Angelo G. Giorgetta

“ S T A Z A ”

i L P E R C O R S O

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M O N T E M I T R O E S. L U C I A T R A L I N G U A, A R T E E ST O R I A

PRIMA PARTE Alle stampe per il 2021 Montemitro (CB) - Ed. Privata

COPERTINA: - All’interno della cartina geografica, dall’alto in basso, quattro chiese di S. Lucia indicate in rosso: - Split – Kaštel Štafilič – Put Svete Lucije Kapelica Sv. Lucije (fatta nel 2008) - Hvar – Stari Grad – Crkva Sv. Lucija (con una statua in pietra del 1500) - Korčula – Blato – Crkva Sv Lucija. - Lastovo – Crkva Sv. Lucija (del 1500 - ormai abbandonata). - – Mundimitar – Kapela Sta Luce (del 1932 su antiche fondamenta di una chiesetta più piccola). - Nelle due foto in basso a sinistra, dall’alto in basso: - Montemitro – Fonte Grande – Cappella di S. Lucia. - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Dipinto di S. Lucia del 1600 napoletano. - Nelle due foto in baso a destra, dall’alto in basso: - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Statua di S. Lucia del 1700, secondo la tradizione orale fatta sul modello di una più antica portata dall’altra parte del mare. - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Porta d’ingresso laterale a “mo’ di trittico chinante”.

RETROCOPERTINA: - Documento del 1041 su Montemitro, l’allora Monte Metulo - Epigrafe di Montemitro del 1314, relativa al monte Italia? - Manoscritto del 1768 inerente al 1520 sull’arrivo dei croati. - “Quaderno” filigranato del 1600 relativo al Casale di Montemitro del 1702. All’interno della retrocopertina: - Le quattro edizioni precedenti su Montemitro relative anche ad e a .

MONTEMITRO – 1041 – “Monte Metulo”: << Sequenti etiam anno (1041) Benedictus quidam de castello Monte Metulo fecit oblationem suam in hoc monasterio de ecclesia sancti Iohannis, que sita est in finibus eiusdem castri iuxtra fluvium Trinium, cum terra modiorum ducenti LXX, ubi ipsa ecclesia edificata est, et cum ceteris omnibus rebus ipsius”. (Leone Marsicano o Hostiense – “Cronaca monastero cassinese” / Ed. F. Ciolfi – Cassino – 2016 - pagine 237 e 238 - libro II - cap. 55).

MONTEMITRO 1314 – L’epigrafe che dà al Molise il primato della prima cima battezzata “Italia” ?

MONTEMITRO – 1520 “Colonia di S. Lucia”

(Manoscritto del 1768 steso dal vescovo di , Tommaso Giannelli, custodito nell’archivio storico comunale “Casa Rossetti” / Vasto – CH / Vol. XII ms. cc. 353-357).

Abbiamo paesi, abbiamo chiese, abbiamo tradizioni, abbiamo memorie, MONTEMITRO – 1702 abbiamo una lingua “Casale di Montemitro” che ci contraddistingue da ogni altra etnia.

Se perdiamo le radici, perdiamo noi stessi... Za te počet su iskal tvrdo MONTEMITRO ter su zabral ovi lipi brdo, Per iniziarti hanno cercato il solido e hanno scelto questo bel colle, su te tunal okolo fiške kano riba okolo liske. ti hanno arrotondato intorno alla roccia come un pesce intorno alla sua lisca. Su te škrimal s ovimi puti zvono u srid ke čeljade budi. Ti han rigato con queste strade la campana in mezzo che la gente sveglia.

Puta oš putića do tebe zahodaju ke larga oš dubrave bhodaju, Strade e stradine da te escono che campi e boschi scrutano, e ti stojiš lipo ode zgora a jerke jesi ndžera mora; e tu stai bene qui sopra perché sei di fronte al mare; gledaš dol nadno ti brbori rikica dviniš oć, je Majela kano kraljica.

se guardi giù in fondo ti borbotta il fiume alzi gli occhi, c’è la Maiella come una regina.

Stotine svići se vidu binoć sve di se bračaš najideš oč. Cento e più luci si vedon di notte ovunque ti giri sazi gli occhi.

E mi, Boga, za one pokonje ćmo molit Si do tebe se moremo hualit.

E noi Dio, per quei defunti dobbiamo pregare se di te ci possiamo vantare. 1

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Biše okolo gošta 1520 kada, iz one bane mora, one prve naše čeljade, su imal zgapo, ter ovamo Sta Lucom su til do.

Ai miei familiari e a tutti i miei paesani in occasione dei primi 500 anni con S. Lucia

Era all’incirca il 1520 quando, dall’altra parte del mare, i nostri primi antenati, se ne son dovuti andare e da questa parte con S. Lucia son voluti venire.

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SULLE ROVINE DEL KOVID 19 POPOLI IN ESILIO NEL CUORE DEL MONDO NAZIONI FERITE.

C’era una volta una pandemia mondiale Una situazione molto difficile Molte persone soffrivano e morivano In tutti i continenti il coronavirus dirompeva La gente era chiusa in casa Le piazze deserte, le strade vuote Polizia e ambulanze avanti e indietro Camion di militari con le bare I politici si riunivano e discutevano Gli scienziati studiavano Qualcuno non riusciva più a stare dentro Molti si beccarono multe salate Infermieri e dottori in prima linea Morirono in molti, anche preti Nelle case di riposo una vera strage La Cina, l’Italia, la Spagna e gli USA

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Le nazioni più colpite entrarono in una crisi economica Molta gente conobbe la paura e la tristezza Internet, TV e telefono le nuove vie Nuove strade su cui tutti viaggiavano Si riscoprì l’importanza della spiritualità Ma si confondeva il virtuale con il reale Le chiese erano luoghi di assembramento Per un po’ di tempo chiuse al popolo per la Messa Poi certi vescovi si arrabbiarono E si trovò qualche soluzione Piano piano le cose andavano risolvendosi Fu testato anche più di un vaccino La crisi economica però galoppava Si richiedevano grandi sacrifici Cambi continui di governo Portarono all’instabilità sociale Tutto faceva pensare ad una cattiveria mondiale Ma… in un paese di cui si è perso il nome Un giorno tutti videro una bambina che sempre alla stessa ora entrava in chiesa e diceva ad alta voce “Santa Lucia dì a Gesù, che ci pensi su’ ” Un tale le chiese: “O bella bimba che fai qui?” “Prego per me, per te, per tutti noi” “E perché?” - “Perché dobbiamo essere più buoni” L’uomo con un sorriso sarcastico disse “Tu sei piccola, ancora non sai cos’è la cattiveria” “E tu sei grande, hai dimenticato l’innocenza” Da quel giorno in chiesa C’erano un uomo e un bambina

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Col passare del tempo i due divennero quattro I quattro divennero otto, Otto divennero sedici e così via…. Molto tempo dopo lì passò uno straniero Rimase colpito dalla serenità delle persone. Chiese ad una donna: “Ma la cattiveria non abita più in questo paese?” Con un dolce sorriso gli rispose: “La malvagità è un virus che non muore mai, Un giorno, però, una bimba ci ha insegnato A tenerlo lontano” - “Come?” “Ci ha detto che Gesù è la medicina E che dobbiamo prenderla costantemente” Strada facendo lo straniero pensò “Tutto questo potrà sembrare una favola, Ma, in fondo in fondo, se credo in Dio Devo anche credere alla potenza della preghiera Unita all’intercessione dei Santi.

Certamente i nostri antenati, forti della loro fede e tenacemente legati a S. Lucia, non hanno risolto i fenomeni delle catastrofi naturali, ma sicuramente a livello spirituale erano talmente corroborati da saper fronteggiare ogni genere di difficoltà. Basti pensare alle conseguenze del tremendo terremoto di cinque secoli fa che distrusse centinaia di piccoli e grandi paesi dall’Aquila a Potenza. Morirono circa 40.000 persone quando l’Italia dell’epoca ne contava circa otto milioni, come se oggi morissero 300.000 persone.

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L’avvenimento venne ricordato come: “il terremoto di S. Antonino di Firenze”. Nella cronaca si legge: “il terremoto che si verificò in alcune parti del Regno e particolarmente nella Puglia, l’anno del Signore 1456, il giorno 5 dicembre alle ore 21,00 e che si ripeté il 30 dello stesso mese alle ore 16,00 fu un terremoto che non si ricorda a memoria d’uomo, e che mai si legge fosse di tale veemenza e che abbia provocato tanta mortalità di uomini.” Come se ciò non fosse stato sufficiente, successiva al terremoto fu la pestilenza che dal 1493 al 1495 si diffuse da Napoli alle Puglie. Molte terre furono abbandonate, per tutto il basso Molise regnava il silenzio e il deserto, un po’ come le strade e le piazze durante il Kovid 19. Le autorità, costrette dalla situazione, presero una decisione ardita e pericolosa: importare coloni dall’estero con il tremendo rischio di far passare anche la malavita del tempo, ma la crisi economica incombeva, i granai erano vuoti… Col cappio alla gola i feudatari del nostro territorio ottengono dal Regno di Napoli accordi tali da invogliare le popolazioni della Dalmazia e dell’Albania a ripopolare le loro terre, grazie soprattutto all’aiuto della Repubblica di Venezia e di Ragusa. Siamo a cavallo tra il 1400 e il 1500, l’invasore Ottomano dilaga ormai in tutta la penisola balcanica. Le galee veneziane sono in continuo andirivieni tra i porti dalmati e le foci dei fiumi italiani a loro dirimpetto. Slavi e albanesi, accolti quasi per forza dalle autorità locali, inizialmente malvisti e trattati non proprio cristianamente, gradualmente si aggraziano i signorotti e ottengono case, terreni e privilegi.

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Molti si adattano e assimilano la lingua e gli usi locali, altri conservano gelosamente la propria identità, custodendone ancora oggi la lingua e i costumi propri. Noi, abitanti di Montemitro siamo fieri di essere figli di gente slava, che pur di conservare la Fede, la Libertà, la Vita e la Dignità umana, si sono dati alla fuga. Ricordando questi lontani episodi che oggi in qualche modo si ripresentano come se fossero dei fantasmi, ci apprestiamo a combattere una terribile Pandemia con lo spirito trasmessoci dai nostri antenati, che costretti a fuggire dalla bellissima Dalmazia, pur di conservare Fede e Libertà, hanno tenacemente dissodato palmo a palmo queste terre per dare un futuro alle loro famiglie, per insediarsi contribuendo al miglioramento del territorio di chi li ospitava… Un fulgido esempio di rigenerazione spirituale e di ricostruzione materiale da parte dei nostri avi fu l’edificazione della Cappella di S. Lucia. Esempio che invogliò le successive generazioni a riedificare il paese e le due chiese, non solo, ma forti delle esperienze dei propri Padri, ogni generazione seppe affrontare catastrofi di ogni genere: la peste del 1600; i terremoti e il colera del 1800; la peste spagnola del 1918. Fuggire da una situazione critica, di invasione cruenta, abbandonando le proprie case, per approdare su “nuove” terre sconosciute devastate da terremoti e pestilenze, riedificare un paese, ricostruire una chiesa, farsi una casa, lavorare senza remunerazione, tessere un nuovo “modus vivendi” – senza perdersi d’animo - è il “Sogno” di tutte quelle persone che vogliono ricostruire l’Italia sulle ceneri

8 del Kovid 19, che vogliono combattere contro il virus dello scoraggiamento per non soccombere sotto il terremoto della paura e per non agonizzare nella peste dell’individualismo. Questa cosa è molto bella. Per cui, noi tutti, dobbiamo imparare dai nostri antenati a essere “Uomini Nuovi, uomini di relazione, di comunione, di amore”. Persone Creative, che promuovano la pace e l’unita, e che godano della diversità. Da soli non possiamo fare nulla. Dobbiamo essere uniti anche se diversi nel nostro modo di pensare. La collaborazione non deriva dall’esperienza sociologica, né dall’etica, ma dalla fede. Non siamo chiamati ad aiutarci perché riteniamo che sia una opera buona, ma perché il Dio in cui crediamo ci ha donato una cultura cristiana intessuta di relazioni che trasfigurano il mondo… e questa è la bellezza che ci farà risorgere sulle ceneri del coronavirus. In poche parole, abbiamo bisogno di collaborare gli uni con gli altri, così come abbiamo bisogno del cibo e del sonno… Siamo stati creati e riflettiamo un Dio che non sa vivere solo.

Per cui, facendo memoria della ciclopica opera dei nostri antenati e avendo fede nella potente intercessione di Santa Lucia e di San Rocco, combattiamo la nostra buona battaglia collaborando gli uni con gli altri, affinché si trovi sempre una soluzione ai problemi che si presenteranno.

Spero questo libro sia da sprono per un mondo migliore.

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INIZIAMO FACENDO…

…una visita alla decadente chiesetta di Santa Lucia sull’isola di Lastovo, la più vicina a noi in linea d’aria, le cui foto del 1932 hanno qualcosa in comune con la nostra cappella di Santa Lucia.

In Dalmazia e sulle isole i bambini non chiedevano i doni a San Nicola, ma a S. Lucia. Nei calzini, nelle pantofole o sotto il cuscino aspettavano dolcetti e frutta secca: noci, mandorle, fichi secchi, arance... In onore di questa Santa è stata costruita una chiesetta tra le tante sull'isola di Lastovo. All'inizio del XVI secolo la Confraternita di S. Lucia costruì una chiesa in cima a una collina (vedi foto aerea pag. affianco) e la dedicò alla propria patrona, il cui culto era molto diffuso in Dalmazia, come a Lastovo stesso. In virtù della sua perfetta posizione geografica, nel corso dei secoli, la chiesetta è stata adibita: a struttura ecclesiale; a torre d’avvistamento, a fortezza e infine a centralina elettrica (vedi foto).

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Da una foto gelosamente conservata del 1932 (qui purtroppo non mostrata), si vede come la chiesa abbia avuto un campanile a vela, una finestra rotonda sulla facciata e un'abside (verosimile alla Cappella di S. Lucia a Montemitro. Vedi foto).

Non sorprende il fatto che ci siano stati conquistatori spietati, ma ciò che fa male è l’incoerenza: con un eventuale restauro e piantando qualche cipresso, il complesso Avrebbe almeno un aspetto più gentile e adatto per la celebrazione della Santa Messa nella festa di Santa Lucia, il cui nome è portato da molte donne di questa bellissima isola. (cfr. https://provin-lnt.hr/555/sveta- lucija-na-otoku-lastovu/)

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“KRIŽ NA STAZ”

(Foto di Rocco G. a cui, di vero cuore, per la sua superna generosità, dedico questa poesia.)

Iz Kapele, Sta Lucom u ruk, molimo, kandamo, gredemo. Noge nas nosu drit na Staz, križ nam govore, gradič naš čeka. Oč vit hiže, uš čut zvona, život grči, srce stupa. Kano nonda, muja ci Luiđa nako men mi čini sada. Ne moreš hot, ni napri ni naza, riče nimaš, ova je Staza…

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LA CROCE SUL “SENTIERO”

Dalla Cappella con S. Lucia in mano, preghiamo, cantiamo, camminiamo. I piedi ci portano dritti sul “Sentiero”, la croce ci parla, il paese ci aspetta. Al veder gli occhi le case, le orecchie odon le campane, il corpo trema, il cuore batte. Come allora, il mulo di zi Luigi, così a me succede adesso. Non puoi più andare, né avanti né dietro, parole non hai, questo è il “Sentiero”…

Nota importante per capire cosa accadde al mulo di zi Luigi: la signora L.V., la nipote del sordomuto Luigi Giorgetta, il veggente che vide S. Lucia e che mise la prima croce di legno in località Staza, racconta come in questo luogo accadde il seguente episodio: (la sera dell’apparizione) “lungo la strada del ritorno ad un certo punto il mulo sul quale era in groppa mia mamma scivolò all’inizio di un burrone, ma inspiegabilmente non precipitò, perché da come mi spiegò mia mamma, questo si fermò o meglio s’immobilizzò e rimase nella stessa posizione fino a quando non giunsero in soccorso alcuni compaesani, i quali si erano allarmati non vedendoli tornare in paese, visto che il sole era già tramontato da un bel pezzo. Mia mamma una volta portata in salvo raccontò ai presenti dell’apparizione che ebbe suo padre”.

