.26 [3]

Tra gli otto attivisti dei diritti umani mi sembra doveroso riportare le preziose testimonianze di Tamek Ali Salem e Aminatou Haider, simboli di una resistenza pacifica, che sono riusciti ad uscire provvisoriamente dai territori occupati per una campagna di sensibilizzazione internazionale. Protagonisti nella difesa dei diritti umani, ma per questo vittime di torture, hanno approfittato di queste occasioni per sottoporsi a cure mediche.

24 [1] Parole di Aminatou Haider, dette durante il suo pestaggio da parte della polizia marocchina in una manifestazione pacifica .A mio avviso, rappresentano la filosofia di lotta degli attivisti 25 [2] Amnesty International, Marocco/Sahara Occidentale: i difensori dei diritti umani nel mirino 29/08/2005

26 [3] Amnesty international, Dichiarazione pubblica di Amnesty International sul processo dei sahraui difensori dei diritti umani ad El Ayoun, 15/12/2005. . “Né l’interruzione dello stipendio, né la rimozione, né la detenzione, né il licenziamento mi dissuaderanno dalla mia lotta27 [4] ”.

E’ lunga la lista delle carcerazioni dell’attivista saharawi, accusato dal Marocco di minacciare la sicurezza interna dello stato attraverso le sue opinioni sull’indipendenza del Sahara Occidentale e per i suoi presunti rapporti con il Fronte Polisario. Nel 2005 è stato imprigionato nuovamente per una sua presunta confessione rilasciata sotto la tortura di tre uomini secondo i quali Tamek avrebbe ricevuto fondi dal FP.

Membro attivo fino al suo scioglimento del Forum Verità e Giustizia sezione Sahara Occidentale, l’attivista dei diritti umani ha sempre cercato, nei suoi anni in prigione, di denunciare attraverso numerosi scioperi della fame (17 tra i quali il più lungo durato 51 giorni nel 2005) le violazioni nelle carceri del Sahara Occidentale. iedi sollevati contro il muro o sulle spalle di un altro detenuto. Le malattie sono molto frequenti e mal curate; per questo alcuni provvedono da soli utilizzando metodi come l’urinarsi addosso. Le torture sono frequenti in particolare le cosiddette “bastonature” o l’immersione del detenuto in una vasca d’acqua fredda. Non essendo divisi per pene commesse si trovano nello stesso luogo condannati per reati civili, minorenni e malati mentali insieme a condannati per stupro o assassinio. L’attivista conclude con una riflessione sulle leggi che regolano il funzionamento delle prigioni dicendo che “l’attivismo delle organizzazioni dei Diritti Umani che hanno messo a nudo la situazione nelle carceri e in particolare in quella di Iezgane (della quale hanno raccomandato la chiusura), a dispetto di tutto ciò questo carcere resta sempre un carnaio di morti viventi28 [5] .”

Nella testimonianza sulle condizioni del carcere di Inezgane, Tamek afferma come “precedentemente non mi era stato possibile rivelare le condizioni di detenzione di questa prigione…ma adesso lo posso fare grazie anche all’interesse generale rivolto verso i diritti umani .. inoltre il moltiplicarsi di tante tragedie verificatesi nelle carceri marocchine, mi spingono a scrivere quanto segue..” Nell’antico blocco che era composto da sette vani, ognuno di 3 metri x 5 , i detenuti venivano ammucchiati con i loro oggetti personali ed erano previste fino a 130 -140 persone . Il nuovo blocco è composto da sei vani con una superficie di 12 metri x 2 privi di finestre e sono previste da 90 a 100 persone. Il blocco femminile è formato da due vani per oltre 120 carcerate. Durante la notte per la mancanza di spazio, i detenuti sono costretti a dormire con il dorso in terra e i p

La politica del regno del Marocco di violenza ed intimidazione è sempre più spesso rivolta anche alle famiglie degli attivisti dei diritti umani con lo scopo di dissuadere quest’ultimi dalle loro attività.

27 [4] A cura del Coordinamento delle Associazioni di solidarietà con il popolo Saharaui dell’Emilia – Romagna e di Jacueline Philippe referente dell’ANSP e del BIRDHSO, Scheda informativa militante dei diritti umani nel Sahara Occidentale Ali Salem TAMEK, maggio 2005. 28 [5] A cura di J.Philippe, Dal carcere di Inezgane: testimonianza di Tamek Ali Salem, Bologna, marzo 2004. Come molti altri anche la famiglia di Tamek è stata colpita dalla “violenza trasversale”.

La moglie dell’attivista dopo due anni d silenzio dichiara, nel 2005 su giornale El Moundo, di essere stata selvaggiamente violentata da cinque poliziotti marocchini (dalla Direzione Generale di Vigilanza del Territorio - DGST), sotto gli occhi della figlia Thawra di 4 anni (a causa del suo nome che significa “Rivoluzione”, la bambina non è stata inserita all’ufficio anagrafe).

