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DOCUMENTO DI SINTESI

Regione Assesorato Ambiente e cooperazione tra i popoli Assessore: Angelo Bonelli Direzione Ambiente e Protezione Civile Direttore: Raniero V. De Filippis

ARP Agenzia Regionale per i Parchi Commissario Straordinario: Antonio Galano Direttore: Giuliano Tallone

Hanno redatto il Piano di Gestione: Coordinamento generale Guglielmo Arcà, Giuliano Tallone, Stefano Sarrocco Referente tecnico del progetto Stefano Sarrocco Referenti interni Dario Capizzi, Nicoletta Cutolo (aspetti agrosilvopastorali) Dario Mancinella (geologia) Cristiano Fattori (geologia e cartografia) Silverio Basilici (cartografia) Consulenti ATI Agriconsulting s.p.a - I.E.A (Banca dati, invertebrati, Anfibi e Rettili, contributi analisi socio-economica e programmazione) Michele De Sanctis (clima, uso del suolo, flora e vegetazione) Elisa Lanzuisi e Alberto Sorace (Avifauna) Stefania Biscardi (Chirotteri) Susanna D’Antoni (Lupo e altri Mammiferi d’interesse) Roberto Brunotti (Pianificazione e contributi analisi socio-economica e programmazione) Hanno dato inoltre il loro contribuito: Paolo Belloc, Silvia Montinaro e Eleonora Scagliusi

Foto di: Paolo Audisio: figura 11 Stefano Sarrocco: copertina, figure 6, 7, 8, 9, 12

Il presente documento di sintesi è a cura di Stefano Sarrocco

Luglio 2005

Si ringraziano le amministrazioni dei Comuni di , Romano, , , Norma, , , , le Comunità Montane XIIIa e XVIIIa , le Provincie di Latina e di Roma, per la loro disponibilità nelle diverse fasi di redazione del Piano.

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DOCUMENTO DI SINTESI

PIANO DI GESTIONE DEI SITI NATURA 2000 ZPS IT6030043 Centrali pSIC IT6030041 Monte Semprevisa e Pian della Faggeta DOCUMENTO DI SINTESI INDICE

L’ANALISI 1. PREMESSA...... 7 2. LA RETE NATURA 2000 ...... 7 3. IL DOCUP OBIETTIVO 2 ...... 7 4. L’AMBIENTE NATURALE...... 7

4.1. IL CLIMA...... 9 4.2. ASPETTI GEOLOGICI ...... 12 4.3. GLI HABITAT E LE SPECIE...... 14 4.3.1. Gli habitat vegetali e la flora...... 14 4.3.2. L’uso del suolo e l’evoluzione del paesaggio ...... 15 4.3.3. Habitat di interesse comunitario...... 16 4.3.4. Specie vegetali...... 21 4.3.5. Invertebrati, anfibi e rettili...... 21 4.3.6. Uccelli ...... 27 4.3.7. Mammiferi ...... 28 5. L’AMBIENTE ANTROPICO...... 30

5.1. I COMUNI E L’ASSETTO DEMOGRAFICO...... 30 5.2. IL SISTEMA SOCIO-ECONOMICO DEI MONTI LEPINI ...... 32 5.3. IL SISTEMA AGRICOLO E PASTORALE DELL’AREA DELLA ZPS ...... 33 5.3.1. L’attività agricola...... 33 5.3.2. L’attività zootecnica e l’esercizio del pascolo...... 34 5.4. IL SISTEMA FORESTALE...... 35 5.5. GLI INCENDI BOSCHIVI ...... 36 5.6. L’ATTIVITÀ VENATORIA ...... 37 5.7. PIANIFICAZIONE PAESISTICA REGIONALE...... 37 5.8. PIANIFICAZIONE PROVINCIALE...... 38 5.9. PIANIFICAZIONE URBANISTICA DI LIVELLO COMUNALE...... 39

Il PIANO 6. GLI OBIETTIVI E LA STRATEGIA DEL PIANO ...... 40 7. PROPOSTA DI REGOLAMENTAZIONE...... 43 8. PROPOSTA DI ADEGUAMENTO DEL PERIMETRO DEI SITI ...... 46 9. BIBLIOGRAFIA ...... 46