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“STAZA”

“Il Sentiero”. È il nome di un punto ben preciso di un percorso che fa da “spartiacque” tra il vecchio insediamento dei nostri antenati chiamato Selo o Paese, e Montemitro che nel 1702 era chiamato Monte Mitulo (vedi foto aerea).

La parola “staza” è un termine croato molto antico che sta a significare un sentiero di campagna molto stretto, una specie di mulattiera. Nel contesto di questo libro, la parola “Staza” vuole essere un richiamo a “mille percorsi”: dalla Dalmazia al Molise per salvarsi la vita; dalla località Selo molto franosa al promontorio roccioso di Montemitro; da Montemitro alle lontane terre d’emigrazione; dalla Croazia al Molise da parte dei molti studiosi; ecc. Tale termine, però, va letto soprattutto come <> di una comunità che va incontro al turista

14 con tutte le sue ricchezze a livello filologico, artistico, religioso e storico. Ed è proprio dalla lingua autoctona croato-molisana detta “Na-našo” (“a modo nostro”) che vogliamo partire per fare un po’ di storia, per poi passare all’arte, al folklore, alla poesia e ad altri aspetti caratteristici di Montemitro. Secondo l’ininterrotta tradizione orale “Povidahu one stare, ke one čeljade do pri su ba dol iz one bane mora na jena venerdì de lu mez de mađ; iz onamo su ba donil nu Sta Lucu malu; su ba til po na selo; biše voda; se vidahu se tri grada; biše Sta Luca; samo ke ni selo bihu čuda lame, za to su dol di sada je naš grad”. “Raccontavano gli anziani che quelle persone di prima, sono venute dall’altra parte del mare in un venerdì del mese di maggio; da lì hanno portato una piccola Santa Lucia; sono voluti andare in località Selo; c’era l’acqua; si vedevano tutti e tre i paesi croati (vedi foto aerea); c’era Santa Lucia; solo che in località Selo c’erano molte frane, per questo sono venuti dove adesso c’è il nostro paese”.

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Queste frasi “caparbiamente” trasmesse da 500 anni di generazione in generazione, hanno il loro più profondo significato nella località “Staza” dove c’è una croce e da dove “appare” il paese di Montemitro; un punto del percorso che diventa “spartiacque”, passaggio tra un vecchio sistema di vita e uno nuovo. Non a caso la parola ebraica “pesah” significa passaggio o pasqua; ecco il perché della Croce: una comunità cristiana che vede in Cristo, morto e risorto la sua “Staza”, il suo sentiero stretto, il suo percorso; il suo passaggio, la propria Pasqua. Da qui il valore simbolico della poesia e del titolo del libro.

“ZA NE ZABIT KO BIHMO OŠ ZA ZNAT KO JESMO”

“Per non dimenticare chi eravamo e per sapere chi siamo”. Questa frase, di Rocco Giorgetta, iscritta come lapide sull’ossario (vedi foto) presso la Cappella di Santa

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Lucia, ci ricorda che la nostra identità, la nostra memoria, va salvaguardata, va nutrita, considerando il passato come se fossero le radici di un albero, che solo se innaffiate possono portare frutti ad un presente proteso verso un futuro migliore. Nutrire una memoria significa trasmettere in parole e opere le meraviglie operate dai nostri Padri, facendo festa insieme aggregati per cercare l’unità e la pace, due pilastri che aiutano ad avere un futuro più roseo. E proprio in favore della nostra tradizione orale sulla venuta dei nostri antenati, dall’altra parte del mare in un venerdì del mese di maggio portando S. Lucia, è doveroso fare le seguenti riflessioni “per non dimenticare chi eravamo e per sapere chi siamo”: I) agli inizi del 1500 in alcune isole veneziane della Dalmazia era già molto diffusa la devozione a S. Lucia e nonostante le incursioni distruttive degli Ottomani, ancora oggi il nome Lucija è molto comune grazie all’ininterrotta devozione verso la Santa; II) Montemitro esisteva già, anche se con nomi leggermente diversi, fin dal 1041. Rimasto distrutto dal terremoto del 1456 e definitivamente abbandonato con la peste del 1492, restò in attesa di essere ripopolato; III) quando vennero i profughi trasportati dai veneziani d’accordo col Regno di Napoli, presero il nome del posto che il Fisco napoletano imponeva loro e veniva loro concesso di abitare le campagne e non direttamente i piccoli borghi, difatti le prime case e chiese costruite dai profughi erano discostate dai paesi, solo alla fine del 1600, inizio ‘700 inizia la ricostruzione dei borghi con chiese barocche;

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IV) <>. (Estratto da: “Della Terra di Montemitro”. Relazione del 1768 – vedi foto sotto – scritta dall’allora vescovo di Termoli, Tommaso Giannelli, custodito nell’archivio storico comunale “Casa Rossetti” / Vasto – CH / Vol. XII ms. cc. 353-357.)

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V) anche se non abbiamo prove storiche dirette sul fatto che i nostri antenati vennero dalla Dalmazia portandosi una effige della Santa, ciò non ci esonera dal dire che: <>; VI) la caratteristica della piccola colonia di S. Lucia era quella di essere frazione della Terra di San Felice (Feudo dei Pappacoda di ) ma facente parte della Terra di Montemitro (Feudo dei Cafara di Montefalcone). Dopo queste riflessioni, che potrebbero avallare l’ipotesi dell’arrivo di profughi Dalmati con l’effige di Santa Lucia, sorge una domanda: <>. La risposta è: <>. L’impero ottomano è alle porte, le isole dalmate più a sud possono essere le prime a subire saccheggi, dunque perché non approfittare delle galee veneziane che d’accordo col Regno di Napoli stanno imbarcando per l’Italia i profughi provenienti dall’interno della penisola balcanica? E se la chiesa di S. Lucia più a sud di tutte le isole si trovava a Lastovo? Perché non pensare che proprio da lì siano fuggiti alcuni devoti di S. Lucia? I quali abbiano accolto l’invito per vivere nella Terra di Montemitro, territorio che poteva richiamare la terra d’origine.

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Ciò non significa che la popolazione di Montemitro discenda da Lastovo. No, ciò vuole solo essere una ipotesi su come poche persone molto devote a Santa Lucia, potrebbero aver diffuso la devozione della Santa a tal punto da farsi registrare nel fisco napoletano come <>, tutto questo a prescindere dal fatto se abbiano portato qualche effige della Santa o meno. Che poi i profughi croati siano arrivati in un venerdì del mese di maggio, oltre alla tradizione orale, lo prova anche una testimo-nianza scritta del 1864 da parte del senatore, linguista e glottologo Graziadio Isaia Ascoli (1829 –1907) nel suo “Viaggio tra gli Albanesi e Slavi del Molise”: l’idioma slavo delle colonie molisane “Parlasi ancora da tutti in Acquaviva Collecroce (1920 ab.) e in San Felice a Montemitro1 (2514 ab.) che danno una popolazione complessivo di 4500 anime. I vecchi lo parlano tuttora anche in (2135 ab.). Pure di Palata (3991 ab.) è accertata l’origine slava; e slavi ebbervi eziandio (anche) a Ripalda (Mafalda) (2081 ab.); e di (1147 ab.) deve dire Mons. Tria, nelle Memmorie istoriche della città e diocesi di Larino, che tutti gli abitanti vi smozzicassero un gergo slavo. S. Giacomo (918 ab.) celebra l’arrivo de’ coloni slavi, l’ultimo venerdì d’aprile, dovecchè gli altri paesi lo celebrano il primo venerdì di maggio”.

1 Solo a Montemitro il 10 agosto 1908 verranno censiti 1025 ab. 20

In tal contesto è di notevole importanza anche la testimonianza scritta da Mons. Daniele Gaudenzio (1910 – 1987) già parroco di Montemitro: <<1° venerdì del mese di maggio: Festa di S. Lucia. La Santa, per antica tradizione è festeggiata in tutti i venerdì di maggio… si fa una piccola processione con la Reliquia della Santa. L’ultimo venerdì i fedeli dei paesi vicini vengono in processione… La devozione a S. Lucia certamente è stata portata dalla Dalmazia dai nostri antenati; ne sono prova: dove sorgeva il primo villaggio slavo (selo) in contrada Fonte grande c’era una chiesetta dedicata a Santa Lucia. Si conservava in chiesa un piccolo busto, forse ligneo della Santa, sul quale è stata modellata l’attuale statua della Santa; è scomparsa, pare, nel 1938, portata via da Don Mario Beccaria, quando da Montemitro passò come vice parroco a Palata>>.2

2 Testo estratto da un dattiloscritto lasciatoci da Don Gaudenzio. 21

Anticamente Montemitro era conosciuto anche per la “Fiera di S. Lucia” del 1° venerdì di maggio, che si svolgeva nell’attuale via degli Eroi.

Attualmente nel locale sotto la chiesa sono stati trovati degli arti in legno di una piccola statua molto antica dell’altezza di circa un metro (vedi foto). È ciò che resta di qualche santa del 1500?

“KOKO JE SLAKA FEŠTA NA KAPEL”

“Quant’è dolce la festa della Cappella di S. Lucia”, una chiesetta situata a circa tre km dall’attuale centro abitato presso una sorgente chiamata “Fonte Grande” in una località “Selo” o “Paese”, dove la prima “Colonia di Santa Lucia”, proveniente dalla Dalmazia e sfuggita all’invasore Ottomano, si insediò nel 1520 circa.

Molto probabilmente a causa di smottamenti, dal 1702 i discendenti dei profughi croati si trasferirono progressivamente sull’attuale colle roccioso di Montemitro. Le tracce del vecchio insediamento restarono nella tradizione orale della popolazione, nel sito dell’attuale Cappella e nella nomenclatura del territorio. Da tempo memorabile esisteva un muretto “titolato” alla Santa detto in lingua locale (na našo): “zid do Sta Luce”, sostituito poi dall’avvenuta costruzione della “Cappella”.

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Nel 1930, circa, a Luigi Giorgetta, un sordomuto di Montemitro, appare Santa Lucia che desidera la ricostruzione della propria "dimora". Con la costruzione della Cappella nel 1932-34 per opera dell’allora parroco Don Alberto Pellesi (vedi foto), vengono alla luce le fondamenta di una chie- setta più piccola. Con i restauri successivi si scopre parte di un cimitero, dal quale si prelevano le ossa per deporle in un nuovo ossario (vedi pag. 16). Attualmente, la festa della Santa oltre a quella liturgica del 13 dicembre, viene celebrata nella prima domenica dopo Pasqua e nei venerdì del mese di maggio, in modo particolare l'ultimo (festa patronale) per ricordare l'arrivo degli antichi croati. La prima domenica dopo Pasqua, detta “in Albis”, è la cosiddetta “festa della Cappella”, la caratteristica processione parte dalla chiesa madre in paese e arriva alla chiesetta della Santa, una volta sul posto, dopo aver fatto i tradizionali tre giri intorno ad essa viene celebrata la Santa Messa, segue il pic-nic generale durante il quale si fa l’asta dei dolci. Al termine la processione riparte per il paese, sempre dopo aver fatto i classici tre giri intorno alla chiesetta.

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DON ALBERTO PELLESI ( 7–11-1905 / 24-2–1993 )

Figura di sacerdote esemplare che, nella piccola comunità di Montemitro, le persone di una certa età ricordano con affettuosa nostalgia. Ordinato sacerdote a Termoli da Monsignor Oddo Bernacchia il 19 aprile 1931, celebra la sua prima Messa solenne a Montemitro nella Chiesa parrocchiale di Santa Lucia. Fece ricostruire, a prestazione d’opera, una chiesetta in contrada “Selo” a 3 Km da Montemitro, dove si pensa sia stato il primo insediamento slavo e dove ogni anno nella Domenica in Albis ci si reca in processione portando la statua di Santa Lucia con grande concorso di popolo anche dai paesi circonvicini (festa della Cappella di Santa Lucia). Don Alberto è stato un punto di riferimento e di aggregazione, uno di famiglia; ha dato le sue primizie sacerdotali per la comunità di Montemitro quando, questa parola, comunità, non era nelle intestazioni delle lettere ma soprattutto nella realtà dei cuori; ancora si avverte nelle persone anziane l’impronta di questo esemplare e zelante Sacerdote. Don Alberto è partito da Montemitro nella primavera del 1934; tre brevi ma fecondi anni di ministero sacerdotale. Grazie, Don Alberto, non una volta ma infinite volte.

(Estratto da un articolo di Don Nicolino D’Aimmo già parroco di Montemitro)

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Ebrei salvi grazie al “Timbro” di Don Alberto Pellesi.

Decine di ragazzi del Centro-Europa erano stati condotti in Jugoslavia da Recha Freier che, si occupava di assisterli procurando loro trasporti clandestini e sostentamento. Quando i Tedeschi aggredirono la Jugoslavia, quegli esuli furono condotti a Lubiana, nella Slovenia controllata dall'Italia. Nel 1942, vennero ospitati a Nonantola (MO). Dopo l'8 settembre 1943, si sentirono tutti in pericolo; perciò, si pensò alla Svizzera; ma occorrevano documenti per l'espatrio. L'opera di contraffazione fu opera dal parroco di Rubiana (TO). Le carte d'identità venivano fornite da un impiegato comunale e presentavano il timbro a secco del comune di Larino senza l'ala (5 fasce verticali ed una centrale, più marcata). Fu ricavato da un bullone da un artigiano che collaborava. Portata a termine la contraffazione, fu un medico del luogo a sottoscrivere i documenti, adoperandosi - assieme al parroco - affinché i ragazzi di "Villa Emma" potessero raggiungere al più presto la frontiera svizzera in treno. Riuscirono ad attraversare il confine e fu loro concesso asilo politico. Oggi quel timbro a secco del comune larinese è esposto nel “Museo storico della resistenza” di Modena. Successivamente fu utilizzato ancora per documenti d'identificazione rilasciati ad altri Ebrei ed a partigiani. Era stato lavorato in ferro poiché quelli di gomma venivano esaminati con sospetto dai Tedeschi perché una circolare aveva imposto a qualunque laboratorio tipografico l'obbligo di registrare il nome dell'acquirente. L’archivista della diocesi di “Termoli-Larino”, Giuseppe Mammarella azzarda un'ipotesi: "Sul finire degli Anni '20 - scrive lo studioso - era giunto nel Basso Molise don Alberto Pellesi, già seminarista a Nonantola che, nel '31, divenne parroco di Montemitro per rientrare a Modena nel '34 dove sicuramente poté incontrare il sacerdote nonantolese che aveva salvato i ragazzi suggerendo Larino per falsificare il timbro" (dato che il Molise era già stato occupato dagli Anglo-Americani).

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Galleria fotografica relativa alle processioni e all’asta dei dolci nella Festa della Cappella di S. Lucia.

Sopra: “Largo Croce” - probabilmente nel 1932 quando per la prima volta con Don Alberto Pellesi si va in processione alla Cappella di S. Lucia. - Sotto: l’arrivo presso l’erigenda Cappella, plausibilmente, il 10 aprile 1932.