Mentre tornava dal carcere di Ait Mellul, vicino ad Agadir, dove era stata a visitare il marito, condannato a due anni per "separatismo”, è stata prelevata con la figlia portata in un posto segreto in aperta campagna. Dopo essersi rifiutata di rispondere a domande rivolte ad ottenere maggiori informazioni su Tamek e altre persone, e di accettare la loro proposta di dissuadere sessualmente alcuni leader saharawi, "mi fecero quello che nessun essere umano avrebbe fatto ad un altro..” A seguito dello stupro collettivo i violentatori gli urinarono addosso. Aouicha aveva riconosciuto i sui violentatori, uno di loro era cugino di suo marito, funzionario nella località di Tan Tan e collaboratore della DGST per "Questioni sahrawi”.Dopo averla portata a casa la minacciarono di rappresaglie se avesse riferito l’accaduto alla stampa. Oggi la moglie del leader saharawi vive a Madrid e con l’aiuto di avvocati spagnoli vuole intraprendere un’azione legale contro i sui presunti violentatori. “Non in Marocco, perché lì la giustizia è sotto controllo, ma qui in Europa.29 [6] " Questa è una dimostrazione delle tante violenze che si stanno commettendo nei confronti di donne, uomini e bambini saharawi nel Marocco e nel Sahara Occidentale occupato .

Ali Salem Tamek dopo aver ottenuto il passaporto, grazie a diverse sollecitazioni internazionali, è uscito dai territori occupati: nel suo viaggio in Europa ha incontrato vari deputati e rappresentanti di gruppi politici nella sede del Parlamento Europeo, i responsabili di varie organizzazioni di difesa dei diritti umani, tra cui l’Alto Commissariato dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (HCDH), il Comitato Internazionale contro la Tortura (CAT), la Federazione Internazionale dei Diritti Umani (FIDH), e L’Ufficio Internazionale per il rispetto dei Diritti Umani nel Sahara Occidentale (BIRDHSO)…

Come lui stesso aveva preannunciato in varie conferenze anche qui in Italia, al suo ritorno ad El Ayoun fu immediatamente incarcerato. Fu deciso alla Corte di appello di di trasferirlo in un ospedale psichiatrico poiché era stato considerato non sano di mente.” Esprimo chiaramente il mio rifiuto ad essere ospedalizzato in Marocco e rigetto sullo Stato marocchino la responsabilità della malattia cutanea alla pelle delle mie mani apparsa dopo iniezioni fattemi dallo staff medico del carcere di Inzegane nel 2003”.

29 [6] Articolo scritto dal giornalista marocchino Ali Lmrabet, La moglie di un leader sahraui, Auicha Tamek, denuncia di essere stata stuprata da 5 poliziotti marocchini nel giugno 2005, n esclusiva per El Mundo, Madrid, 27 giugno 2005. In realtà quelle affermazioni mirano a disinformare l’opinione pubblica e tentano vanamente di giustificare l’ingiustificabile. Occorre infatti rispondere alla domanda centrale: perché arrestarci? Noi abbiamo adottato convinzioni e opinioni contrarie a quelle ufficiali e le abbiamo espresse chiaramente sia nella stampa marocchina che sulla stampa estera. Voi volete far tacere ogni voce libera sahrawi che vuole svelare i crimini commessi dal regime marocchino verso i sahrawi, dopo aver fallito utilizzando ogni altro mezzo possibile. Ho già trascorso alcuni anni in carcere per le mie idee, sono stato incarcerato 4 volte in varie carceri marocchine, sono stato vittima di torture, di minacce, sono stato licenziato dal mio lavoro, detenuto arbitrariamente, condannato ingiustamente. Sono stato oggetto di campagne di intimidazione, di tentativi di corruzione da parte delle autorità e dei media al servizio del governo marocchino (makhzen). Ho subito la ferita più atroce: il violo di mia moglie da parte di 5 poliziotti marocchini di fronte alla mia figlioletta “Thawra”, di 4 anni. La storia ora si ripete: voi fate ricorso agli stessi metodi di condanna, all’incarcerazione. E’ questo dunque il nostro torto? Dovreste essere un po’ più coraggiosi e giudicarci per le nostre convinzioni, senza implicarci in avvenimenti che hanno avuto luogo mentre io mi trovavo in Europa, dove venivo ricevuto...30 [7] ”

Aminatou Haidar . “Europei, perché difendete il Marocco de Torturatori?”31 [8] .

Grazie al Premio Juàn Maria Bandrés per la difesa del diritto d’asilo e la solidarietà con i profughi, conferito dalla Commissione spagnola (CEAR) l’8 maggio del 2006, Aminatou è riuscita ad uscire dai territori occupati intraprendendo il suo viaggio in Europa ed in altri continenti come il Sud Africa, ospite in queste settimane di giugno e luglio.