ALLEGATI

CARTA DELLE CAVITÀ IPOGEE (GROTTE) DEI MONTI LEPINI...... 47 CARTA DELL’USO DEL SUOLO (ANNI 1954, 1985, 2004 ) ...... 48 CARTA DEGLI HABITAT VEGETALI DI INTERESSE COMUNITARIO ...... 49 CARTA DELLE SEGNALAZIONI DELLE SPECIE FAUNISTICHE D’INTERESSE COMUNITARIO ...... 50

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DOCUMENTO DI SINTESI

L’ANALISI

1. PREMESSA I Monti Lepini sono stati più volte segnalati come comprensorio di rilevante interesse naturalistico e sono indicati nello schema di Piano regionale dei parchi e delle riserve naturali di cui alla DGR n. 11746 del 29.12.93 come area di reperimento. Nel recente Documento tecnico per l’adeguamento dello Schema di Piano parchi redatto dall’Agenzia Regionale per i Parchi (A.R.P.) ed allegato alla DGR n. 1110/2002, il comprensorio dei Monti Lepini è individuato quale area di notevole importanza per il consolidamento del Sistema delle aree protette del Lazio e per lo sviluppo di una Rete ecologica regionale. Con la Delibera di Giunta regionale del 21 novembre 2002 la Giunta regionale ha individuato ARP quale soggetto beneficiario dell’intervento relativo alla realizzazione del Piano di Gestione della Zona di Protezione Speciale (ZPS) “Monti Lepini centrali” codice IT6030043, comprendente il proposto Sito d’Importanza Comunitaria (pSIC) “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta” codice IT6030041. Il presente Piano di Gestione, in linea con quanto proposto sia a livello nazionale che regionale, è sta- to inteso come strumento finalizzato a definire le linee guida, le strategie e le azioni per la gestione degli habitat e delle specie di interesse comunitario e di altre specie ed habitat considerati a livello nazionale di interesse naturalistico. La definizione degli habitat e delle specie, nonché gli obiettivi generali del Piano, fanno riferimento 1 2 a quanto previsto dalle direttive comunitarie Uccelli ed Habitat . È opportuno comunque sottolineare che i Piani di Gestione non debbono essere assimilati ai Piani del Parco, ai Piani Territoriali Provinciali o ad altri strumenti di programmazione e pianificazione territo- riale ordinaria e convenzionale. Si tratta di strumenti completamente diversi, di origine culturale nord e centro-europea, privi ad og- gi di una cogenza giuridica e pianificatoria, con i seguenti obiettivi specifici: - analisi di un territorio; - individuazione dei valori naturalistici; - individuazione dei fattori ecologici (anche antropici) operanti; - individuazione dei soggetti interessati alla gestione; - definizione di obiettivi di gestione; - definizione di azioni da compiere (gestionali, organizzative, regolamentari, pianificatorie); - coinvolgimento degli attori che hanno la responsabilità delle azioni individuate.

2. LA RETE NATURA 2000 I due siti in oggetto fanno parte della Rete Europea Natura 2000. È questo il nome che il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea ha deciso di dare ad un sistema coordinato e coerente, una “rete”, di aree destinate alla conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell’Unione ed in parti- colare alla tutela di una serie di habitat e di specie animali e vegetali indicate negli allegati delle diretti- ve “Uccelli” ed “Habitat”. Costituiscono la Rete Natura 2000 i Siti di Importanza Comunitaria (SIC), i quali, una volta appro- vati dall’Unione Europea, saranno denominati Zone Speciali di Conservazione (ZSC), nonché le Zone di Protezione Speciale (ZPS).

1 Direttiva 79/409/CEE “concernente la conservazione degli uccelli selvatici”. 2 Direttiva 92/43/CEE “relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche”.

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La cosiddetta direttiva “Uccelli” è del 1979 ed è stata recepita nel nostro ordinamento attraverso la L.157/92. La direttiva prevede delle azioni di conservazione per alcune specie di uccelli di interesse con- servazionistico riportate negli allegati della direttiva stessa. Tra le azioni previste vi è anche l’individua- zione da parte degli Stati membri dell’Unione di aree da destinare alla conservazione delle specie, le co- siddette Zone di Protezione Speciale (ZPS). La direttiva europea 92/43/CEE, comunemente denominata direttiva “Habitat”, prevede la creazio- ne, conservazione e gestione di una rete di aree, i cosiddetti Siti di Importanza Comunitaria (SIC), al cui interno siano presenti le specie e gli habitat riportati negli allegati della direttiva stessa. La direttiva Habitat è stata recepita dalla nostra normativa nazionale attraverso i DPR 357/97 e 120/2003.