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STVARE SLAKE

Vre homo na Kapel, su počel hita ban za čeljade iz grada, oš za fruštire iz van, žene za onihi velkihi su činil kolačiča marele za onihi malihi su činil konjiča.

Nako pupe za divojke nimaju se zabit tako lipe kolače s jaii nimaju se hranit, ko je frijia đrčke, hi ide teple, teple ko je rabija, je činija pinje velke, velke.

Pa kruh panundani ga idu mlade oš stare slake jesu diavulile suhe oš druge stvare, toko čuda su il, ke sparetune bihu spič

sasmi jajem su izil češticu oš pur tič.

Stvare slake danas na kapel su donil pri zgora glave na nogami su ponil, u čištune za ist oš diča se nosaše zgora tovara nako koi čeljade jašaše.

Na ni put stari mokro nimaše bit se no kano mackare bi na til vit, na fund velk idjiahu žene s čičinom dokle ljude u hlad pijahu s trufulom.

Nako večer Sta Lucom kandahu vre u grad s prčesijunom tečahu.

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CIBI MOLTO BUONI 3

Su forza, andiamo alla Cappella, inizia il bando per le persone del paese e per i forestieri, le donne per i grandi hanno fatto i dolcetti le nonne per i bambini hanno fatto i “cavallucci”. Come le “pupe” per le bambine non vanno dimenticate così i buoni dolci con le uova non vanno nascosti, chi ha fritto i “grcke” li mangia caldi caldi chi ha lavorato ha fatto le “pigne” grandi grandi.4 Poi il pane oliato lo mangiano giovani e vecchi buoni sono gli altri cibi e i peperoni secchi, eran talmente affamati da svuotare la tovaglia con le uova hanno mangiato il “cestino” e “l’uccellino”.5 Cose dolci oggi alla Cappella hanno portato prima sulla testa a piedi li portavano, nei cestoni da mangiare e i bambini si portava sull’asino solo qualcuno cavalcava.

In quella vecchia strada non doveva essere bagnato altrimenti come maschere di carnevale ci avrebbero voluti vedere, alla fonte grande andavano le donne con la “cicina” mentre gli uomini all’ombra bevevano con la “trufula”. 6 Così la sera con Santa Lucia cantavano veloci verso il paese in processione andavano.

3 La traduzione letterale è: COSE DOLCI, mentre la traduzione contestuale si riferisce ai cibi succulenti. 4 “Grcke” con la “G” morbita sono dei dolci particolari del paese dal nome intraducibile. La “Pigna” è un dolce locale a mo’ di panettone. 5 Il cavalluccio, la pupa, il cestino e l’uccellino era fatti di pasta frolla con al centro un uovo lesso. 6 La cicina (vedi pag. affianco) è una piccola giara per l’acqua, la trufula (vedi sopra) è una piccola anfora per il vino, in terracotta. Gli “antenati” della borraccia. 35

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“PRVE FEŠTE NA KAPEL”

Riportiamo qui sotto l’elenco delle “Prime feste alla Cappella” dal 1932 al 1947, riportate nel registro contabile della Parrocchia di Montemitro, conservato nell’archivio della chiesa stessa.

Domenica 10 aprile 1932 - La Prima - Lunedì 10 aprile 1933 Martedì 10 aprile 1934 Mercoledì 10 aprile 1935 Domenica 19 aprile 1936 Domenica 4 aprile 1937 Domenica 24 aprile 1938 Domenica 16 aprile 1939 Domenica 31 marzo 1940 Domenica 20 aprile 1941 Domenica 12 aprile 1942

(Nel 1943 non viene riportata nessuna voce in relazione alla festa della Cappella, molto probabilmente perché si era in clima di Guerra)

Domenica 16 aprile 1944 Domenica 8 aprile 1945 Domenica 28 aprile 1946 Domenica 13 aprile 1947

Poi si è continuati, in modo ininterrotto, sempre nella prima domenica dopo Pasqua, fino al 2020 al tempo della pandemia.

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“NO MALO LUTRINE” – “UN PO’ DI CATECHISMO”

IN S. LUCIA - COMUNIONE & COMUNITÀ

Il folklorismo e il devozionismo sono due termini che vanno conosciuti per essere evitati, attraverso di essi il diavolo divide la comunità, perché si desidera piacere a se stessi primeggiando con la propria umanità, in tal modo ci si allontana dall’Eucarestia e dalla Chiesa. Al contrario, la vera devozione e l’autentico folklore sono sinonimo di una comunità unita al Signore per mezzo del proprio Santo per fare festa spezzando il Pane Eucaristico con il pane della gioia. Per questo viene costruita la chiesa, dimora di Gesù Eucarestia, la pietra angolare capace di trasformare i battezzati in pietre vive che generano una Chiesa viva, unita e compatta, come avvenne anche con Santa Lucia, che desidera da noi un amore ardente verso Gesù Eucarestia. In conclusione: se ami Santa Lucia non puoi fare a meno della “Tua Messa”, della “Tua Chiesa”.

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IL MOLISE E LA SUA DEVOZIONE A S. LUCIA

Capracotta Mafalda San Felice Castelverrino Poggio Sannita Montemitro

Agnone

Miranda

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Montemitro -CB- Parrocchia di S. Lucia.

Cappella di S. Lucia.

Castelverrino -IS- Chiesa di S. Lucia in Verrino.

Capracotta -IS- Cappella di Santa Lucia.

Miranda -IS- Cappella di S. Lucia.

Agnone -IS- Cappella di S. Lucia della Posta.

Poggio Sannita – IS- Chiesa di S. Lucia.

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Ripalimosani -CB- Chiesa di S. Lucia.

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Paesi con devozioni simili a quella di Montemitro.

San Felice del Molise –CB- Un tempo, tutti i venerdì del mese di maggio, si portava in processione dalla Chiesa Madre alla Cappella di San Felice Papa un quadro di Santa Lucia, tuttora conservato.

Mafalda -CB- Festa di S. Lucia. - Ultimo venerdì

di maggio.

Castelmauro -CB- Festa di S. Lucia – Fino al 2017 il primo venerdì, ora la prima domenica di maggio.

------NB Da non dimenticare che i fedeli di Roccavivara (CB) e di Montecilfone (CB), hanno una forte devozione per Santa Lucia di Montemitro. 42

INDICE

Prima Parte

Mundimitar pag. 1

Sulle rovine del kovid 19 - popoli in esilio nel cuore del mondo - nazioni ferite 4

Iniziamo facendo… 10

“Križ na staz” – La croce sul “sentiero” 12

“Staza” – “Sentiero” 14

“Za ne zabit ko bihmo oš za znat ko jesmo” “Per non dimenticare chi eravamo e per saper chi siamo” 16

“Koko je slaka fešta na Kapel” “Come è dolce la festa della Cappella di S. Lucia 22

Don Alberto Pellesi 23 Ebrei salvi grazie al timbro di D. Alberto P. 25

Galleria fotografica 26 Stvare slake - Cibi molto buoni 34

“Prve fešte na Kapel” “Le prime feste alla Cappella di S. Lucia” 38

“No malo lutrine” – “Un po’ di catechismo” 39

Il Molise e la sua devozione a S. Lucia 40

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Angelo G. Giorgetta

“ S T A Z A ”

i L P E R C O R S O

1 5 2 0 - 2 0 2 0

M O N T E M I T R O E S. L U C I A T R A L I N G U A, A R T E E ST O R I A

SECONDA PARTE Alle stampe per il 2021 Montemitro (CB) - Ed. Privata

COPERTINA: - All’interno della cartina geografica, dall’alto in basso, quattro chiese di S. Lucia indicate in rosso: - Split – Kaštel Štafilič – Put Svete Lucije Kapelica Sv. Lucije (fatta nel 2008) - Hvar – Stari Grad – Crkva Sv. Lucija (con una statua in pietra del 1500) - Korčula – Blato – Crkva Sv Lucija. - Lastovo – Crkva Sv. Lucija (del 1500 - ormai abbandonata). - Molise – Mundimitar – Kapela Sta Luce (del 1932 su antiche fondamenta di una chiesetta più piccola). - Nelle due foto in basso a sinistra, dall’alto in basso: - Montemitro – Fonte Grande – Cappella di S. Lucia. - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Dipinto di S. Lucia del 1600 napoletano. - Nelle due foto in baso a destra, dall’alto in basso: - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Statua di S. Lucia del 1700, secondo la tradizione orale fatta sul modello di una più antica portata dall’altra parte del mare. - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Porta d’ingresso laterale a “mo’ di trittico chinante”.

RETROCOPERTINA: - Documento del 1041 su Montemitro, l’allora Monte Metulo - Epigrafe di Montemitro del 1314, relativa al monte Italia? - Manoscritto del 1768 inerente al 1520 sull’arrivo dei croati. - “Quaderno” filigranato del 1600 relativo al Casale di Montemitro del 1702. All’interno della retrocopertina: - Le quattro edizioni precedenti su Montemitro relative anche ad Acquaviva Collecroce e a San Felice del Molise.

MONTEMITRO – 1041 – “Monte Metulo”: << Sequenti etiam anno (1041) Benedictus quidam de castello Monte Metulo fecit oblationem suam in hoc monasterio de ecclesia sancti Iohannis, que sita est in finibus eiusdem castri iuxtra fluvium Trinium, cum terra modiorum ducenti LXX, ubi ipsa ecclesia edificata est, et cum ceteris omnibus rebus ipsius”. (Leone Marsicano o Hostiense – “Cronaca monastero cassinese” / Ed. F. Ciolfi – Cassino – 2016 - pagine 237 e 238 - libro II - cap. 55).

MONTEMITRO 1314 – L’epigrafe che dà al Molise il primato della prima cima battezzata “Italia” ?

MONTEMITRO – 1520 “Colonia di S. Lucia”

(Manoscritto del 1768 steso dal vescovo di Termoli, Tommaso Giannelli, custodito nell’archivio storico comunale “Casa Rossetti” / Vasto – CH / Vol. XII ms. cc. 353-357).

Abbiamo paesi, abbiamo chiese, abbiamo tradizioni, abbiamo memorie, MONTEMITRO – 1702 abbiamo una lingua “Casale di Montemitro” che ci contraddistingue da ogni altra etnia.

Se perdiamo le radici, perdiamo noi stessi...

STORIA DELLA DIMORA DI GESÙ a Montemitro

Conosciuta come chiesa di S. Lucia V.M.

1

La più antica testimonianza relativa ad una chiesa di Monte Metulo ci perviene da: <>. Altre notizie del paese sono riportate nei documenti feudali del 1168, del 1269, del 1320 ecc. L’attuale chiesa fu edificata dall’allora Economo Don Lorenzo Giorgetta (+ 22 agosto 1735). Dal primo “Libro dei defunti” del 1702 e dai censimenti della parrocchia tra il XVIII e il XIX secolo, si deduce che la chiesa venne eretta dalla popolazione quando essa si trasferì progressivamente dalla zona “Selo” sulla roccia di “Monte Mitulo” oggi Montemitro. La chiesa è stata costruita congiungendo due vecchie strutture precedenti, distrutte come il resto del paese dalle due scosse del tremendo terremoto del dicembre del 1456. Lo straordinario portale dell’ingresso laterale (adibito a “principale”) proviene dalla non più presente chiesa benedettina, titolata a S. Maria delle Grazie, i cui ultimi ruderi sono stati demoliti nel 1957 per edificare l’ex-scuola materna. Il portale, datato tra il 1300 e il 1309, in pietra scolpita (480 x 280 x 43), opera di pregevole fattura, si inserisce nel filone del gotico abruzzese e si rifà al modello larinese interpretandolo con sobrietà ed eleganza dei particolari. Gli stipiti e i due pilastri con scanalature agli spigoli e foglie scolpite alle estremità poggiano su basi quadrangolari, mentre su capitelli scolpiti a foglie di acanto si imposta l’arco a sesto acuto ornato da una modanatura lavorata a foglie di acanto.

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Tra i pilastri, probabilmente erano presenti anche due colonnine, di esse rimangono solo le basi. La porta in legno, probabilmente della fine del XIX secolo, pensata anche per far fronte al freddo, è un capolavoro a mo’ di “trittico-chinante”: tre ante, di cui una centrale e bassa che imponeva l’ingresso “chinante e riverente” per tutti i fedeli e per ogni tipo di autorità...

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L’ingresso principale della chiesa, costruito dopo la morte di Don Lorenzo Giorgetta, è caratterizzato da un portale di bottega molisana in pietra scolpita (500 x 220 x 24), gli stipiti modanati si ergono su basi anch’esse modanate e al centro dell’architrave è scolpita una conchiglia simbolo del battesimo, al di sopra vi sono una cornice orizzontale e quattro volute che suggeriscono il frontone, i caratteri delle decorazioni denotano un gusto che è caratteristico del XVIII secolo.

I

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Il campanile della chiesa, forse eretto in contemporanea con l’ingresso principale, è stato ricostruito nel 1926 e si avvale di un orologio e di cinque campane attive, tre grandi e due piccole, l’altra non attiva - detta “ L’ARVÀ ” – si suonava per la scuola, per il catechismo o “lutrina” , per i “morticini” e d’estate per il rientro dai campi la sera. Caratteristico e unico nella zona è un antico “campanone” rifuso nel 1902 di quasi un metro di diametro e di circa 700 kg di peso, con la dicitura: “Montemitro Slavo”. Alla base della torre campanaria che dà sull’ingresso laterale della chiesa c’è il cosiddetto “Orologio a 6 ore” o “Orologio Italico” suddiviso in 6 parti. Quando d’estate suonava <> era l’ora dell’Ave Maria, del rientro dai campi, le nostre attuali ore 18:00, sul quadrante in foto corrisponde al III romano, quella era l’ora “zero”. Per cui contando con il nostro metodo di 12 ore, se partiamo dal III romano, alle 6 del mattino abbiamo fatto un giro di 12 ore, continuando fino alle 3 del pomeriggio arriviamo a 21 ore, ecco perché i rintocchi della morte di Cristo alle 3 del pomeriggio si chiamano le “21 Ore”. Proseguendo poi fino alle 17 abbiamo 23 ore e qui abbiamo un detto: “portare il cappello alle 23”, cioè quando d’estate, alle 17 iniziava ad abbassarsi il sole, per ripararsi gli occhi, gli uomini si abbassano la visiera della coppola secondo una moda detta “alle 23”…

L’interno della chiesa

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Una piccola storia degna di nota

Dalla foto qui affianco è visibile la finestra rotonda creata ex-novo dopo aver rifatto il muro in seguito al bombardamento durante il passaggio del “Fronte” della seconda guerra mondiale nell’ottobre del 1943. Quando la bomba entrò in chiesa, il parroco del tempo, Don Quirino Giorgetta (1911- 1950) (vedi foto sotto), anche se tutto “imbiancato” dal polverone, uscì indenne dalla chiesa; successivamente, approfittando dei lavori di restauro, fece rifare fin dalle fondamenta tutto l’angolo “Nord” della chiesa, anche leggermente inclinato verso l’intero per sostenere meglio. Lavori che fece fare alla ditta Rampa Vittorio di Montefalcone e tutt’ora, la traccia del restauro è chiaramente visibile. Di seguito Don Quirino recuperò anche una campana a , confiscata durante la guerra e fece farne una nuova nel dicembre 1948 con l’effige di Santa Lucia.