Previsto il suo ritorno nel Sahara Occidentale,entro la fine dell’anno, Aminatou, allo stesso tempo con la sua forza e fragilità ha colpito l’opinione pubblica e gli stati ospitanti.

Considerata una delle principali leader (se non la principale) per la difesa dei diritti umani nel Sahara Occidentale, insieme ad Ali Salem Tamek, , è importante riportare la sua testimonianza per ricostruire anni cruciali di violazioni che sono state commesse e si stanno tutt’oggi commettendo.

Dalla registrazione dell’incontro organizzato a Scienze Politiche di Bologna, il 12/06/’06:

30 [7] BIRDHSO, la RASD Violazioni dei Diritti Umani nei Territori Occupati del Sahara Occidentale ATTUALITA, dall' 1 al 31 agosto 2005 N° 8).Della risposta di Tamek al comunicato del procuratore generale della corte d’appello di El Ayoun , pubblicato dall’agenzia di stampa marocchina MAP.

31 [8] Dall’intervista di Manuela Irace, Europeri perché difendete il Marocco dei torturatori?, Liberazione, 14/06/’06. “..Io sono saharawi, sono una difensora dei diritti umani Saharawi, sono mamma di due bambini. Sono stata vittima sotto il regno di Hassan II e sono tutt’ora vittima sotto il regno di Mohamed VI ; e sicuramente dopo questo mio viaggio in Italia mi metteranno di nuovo in prigione.

La mia esperienza personale non è un’esperienza isolata, ma fa parte di una politica di repressione che lo stato del Marocco ha praticato nel Sahara Occidentale…Io avevo 20 anni nel 1987 e quell’anno sono stata sequestrata.In quell’anno c’era una visita di una Commissione delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale; noi saharawi ci siamo organizzate per fare una serie di manifestazioni. Io allora studiavo e con un gruppo di studenti abbiamo deciso di scrivere due lettere una in inglese e una in francese da consegnare al capo della missione, con lo scopo di denunciare la realtà dei diritti umani e di fare il referendum nel Sahara Occidentale. Ventiquattro ore prima dell’arrivo della Commissione sono stati sequestrati molti cittadini, tra cui io. Sono stata sequestrata alle tre e mezza a casa mia e sono stata torturata da momento del mio arrivo al centro segreto, trascorrendo tre settimane di torture e interrogatori .Quando mi hanno preso mi hanno legato le mani e i piedi, mi hanno messo una benda sugli occhi, e mi hanno messo anche uno straccio con dei prodotti chimici sulla bocca sul naso e sulle orecchie. Mi picchiavano, e a volte utilizzavano anche la scossa elettrica, mi hanno violentato, tutto questo per l’unica colpa di voler partecipare ad una manifestazione pacifica. Dopo queste tre settimane è iniziato un altro dramma per me: non potevo vedere la mia famiglia ma solo forze di sicurezza che ci trattavano come animali. Non avevamo nessun diritto, in quel momento si è fermata la mia vita. Sono stata buttata in un luogo dove c’erano solo rifiuti e non avevo contatto con il resto del mondo. Non avevo il diritto a una doccia, non potevo uscire al sole, non avevo l’aria pulita, sono sempre stata con gli occhi bendati: tutto questo per tre anni e sette mesi. La mia famiglia non avendo avuto nessuna informazione mi considerava tra le persone già morte.

Non potevo dormire tranquillamente nel centro segreto,ogni ora e mezza picchiavano su un portone di ferro, ci facevano passare la notte anche in piedi rivolte verso il muro con le mani legate.

Quello che mangiavo era pieno di insetti, sporco, anche il nostro corpo era pieno di animali. Facevo parte di un gruppo di 64 persone, tra loro c’erano 10 donne, con noi c’era anche una persona anziana che aveva 70, un’altra un era una ragazza di 16 anni e una famiglia intera. L’unico figlio di una delle donna fu torturato a morte mentre la madre sentiva le sue urla e lo hanno buttato nel bagno. Io personalmente l’ho toccato con i miei piedi perché avevo gli occhi bendati, ho sentito che sotto ai piedi c’era un corpo, ho cercato di alzare la benda per vedere cosa c’era. Mi e tutt’ora rimasta impressa l’immagine di quel giovane che non conoscevo: mi ha dato forza per continuare, sentivo la responsabilità di difendere la dignità delle persone, attentata fino a quel livello. Per me questi tre anni e sette mesi sono stati una sofferenza, ci sono tanti dettagli ma non voglio entrare in merito..