3. IL DOCUP OBIETTIVO 2 La Regione Lazio per permettere il decollo della Rete Natura 2000 ha utilizzato i strutturali europei: nel Docup Obiettivo 2 - 2000-2006 ha identificato nella Misura I.1 “Valorizzazione del patri- monio ambientale regionale”, e nella Sottomisura I.1.2 “Tutela e gestione degli ecosistemi naturali”, il principale strumento per questo obiettivo. Tale sottomisura comprende il Programma - “Regolamenti e Piani di gestione” per Siti di importanza comunitaria (SIC) e Zone di protezione speciale (ZPS) . In particolare per l’attuazione di questo programma la Regione Lazio, ha identificato una serie di soggetti “Beneficiari” (A.R.P., amministrazioni provinciali, comunali ed enti parco), che nel cor- so del mese di marzo 2003, hanno sottoscritto con la Direzione Regionale Ambiente e Protezione Civile uno specifico accordo volontario, impegnandosi a realizzare per i SIC e ZPS loro assegnati, un apposito “Piano di Gestione o Regolamento” sulla base di un “programma di lavoro”, da loro stessi redatto.

4. L’AMBIENTE NATURALE La dorsale dei Monti Lepini costituisce un comprensorio montuoso, omogeneo e geograficamente ben delimitato. Nella parte nord sono separati dai Colli Albani dalla Valle di Giulianello-- , a sud dai Monti Ausoni attraverso la Valle dell’Amaseno, ad est la Valle del Sacco li sepa- ra dall’Appennino. Il limite sud-occidentale è costituito dalla vasta Piana Pontina. Sono situati all’altezza del 42° parallelo, circa 50 km a S di Roma e formano, assieme ai Monti Ausoni ed Aurunci, la catena dei Monti Volsci, della quale rappresentano la porzione più settentrionale. L’intero gruppo occupa una superficie di circa 80.000 ha ed è posto alla confluenza dei limiti ammini- strativi delle province di Roma, Latina e Frosinone. Le cime più elevate del gruppo sono il Monte Semprevisa (1536 m), il Monte Malaina (1480 m) ed il Monte Gemma (1457 m). Quattro sono i siti della rete Natura 2000 che ricadono in questo comprensorio montuoso: tre pro- posti Siti di Importanza Comunitaria (pSIC), IT6030042 Alta Valle del Torrente Rio, IT6030041 Monte Semprevisa e Pian della Faggeta, IT6040002 Ninfa (ambienti acquatici), ed una Zona a Protezione Speciale (ZPS), IT6030043 Monti Lepini Centrali (ZPS). Il presente piano di gestione prende in considerazione i due siti più estesi, che includono al loro in- terno tutti i territori situati al di sopra dei 700 metri di quota: Monti Lepini Centrali (ZPS) e Monte Semprevisa e Pian della Faggeta (SIC). La ZPS ha una estensione di 7482,6 ha ed include integralmen- te il SIC, che si estende 1335,4 ha. Il comprensorio è considerato di elevato valore botanico e zoologico, in quanto vi è segnalata la presenza di numerosi endemismi e di alcuni habitat prioritari caratterizzanti l’Antiappennino centrale. Inoltre sul gruppo montuoso sono ancora presenti alcune popolazioni relitte e disgiunte di Vertebrati ed invertebrati.

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Gli Habitat presenti nel pSIC Monte Sempreviva e Pian della Faggeta e nella ZPS Monti Lepini Centrali e riportati nella Scheda Natura 2000 sono i seguenti (l’asterisco indica gli habitat considerati prioritari dalla direttiva):

- 9210* Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex - 6210 Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (*stupenda fioritura di orchidee) - 9340 Foreste di Quercus ilex - 5130 Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcioli.