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CRIKUA STARA - LA CHIESA VECCHIA

Dagli archivi parrocchiali risulta, che verso la fine degli anni ’50 del secolo scorso, con il contributo della “Cassa per il Mezzogiorno”, l’allora parroco Mons. Gaudenzio Daniele, decise di costruire una ex scuola materna di proprietà della Parrocchia. Con la Delibera del 4 maggio 1958, il consiglio comunale approvava tale costruzione usufruendo del terreno edificabile di tre particelle tra loro confinanti: la particella “A” (terreno della Chiesa Vecchia -143 mq – dove ora c’è il prato); la particella 111 (terreno del comune - 107,50 mq – donato alla parrocchia); particelle 110 e parte della 107 (del signor Laurenzio Ercole Felice - 610 mq – vendute alla parrocchia); per un totale di 860,50 mq (vedi tracciato rosso). La costruzione dell’edificio (vedi tracciato blu) ha intaccato il sepolcreto della Vecchia Chiesa (chiamato “jama”), sul quale oggi c’è un prato, che fa da corona all’edicola della Beata Vergine Maria, fatta costruire da Don Nicolino D’Aimmo, che tanto si è profuso per gestire il suddetto asilo, inaugurato nel 1963, oggi a lui titolato. Lo stesso parroco, alla fine degli anni ’60, fece costruire anche l’attuale canonica.

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UN PICCOLO PAESE CON UN GRANDE TESORO

Napoli Madrid Montemitro ------Nel Molise, in una modesta esposizione museale di una piccola chiesa parrocchiale titolata a Santa Lucia nel paese di Montemitro – CB - potrebbe celarsi una tela che da secoli è tanto ricercata: la famosa “Terza Santa Lucia” di Andrea Vaccaro di “Ubicazione Sconosciuta”. La preziosità è tale che le altre due sono custodite, una al museo del “Prado” di Madrid e l’altra in una collezione privata a Napoli.

Oltre alla preziosa tela, nell’esposizione, tra le altre cose, troviamo: - una epigrafe del 1314, che potrebbe dare al Molise il primato della prima cima battezzata “Italia”; - una statua lignea, la “Madonna delle Grazie”, che potrebbe risalire al XIV secolo; - un dipinto su sottilissimo raso (137 x 107), usato come stendardo e raffigurante S. Lucia, ricamato ad arazzo nei particolari con fili d’oro. Databile tra il XVII-XVIII sec. Venuto alla luce nel 2016, dopo perduta memoria… Da notare in modo particolare un castello che, una volta identificato, potrebbe “ubicare” il dipinto. - Una opera su tela (174 x 141) – “Il Battesimo di Gesù” - di “Idimio da Pontormo - Arrighi Il Carruccino” (1914–1999), che si ispirava a motiva- zioni di carattere classico. - Una stampa policroma su tela di pregevole fattura (101 x 53) del XIX secolo, raffigurante la “Madonna di Montevergine” presso Avellino.

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S. LUCIA Attribuibile ad Andrea Vaccaro (1604/70) Olio su tela – 97 x 121

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Tra ipotesi e studio, l’affascinante storia di una tela… senza storia!

La tela rappresenta la giovane Lucia sulla tomba di Sant’Agata, nell’atto di implorarne l’intercessione, affinché il Signore guarisca la mamma malata; ma sente nel cuore: “perché chiedi a me ciò che puoi tu?”. Da qui le dita affusolate che, con estrema delicatezza, prelevano il “fazzolettino trasparente e fragile della Fede” contenente i “nuovi-occhi” che dalla tomba del Cristo Risorto, pervadono l’intero corpo della Santa, la cui Carne diventa “Luce lacerante le Tenebre”. (L’autore) Chi acquistò la tela e quando arrivò in paese, resta un mistero… Si può supporre per la consacrazione della chiesa ai tempi del suo costruttore Don Lorenzo Giorgetta (1702-1735). Sempre sulla linea delle probabilità, si può aggiungere che lo scopo non abbia avuto l’impatto desiderato, poiché il “nudo” del nuovo quadro, poteva essere troppo “audace” per essere accolto dalla pia devozione dei fedeli; in questo modo il culto popolare ripiegò sull’attuale busto di Santa Lucia, di bottega molisana del ‘700 (vedi foto). La tela, rimane nell’oblio fino al 10 agosto 1908, quando viene menzionata dall’allora parroco Don Angelo Cieri che la qualifica come “il quadro bellissimo per arte. Pittura ad olio raffigurante Santa Lucia”. Nel 1980 la Soprintendenza di Campobasso fa restaurare la tela dall’equipe di Amedeo Cicchitti, della quale faceva parte il signor Gentile Lorusso Dante Felice,

10 che il 12/3/1985 scrive una lettera al parroco di allora, Don Nicolino D’Aimmo, evidenziando la preziosità della tela, che successivamente ritorna in chiesa venendo collocata alla destra del presbiterio sotto allarme. Nel 2008 viene collocata sotto la finestra del presbiterio; nel 2015 viene definitivamente posizionata nell’esposizione museale sita nell’androne della chiesa. Ora si cerca di fare uno studio appropriato per stabilire l’autore di un’opera che potrebbe essere la terza Santa Lucia di Andrea Vaccaro (1604-1670) di “ubicazione sconosciuta”; difatti, basti pensare che una delle tre si trova in una collezione privata a Napoli e l’altra al museo del “Prado” a Madrid (cfr. sito: “Fondazione Federico Zeri – Bologna”). È interessante la straordinaria somiglianza di “Santa Lucia di Montemitro” con la “Diana” del Vaccaro (vedi foto) scoperta da Gianluca Miletti nel catalogo della suddetta Fondazione, dalla quale mi hanno informato che la foto della “Diana” fu spedita a Federico Zeri (1921-1998) da un antiquario de L’Aquila dicendogli che il dipinto originale si trovava da lui fino al 1986 e che avendo le iniziali “A.V.”, era sicuramente stata fatta da Andrea Vaccaro, della “Diana” originale purtroppo, poi, si sono perse le tracce.

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L’EPIGRAFE DI MONTEMITRO

Epigrafe in carattere Gotico “uncinato” del XIV secolo, ubicata nell’androne, all’ingresso della chiesa parrocchiale.

MALTRV ITI MALTR. Vivens ITILIENS LIENS D F h 0 Dono Fecit hoc Opus ANNO DNI ANNO DOMINI M C C C XIIII 1314

Malterio (?) vivente sul monte “Itiliae” in dono fece quest’opera nell’anno del Signore 1314.

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L’iscrizione, verisimilmente, è inerente alla consacrazione di una chiesa benedettina del XIV secolo, probabilmente, ricostruita sui resti della chiesa di S. Giovanni del secolo XI (cfr. Leone Marsicano o Hostiense – “Cronaca monastero cassinese” / Ed. F. Ciolfi – Cassino – 2016 - pagine 237 e 238 - libro II - cap. 55).

“MALTR.V. – ITILIENS” Nome e località di un signore o feudatario: Maltrius del “Mons Itiliae” ?

Vicino a Montemitro, nel territorio di Tavenna (CB), esiste il colle Montelateglia, anticamente Mons Itylius e forse prima del 1314 era Mons Itiliae (Montagna Italiana). Attualmente non abbiamo certezze se sul colle Montelateglia ci fossero stati i Sanniti, però considerando che presso Tavenna, in contrada Peticone, è stata rinvenuta nella seconda metà del ‘900 una statuetta di Ercole (dio prediletto dal popolo sannita), dobbiamo pensare che i Sanniti potrebbero aver battezzato una qualche montagna per così dire strategica, col nome Italia, giacché nella guerra sociale contro Roma (90 a.C.), la Lega Italica con a capo i Sanniti, aveva una capitale chiamata Italia (Corfinio – AQ) con moneta propria sulla quale vi era scritto Italia in caratteri sia latini che oschi. Montelateglia ha una visione a 360° talmente strategica che i tedeschi, durante la ritirata del 1943 polverizzarono l’intera struttura ecclesiale… Dunque a Montemitro potrebbe esserci una epigrafe che dà al Molise il primato della prima cima battezzata “Italia” (!?), molto prima della “Vetta d’Italia” in Trentino del 1904… 13

“MADONNA DELLE GRAZIE”. A.S. - XVII secolo Scultura lignea policroma 74 x 130 x 64

Ubicata nella nicchia dell’androne della chiesa. Il carnato è dipinto simil porcellana. Proveniente dalla chiesa omonima, andata in rovina e sostituita con la ex- scuola materna del paese. La Vergine in trono, ha in braccio il Bambino che tiene la destra in atto di benedire. Veste una tunica rosa chiaro e sopra un mantello blu stellato. Sebbene la leggibilità della statua sia compromessa da pesanti ridipinture, alcuni particolari iconografici, come la nudità del Bambino che mostra i genitali, fanno propendere per una datazione entro il primo quarto del XVII secolo, benché le ridipinture e le “sbrecciature” non la rendano chiaramente leggibile. Opera di fattura artigianale rivela una certa rozzezza soprattutto nell’esecuzione delle mani e del Bambino. La Madonna è seduta rigidamente e guarda fissamente avanti. Da una ipotesi di studio, la statua necessita di un profondo restauro, attraverso il quale la figura originale della Madonna potrebbe risultare del XV secolo, mentre le mani e il bambinello potrebbero essere del XVII secolo.

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ALL’INTERNO DELLA CHIESA TROVIAMO:

“S. LUCIA” Patrona del paese

Autore Sconosciuto XVIII secolo - 67 x 103 x 53

Posizionata nella nicchia del presbiterio, a destra dell’altare, di bottega molisana, scolpita in legno, modellata in cartapesta, dipinta in porcellana, con ridipinture e integrazioni. La Santa, raffigurata a mezza figura, presenta gli attributi del suo martirio, nella destra tiene la palma e nella sinistra gli occhi, indossa una veste blu e un manto rosso, entrambi con doratura. Base decorata con foglie angolari ed altri elementi vegetali. Sulla faccia posteriore della base vi è una iscrizione documentaria a pennello e in corsivo: restaurata da Angelini di Agnone per cura dell’Arciprete Cieri, a spese del popolo Anno 1897. Dalle testimonianze raccolte, la statua è stata realizzata presumibilmente da uno scultore molisano, sul modello di un’altra più antica portata dai croati nel XVI secolo ed esistente ancora fino al 1938. L’opera è di mediocre fattura artigianale e non rivela particolari caratteri stilistici che consentono di datarla se non nella decorazione della base che consente di collocarla tra il XVIII e XIX secolo.

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“SAN ROCCO” - Compatrono -

Michele Falcucci – 1866 Modellato in cartapesta 84 x 180 x 70

In carta modellata, dipinta. L’opera è di discreto livello qualitativo ed accurata fattura. Posizionato a destra della navata centrale, nella seconda nicchia, San Rocco è raffigurato come un pellegrino con la gamba sinistra scoperta, recante un bubbone che il santo indica con la sinistra; ai piedi gli sta un cane che gli porge un pane.

Con l’ultimo restauro, è stata scoperta una frase dove si accerta che la statua è stata realizzata da Michele Falcucci di Atessa (CH), del 1866. La festa liturgica del Santo si celebra il 16 agosto, quella popolare è il 27 settembre, giorno in cui, nel 1917, secondo la tradizione orale, per intercessione del Santo, il paese viene miracolosamente liberato dalla peste “spagnola”.

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“IL TABERNACOLO”

Carlo di Ceppaloni (BN) 1771 Scultura di legno in argento meccato 45 x 50 x 37

Attualmente posizionato su una colonna in marmo al centro del presbiterio. Nel 1997, fu miseramente buttato via, il signor Arduino Cocciolillo, falegname pio e devoto, recuperò la “sacra reliquia” e la ricompose aggiungendo di sua mano i pezzi mancanti, all’interno vi trovò un foglietto con su scritto: “Memento Domine, et miserere mei peccatory Patry Caroli a Ceppalone 1771” (vedi foto a dx), egli, poi, vi aggiunse un altro foglietto scrivendo: “Signore abbi misericordia di me quando sarò nel tuo Regno. Restaurato da Cocciolillo Arduino 26/4/1997” (vedi foto a sx). Con il restauro del 2017, il tabernacolo ritorna al suo stato originale.

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“ANGELI ADORANTI”

Vincenzo Lalli – 1932 – Olio su tela – 200 x 200

Opera di formato sagomato.

Autore ed esecutore: Vincenzo Lalli di Torrebruna – CH.

I dipinti, datati 1932, sono collocati in alto nel presbiterio, sulla parete di fondo, a destra e a sinistra, fanno coppia in quanto sono collocati simmetricamente e di soggetto analogo.

Uno reca la firma, l’altro la data.

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PERSONALITÀ E VISITE

La prima diffusione della notizia sulla presenza delle comunità slave nel Molise, fu merito di Medo Pučić/Orsatto Pozza (1821-1882), (vedi foto a dx) il quale, all’inizio del 1853, trovandosi a Napoli, casualmente venne a conoscenza della presenza di popolazioni Slave in Molise ed entrò in corrispondenza con Giovanni De Rubertis (1813-1889) (vedi foto sotto), scrittore e poeta di Acquaviva Collecroce. Le lettere di De Rubertis a Pozza furono pubblicate nel 1856 a Zara sull’Osservatore Dalmata. Così il mondo della cultura dell’Europa venne a sapere di queste colonie e molti studiosi cominciarono a interes- sarsi di esse.

Il primo linguista a interessarsi degli slavi molisani fu Graziadio Isaia Ascoli (Gorizia, 16 luglio 1829 – Milano, 21 gennaio 1907) (vedi foto nella pagina succesiva) nel 1864, mentre nello stesso anno l’etnografo Giovenale Vegezzi

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Ruscalla pubblicò una monografia sull’argomento: “Le colonie serbo- dalmate del circondario di Larino, provincia di Molise”. Dopo di allora sono stati molti e illustri i filologi e gli storici che hanno visitato i paesi croato-molisani. Nell’aprile del 1870 due storici: V. Makušev (russo) e M. Drinov (1838-1906) fondatore della storiografia bulgara (vedi foto a dx). Nell’estate del 1884 il croato prof. Hristifor “Risto” Kovačić. Nel 1887 il dotto Jan Hanusz. Nel 1895 il noto francese Baudouin di Courtenay, professore dell’Università di Leningrado.

Nel luglio del 1904 il pittore Emanuel Vidović (1870- 1953) (vedi foto a sx), che ha realizzato la prima rappresentazione di Montemitro su tela, serven- dosi di una piccolissima foto fatta da Angelo Vetta fotografo di Acquaviva (Vedi pagina affianco).

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Foto originale di Montemitro del 1904 fatta da Angelo Vetta fotografo di Acquaviva.

Pittura su tela realizzata da Emanuel Vidović.

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Lo stesso anno, Don Herkulan Luger, Dr. Josip Smodlaka e il Prof. Josip Barač.

Nel 1906 il prof. Antonio Baldacci di Bologna (1867-1950) (vedi foto a sx) che custodì gelosamente alcune foto dei paesi croato-molisani, attualmente depositati nel “Fondo Baldacci” nell’Archiginnasio di Bologna.

Nel settembre 1907 il glottologo di Dubrovnik prof. Milan Rešetar (1860-1942) (vedi foto a dx) che venne da Vienna su incarico dell’Accademia imperiale.

Nel 1947 il francescano Fra Teodoro Badurina di Roma, poi il musicologo Richard Orel ecc.