Siamo stati liberati nel 1991, insieme a noi hanno liberato un altro gruppo della prigione di Kalaat M’Gouna. In tutto il gruppo c’erano 379 persone tra cui 70 donne .Questo gruppo ha trascorso 16 anni senza essere processato. Per noi fino ad oggi ci sono ancora più di 500 scomparsi, senza sapere se sono vivi o morti.

Con la mia liberazione sono iniziate altre sofferenze: sono sempre sorvegliata, non ho il diritto ad avere un passaporto, ogni volta che mi sposto la polizia mi interroga.

Nonostante fossi stata promossa alla maturità, non mi hanno permesso di continuare i miei studi all’università.

Nel 1994 dopo aver ricuperato un po’ di forze ho discusso con altri amici e abbiamo deciso di lavorare insieme nella difesa dei diritti umani. Il nostro compito era prendere contatto con le organizzazioni che si occupano della difesa di tali diritti. Abbiamo iniziato prendendo contatti con comitati marocchini in difesa dei diritti umani. La prima associazione che ci ha accolto è stata l’Associazione marocchina per la difesa dei diritti umani (AMDH). ed è rimasta ancora l’unica associazione marocchina che ci difende e lavora con noi. Penso che abbia una posizione molto nobile: quando eravamo in carcere sono stati gli unici a chiedere la nostra liberazione, sono entrati in conflitto con il ministero dell’Interno perchè quest’ultimo affermava in maniera falsa che noi non eravamo in sciopero della fame. Hanno creato un comitato affinché potesse visitare il carcere di El Aiun, ma non gli è stato permesso. Però hanno incontrato le nostre famiglie, persone vittime della tortura…Poi ha fatto un rapporto sulle testimonianze che a mio avviso rappresenta la verità. E’ per questo che l’associazione ha dei problemi con le autorità marocchine. Abbiamo preso contatti anche con organizzazioni internazionali, come Amnesty International. Con loro volevamo denunciare la repressione che lo stato del Marocco stava effettuando contro il Sahara Occidentale occupato. Questo ha convinto Amnesty International a visitare il territorio e ad avere quasi una permanenza continua . Questo non ha fatto piacere al governo che continua ad intimidire le nostre attività. Alcuni sono stati espulsi dal territorio marocchino, altri sono stati privati di passaporto, alcuni sono staiti licenziati dal lavoro, tra cui anch’io. Ho passato 16 anni senza avere la possibilità di un passaporto e sono stata processata in una maniera ingiusta. Diversi sono stati i processi ai difensori dei diritti umani, nel 2001, 2002. Tra i difensori c’è Ali Salem Tamek che ha visitato l’Italia.

Il 17 Giugno del 2005, noi , come difensori dei diritti umani volevamo essere presenti nella manifestazione di famiglie che chiedevano la liberazione dei figli. Quando siamo arrivati la polizia ha intervenuto in una maniera selvaggia e violenta: mi hanno picchiata colpendomi alla testa, come avete visto nelle fotografie via internet, mi hanno lasciata lì coperta di sangue in strada. Uno dei difensori ha provato a portarmi all’ospedale ed è stato picchiato anche lui. L’ospedale è stato circondato dalle forze di sicurezza che hanno anno proibito alla mia li i visitarmi. Da lì mi hanno sequestrata senza prendere in considerazione il mio stato di salute. Mi anno portato dal commissariato della polizia interrogandomi per tre giorni, chiedendomi quali erano le mie attività e quali rapporti avevo con le organizzazioni internazionali e locali in difesa dei diritti umani, quale era la mia posizione sulla questione del Sahara Occidentale. Sono stata poi sorpresa davanti al giudica che ha presentato un rapporto che non aveva niente a che vedere con l’interrogatorio. Sulla base di quel rapporto falso, confezionato dalla polizia, che io non avevo mai sottoscritto, il giudice ha sentenziato la mia carcerazione.

Non hanno preso in considerazione il mio stato di salute , non hanno preso in considerazione che ero una mamma.

Dal 21 maggio del 2005 sono scoppiate delle manifestazioni pacifiche nei territori occupati, organizzate per chiedere il diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi. Sono persone che in modo pacificano sventolano bandiere saharawi portando slogan a favore dell’indipendenza. Ma l’intervento della polizia è sempre stato selvaggio: .molti saharawi sono stati torturati, alcune case sono state distrutte e molte persone sono state prese.

Il nostro compito come difensori dei diritti umani è di osservare le violazioni dei diritti umani e comunicarli alle organizzazioni internazionali, scattare delle foto e mandarle, attraverso internet, al mondo. Il Marocco decise che i difensori dei diritti umani andavano fermati, essendo il territorio chiuso dalla stampa e da osservatori internazionali, il Marocco può avere le mani libere.