Le specie inserite nelle direttive 92/43 allegato II e 79/409 allegato I presenti nei siti sono le seguenti:

- Mammiferi: 1304 Rhinolophus ferrumequinum, 1303 Rhinolophus hipposideros; - Uccelli: A091 Aquila chrysaetos, A103 Falco peregrinus, A338 Lanius collurio, A224 Caprimulgus europaeus, A246 Lullula arborea, A412 Alectoris graeca saxatilis, A321 Ficedula albicollis, A080 Circaetus gallicus, A081 Circus aeruginosus, A082 Circus cyaneus, A084 Circus pygargus, A229 Alcedo atthis, A243 Calandrella brachydactyla, A255 Anthus campestris, A346 Pyrrhocorax pyr- rhocorax, A379 Emberiza hortulana; - Rettili: 1217 Testudo hermanni, 1279 Elaphe quatuorlineata; - Anfibi: 1175 Salamandrina terdigitata, 1167 Triturus carnifex; - Invertebrati: 1087 Rosalia alpina.

Le altre specie di rilievo segnalate nella Scheda Natura 2000 sono le seguenti:

- Fauna: Felis silvestris, Hystrix cristata, Martes martes, Muscardinus avellanarius, Corvus corax, Coronella austriaca, Coronella girondica, Elaphe longissima, Natrix tessellata, Hyla italica, Rana dalmatina, Rana italica, Triturus vulgaris, Crowsoniella relicta, Duvalius sp. . - Flora: Arabis rosea, Cardamine chelidonia, Cardamine monteluccii, Crepis lacera, Digitalis micrantha, Lilium martagon, Narcissus poeticus, Sempervivum italicum, Viola eugeniae, Viola pseudogracilis.

4.1. Il Clima La morfologia del Lazio è notevolmente variegata, caratterizzata da un esteso sistema costiero, lun- go 320 km, che si affaccia sul Mediterraneo e, internamente, dai rilievi appenninici che coprono una buo- na parte dei suoi 17.200 Kmq di superficie. Essi si estendono da nord-ovest verso sud-est, dove un du- plice allineamento, costituito l’uno dal sistema Colli Albani-Lepini-Ausoni-Aurunci e l’altro dai Prenestini- Simbruini-Ernici-Mainarde, racchiude un’ampia porzione di territorio parallela alla linea di costa, que- 3 ste caratteristiche le conferiscono un alto grado di variabilità climatica . La Regione Lazio è infatti suddivisa in tre regioni climatiche: mediterranea, temperata e una regio- ne di transizione intermedia. La ZPS ed il SIC in essa incluso ricadono completamente all’interno della regione temperata (Fig. 1). Solo nella porzione più occidentale del sistema dei Monti Lepini è presente un’esile striscia che ri- cade nella regione mediterranea.

3 Attorre F., Francesconi F., Alfò M., Mascaro M., & Bruno F., (2004) - A comparison of different interpolation methods for the production of bioclimatic maps at regional scale. In Atti del Convegno “Spatial Interpolation Techniques in climatology and metereology”. Budapest, in press.

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Figura 1. Localizzazione della ZPS Monti Lepini Centrali all’interno della regione temperata

La quantità di precipitazioni annue è compresa tra i 1000-1500 mm con i valori più elevati localiz- zati sulle vette della ZPS dei Monti Lepini (Fig.2). I picchi di precipitazioni si registrano nei mesi di novembre-dicembre con medie comprese tra i 100- 200 mm di pioggia, distribuiti in 8-10 giorni al mese. Si possono registrare anche eventi giornalieri ec- cezionali con valori superiori ai 100 mm. La media delle temperature annue è fortemente correlata con il gradiente altitudinale e presen- ta i valori minimi sul Monte Semprevisa e quelli massimi nelle zone più basse del settore occiden- tale (Fig.3).

In base ai valori della temperatura media annua e delle temperature medie massime e minime di Gennaio è stato elaborato un indice di termicità e su tali valori sono stati individuati i differenti termoti- pi presenti nel comprensorio. Per l’area dei Monti Lepini è stato possibile evidenziare come siano pre- senti quattro termotipi, dei quali i prevalenti sono il collinare superiore e montano inferiore, mentre so- lamente nella piccola porzione appartenente alla regione mediterranea sono presenti il termotipo meso- mediterraneo medio e inferiore.

Nella ZPS il sistema di elevate creste che unisce le principali vette della porzione meridionale (M. Erdigheta-M. la Croce-M. Semprevisa-M. Ardicara) e il massiccio di M.Lupone-M. Erdigheta in quella settentrionale ricadono nel termotipo Montano inferiore, il resto in quello Collinare supe- riore (Fig. 4).