Il 29 settembre 1967, la visita del cardinale Franjo Šeper, il primo cardinale a visitare i paesi croato-molisani. Il 29 novembre 1987 il cardinale Franjo Kuharić che lascia una sua dedica. L’8 novembre 1997 il cardinale di Sarajevo Vinko Puljič (vedi foto a sx). Nel 2004 il cardinale di Zagabria

Josip Bozanić. 22

Sono venuti in visita ufficiale anche tre presidenti della Repubblica di Croazia: il 15 novembre 2009 il Signor Stjepan Mesić; il 5 dicembre 2013 il Signor Ivo Josipović e il 30 maggio 2018 la Signora Kolinda Grabar-Kitarović (vedi foto a dx). Nello stesso anno l’Arcivescovo croato di “Split-Makarska”, S.E.M. Marin Barišič (vedi foto sotto), in occasione dei 500 anni di S. Felice del Molise.

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“RECIMO ŠTOKODI NA NAŠO”

“Diciamo qualcosa a modo nostro” per ricordare la nostra bella lingua.

UZMA - PASQUA - La preghiera del Venerdì Santo.

Homo leč, Andiamo a letto, homo spat. andiamo a dormire. Lipoga Boga Il buon Dio homo zvat. andiamo a chiamare. Tamo dol je na crikuica Laggiù c’è una chiesetta golubiča zgudžu alcune colombe tubano Materu Božiju budu. la Madre di Dio svegliano. Ustanise Ma le Alzati o Madre, vedi ke ti nosu che ti portano sina na križ. il figlio in croce. Iz križa Dalla croce kaplje krv gocciola il sangue na ne kamarice grede in quelle camerette va Andželiča gli Angioletti ga kupu lo raccolgono na nebo ga nosu in cielo lo portano ga meču zgora otara lo mettono sull’altare ki lipa Misa che bella Messa ke se govore sada. che si dice adesso.

Questa preghiera, molto antica, ancora oggi è ricordata da alcune donne in Erzegovina, dove la dicono il Venerdì Santo.

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“Naše Dida” “I nostri antenati”

Iz one bane mora Dall’altra parte del mare one su se bijal loro sono partiti e ne nadahu kako e non sapevano come oš di mahu rivat. e dove dovevano arrivare. Gredahu u more Andavano per il mare nišče vidahu e niente vedevano samo zdvizde solo le stelle oš sunce one gledahu. e il sole loro guardavano. Sunce njim govoraše Il sole gli parlava “Hote ode “Venite qui di ja vas nosim dove io vi porto vas hoču dobro”. vi vogliono bene”. “Ove čeljade “Queste persone dobro te nas tit. ci vorranno bene. Ma na naše bratja Ma i nostri fratelli kako čmo hi več vit?” come più li rivedremo?” Ka su se skinil u Italju Quando sono scesi in Italia gledahu brda guardavano i colli oš gledahu valu. e guardavano la valle. Na vi brdo In questo colle one su dol loro sono venuti za gleda mor per guardare il mare oš iskle su dol. e da dove sono venuti. Hižu su si činil La casa si sono fatti palako palako, piano piano, mi se nahodimo ode noi ci troviamo qui ne nademo kako. e non sappiamo come. Attilio G.

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STA LUCA NAŠA

Sta Luca naša nimamo riče čuda jesi lipa nadugo do tebe naša duša če osta slipa. Iz one bane mora kada si dola do Funde Velke na Kapel si pola. One lipe čeljade na vi zelen brdo su dol ode biše crikua stara iz sela su zgapol. Je osta samo na zidič do njega reste koj glog, trava oš koj cvikič. Crikvu novu su činil, vrime je proša ti ni si na zabila, ci Luiđ je doša. Na fund piaše roba otosu iz Filiča zvona “Lipa divojka homo doma”. “S vami ne morem do ode biše moja hiža druge čeljade optaj te do”. “Ta, vre, homo, je kasno ta žena neka stoj di biše ti ne čuješ, ja ne vidim nišče”. Strah je hi tica, otoie Staza muia koko nije pa dol “Kokodi” jega vrnija gor. Pa čeljade sekoliko su znal Lipe fešte saki gošte smo imal. Zlato su dal, Kapelače su se zval balobare su dol, cacanare su rival. Pa na kraj Sta Luca reče: “Si srce hočete prominit ma te se tit dobro oš ono ke Bog hoče ma te činit”.

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SANTA LUCIA NOSTRA

Santa Lucia nostra non abbiamo parole sei troppo bella lontano da te la nostra anima rimarrebbe cieca Dall’altra parte del mare quando sei venuta vicino alla Fonte grande alla Cappella sei andata. Quella brava gente su questo colle verde è venuta qui c’era la vecchia chiesa dal “selo” sono andati via. È rimasto solo un muretto vicino gli cresce qualche rovo dell’erba e qualche fioretto. Hanno fatto una chiesa nuova, di tempo ne è passato tu non ci hai dimenticato, zio Luigi è arrivato. Alla fonte bevevano gli animali eccole da S. Felice le campane “Bella ragazza andiamo a casa”. “Con voi non posso venire qui c’era la mia dimora altre persone di nuovo verranno”. “Papà, presto, andiamo, è tardi tal donna lascia che resti dov’era tu non senti, io non vedo niente”. La paura li fomenta, ecco la “Staza” il mulo per poco non è andato giù “Qualcuno” lo ha fatto tornare su. Poi la gente tutto ha saputo Belle feste ogni anno abbiamo avuto. L’oro hanno dato, i Cappellacci1 son stati chiamati i venditori ambulanti son venuti, le orchestre sono arrivate. Poi alla fine S. Lucia dice: “Se il cuore volete cambiare vi dovete voler bene e quello che Dio vuole dovete fare”.

1 In gergo il Carabiniere in alta uniforme con il “Cappellaccio” (vedi foto). 27

PETAK

Kada su dol ko če ti reč niz mora su imal teč. Na selo su kopal se larga su oral Sta Lucu su donil na Kapel su molil Hižu do kaše imahu puta u lam se huzahu do Staze morahu po u grad hočahu do. Kada grad pa su zidal galandomine su hi pital: “Zašto maja feštijate toko sveticu? Nazanji petak pa kano kraljicu?” “One stare su nam rekl iz one bane mora su tekl biše petak znademo mi kada su dol di ste vi. Čuda lipo njim je paralo ke u pamet tako je ostalo pišeno kano zgora fiške misec maja su rekl diške. Pa koj petak do miseca biše se ne nade, ne čini nišče za činit feštu dobro je bilo zabeno nako saki petak je bilo zabreno”.

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VENERDÌ

Quando sono arrivati chi telo dice per il mare son dovuti scappare. Nel “selo” hanno zappato tutti i terreni hanno arato Santa Lucia hanno portato nella Cappella hanno pregato Una casa di fango avevano le strade nelle frane scivolavano fino alla “Staza” potevano arrivare in paese volevano venire. Quando il paese hanno edificato i signorotti del posto gli hann chiesto: “Perché a maggio festeggiate così tanto la Santa? L’ultimo venerdì poi come una regina?” “I nostri anziani ci hanno detto dall’altra parte del mare sono scappati era venerdì sapevamo noi quando sono venuti da voi. Troppo bello gli è sembrato che nella memoria così è rimasto scritto come sopra la roccia il mese di maggio così hann detto. Poi quale venerdì del mese era Non si sa, non fa niente Per fare la festa bene è stato aver dimenticato Così ogni venerdì è stato scelto”.

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<< D U B >> (Del Dott. Lucio Piccoli)

Premessa

La composizione immagina un personaggio che vive nel tempo impersonando, o meglio, incarnando, la nostra storia, il nostro sangue, la nostra lingua, il nostro futuro. Una vera e propria Quercia, Dub in croato, albero, e legno, per noi simbolo di vita, di resistenza, forza, lealtà. Ciò nondimeno, alcuni passaggi si agganciano a verità storiche e di fede documentate. Si è cercato di utilizzare solo parole del nostro idioma “Na Našo” per cui ritmo e rime possono risultare a volte impoverite o forzate.

Premesa

Mislim jenoga mladoga dičalja koji je živija, živi, oš će živit ode, ume nas. On je naša storija, naš krv, naš jezik, što ćmo bit. On je kako Dub! Kada mislimo duba, stupa ol driva, mislimo ništo dobro, jako, fermo, čisto. Kako je, kako nije, štokodri je istina oš dokumentirano. Se iska pisat sve riče “Na našo; zato ritm oš rima koju votu moru bit brižne.

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DUB

1 Opuzen – Selo 1520

Otac u zgoro prko mora, plačaše, mat se valjaše pozemlj, obraz bili kakno lug, drčaše. Vlase mokre suz hranahu one lipe oć. Upijaše brižna: “Sinko moj! Vrnise naza! Sinko moj”! Mi jako dajahmo dol u vod, dokle ona još: “Vrnise naza, sinko moj”!

Srce tučaše kakno vile zgora boba, ... tijahu još veče teč! “Če ste stakj svemaj s menom”! Njm rečahu... Ne bi hi vidija več! Ma hu ostat moju hižu, moje čeljade, moj grad! Kako morahu ne molit več Zdravu Mariju? Moje dica rest s drugime Bogem, ostat Svetu Lucu? (a)

Vitar je puha palako; lačne, žedne, pet dana mora. Sa hi vidahmo naše nove zemlje, nadugo, nonde zgora! Su nam kazal one brda, krajem rike, di nebiše nišče! Brižne, bose, hižice s šumami, toko dobre volje, pot na čelo! (a) Nonde smo zagradil našu Crikvicu, naš Selo.

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DUB

2 Mons Mitulus (okolo 1700)

Dragi otac, draga mat, koko vrimena je proša! Kako stojimo sada vam činimo znat: Smo ostal Selo, sada živimo u Grad: mali, lip, zgora jenoga brda. (b)

Zemlja nije toko dobra; mi tvrdo ju rabimo, ter nako saku stvaru, žito, vino, smokve, meso, imamo. (c) Dragi otac, draga mat, Hvala Bogu, “Na Našo” moremo još govorat! Za živit s novami čeljadi drugi jezik smo imal naučit. Zato počmiljamo mišat, s našami, riče talijane, kako reče ko doje uda iz Dalmacije za prodavat sardele slane! (c)

Još činimo Križ “Na Našo”, ter nako molimo Zdravu Mariju! Naša draga Sveta Luca nas lipo čuva iz neba, hvala Božiju! Nas branu krtsit dica s našimi imeni! “Nisu imena Sveci” nam reču! (c)

Stojmo dobro! Koko vas mislimo, draga mat, dragi otac naš! Koko vrimena je proša, sime je još vaš!

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DUB

3 Mundimitar (okolo gošta 2000)

Dragi otac, draga mat, druge stotina godišta su prol, ovi konop ne moremo porizat! Krv još veče mišan, jezik još veče brižan, srce svemaj vaš! Smo ostal malohi u grad, što mam vam reč? Mlade ugju za tega, stare umiraju, žene ne rodu več!

Ode Ćija ćinaše bićvu dokle mužjoj srp brusaše. Malo napri mrluš kruha. Ode teta Marija tkajaše.... Vraca zatvorene! Se šetam pogrado, sam, dokle moždane igju naza: Trlice se čujahu iz Reljce; na izer močahu postav žene; hladnje žita tri Križ, lipo visoke, čekahu za bit vršene.

A sada ...: bučene s maljcom bila oš crljena, za se hualit dokle Hrvatska stoji za svit dobit! (d) Šeper, Kuharić, Mesić, Grabar-Kitarović, (e)... kokohi su dol nas poznat! Ki velki grih! Da bi nam pamet doša!, bi tija reč! “Moliški Hrvati”, “Lastavica”, za šalu, dokle naš jezik je ko ne govore več!

33

DUB

4 Selo 2500

Zdvizde lipo sfitlu vičeras! Mi pada jena suza! Dragi otac, draga mat, mi je ža, nečmo se vrnit naza!

Krv oš jezik su se zgubil! Srce ne, je svemaj vaš!

Bidite vesele! Dub je zelen, jesmo sve jeno danas! (f) Našoga života uda je ostalo pišeno “Sveta Luca mol za nas”!

Našimi dragi pokonji dol iz “One bane mora”

Lucio Piccoli Montemitro, 2019

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(Traduzione in italiano meramente esplicativa)

Dub - Quercia 1 Opuzen – Villaggio 1520

Papà, in piedi vicino al mare, piangeva. Mamma, accasciata per terra, il volto bianco come la cenere, tremava. I capelli bagnati dalle lacrime nascondevano i suoi begli occhi. Gridava poverina: “Figlioletto mio! Torna indietro! Figlio mio”! Noi remavamo forte, mentre lei ancora: “Torna indietro, figlio mio”!

Il cuore mi batteva come le forche sulle fave,... volevo correre ancor più! “Rimarrete sempre con me!” dicevo loro... Non li avrei mai più rivisti! Dovevo lasciare la mia casa, la mia gente, il mio paese! Come potevo smettere di pregare l'Ave Maria? Veder crescere i miei figli con un altra religione? Abbandonare Santa Lucia? (a)

Il vento ha soffiato piano. Affamati, assetati, 5 giorni in mare. Ora vedevamo le nostre nuove terre, lontane, lassù! Ci indicarono quei colli, vicino al fiume, dove non c'era niente! Poveri, scalzi, abitando in pagliai, pieni di buona volontà e sudore! (a) Lì abbiamo eretto la nostra chiesetta, il nostro Villaggio.

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Dub - Quercia

2 Mons Mitulus (verso il 1700)

Caro papà, cara mamma, quanto tempo è passato! Vi facciamo sapere come stiamo ora. Abbiamo lasciato il Villaggio, viviamo in Paese: piccolo, bello, su di un colle.(b) La terra non è tanto fertile; la lavoriamo duramente. Non ci manca nulla: grano, vino, fichi, carne. (c)

Caro papà, cara mamma, Grazie a Dio, possiamo ancora parlare la nostra lingua! Per convivere con la gente vicina abbiamo dovuto impararne un'altra. Per questo incominciamo a mischiare parole italiane e croate, come dice chi viene dalla Dalmazia a vendere sarde salate! (c)

Facciamo ancora la Croce “na Našo”, così anche l'Ave Maria! Grazie a Dio, la nostra cara S. Lucia ci custodisce dal cielo! Ci impediscono di battezzare i figli con i nostri nomi: “Non sono nomi dè Santi”, ci dicono! (c)

Quanto tempo è passato, il seme è ancora quello vostro!

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Dub - Quercia

3 Montemitro (intorno agli anni 2000)

Caro papà, cara mamma, Altri anni sono passati, non possiamo tagliare questo legame! Il sangue ancor più misto, la lingua ancor più povera, il cuore sempre vostro! Siamo rimasti pochi in paese, che vi devo dire? I giovani via per lavorare, i vecchi muoiono, le donne non partoriscono.

Qui Lucia faceva la calza mentre il marito arrotava la falce. Poco più avanti il profumo del pane. Qui zia Maria tesseva al telaio.... Porte chiuse! Solo passeggio per il paese, mentre il pensiero va indietro! Dalla Regliza sentivo le gramole; le donne sbiancavano i panni al lago. Alti cumuli di covoni alle Tre Croci aspettavano la trebbiatura.

E ora....: girano con la maglietta bianco-rossa, per vantarsi della Croazia che sta per vincere la Coppa del Mondo!(d) Šeper, Kuharić, Mesić, Grabar-Kitarović, (e) .. quanti sono venuti a visitarci! Che peccato! Che ci venisse un po' di buon senso! Vorrei dire! “Moliški Hrvati”, “Lastavica”, si definiscono per gioco, mentre c'è chi non parla più la nostra lingua!

37

Dub - Quercia

4 Selo 2500

Le stelle splendono stasera! Mi cade una lacrima! Caro papà, cara mamma, mi spiace, non torneremo indietro!

Il sangue e la lingua si sono persi! Il cuore no, è sempre vostro!

Siate contenti! La quercia è verde, siamo tutt'uno oggi! (f) Della nostra vita in questi luoghi è rimasto scritto “ S. Lucia prega per noi”.