Sono stata incarcerata insieme ad altri difensori dei diritti umani, siamo stati incarcerati nella “prigione nera”, così chiamata perché le condizioni all’interno sono molto difficili. La nostra attività era anche la difesa sulle condizioni degli attivisti all’interno del carcere affinché migliorassero le loro condizioni. Non credevo che la situazione fosse così pessima. Come difensori per noi è stata una buona occasione per poter osservare i crimini che si stavano commettendo. Abbiamo anche fatto diversi scioperi della fame, il più lungo è durato 51 giorni: si protestava contro le condizioni difficili. Abbiamo scattato in segreto delle fotografie per farle uscire al mondo: erano fotografie terribili di prigionieri uno sull’altro, in condizioni disumane. Io ho passato 6 mesi in questo posto terribile.

Passavo la notte a litigare con gli animali, topi e insetti..I miei figli mi potevano visitare una volta alla settimana solo per qualche minuto.

Alla fine dei sei mesi siamo stati processati, era un processo farsa,in di questi hanno partecipato alcuni osservatori internazionali, tra loro c’era un avvocato, un magistrato Italiano. Il loro rapporto dichiarava che le accuse dl processo non avevano niente a che vedere con le attività che noi svolgevamo.

Quando sono stata candidata al premio Sahara del parlamento europeo e al premio o Juàn Maria Bandrés ero ancora in prigione. Grazie all’ottenimento del premio sono riuscita ad uscire dal territorio. Ho colto l’occasione di fare una grande tourrne in Europa e in altri paesi per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sulla situazione della popolazione Saharawi nel territori occupati, ma sopratutto smentire le grandi bugie della propaganda marocchina, perché il Marocco dice che lui rispetta i diritti umani, che tutti i saharawi che sono nelle zone occupate sono marocchini e che hanno tutti i diritti. Ma tutto questo non è vero :io dico che i Saharawi non vogliono essere marocchini, noi siamo molto attaccati all’identità del nostro popolo. Noi siamo convinti che la nostra causa sia giusta e che questo conflitto è un problema di decolonizzazione . Il Marocco non rispetta i diritti dei Saharawi, il Marocco ci tratta solo con la violenza, l’unica politica che riconosce è quella del bastone. Ogni voce libera o che difende principi nobili sa che il suo destino sarà o la prigione o la repressione.

In questo preciso istante molti Saharawi nei territori occupati sono sotto tortura oppressi. Sopratutto le donne e i bambini che soffrono di più. Nonostante tutte le risoluzioni e leggi internazionali che proibiscono le violenze contro i più deboli il Marocco le pratica.

La scuola è controllata dalla polizia, i bambini e i ragazzi saharawi non hanno la possibilità di vivere una vita tranquilla. Alcune volte noi mamme saharawi preferiamo che i nostri figli rimangano a casa da scuola perché molte volte vengono picchiati. Io personalmente ho una figlia di 12 anni che è stata picchiata ed intimidita dieci giorni fa, accusata di aver disegnato la bandiera saharawi sul tavolo, le hanno proibito di partecipare alla fine del corso, malgrado sia molto brava negli studi. L’anno scorso prima di essere arrestata lei doveva festeggiare con la classe la fine della scuola, lei aspettava che io tornassi con un regalo per la fine del corso. L’unico regalo che gli anno dato è stato una sacca con il mio sangue dopo che mi avevano picchiata, allora la sua gioia di è tramutata in tristezza. Anche quest’anno le hanno proibito di partecipare alla fine del corso perché io mi trovo qua, in Europa a parlare. Quello che succede a mia figlia succede anche mote altre famiglie.

Le autorità nel Marocco hanno cominciato ad utilizzare nuovi metodi di repressione il 16, 17 e 18 di maggio scorso le macchine della polizia hanno anche attaccato i manifestanti, l’anno scorso un giovane è stato picchiato morte. Il 28 di maggio di quest’anno a un ragazzo che aveva 16 anni gli è stato versato del prodotto infiammabile sul corpo e lo hanno bruciato, potete vedere le sue fotografie. Adesso si trova in condizioni molto gravi: è stato Portato a Casablanca, è stato isolato anche la sua famiglia non poteva vederlo.

Il Marocco sta continuando la sua politiche di violazione dei diritti umani: oltre a essere una difensora dei diritti umani, sono una mamma, sono una donna, e le mamme saharawi e le donne saharawi sono quelle che soffrono di più. E’ da trent’anni che la donna saharawi soffre sul suo corpo e sulla sua dignità.. noi donne saharawi preferiamo morire piuttosto di perdere la nostra dignità; le donne saharawi sono violentate soprattutto dalle forze di sicurezza.

Vorrei che voi visitaste i territori occupati per sentire le testimonianze delle donne saharwi, sentireste da loro che i cani trovati fuori sono più umani della polizia: le donne picchiate venivano gettate per strada in periferia e i cani leccavano il loro sangue.