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Figura 2. Carta delle precipitazioni

Figura 3. Carta delle temperature medie annue

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Figura 4. Carta del termotipo sovrapposta alla carta delle regioni climatiche

4.2. Aspetti geologici • Inquadramento geologico I terreni che costituiscono la catena dei Monti Lepini sono riconducibili alla successione stratigrafica costi- tuita in prevalenza da litologie calcareo-dolomitiche depositatesi in un ambiente marino di acque poco profonde e prospicienti la costa, ascrivibili ad un intervallo temporale che va dal periodo Giurassico medio (180 milioni di 4 anni fa) fino al Paleocene (55 milioni di anni fa), su cui poggiano terreni miocenici di età più recente . Le prime fasi dell’orogenesi appenninica portano alla deposizione della coltre alloctona conosciuta con il termine di “Sicilidi” Auct. i cui sedimenti, di natura argilloso-arenacea, si rinvengono oltre che nella Valle Latina anche nella depressione tettonica di Carpineto. La fase compressiva di raccorciamen- to crostale ha determinato l’emersione delle strutture carbonatiche al di sopra del livello del mare a par- tire da circa 10 milioni di anni fa, mentre successivamente si avvia la fase tettonica distensiva plio-plei- stocenica, che determinerà, a partire da circa 2 milioni di anni fa, l’attuale assetto della catena montuo- sa e della Valle Latina. A occidente della dorsale dei Volsci le pianure Pontina e Fondana sono soggette a un lento e costante abbassamento durante tutto il corso del Pliocene e del Quaternario. Durante il Quaternario le alternanze dei periodi glaciali ed interglaciali determinano oscillazioni cicliche nel livel- lo relativo del mare che interagiscono con l’attività dei distretti vulcanici laziali e, modificando il livel- lo di base, condizionano l’assetto idrogeologico su vasta scala. L’intero gruppo dei Monti Lepini è costituito da due unità tettoniche ad andamento appenninico, di- vise da una valle che individua un allineamento della lunghezza di circa 20 km, indicato in letteratura co- 5 me linea Montelanico--Maenza , lungo la quale l’unità nord-orientale viene a sovrap-

4 Parotto M. & Praturlon A. (1975) - Geological Summary of Central Apennines. In “Structural model of ”, Quad. Ric. Sci., 90, 257-311. 5 Accordi B. (1966).La componente traslativa nella tettonica dell’Appennino laziale-abruzzese. Geol. Rom., 5, 355-406.

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porsi dinamicamente su quella sud-occidentale. Il settore nord-orientale, invece, costituisce un lungo fron- te che si affaccia sulla Valle Latina in cui è evidente l’accavallamento dei termini carbonatici appartenen- ti all’era mesozoica, dai quali è costituito, sui sedimenti terrigeni dell’era cenozoica della Valle Latina.

• Idrogeologia La dorsale dei Monti Lepini è, inoltre, sede di un importante acquifero in rocce calcaree con complessi ad alta permeabilità per carsismo e fratturazione e costituisce un’unità idrogeologica ad importanza regiona- le. La falda contenuta dal blocco lepino è, infatti, delimitata dalle formazioni flyschoidi (depositi argilloso- arenacei derivanti dallo smantellamento della catena appenninica in formazione) affioranti nelle Valle Latina e dalle formazioni quaternarie terrigene della Pianura Pontina. La struttura lepina può quindi considerarsi un’unità idrogeologica isolata con limiti ben definiti, sebbene quelli con la dorsale contigua dei Monti Ausoni non siano netti e rendano possibili gli scambi idrici tra la falda lepina e quella ausona. L’acquifero è in ge- nerale libero, continuo ed arealmente esteso e con flusso prevalentemente verticale. L’emergenza della fal- da avviene quasi esclusivamente lungo il margine tirrenico, a contatto con i sedimenti più impermeabili sab- bioso argillosi della Pianura Pontina, attraverso sorgenti basali e puntuali con grosse portate. Sul bordo del- la Valle Latina, situato a quote più elevate, sono presenti solo alcune sorgenti di modesta portata. La zona sa- tura si trova a profondità elevate, che possono raggiungere nelle zone interne anche i 1000 metri dal piano campagna, mentre il deflusso idrico sotterraneo della falda basale è diretto verso la Pianura Pontina.