Ai nostri compianti avi venuti “dall'altra parte del mare”.

Lucio Piccoli Montemitro, 2019

38

Note:

(a) Padre Serafino Razzi in “Cronaca vastese” (Lucca, 1595): “.... Ove è da notare come havendo i Turchi, da molti anni in qua, presa e ridotta sotto il dominio loro quasi tutta la Schiavonia fra terra e quasi alla marina dominando, molti popoli per non perdere fra loro la fede cristiana, e per non istare sotto gli infedeli, se ne sono venuti passando il mare in queste parti degli Abruzzi ...... Ove fermatisi sono habitati di sotto capanne di paglia e sotto frascati. E poscia lavorando la terra, e sementando, et industriandosi hanno cominciato a murare case, .....” (Milan Rešetar, “DIE SERBOCROATISCHEN KOLONIEN SÜDITALIENS”, Vienna 1911) (Versione italiana del 1997 – pag. 16).

(b) La poesia di Mario Ugo Giorgetta recita: “za te počmet su iskal tvrdo, ter su nal ovi lipi brdo”

(c) Da “MEMORIE” di Mons. Tommaso Giannelli, Vescovo di Termoli (Lions Club di Termoli, Grafiche Di Rico – San Salvo – 1986 – pagine 211-212 / 204-205. Proprietà riservata alla Curia Vescovile di Termoli): “Il Terreno di sua natura non è fertile per essere cretoso e soggetto a frane, l'industria però de Cittadini opera sì, che si raccoglie grano di buona qualità soprabondante al bisogno, e non vi mancano le altre vittovaglie. Il vino non è scarso, e delli frutti li fichi sono ottimi, Vi pascolano animali grossi e piccioli che nob formano numerosi greggi. Se non vi sono famiglie ricche, con la fatica, e coll'industria non sono mendiche; talchè vivono da povera gente, ma con sufficiente commodo e pulitezza. Vivendo applicati alla fatica, il costume è semplice, e sincero, come negli Schiavoni si suole rinvenire, de quali hanno conservata, e conservano la lingua ...... Quantunque siano scorsi più di due secoli dal tempo, che dalla Dalmazia fu dedotta la riferita colonia, si è conservata però e si conserva la lingua illirica, o sia schiavona, a cui per lo commercio hanno unita l'italiana volgare...... si dimostrano tanto interessati nel custodirla (la lingua), che gli spiace avere nel Battesimo nome de Santi, che non gli riesce facile pronunciare col loro schiavone dialetto. Per la necessità del commercio, e delli matrimoni con donne estere, dovendo spesso parlare l'italiano volgare, si sono contratti e si van contraendo errori nella originaria lingua; come si suole avvertire dalli Mercatanti, li quali dalla città di Spalatro, o da altri luoghi della Dalmazia, che per vendere Sarde salate, Cavalli, ed altre derrate vengono in queste contrade.

(d) Finale Coppa del Mondo di calcio 2018

(e) Cardinali di Zagabria e Presidenti della Repubblica Croata

(f) Europa unita

NB L’opera “DUB” è stata premiata quale “Poema Segnalato” nel concorso di poesia 2019 organizzato dalla Fondazione “Agostina Piccoli”. 39

INDICE

Seconda Parte

Storia della dimora di Gesù a Montemitro conosciuta come Chiesa di S. Lucia V.M. 1 Una piccola storia degna di nota 6

Crikua Stara – La Vecchia Chiesa 7

Un piccolo paese con un grande tesoro 8 S. Lucia attribuibile ad Andrea Vaccaro 9 L’epigrafe di Montemitro 12 “Madonna delle Grazie” 14 All’interno della chiesa troviamo: “S. Lucia” 15 “San Rocco” 16 “Il tabernacolo” 17 “Angeli adoranti” 18

Personalità e visite 19

“Recimo štokodi na našo” -“Diciamo qualcosa a modo nostro” Uzma - Pasqua - la preghiera del venerdì santo 24 “Naše dida” - “I nostri antenati” 25 Sta Luca naša - Santa Lucia nostra 26 Petak – Venerdì 28 << Dub >> 30 << Quercia >> 35

40

Angelo G. Giorgetta

“ S T A Z A ”

i L P E R C O R S O

1 5 2 0 - 2 0 2 0

M O N T E M I T R O E S. L U C I A T R A L I N G U A, A R T E E ST O R I A

TERZA PARTE Alle stampe per il 2021 Montemitro (CB) - Ed. Privata

COPERTINA: - All’interno della cartina geografica, dall’alto in basso, quattro chiese di S. Lucia indicate in rosso: - Split – Kaštel Štafilič – Put Svete Lucije Kapelica Sv. Lucije (fatta nel 2008) - Hvar – Stari Grad – Crkva Sv. Lucija (con una statua in pietra del 1500) - Korčula – Blato – Crkva Sv Lucija. - Lastovo – Crkva Sv. Lucija (del 1500 - ormai abbandonata). - Molise – Mundimitar – Kapela Sta Luce (del 1932 su antiche fondamenta di una chiesetta più piccola). - Nelle due foto in basso a sinistra, dall’alto in basso: - Montemitro – Fonte Grande – Cappella di S. Lucia. - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Dipinto di S. Lucia del 1600 napoletano. - Nelle due foto in baso a destra, dall’alto in basso: - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Statua di S. Lucia del 1700, secondo la tradizione orale fatta sul modello di una più antica portata dall’altra parte del mare. - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Porta d’ingresso laterale a “mo’ di trittico chinante”.

RETROCOPERTINA: - Documento del 1041 su Montemitro, l’allora Monte Metulo - Epigrafe di Montemitro del 1314, relativa al monte Italia? - Manoscritto del 1768 inerente al 1520 sull’arrivo dei croati. - “Quaderno” filigranato del 1600 relativo al Casale di Montemitro del 1702. All’interno della retrocopertina: - Le quattro edizioni precedenti su Montemitro relative anche ad Acquaviva Collecroce e a San Felice del Molise.

MONTEMITRO – 1041 – “Monte Metulo”: << Sequenti etiam anno (1041) Benedictus quidam de castello Monte Metulo fecit oblationem suam in hoc monasterio de ecclesia sancti Iohannis, que sita est in finibus eiusdem castri iuxtra fluvium Trinium, cum terra modiorum ducenti LXX, ubi ipsa ecclesia edificata est, et cum ceteris omnibus rebus ipsius”. (Leone Marsicano o Hostiense – “Cronaca monastero cassinese” / Ed. F. Ciolfi – Cassino – 2016 - pagine 237 e 238 - libro II - cap. 55).

MONTEMITRO 1314 – L’epigrafe che dà al Molise il primato della prima cima battezzata “Italia” ?

MONTEMITRO – 1520 “Colonia di S. Lucia”

(Manoscritto del 1768 steso dal vescovo di Termoli, Tommaso Giannelli, custodito nell’archivio storico comunale “Casa Rossetti” / Vasto – CH / Vol. XII ms. cc. 353-357).

Abbiamo paesi, abbiamo chiese, abbiamo tradizioni, abbiamo memorie, MONTEMITRO – 1702 abbiamo una lingua “Casale di Montemitro” che ci contraddistingue da ogni altra etnia.

Se perdiamo le radici, perdiamo noi stessi...

QUALCOSA

SUL

FOLKLORE

1

“ TRTAKULA – ĐRĐAKA1 – HLEPAČA ”

“Strumenti ecclesiastici” che si usavano durante il Triduo Pasquale in sostituzione del suono delle campane.

Trtakula Đrđaka

N.B. Questi nomi, forse in uso solo a Montemitro, sono onomatopeici, cioè dal rumore – Trrr tak - Đrrr đrrr

1 Nella lingua croata la lettera “Đ/đ” o “dž” corrisponde alla “ G” di gioia. 2

Questo antico strumento, di cui gli anziani di Montemitro non ricordano neppure più esattamente il nome, grazie all’interessamento del Signor Gianni Daniele, nella Pasqua del 2017, “ha rivisto la luce” dopo oltre mezzo secolo di perduta memoria….

Hlepača

3

J L R P

4

P R L J

“Una grande torcia a forma di calice” sostenuta da un treppiedi tutto originalmente di legno. È il tradizionale falò della vigilia di Natale, che per molti anni non è stato più protagonista della notte del Bambino Gesù. Con il passaggio del “Fronte” della seconda guerra mondiale (1943) non si è più acceso e da quella che era una antica tradizione pian piano ne rimase solo il nome, tanto è vero che molti non sapevano di cosa si trattasse se non di gente al quanto anziana. Solo nel 1996 dopo aver ascoltato dalla mia vicina di casa, la signora Letizia Sammartino, alcuni racconti sul “Prlj”, che esso finalmente riprese nuovamente vita dopo circa 53 anni. Grazie all’impegno e all’entusiasmo dei miei coetanei, ma soprattutto grazie al grande insegna- mento del compianto maestro Alfredo Ricci (vedi foto), quella che e era solo una parola è tornata ad essere una calda e viva notte della vigilia di Natale. 5

Peccato che per tornare ad essere una viva tradizione nel suo ripetersi di ogni anno, si è dovuti aspettare il 2004, da quando, cioè, un bel gruppo di volenterosi giovani che con il passare degli anni, grazie a Dio, si alterna con il ricambio generazionale. È davvero un piacere vedere i giovani appassionarsi a vecchie tradizioni, con lavori che vanno: dal taglio della legna, alla scelta di quella secca e verde; dall’appuntire i pezzi di legna, ad incastrarli e ad unirli magistralmente per creare la classica forma conica del Prlj. Il tutto è un bellissimo lavoro di squadra, una straordinaria bellezza che unisce una piccola comunità dove la buona volontà non manca, dove oltre al calore del fuoco si respira anche il calore umano unico della notte di Natale. Rocco Giorgetta

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8

9

NAŠ SUNCE

Ona ke je noča veče duga Ke do škurine bide puna,

pri ke Crikva se činaše velka do sunza bidaše fešta, ono ke latine zovahu “Sol Invictus” mi sa zovemo “Svete Božiče”,

oni život ke samo sunze umi dat za koga verje samo dije Bog se more natj,

navu noču jena zvizda naš sunce jenam kazala ter ona duga noča jese skratnila,

jena brižan dite naše srca čini teplit nako mi ovu noču mamo tornaj činit sfitlit,

ke bide iz Tufele ol iz Falkuna ke bide iz Oratina ol iz Daniuna,

ke se zove Smrčka ol Prlj sfitlu sekolike do Božič viilj.

Rocco G.

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IL NOSTRO SOLE

Quella che è la notte più lunga Che di tenebre è piena,

prima che la Chiesa divenne grande del sole era la festa, quella che i latini chiamavano “Sol Invuctus” noi ora chiamiamo “Santo Natale”,

la vita che solo il sole sa dare per i credenti solo in Dio si può trovare, in questa notte una stella il nostro sole ci ha indicato e quella lunga notte ha accorciato,

un povero bambino i nostri cuori riscalda così noi questa notte dobbiamo nuovamente illuminare, che sia di o Montefalcone che sia di o Agnone,

ke si chiami Smrčka oppure Prlj illuminano tutti del Natale la vigilia

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“ D U Š A N A Š A ”

Un legame storico e culturale indissolubile quello che poche centinaia di abitanti di Montemitro mantengono con la madre patria nella lontana Dalmazia, da dove, 500 anni fa, i loro avi, dalla sponda croata attraversando l’Adriatico si sono insediati in prossimità del fiume Trigno. I Kroatarantata tutto questo non lo hanno dimenticato ed hanno dedicato il loro primo lavoro musicale in una testimonianza fertile e di vitalità culturale dai ritmi accattivanti del Sud. Il primo CD del gruppo di musica popolare è intitolato “Duša Naša” che significa Anima Nostra, un connubio originale che ha visto rivisitare in chiave moderna canti croato-molisani di inizio ‘500, scrivendone di nuovi e sposando la musica della Pizzica e Taranta.

TARANTA + KROATA = KROATARANTATA

Un connubio nato il 4 agosto 2010, da una idea geniale di Rocco Giorgetta, fondatore del gruppo, portata poi avanti dal grande trascinatore Lorenzo Blascetta + i suoi due cuginetti croato-austriaci… senza nulla togliere a tutta la squadra visibile e anche a quella invisibile fatta da amici e parenti.

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JENA BRIŽNA DUŠA UNA POVERA ANIMA

Duša našoga grada L’anima del nostro paese do glogi je čuvana sada ora è custodita dai rovi

Kano na sin ke materu zabi Come un figlio che dimentica la mamma ka do njegovoga prsa život vadi quando dal suo petto usciva la vita

Nako mela oš brižna Così piccola e povera do zlata punaše tinje d’oro riempivi le tine

Do koko boate si nas činila bit Per quanto ci hai reso ricchi sada do tvojoga neba zdizde moreš vit ora dalla tua volta puoi vedere le stelle

Tvoj zlato ne valja več Il tuo oro non vale più sada kano suze fratami se čini teč ora come lacrime scorre tra le spine

Palako palako gubiš koji toc Piano piano perdi i pezzi samo tvoj ime če nam ostat još solo il tuo nome ci resterà ancora

Nako ne more bit… Non può essere mi to ni mamo tit… noi non possiamo volere

Nako brižna oš mela Così povera e piccola ostan živa FUNDZUMELA resta viva FUNDZUMELA

Rocco Giorgetta

Un tempo le sorgenti d’acqua erano fonte di straordinari canti folkloristici. Il canto raddolciva la dura vita domestica e dei campi.

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UNA PERLA NELL’ARTIGIANATO

“TKAT NA TKANJE”

“Tessere al telaio”. Un tesoro inestimabile di Montemitro. Attualmente le persone che tessono al telaio si possono contare sulla punta delle dita di una mano, un tempo era l’impegno di quasi tutte le donne.

“La foto mostra come si avvolgeva il cotone al subbio (vratilo). Era un lavoro che richiedeva competenza e precisione, perché i fili al subbio dovevano essere arrotolati in modo uniforme e solido, altrimenti ne veniva compromessa l’intera tessitura.

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L’insieme del filato, posto su un piccolo piano di legno (stražin) provvisto di pioli e reso pesante con pietre, veniva trascinato e arrotolato al subbio servendosi di un bastoncino infilzato in un apposito buco del subbio stesso. Ogni 4 metri e mezza, ossia ogni 5 braccia (il braccio era l’unità di misura che si usava anche nella tessitura), si mettevano tre pezzi di canna spaccata attorno al subbio per mantenere il filato in posizione ben ferma. Dietro il subbio c’erano due canne (kanune) che dividevano i filati. Nello spazio tra le due canne erano poste delle catenelle di lana (fleča), in ognuna delle quali passava una coppia di fili. Le due canne e le catenelle di lana, man mano che si avvolgeva il filato al subbio, venivano spostate indietro dalle donne fino a quando il filato non veniva avvolto tutto”.

(Foto e testo di Bruno Romagnoli del dicembre 1979. I personaggi in foto sono: Daniele Luciana con i figli Cocciolillo Enrico e Maria Alfonsina.)

N.B. Una curiosità: la canna che divide il filato più vicino al subbio si chiama “suocera”, mentre l’altra canna che divide il filato più vicina al piano di legno si chiama “nuora”. Perché? Perché il loro compito è fare il proprio dovere, ma a dovuta distanza…

------Nelle pagine successive le descrizioni sono in “Na-našo”. Le foto mostrano il filatoio, l’aspo, le spole con le spagnolette, l’orditoio, le rocche, la “riduzione”, la crociera a “8”, il subbio, lo “strascico”, il rimettaggio, la “riduzione”, il passo del pettine, ecc. 21

Manganelič

Ražak

Letka

Se činu

Kaneluče

za lavdice

.