Questa è la situazione dei diritti umani nel Sahara Occidentale occupato.

Il mio messaggio e che voi, come uomini liberi, dovete sostenerci e aiutarci. Non chiediamo niente di impossibile noi chiediamo la pace e l libertà come tutti i popoli del mondo, noi siamo un popolo pacifico, abbiamo scelto una battaglia non violenta, però il Marocco applica una politica di terrorismo di stato contro di noi. Quello che ci dispiace è che il Marocco è sostenuto da alcuni paesi che dichiarano di difendere i diritti mani.

Io sono portatrice di questo messaggio di pace, per i bambini che soffrono, per le donne che soffrono, per gli anziani che soffrono. Io lascio questo messaggio nelle vostre mani. Sono sicura che quando tornerò mi metteranno di nuovo in carcere, per avervi incontrato e raccontato. Ho molta fiducia in voi, dovete sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale. Basta sofferenze per il popolo saharawi, basta separazione di intere famiglie, basta l’esilio lontani dal nostro paese, basta con la guerra ,basta con le carceri , noi vogliamo la giustizia, la pace, la nostra libertà e vivere con dignità…

DOMANDE AD AMINATOU HAIDAR:

La Commissione dello IER ha preso in considerazione le violazioni che sono state commesse contro i saharawi, e secondo lei è riuscito nel suo lavoro?

Quando hanno tratto questo comitato di arbitraggio noi saharawi eravamo per loro un ostacolo noi volevamo le prove dei morti ed è anche i loro corpi ed abbiamo chiesto a questo comitato la verità sugli oltre 500 scomparsi e soprattutto come difensori dei diritti umani chiedevamo che i responsabili fossero processati qualunque forse il suo ruolo .

Quando hanno formato lo IER hanno cercato di accontentarci in con cose molto piccole che non corrispondono nemmeno ad una giornata di repressione che i saharawi hanno subito. Erano convinti di chiudere in fretta questo dossier, per noi invece era solo l'inizio di un percorso. Per noi era importante avere il riconoscimento, anche se piccolo, che lo Stato del Marocco aveva sequestrato cittadini saharawi. Quando lo IER stabilisce un indennizzo, fornisce anche il nome del sequestrato e la data del sequestro, con un documento in cui lo Stato del Marocco riconosce il suo errore e chiede perdono alla persona che ha subito le ingiustizie. Per noi è stato un grande risultato perché abbiamo un documento ufficiale dello Stato che riconosce quest'errore, noi chiediamo a questo punto dove è il suo corpo e di portare davanti alla giustizia i responsabili di questo misfatto. A questo punto si è aperto per loro un altro fronte, tutto questo prima della creazione dello IER, si sono resi conto di avere commesso un errore, dalla loro punto di vista, e quindi quando hanno formato lo IER e sono arrivati al dossier saharawi si sono bloccati. Noi, come difensori dei diritti degli umani, abbiamo presentato un rapporto di 40 pagine sottoscritto da tutte le associazioni saharawi che operano in difesa dei diritti umani nel Sahara occidentale. In questo documento abbiamo specificato che la repressione fatta dallo Stato marocchino contro i Saharawi era in relazione con il conflitto nel Sahara occidentale. Inizialmente hanno rifiutato il documento, solo dopo lunghi negoziati hanno deciso di accettarlo, dopo un anno che erano in possesso del documento e non lo avevano ancora pubblicato sul loro sito Internet sono arrivate le proteste di Amnesty International che hanno costretto lo IER a pubblicarlo. Quando abbiamo visto che avevano sostituito Sahara occidentale con Sahara marocchino abbiamo telefonato al presidente dello IER chiedendogli di pubblicare il documento senza correzioni, in caso contrario avremmo fatto un comunicato attaccando direttamente e personalmente il presidente dello IER. Il giorno successivo il documento è stato pubblicato integralmente senza correzioni. Lo IER ha fatto a El Aiun alcune sedute private, ma dopo la pubblicazione del documento sono state interrotte e non sono state fatte altre sedute. Per noi e per la popolazione marocchina lo IER ha fallito, e anche all'estero si sono resi conto che lo Stato marocchino ha solamente cercato di fare una operazione di facciata, di propaganda, ma tutto il mondo sa che i diritti umani non sono rispettati né Marocco né nel Sahara occidentale. Amnesty International, HRW e OCMT hanno confermato quello che sto dicendo.

Secondo te Aminatou, è migliorata la situazione dei diritti umani sotto il regime Mohamed VI?