• Geomorfologia e carsismo La catena dei Monti Lepini, come tutte le zone caratterizzate dalla presenza in affioramento di roc- ce carbonatiche, è soggetta all’instaurarsi di un’ampia varietà di fenomeni carsici a carattere sia epigeo che ipogeo, spesso tra loro in connessione. La presenza di una dorsale carbonatica con fratture ed altre discontinuità ha favorito i processi di dissoluzione chimica del calcare, determinando lo sviluppo di for- me di modellamento carsico ampiamente diffuse sull’intero territorio. La presenza del carsismo nell’area lepina si pone dunque come il maggiore fattore geomorfologico, originando un’ampia gamma di strut- ture epigee a varia scala. Tra le macroforme si rinvengono numerosi bacini carsici che convogliano le acque ad uno o più inghiottitoi. Tra le forme intermedie, particolarmente sviluppate all’interno dei baci- ni carsici, si rinvengono doline di varia natura, tra le quali spiccano quelle a imbuto di Pian della Quartana e le doline di crollo presenti presso ; tra le microforme i lapiez (piccoli canaletti di dissoluzione) sono rinvenibili praticamente ovunque nell’area. Un fenomeno carsico di rilievo è costituito dalle de- pressioni di sinkhole, sprofondamenti improvvisi subcircolari e imbutiformi, che si formano per collas- so della volta in cavità carsiche ipogee o per flusso verso il basso di depositi incoerenti che migrano ver- so cavità presenti nel tetto del substrato roccioso; in entrambi i casi i processi di sprofondamento posso- no essere innescati da eventi sismici anche di magnitudo non elevata. I principali sinkhole dell’area le- pina si ritrovano al margine tra la zona di catena ed i sedimenti della Pianura Pontina: gli Sprofondi, i 6 Laghi del Vescovo, Doganella di Ninfa . Dal punto di vista del carsismo sotterraneo il massiccio dei Monti Lepini è il più carsificato del Lazio con circa 460 grotte (vedi Carta delle cavità ipogee) che presentano 7 uno sviluppo spaziale complessivo dei condotti di oltre 40 km . Nel territorio dei Monti Lepini i fenomeni di dissesto, sia gravitativi che idraulici, non sono distribui- ti uniformemente ma sono concentrati in determinate aree, con elevata frequenza nella fascia montana e pedemontana a causa della maggiore instabilità degli ammassi rocciosi dovuta alla tipologia dei sedimen-

6 Colombi A. (2002) - Sinkhole nel Lazio: nuovi orizzonti?. Professione Geologo, 1, 14-16. 7 Mecchia G., Mecchia M., Piro M. & Barbati M. (2003) - Le grotte del Lazio. I fenomeni carsici, elementi della geodiversità. Agenzia Regionale Parchi - Regione Lazio, collana verde dei parchi, serie tecnica 3, 413 pp

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ti affioranti, alla tettonizzazione ed al carsismo. I processi morfoevolutivi in atto che determinano situa- zioni di dissesto possono essere ricondotti a fenomeni di intensa erosione, come soliflussi e creep e a mo- vimenti franosi veri e propri, più sporadici e localizzati, che nell’area di studio consistono essenzialmen- te in fenomeni di crollo e/o ribaltamento e in debris flow, ossia colate di detrito innescate in seguito a in- tensi eventi piovosi. In particolare nella porzione meridionale della ZPS Monti Lepini Centrali sono pre- senti fenomeni di crollo localizzati su versanti mediamente acclivi, con distacco e rotolamento di massi calcarei precedentemente isolati dall’azione erosiva delle acque superficiali e da fenomeni carsici. Proprio gli intensi e diffusi fenomeni carsici non hanno permesso la formazione di un reticolo idro- grafico superficiale articolato impedendo lo sviluppo di corsi d’acqua rilevanti e perenni.

Figura 5. Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nei Monti Lepini (da Mecchia G. et alii, 2003)

4.3. Gli Habitat e le specie

4.3.1. Gli habitat vegetali e la flora Come metodologia di analisi si è applicato il metodo fitosociologico che si caratterizza per il mag- gior livello di speditività in rapporto alla capacità di esprimere la composizione, il dinamismo e quindi lo stato di conservazione delle varie comunità di un territorio. La valutazione dello stato di conservazio- ne degli habitat è stata effettuata anche mediante uno studio sull’evoluzione del paesaggio. La distribuzione delle specie floristiche è stata valutata attraverso ricognizioni sul campo accompa- gnate da una ricognizione sulla bibliografia esistente, confermando l’assenza di specie di interesse del- la direttiva 92/43. Per le “Altre specie di rilievo” inserite nella scheda Natura2000 si è preferito estende-

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re l’analisi anche ad ulteriori specie segnalate da altre convenzioni come quella di Berna, di Washington/CITES o ritenute di interesse per motivi di ordine biogeografico o conservazionistico.