Manganeja s vitličem - Se činu kanele velke za nasnova.

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Matase. Pri bihu do lana ke se posijaše, se iztučaše s tučkom, se smočaše u rik, nu votu suh, pa se trlicaše, se grasulaše, se predaše s kudiljom oš s vrtenem ke imaše moskulu oš prešljen, nako na kraj izadjiahu klupke oš matase. Pa matase se varahu oš se kulurahu, pa dop s manganelem, s letkom oš vitličem se činahu kanele za nasnova oš kaneluče za lavdice.

Kada iz kanele se nasnova “U koko” maš vrč? Min. 4, max 12 file.

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1 pazmo, 2 pazma… 4 pazma, 5 pazmi… 12 pazmi. “U koko” pazmi jesu u vratilo nako ma bit brdo.

Pazmo Brač

Unità di misura della tessitura.

Kročera

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“PÌKRIŽ” è molto delicato, bisogna stare attenti a lasciare la forma dell’8…

Se skupu tkanje

Se čini FLEČA – se separaju sekolike kokje.

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Se počme vratilo – se vrže brač za mandeni konca

Se vrti vratilo - se zabire fleča.

“Stražin težak ma bit oš ma nosi dica si hočeš ke maju do lipe iake konca”.

“Sekrva oš nevista jesu kanune za žice maju rabit nadugo nako ne činu piče”.

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Se vržu konca u liče

pa se vržu u brdo

Pa brdo unutri u kas

“Gotoša počme funi pa se hrani.”

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2 ol 4 PEDAKJE Jena saka liča

POSTAV otkajen na SRPITIEL oš činjen na SPIKET ol PUNDAĐORN

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TKANJE

TROČULA

ŠOŠIČE

ZAPINJAČ

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SRCE ČINI ONO KE NE VIDU OČ

Vi ne nadete koko tega se hoče za tkat za pocè čuda pačencije Bog ma ti dat.

Za sime lan pri se iztuće, pa se moči rikom se šuši, trlica, grasula, oš prede s kudiljom.

Ruke jako maju vrtit manganelič u lavdic lipe kaneluče, si biži vitlič.

Kanele za nasnova se činu s manganelem pazmo, kročera oš drugo ma znat s tegem.

Vratilo na vrho se vrti, stražin nadno nosi dica nako se zabire fleča ter gredu lipe iake konca.

Sekrva oš nevista jesu kanune za žice maju rabit nadugo nako ne činu piče.

Za vrč konca u liče je no malo čuda tvrdo “u koko” pazmi ima vratilo nako je brdo.

Kada pa kas udre jako žicu, za “Srpitiel” krosna reju sve tkanje pur za “Rusiel”.

Sve ove dimboke riče ne bi se imal zabit vulenda je, nike jake žene ioš hoču rabit.

Ter tako ko života tkaje pa riva di je “noč” nako pa reče “Srce čini ono ke ne vidu oč”.

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GLI OCCHI NON VEDONO CIÒ CHE FA IL CUORE

Voi non sapete per tessere quando lavoro c’è da fare per iniziare molta pazienza Dio vi deve dare.

Per il seme il lino si batte, poi lungo il fiume si fa bagnare seccato, si gramola, si carda e con la conocchia si fa filare.

Le mani fortemente il filatoio devono girare se corre l’aspo belle spagnolette nella spola si fan trovare

Per l’orditoio le rocche al filatoio sono da realizzare la “riduzione”, la crociera a “8” e altro devi saper lavorare

Il subbio in alto gira, lo “strascico” in basso i bimbi sa portare così si raccoglie il residuo e fili forti si sanno realizzare

Le due canne sull’ordito suocera e nuora si fanno chiamare devono lavorar lontano per non bisticciare

Per fare il rimettaggio è difficile i fili far tendere la “riduzione” al passo del pettine deve corrispondere

Quando poi la cassa batte forte il filo per fare il “Srpitiel” la struttura del telaio regge pure la tessitura del “Rusiel”

Tutte queste parole profonde non bisogna dimenticare la volontà c’è, alcune donne forti ancor vogliono lavorare

Siffatto chi la vita tesse e arriva al nocciolo qual amore così dice: “Gli occhi non vedono ciò che fa il cuore”

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Tovaglia “doppia faccia” tessuta più di un secolo fa (con ricamo postumo) secondo una tecnica andata persa, forse con 8 licci e 8 pedali.

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Tovaglie per l’altare al telaio ricamate a “punta giorno”.

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Stole sacerdotali fatte al telaio secondo lo stile SRPITIEL caratteristico di Montemitro e ricamate a “Punta giorno”.

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Anni ’50 - Rubiča oš gunjica. Strofinacci e copertina, che veniva messa sulle spalle dagli anziani o nella culla sui bambini.

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SPIKET o Punta giorno

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ZA ČINIT LIČATURU KADA ČELJADE NUMAHU PISAT, KAKO ČINAHU? S PRSTI… Quando l’ordito veniva messo nei licci e la gente non sapeva scrivere, come faceva a ricordare? Con le dita…

“A” “B”

1 I 1 I

3 III 3 III “C” 2 IV 2 IV 4 II 4 II

I fili “A” e “B” verticali sono l’ordito / ŽICE, mentre i 4 fili “C” orizzontali sono i licci / LIČE (4 dita).

“Srpitiel” (“A”) + “Liscio” (“B”) cioè senza disegno = ------SRPITIEL COMPLETO

NB Questa “Licciatura a Srpitiel”, grazie alla signora Piccoli L.A., da tradizione secolare orale tramandata sulle dita delle mani, per la prima volta a Montemitro viene scritta e documentata secondo lo schema su indicato

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INDICE

Terza Parte

Qualcosa sul folklore pag. 1 “Trtakula – đrđaka – hlepača” 2

Prlj - Una grande torcia in legna a forma di calice 4 Naš Sunce - Il nostro Sole 10

Kroataratata - Duša naša 15 Taranta Croata – Anima nostra 18 Jena brižna duša – Una povera anima 19

Una perla nell’artigianato “Tkat na tkanje” - Tessere al telaio 20 Srce čini ono ke ne vidu oč Gli occhi non vedono ciò che fa il cuore 30 “Tecnica orale dell’ordito” 37

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39

40

Angelo G. Giorgetta

“ S T A Z A ”

i L P E R C O R S O

1 5 2 0 - 2 0 2 0

M O N T E M I T R O E S. L U C I A T R A L I N G U A, A R T E E ST O R I A

QUARTA E ULTIMA PARTE

Alle stampe per il 2021 Montemitro (CB) - Ed. Privata

COPERTINA: - All’interno della cartina geografica, dall’alto in basso, quattro chiese di S. Lucia indicate in rosso: - Split – Kaštel Štafilič – Put Svete Lucije Kapelica Sv. Lucije (fatta nel 2008) - Hvar – Stari Grad – Crkva Sv. Lucija (con una statua in pietra del 1500) - Korčula – Blato – Crkva Sv Lucija. - Lastovo – Crkva Sv. Lucija (del 1500 - ormai abbandonata). - Molise – Mundimitar – Kapela Sta Luce (del 1932 su antiche fondamenta di una chiesetta più piccola). - Nelle due foto in basso a sinistra, dall’alto in basso: - Montemitro – Fonte Grande – Cappella di S. Lucia. - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Dipinto di S. Lucia del 1600 napoletano. - Nelle due foto in baso a destra, dall’alto in basso: - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Statua di S. Lucia del 1700, secondo la tradizione orale fatta sul modello di una più antica portata dall’altra parte del mare. - Montemitro – Chiesa Parrocchiale di S. Lucia Porta d’ingresso laterale a “mo’ di trittico chinante”.

RETROCOPERTINA: - Documento del 1041 su Montemitro, l’allora Monte Metulo - Epigrafe di Montemitro del 1314, relativa al monte Italia? - Manoscritto del 1768 inerente al 1520 sull’arrivo dei croati. - “Quaderno” filigranato del 1600 relativo al Casale di Montemitro del 1702. All’interno della retrocopertina: - Le quattro edizioni precedenti su Montemitro relative anche ad Acquaviva Collecroce e a San Felice del Molise.

MONTEMITRO – 1041 – “Monte Metulo”: << Sequenti etiam anno (1041) Benedictus quidam de castello Monte Metulo fecit oblationem suam in hoc monasterio de ecclesia sancti Iohannis, que sita est in finibus eiusdem castri iuxtra fluvium Trinium, cum terra modiorum ducenti LXX, ubi ipsa ecclesia edificata est, et cum ceteris omnibus rebus ipsius”. (Leone Marsicano o Hostiense – “Cronaca monastero cassinese” / Ed. F. Ciolfi – Cassino – 2016 - pagine 237 e 238 - libro II - cap. 55).

MONTEMITRO 1314 – L’epigrafe che dà al Molise il primato della prima cima battezzata “Italia” ?

MONTEMITRO – 1520 “Colonia di S. Lucia”

(Manoscritto del 1768 steso dal vescovo di Termoli, Tommaso Giannelli, custodito nell’archivio storico comunale “Casa Rossetti” / Vasto – CH / Vol. XII ms. cc. 353-357).

Abbiamo paesi, abbiamo chiese, abbiamo tradizioni, abbiamo memorie, MONTEMITRO – 1702 abbiamo una lingua “Casale di Montemitro” che ci contraddistingue da ogni altra etnia.

Se perdiamo le radici, perdiamo noi stessi...

GLI ARCHIVI “PARLANO”

8 Marzo 1902

MONTEMITRO COMUNE Non più frazione di S. Felice Slavo

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Da tale decreto si evidenza come il comune di Montemitro abbia avuto la sua autonomia, in forma ufficiosa il 29 dicembre 1901, in forma ufficiale l’8 marzo 1902, all’entrata in vigore del suddetto decreto, cioè, 60 giorni dopo la sua pubblicazione avvenuta il 7 gennaio 1902.

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“Contadina” - 1904

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“Libro dei defunti della Chiesa Madre di Monte Mitolo sotto il titolo della Divina Lucia. A.D. 1702”

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13 marzo 1796 – Viene descritto un avvenimento curioso.

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Descrizione dello Stato delle Anime di questa Parrocchia di S. Lucia V.M. di questa Terra di Montemitro per l’anno 1792 a dì 15 marzo da me Eduardo Arciprete Mancini fatta. ------

------Borgo della Chiesa vecchia------

Casa I C.C. e G. Matteo Juliano figlio del defunto Pietro e defunta Vittoria Blascetta anni 51 C.C. e G. Angela moglie di Matteo, figlia del defunto Pietro Bartolino e defunta Maria Grossi anni 49 C.C. e G. Anna loro figlia anni 21 C.C. e G. Pietro loro figlio anni 17 10

“Largo Sant’Angelo” – 1955 1947 circa

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UNA VOLTA C’ERANO LE ENTRATE E….

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LE “USCITE”… 13

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KOKO SI LIPA, MAT MOJA

Koko si lipa, moja Mat slaka Marija, zdvizda mora. Tvoj lipi obraz svitli za nas, nas čuva noću oš saki dan.

Mol za nas, mol za nas, smo sine tvoje, zdizda mora.

Kako nas gledaš, moja Mat, naš srce gori za Tebe nakj. Ja hoćem dokj di jesi Ti, Sveta Marija, zdvizda mora

Mol za nas, mol za nas, smo sine tvoje, zdizda mora. Lucio Piccoli 17

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Mostra Presepi / “ NAŠ SUNCE ” / 2013-19

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dove l’ordito indica la lunghezza della vita che è lineare e piatta, e deve essere arricchita e impreziosita dalla trama, che può assumere colori e disegni più accesi, luminosi , cupi e scuri asseconda dei momenti vissuti giorno per giorno, attimo per attimo tale da rendere un tessuto bello e vissuto con il nostro tradizionale “serpitijel”, ma tutto ciò con la presenza di Gesù Bambino che giace nella navetta che ci accompagna in ogni momento della vita.>> (Rocco Giorgetta)

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Enrico che per l’occasione presentò una sua opera (foto sotto), come lui unica, umile e semplice.

Non nascondo che da allora la mostra è dedicata a lui…>> (RG)

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ALLA FINE TRE CURIOSITÀ e una poesia:

I) Alcuni ricordi del “Fronte” perché si ricostruiscano sempre ponti di Pace.

6 novembre 1943 I soldati del “6° Lancers” - unità da ricognizione dell’8ª Divisione indiana - fraternizzano a San Felice del Molise con gli abitanti del posto.

8 novembre 1943 - Un bulldozer dell’8ª Divisione indiana sgombera le macerie del demolito ponte sul Trigno tra Tufillo e Montemitro per preparare un guado temporaneo.

( G. Artese. “La guerra in Abruzzo e Molise” - 1943-44. Vol. I)

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II) PASSEGGIATA NELLA VALLATA DEL TRIGNO 1

È ancora notte, ma s’intravede, e più che intravedere, si sente, la vicinanza dell’alba. Ci sono intorno masse di scuro; sembra che le tenebre non siano ancora decise a rallentare il loro assedio. Ma alzando lo sguardo là verso il deserto, dove gli astri incastonati come gemme indugiano ancora in palpiti luminosi, s’indovina un principio di chiaro: un sentore di alba. Si prosegue in silenzio. La Macchina, ingoiando distanze scivola come un pattino sull’asfalto della via nazionale. Non si possono distinguere le campagne naturalmente, ma a poco a poco si delineano, a destra e a sinistra, profili di Alberi. Dall’alto il buio comincia a diluire, come se in una soluzione d’inchiostro bruno venga versata dell’acqua. Dopo mezz’ora qualche tratto di paesaggio si distingue debolmente. Ora l’occhio arriva a scorgere delle zone di verde. Siamo arrivati alla cascina di Roberti, bivio di San Felice del M. Il sole sorge ed illumina il massiccio di Monte Mauro addobbato di verde, levigato di avana con spruzzi di oro e chiazzato dal giallo vivo delle ginestre. L’imponente parete offre un magnifico quadro. La Rocchetta, la cima più alta del monte, somiglia ad un osservatorio2. Fu luogo abitato: i ruderi di una torre e gli avanzi di costruzioni antichissime rimangono a testimonianza la presenza dell’uomo in quell’altitudine e solitudine: si rivengono ivi delle monete di città italiote di epoche diverse e delle più remote. Ai suoi piedi scorre la macchina su una strada bianca, allietata da ridenti estensioni di prati e di campi. Sulle pendici del monte macchie di piccole selve di quercia, di abeti, di pini e pecore al pascolo. Si respira ossigeno a pieni polmoni.

1 “Passeggiata” fatta verso la fine degli anni ‘50. 2 Attualmente sulla Rocchetta c’è un osservatorio astronomico… 30

Al bivio di Montefalcone un po’ di sosta per rivedere le gomme. Ad ogni passo, acque che scorrono, leggere e trasparenti come l’aria. Un breve rettilineo in discesa ci sta di fronte; esso offre al nostro sguardo lo scintillio di un ridente laghetto, che è di figura ovale. Una fitta vegetazione di canneti sulle sponde; piccoli e teneri fusti serrati l’uno all’altro che assecondano lo scivolare del terreno verso l’acqua. Si levano, volteggiando sull’immobile superficie gli uccelli3. La macchina continua a scendere sulla strada tortuosa stringente; all’ultima curva si affaccia seminascosta Montemitro con graziosa compostezza di case, che biancheggiano affondate nelle tranquillità e nel silenzio su un tratto di lievissimo pendio del monte. Ci fermiamo sulla piazzetta dove termina la strada, lasciando la macchina alla custodia del vicinato e all’accortezza dei cittadini. Attraversiamo stradine anguste, assonnate, malinconiche e romantiche esse s’incuneano tra le case nascondendo la chiesa parrocchiale dedicata a S. Lucia. Nel salire la viuzza che porta alla chiesa, riandiamo col pensiero alle origini di questo villaggio che va guardato non solo nella sua limitatissima entità fra le sue ristrettissime mura cittadine come oasi di pace e di beatitudine, ma principalmente, come isola etnica di Slavi nel Molise, di cui conservano la lingua, gli usi ed i costumi […]. Le due chiese antiche di Montemitro furono S. Angelo, situata ove sta oggi la gabina elettrica4 e S. Maria delle Grazie.