L’’unica differenza è che sotto il regime di Hassan II tutte le violenze avvenivano di nascosto, non c’era nessun osservatore internazionale. Sotto Mohamed VI la società civile e le associazioni in difesa dei diritti umani, attraverso interne hanno cominciato a divulgare foto ed informazioni. Questo ha reso Mohamed VI più cauto nella sua politica di sparizione, ora la tattica del Marocco è condannare persone, tramite processi farsa, a pene molto alte di prigione. Del resto la repressione continua, le torture continuano, il non riconoscimento dei tuoi diritti continua

Cosa differenzia l’intifada scoppiata l’anno scorso con le precedenti?

“L’intifada c’è stata diverse volte: negli anni ’80, negli anni ’90…Mi ricordo benissimo quando abbiamo fatto una grande manifestazione alla fine degli anni ‘90 a sud del Marocco, ad Aassa, lì la polizia caricò con delle pallottole.La novità di questa Intifada è che la partecipazione è da parte di tutte le generazioni:molti giovani, donne, bambini e anziani”.

Voi attivisti, come te e Tamek, siete considerati come leader, soprattutto dai giovani?

“E’ vero che molti giovani vedano me, Ali Sale Tamek, come esempio e guida comprendono che gli attivisti si stanno sacrificandosi non solo per loro ma per tutto il popolo saharawi.. Quello che io spero è di riuscire a trasmettere ai giovani i nostri ideali, la nostra maniera di lotta, soprattutto per quanto riguarda la nostra resistenza non violenta”.

Che influenza avete nelle manifestazioni organizzate nei Territori occupati?

Le grandi manifestazioni sono controllate e coordinate dai difensori dei diritti umani. Me altre manifestazioni che si svolgono quasi tutti i giorni sono spontanee, vengono svolte dai giovani nelle scuole, da donne.. In queste manifestazioni di cui noi non abbiamo il controllo io ho molta paura che possano degenerarsi. Quando sono nati i Comitati in difesa dei diritti Umani nel Sahara Occidentale?

Da ’94 abbiamo cominciato a costituire comitati che non sono mai state legalizzate, ma siamo sempre state legate ad altre grandi organizzazioni internazionali. Questo ci da forza. L’ultima Associazione per la difesa dei diritti umani Saharawi il Comitato esecutivo ha 15 persone e il Comitato di Coordinamento ne ha 53. non è stato legalizzato hanno chiuso la sede e hanno incarcerato il presidente del Comitato.

CONCLUSIONE

La responsabilità dei governi e dell’opinione pubblica

A conclusione di quanto scritto fino ad ora è chiara, a mio avviso, la volontà del Regno del Marocco, sia sotto la guida di Hassan II che sotto quella di Mohamed VI, di oscurare le violazioni che sono state e si stanno commettendo nei territori occupati. Questo sia attraverso la manipolazione di giornali locali (si sono viste infatti le sorti delle “voci libere”), sia attraverso l’espulsione di delegazioni e osservatori internazionali. Durante il “Regno Sanguinario”, Hassan II, come si è visto, ha governato nel segno delle violazioni dei diritti umani. Solo in seguito alle denuncie e alle pressioni di organizzazioni internazionali, che il re tentò di smentire con effimere dichiarazioni, egli fu costretto ad allentare la repressione. Purtroppo il cambio di regime non ha portato all’atteso mutamento rivolto al rispetto dei diritti umani: Mohamed VI tentò di presentarsi al resto del mondo come un sovrano moderno e illuminato, sforzo inutile alla luce dei gravissimi fatti di cui si è parlato. Mentre i più elementari diritti del popolo saharawi vengono negati sin dall’occupazione del ’75, la Francia, che da sempre si fa strenua sostenitrice di quei stessi diritti, appoggia comunque le politiche del prezioso Marocco. Quella che si presenta come una delle principali democrazie del mondo avrebbe la possibilità di dare un contributo decisivo alla questione del Sahara occupato. Infatti questa controversia, discussa spesso dal Consiglio di Sicurezza, è sempre stata inserita nel Capitolo 6 dei conflitti in cui c’è bisogno dell’accordo delle due parti affinché venga applicata la risoluzione delle Nazioni Unite. La Francia ha sempre rifiutato il passaggio del conflitto dal Capitolo 6 al Capitolo 7 che obbliga l’applicazione della risoluzione. Così mentre nei Territori Occupati continuano le violenze contro le donne, i giovani, i difensori dei diritti umani, Chirac nella sua visita ufficiale nel Regno del Marocco dichiara che: “il Marocco è il faro del compromesso tra Stato religioso e Stato di diritto nel mondo d‘oggi. l’Europa guarda con ansia soddisfatta ai miglioramenti e ai cambiamenti in atto, soprattutto rispetto ai diritti della donna, limitazione della poligamia e del ripudio32 [1] ”.