4.3.2 L’uso del suolo e l’evoluzione del paesaggio Lo studio dell’evoluzione del paesaggio nella ZPS Monti Lepini Centrali è un’importante fonte di informazioni. La configurazione spaziale degli elementi che costituiscono un paesaggio ha un’influen- za significativa su diversi processi e funzioni ecologiche che regolano l’evoluzione degli ecosistemi in esso presenti. Essa può modificarsi al variare di fattori ambientali e a causa di attività umane. L’analisi multitemporale di questa configurazione consente di individuare e localizzare esattamente queste trasfor- mazioni, quantificarle e quindi definire le dinamiche in atto in un dato territorio. Si ha così anche la pos- sibilità di prevederne l’assetto futuro (mantenendosi costanti i fattori ambientali ed antropici). A tale scopo sono state realizzate le carte di uso del suolo della ZPS Monti Lepini Centrali dei tre periodi 1954, 1985 e 2004, mediante fotointerpretazione a video delle foto aeree (fonte: Istituto Geografico Militare Italiano e S.I.R.A. Regione Lazio) e, per la carta attuale, attraverso un ulteriore verifica con so- pralluoghi in campo (vedi Carta dell’uso del suolo, anni 1954, 1985, 2004). La tabella 1 riporta in forma sintetica i dati espressi in ettari delle diverse classi di uso del suolo pre- senti nel sito in oggetto.

Uso suolo Superficie Superficie Superficie 1954 1985 2004 Faggete ad agrifoglio cop. 80-100% 2030 2408 2474 Faggete ad agrifoglio cop. 50-80% 544 415 431 Boschi misti a dominanza di carpino nero cop. 80-100% 184 925 1091 Boschi misti a dominanza di carpino nero cop. 50-80% 331 225 108 Cerrete acidofile montane cop. 80-100% 22 78 100 Cerrete acidofile montane cop. 50-80% 31 21 16 Leccete a orniello cop. 80-100% 302 658 720 Leccete a orniello cop. 50-80% 155 88 83 Compenetrazione fra cerreta e bosco di castagno cop. 50-80% - 85 84 Arbusteti termofili 1239 762 825 Prati-pascoli e praterie calcaree 2322 1646 1407 Boschi di castagno 41 52 60 Seminativi semplici 203 21 0

Tabella 1. Superfici (in ha) occupate dalle diverse categorie di uso del suolo nei tre periodi indagati (1954, 1985, 2004)

Le faggete a tasso e agrifoglio, habitat di importanza prioritaria, sono la formazione vegetale più este- sa (2474 ha) e dopo un modesto incremento percentuale (5,3%), avvenuto nel periodo 1954-1985, sembra- no oggi essersi stabilizzate. È più difficile analizzare l’evoluzione dell’altro habitat prioritario, le praterie dei Festuco-Brometalia con stupenda fioritura di orchidee, in quanto dalla fotointerpretazione è possibile distinguere le formazioni erbacee in generale, ma non individuare le diverse fitocenosi che le caratterizza- no. In riferimento alle formazioni arbustive, dopo un consistente ritiro (la loro superficie è quasi dimezza- ta dal 1954 al 1985), oggi la tendenza si è invertita arrivando ad una lieve crescita negli ultimi anni. Gli ambienti che hanno avuto sviluppo maggiore sono i boschi di leccio e gli ostrieti, ma tali aumenti sono sempre concentrati nel trentennio iniziale per arrivare oggi ad una situazione praticamente stabile.