3 Ancora oggi volteggia il Nibbio (“Rarog”) e il Falconetto (Karagulj). 4 Fatta costruire alla fine degli anni ’30 da una certa Antonietta (di Forlì e morta a Montemitro), moglie di Giovanni Fiore (di Montemitro e morto negli USA). Viene ricordata come colei che portò la corrente in paese. Inoltre la gabina elettrica poggia sulle fondamenta della torre campanaria della chiesa di S. Angelo o meglio di San Michele Arcangelo. 31

Di notevole nella Chiesa Madre abbiamo: il portale, che è antico e interessante e qualche quadro […]. Dal secolo XV alla eversione della feudalità ebbe comune con Montefalcone le vicende e i titolari feudatari. Coppola dei Duchi di Canzano fu l’ultimo feudatario e tenne Montemitro fino al 1806. Gli slavi, sbarcati dalle galee nella foce del Trigno furono assegnati all’Università5 di , la quale, perché molesti, li mandò ad abitare a Monte Fetilio (Montelateglia6) suo casale deserto7. I feudatari Girolamo Carafa ed altri vollero ripopolare i Castelli8 e chiesero coloni slavi a Montenero [...]. Strano però come questo paese sia rimasto ancora attaccato alle vecchie tradizioni nonostante il precipitare dei tempi. Le donne hanno qui le pettinature delle antiche pompeiane, anche la treccia gira loro intorno alla cervice e molte ne hanno pure il profilo con zigomi alti e nasi diritti. La <>, per esempio, le donne di Montemitro non la conoscono come altri trucchi che rimangono ad esse ignorati! Per le vie non c’è un uomo: sono al lavoro nei campi. Andiamo verso la periferia. Vediamo maiali color rosa grufolati nel timo di crusca e zucche, chiocce che raspano la terra, pulcini come batufoli di bambagia, il gallo che imita il pavone, e poi, vicino alle case, orti con insalata, zucchini che hanno come una fiamma in testa9, pomodori, api, fichi, mais: ecc.

5 Intesa in senso lato, come confraternita o associazione ecclesiale. 6 Attualmente colle del cimitero di Tavenna – CB. 7 Durante il Medio Evo, florido convento benedettino, con adiacente centro abitato (Taberna), dipendente dal monastero benedettino di S. Sofia a Benevento. 8 Inteso come centri abitati. 9 Fiore di zucchina. 32

Sulla strada che mena10 al cimitero, fiancheggiata da una recete piantagione di ciliegi11, ci imbattiamo in una bella terrazza con sedie: monti a destra e a sinistra, paesi appollaiati sulle pendici dei colli, pianura frastagliata dal Trigno, in fondo lo scintillio del mare Adriatico. Vediamo quasi tutta la vallata del fiume. Nel cavo sorgono tutte le varietà di verdi della terra. Le pareti della valle sono festosamente imbottite di vegetazione colorata, vi sono alvei di lacca rosa, di grigio cerulei, ecc.! E si serpeggiano i rivi d’argento vivo nei greti più capricciosi [...]. Si fa sera. Lasciamo questa casa e ci incamminiamo per riprendere la macchina e ripartire. Sotto il borgo c’è uno spiazzo attorniato da case isolate e da querce ed ulivi. Nel mezzo c’è una fontana dove le donne sono intente a riempir quei orci di creta che più a lungo conserveranno la freschezza dell’acqua; i bambini si divertono a spruzzarsi ed a diguazzare; buoi, muli ed asini corrono all’abbeveratoio12. Mentre la nostra macchina si allontana, alle spalle Montemitro si lascia voluttuosamente abbracciare nell’abbandono del tramonto.

Emilio Ambrogio Paterno13

10 “che mena” – “che va”. 11 Piantate da Emilio Cocciolillo (sindaco dal 1952 al 1957). 12 Era la fontana di Largo Sant’Angelo dove si incitavano gli asini a bere fischiando in un modo del tutto particolare. 13 Emilio Ambrogio Paterno ( 02 – 03 - 1885 / 22 – 01 - 1971 ), storico, scrittore e poeta, originario di Montenero di Bisaccia - CB, suocero del fu avvocato Domenico Giorgetta, nonno dell’attuale Dott. Giovanni Giorgetta. Per i suoi meriti di studioso e narratore delle vicende storiche regionali, fu assai stimato e circondato dai migliori ingegni dell’Abruzzo e del Molise. Alla sua morte, l’Archivio di Stato di Campobasso inviò i suoi dipendenti a catalogare e sistemare l’incredibile quantità di documenti, libri e pubblicazioni varie, ritrovati… 33

III) UN AMICO COMPIANTO

Nel 2021 saranno 25 anni dalla morte di Don Nicolino D’Aimmo. Dopo aver parlato di Don Alberto P., Don Quirino G. e Don Gaudenzio D., è giusto parlare anche di D. Nicolino parroco a Montemitro da 1965 al 1996. E lo faremo riportando l’omelia del suo funerale, fatta da Mons. Domenico D’Ambrosio. La foto qui sopra, fatta da Antonio Piccoli, lo vede “spericolato” sull’esterno del campanile senza fune, ad aggiustare l’orologio.

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6 marzo 1996 - Necrologio del sacerdote Nicolino D’Aimmo fatto dall’allora vescovo di “Termoli Larino” Mons. Domenico D’ambrosio.

“A che serve la vita se non per essere donata?”, scriveva Péguy riecheggiando il Vangelo: “Chi getta la sua vita la ritrova, chi vuole tenerla per sé la perde”. Don Nicolino ha gettato la sua vita donandola a Dio e agli uomini. L’ha donata a Dio entrando ragazzo nel Seminario diocesano e proseguendo gli studi in quello regionale di Benevento. Ed è stato sempre convinto ed entusiasta della sua scelta. Non ha avuto ripensamenti o crisi sulla sua vocazione. L’Ordinazione sacerdotale, ricevuta nella Cattedrale di Termoli dalle mani di Mons. Bernacchia il 1 Ottobre del 1961 – è stata l’ultima Ordinazione fatta dal vecchio Vescovo – ha sugellato definitivamente la sua donazione al Signore. E vi è rimasto sempre fedele, fino in fondo. Ha voluto portare la veste talare fino al giorno dell’ingresso in ospedale. Solo nei viaggi all’estero vestiva il clergyman. Era ostinatamente legato a quella veste, come a un simbolo della sua identità sacerdotale. Tanto più che quelle veti gliele confezionava la madre. Quell’attaccamento alla talare era dunque per lui un segno della sua affezione al Signore e alla Madre. “Se rinascessi rifarei il prete”, ha detto a volte, con semplicità e convinzione. Ed è stato un sacerdote esemplare, che viveva ciò che celebrava. Tanti anni fa, dopo una meditazione in una giornata di ritiro, gli era rimasta impressa una frase del predicatore, tanto che me l’ha ripetuta più di una volta: “Il sacerdote dev’essere prete prete, come quando di un buon caffè si dice che è caffè caffè”. Lui è stato un prete prete. E ci piace immaginare che quel pomeriggio di martedì 5 marzo il Signore, accogliendolo, gli abbia detto: “Vieni, servo buono e fedele, poiché sei stato fedele nel poco, ricevi autorità su molti beni”. 35

Avendo donato a Dio la sua vita, l’ha conseguentemente donata al prossimo, attraverso il suo intenso e fecondo ministero sacerdotale: 35 anni di vita sacerdotale interamente spesi al servizio di Dio e dei fratelli. Fresco di Ordinazione è stato messo nel nostro Seminario diocesano come vicedirettore e insegnante. Era per i ragazzi il fratello maggiore, più che il superiore di cui aver timore. E ha trasfuso in essi il suo entusiasmo e la sua giocondità di persona totalmente appartenente al Signore: totus tuus. Un anno dopo il vescovo Proni lo ha mandato come vice- parroco a Montenero di bisaccia dove è rimasto tre anni, lasciando anche lì una traccia del suo dinamismo e della sua dedizione senza riserve. Alla fine, nel 1965, è stato mandato come Parroco a Montemitro che, per 31 anni consecutivi, è stato il suo paese, il suo popolo, la sua famiglia. La gente del paese l’ha subito accolto e amato di un amore grande e sincero, pienamente ricambiato. Don Nicolino ha amato tutto di quella parrocchia: il paese, le case, le famiglie, le persone; ha amato anche la storia, la lingua, la cultura e le tradizioni di Montemitro e si è immedesimato con quella popolazione. Era cordiale e gioviale con tutti e si è prodigato per la crescita spirituale, sociale e civile di quella gente. Si è fatto servo di tutti per amore, secondo l’insegnamento e l’esempio di Gesù. Ha curato la riparazione e la gestione della Scuola materna parrocchiale, ha provveduto al restauro e all’abbellimento della Chiesa e alla elettrificazione delle campane. Quante volte è salito sul tetto di quella chiesa, anche nelle giornate fredde, con l’imprudenza dei generosi. Ed era proprio lì, su quel tetto, quando è stato aggredito ancora una volta da na forte colica epatica che l’ha costretto a tornare a Termoli e ad andare al pronto soccorso dove l’hanno trattenuto per ricoverarlo. Aveva anche messo su un Coro di giovani che allietava le Liturgie festive. Teneva sistematicamente i corsi di Catechismo. 36

Assecondava, nelle debite forme, la pietà popolare, in particolare la devozione a S. Lucia, Patrona del paese. So che si alzava presto al mattino per mettersi in macchina e raggiungere la sua Parrocchia. E serviva i suoi parrocchiani facendosi tutto a tutti, secondo l’espressione di Paolo, per conquistare tutti a Cristo. Ha fatto per essi il tassista, il postino, l’agente dei servizi sociali, il tecnico per la riparazione di apparecchi radio ed elettrodomestici. Con gratuità e disponibilità. E la gente della sua Parrocchia gli ha testimoniato il suo affetto e la sua gratitudine anche nei giorni della malattia e poi, con profonda e commossa partecipazione, nelle liturgie funebri in suo suffragio. Ora nel cimitero del paese, hanno voluto dedicargli una lapide che ne trasmetta la memoria. Bisogna anche ricordare che Don Nicolino, per 25 anni, ha svolto il compito di Attuario presso il Tribunale Ecclesiastico di Benevento, svolgendo pure questo lavoro come servizio alla Chiesa, con generoso impegno. Una sera, in ospedale gli ho detto: “Quando guarirai faremo un altro viaggio, come ai bei tempi”. “Si – mi ha risosto – torneremo al Convento delle Orsoline di Brunico, per andare di nuovo sulle montagne”. Io ricordo come Don Nicolino amava la montagna e con quale agilità si arrampicava lungo i suoi fianchi, lasciandoci tutti indietro. Poi sulla cima era felice e stupefatto nel contemplare i monti e le valli di cui sapeva i nomi a menadito. Caro Don Nicolino ci hai preceduti anche sulla cima dell’ultima montagna, quella sulla quale si contempla il Volto di Dio. Due giorni prima della tua estrema scalata, nella seconda Domenica di Quaresima, il Vangelo ci ha ricordato la Trasfigurazione di Gesù sulla “santa montagna”. Di fronte a quell’anticipo di Paradiso, Pietro esclamò: “È bello per noi stare qui…”. Ora tu sei lì sulla cima dell’invisibile Montagna dove guardi quel Volto e ci dici come Pietro; “È bello stare qui”, sapendo che la visione è eterna. Lì, sulla “santa montagna” un giorno ci ritroveremo insieme per la misericordia del Padre. 37

PET STO 500

Ovosmo, jesmo još ode Eccoci siamo ancora qui ovi stari jesik govorat, a parlare questa antica lingua kano zlato ga čuvat… come oro custodita ter još živi e ancora vive

Pet sto, pet sto godišt 500, 500 anni nokohi su prol tanti son passati do kad su ode dol da quando, qui, son venuti ove brižne tujine quei poveri stranieri

Pet sto godišt na vu žemlju 500 anni in questa terra s njihovom Sta Lucom con la loro S. Lucia ke je hi vodila za rukom, che li ha guidati per mano, ter ni su se zgubil e non si sono smarriti

Pet sto godišt e sada 500 anni e ora ovu zemlju moremo zahvalit questa terra possiamo ringraziare si njegove smo se mogl činit se suoi siam potuti diventare ume hiž do ovoga grada tra le case di questo paese

Ovi grad, Questo paese, ke još vrimena hoče imat che ancora tempo vuole za svitu srcem za upijat per gridare al mondo ke jesu još ode zgora che sono ancora qui sopra one koje su dol quelli arrivati iz one bane mora. dall’altra parte del mare.

(Mario Ugo Giorgetta)

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In conclusione: MARKOFJ…

Nella fantasia popolare delle persone più anziane di Montemitro in mezzo alla luna c’è un volto che si chiama Markofj.

Quando una persona sta sempre in mezzo dando fastidio, gli si dice: “Odjamise iz tote, jesi kano Markofj usri misečine” (“Togliti da lì, sei come Markofj in mezzo alla luna”).

Sarà capitato anche a voi scorgere un volto guardando la Luna, riconoscendo occhi e naso, è la pareidolia, cioè quell’illusione subcosciente che tende a ricondurre a forme note, oggetti o profili dalla forma casuale. In conclusione, questa “Antologia” su Montemitro spero sia stata un bel viaggio sulla luna dei nostri ricordi più belli, affinché tornando poi con i piedi per terra, possiamo vivere il nostro presente costruendo un futuro di Pace, in un piccolo paese, in una piccola regione, dove la gente ha un cuore grande grande. Questo è Montemitro, questo è il Molise.

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INDICE

Quarta Parte

Gli archivi “parlano” 1 Una volta c’erano le entrate e le “uscite” 12

Koko si lipa, Mat moja Quanto sei bella, o Madre mia 17

Mostra presepi Naš Sunce (Il nostro Sole) 2013-19 22

Alla fine tre curiosità e una poesia: I) Alcuni ricordi del “Fronte” 29 II) Passeggiata nella vallata del Trigno 30 III) Un amico compianto 34 Pet sto – 500 38

In conclusione: Markofj… 39

------Don Angelo Gabriele Giorgetta

Sacerdote della Diocesi di “Termoli-Larino”, ex Passionista. Nato a Campobasso il 6 marzo 1966. Originario di Montemitro – CB. Un paese di minoranza linguistica croata. Nel 1985 si diploma come Geometra ad Anagni – FR. Nel 1995 consegue il baccellierato in teologia all’“Antonianum” di Roma. Il 20 aprile 1996 è ordinato sacerdote. Nel 1997 consegue la Licenza in “Scienze Orientali” presso il Pontificio Istituto Orientale a Roma. Dal 1997 al 2003 è missionario nella Bulgaria del nord. Dal 2003 al 2011 esercita il suo ministero in Emilia Romagna. Dal 2013 è Parroco di Montemitro e di San Felice del Molise. Ha pubblicato in forma privata testi in bulgaro e in italiano. Negli ultimi anni ha fatto studi sui paesi croato-molisani, elaborando cinque saggi. 40