In Marocco è avenuto senz’altro un miglioramento delle condizioni della donna: ma purtroppo senza che questo comprenda la situazione della donna saharawi. La Francia si pone, attraverso il suo appoggio al Marocco, in modo estremamente deplorevole nei confronti del popolo Saharawi, popolo che ha avuto la sola “colpa” di vivere in un territorio non desertico, ma ricco di risorse, quali la pesca, il fosfato e il petrolio. Lo sfruttamento delle risorse naturali, nel Sahara Occidentale, è considerata illegale da Hans Corel, Segretario per gli Affari Giuridici dell’ONU, secondo cui le risorse presenti nei territori contesi possono essere sfruttate solo in seguito ad un accordo tra le parti o se contribuiscono chiaramente allo sviluppo e al benessere di tali

32 [1] Reportage sul «Le Figaro», della visita ufficiale di Chirac in Marocco, 27/10/2003. territori33 [2] . Per questo motivo alcune nazioni considerano illegali l’estensione al Sahara Occidentale degli accordi sulla pesca, approvati nel 2006 tra il Parlamento Europeo e il Marocco.

La speranza , quindi, di una soluzione del conflitto è osteggiata soprattutto dagli interessi economici, considerati prioritari dai governi delle potenze mondiali a discapito delle protezione dei diritti umani. Secondo le logiche su cui si basano le relazioni internazionali, il Marocco è considerato un buon alleato e i governi mondiali stanno abbandonando al proprio destino la sorte della popolazione saharawi in lotta dal 1975 per il rispetto dei più elementari diritti.

Nonostante il loro esempio di resistenza pacifica, in difesa dei diritti dell’uomo, gli stati “democratici” continuano a non prendano posizioni forti a fianco della causa saharawi. Nel giugno del 2004 gli sati Uniti hanno definito il Regno Lauta come il“maggior alleato esterno alla NATO, visto, il sostegno stabile e costante del Marocco nella guerra globale al terrorismo”34 [3] . Vorrei contrapporre questa dichiarazione all’appello delle famiglie degli attivisti saharawi: “ Viviamo quotidianamente in un clima di terrore e incontriamo quotidianamente i poliziotti che arrestano, torturano e violentano i nostri bambini e le nostre ragazze…E’ una grande responsabilità per le autorità marocchine nel momento in cui il mondo lotta contro il terrorismo , che condanniamo energicamente ed esprimiamo la nostra solidarietà alle vittime di queste meschine e vili azioni ovunque avvengano inclusi gli stati come il Regno del Marocco. Questo regime invece di incamminarsi sulla via della democrazia e della libertà, ricorre alla guerra come i vigliacchi terroristi. Quale differenza c’è tra chi uccide degli innocenti nelle stazioni dove viaggiano dei pacifici cittadini e quelli che uccidono innocenti nelle prigioni marocchine dopo averli torturati e violentati?Consideriamo i torturatori marocchini come criminali tanto quanto gli assassini che fanno esplodere le bombe a Londra, a Casablanca o a Madrid…”35 [4]

Fino a quando il popolo saharawi e sopratutto le nuove generazioni resisteranno a non intraprendere azioni violente determinate da una comprensibile disperazione? Per prevenire una possibile degenerazione della situazione deve essere più alta l’attenzione nei territori occupati e le prese di posizioni da parte dei paesi Europei immediate. L’attenzione dell’opinione pubblica mondiale alla questione del Sahara Occidentale, può assumere un ruolo fondamentale per la pressione sulle decisioni dei rispettivi governi. Di questo il Marocco è consapevole; la voce libera di Tamek in Europa è

33 [2] Per quanto riguarda il petrolio ritiene che sia legittimo da parte del Marocco la ricerca ma non lo sfruttamento di tali risorse (lettera di Hans Corel, segretario per gli affari Giuridici dell’ONU del 12 Febbraio 2002, (S2002/161).

34 [3] Amnesty International, Marocco e Sahara Occidentale, sezione Italiana, 29/04/2004. 35 [4] Appello delle famiglie degli attivisti Saharawi sequestrati dalle forze di repressione. Firmato dalla famiglia di: Aminatou Haidar, Tamek Ali Salem, Mohamed Elmoutaoikil, Fdaili Gaoudi, Brahim Noumria, Lidari Lhoucine, Laarbi Masoud. El Aaiun, 21 luglio 2005. stata punita al suo ritorno con la sua immediata carcerazione. La voce di Aminatou è ancora nella possibilità di denunciare le violazioni: è principalmente responsabilità delle democrazie occidentali e dell’opinione pubblica permettere che ciò continui ad accadere. A conclusione di questa tesina mi sento di voler indirizzare un pensiero a chi ha avuto il coraggio di credere nei propri ideali a prezzo della vita, ed in particolare a tutte le ragazze e tutti i ragazzi saharawi che oggi manifestano nelle strade e nelle scuole del Sahara Occidentale occupato.

Appoggio con affetto e riconoscimento la lotta dignitosa e pacifica del popolo Saharawi.

Bibliografia

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