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Le principali trasformazioni si possono riassumere in un generale veloce e intenso processo di riforestazione. La causa è il rapidissimo abbandono delle attività agro-silvo-pastorali che queste aree elevate, situate tutte sopra i 700m, subirono a partire dalla metà degli anni ’50 e nei primi anni ’60. In particolare gli arbusteti e le praterie sono stati prevalentemente sostituiti da faggete e ostrieti, che sono i boschi con cui sono più a contatto alle elevate quote della ZPS. Anche l’evoluzione degli ostrieti in boschi di faggio è stata determinata dalla minore intensità di pascolo, che ha consentito un arricchi- mento del suolo e l’insediarsi, nelle stazioni con minore pendenza, petrosità, e alle quote elevate dove non vengono più praticati gli interventi di ceduazione, delle più esigenti faggete. Dal 1985 ad oggi queste trasformazioni diminuiscono notevolmente o si arrestano; l’ondata di ab- bandono delle montagne dei M. Lepini è ormai rallentata anche se ancora procede. I boschi radi conti- nuano la loro evoluzione verso forme strutturali più mature, con elevati valori di copertura.

4.3.3. Habitat di interesse comunitario Gli studi di base confermano la presenza di tutti gli habitat indicati nelle schede Natura2000, ad ec- cezione dell’habitat 5130 - Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcicoli (Tab.2 e Carta degli habitat vegetali di interesse comunitario). Tale habitat è indicato presente sia nel SIC IT6030041 Monte Semprevisa e Pian della faggeta, che all’interno della ZPS, ma dai rilievi effettuati in campo si tratta sempre di formazioni arbustive di Juniperus oxycedrus L. subsp. oxycedrus. Juniperus communis L. subsp. communis è piuttosto raro in questa area e non dà mai origine a cespuglieti di dimensioni tali da costituire un identificabile habitat.

Scheda Natura 2000 Presente studio ZPS Monti SIC Semprevisa ZPS Monti SIC Semprevisa HABITAT Lepini Centrali e Pian Lepini Centrali e Pian della Faggeta della Faggeta 9210* Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex XXXX 6210 Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (*stupenda fioritura di orchidee) XXXX 9340 Foreste di Quercus ilex XXX 5130 Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcicoli X X assente assente

Tabella 2. Presenza degli habitat di interesse comunitario nell’area dei Monti Lepini secondo quanto riportato nelle schede Natura 2000 e dai risultati degli studi di base

• Habitat 9210 - *Faggeti degli appennini di Taxus e Ilex Le faggete a Tasso (Taxus baccata) ed Agrifoglio (Ilex aquifolium) dell’Appennino centrale rap- presentano un habitat molto interessante da un punto di vista fitostorico ed un problema ancora dibattu- to sotto l’aspetto fitosociologico(Abbate et al., 2003)8. Il tasso e l’agrifoglio sono specie relitte delle antiche foreste di laurifille che caratterizzavano il pae- saggio vegetale della nostra penisola durante il Terziario, quando il clima aveva caratteri decisamente

8 Abbate G., Pirone G., Ciaschetti G., Boonacquisti S., Giovi E., Luzzi D., Scassellati E., (2003) - Considerazioni preliminari sui boschi a Fagus sylvatica L. e Taxus baccata L. dell’Italia peninsulare e della Sicilia. Fitosociologia 40 (1): 97-109.

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subtropicali. Verso la fine del Terziario e agli inizi del Quaternario il clima iniziò a cambiare, caratteriz- zandosi soprattutto con una maggiore aridità e minori temperature: si andava affermando il clima medi- terraneo attuale. Le glaciazioni che si succedettero durante il Quaternario portarono all’estinzione della maggior parte delle specie che formavano queste antiche foreste e alla loro graduale sostituzione con quelle che noi oggi conosciamo. Di qui l’importanza del tasso e dell’agrifoglio, fra le poche specie del- la flora terziaria che sono riuscite a superare queste vicende e che oggi troviamo soprattutto, ma non esclusivamente, all’interno di queste faggete.

Figura 6. Aspetto invernale della faggeta ad agrifoglio

Le faggete a tasso e agrifoglio sono l’habitat con maggiore estensione fra quelli presenti nella ZPS Monti Lepini Centrali. Occupano una superficie di 2474 ha e sono dislocate dai 750m fino alle vette sommitali dei monti presenti nell’area (1530m sul M. Semprevisa). La presenza del tasso e dell’agrifoglio, come in tutte le faggete appenniniche, è maggiore alle quote più basse (800-1100m), su suoli primitivi, ricchi di scheletro e con roccia madre affiorante. Le popolazioni di maggiore consistenza sono situate sul versante che da Pian della Faggeta sale al M. Sempreviva (che infatti rientra nel SIC IT6030041) e fra il Campo di Segni e M. la Croce – M. Puzzo. Campo di Segni e Pian della Faggeta sono anche gli altipiani (insieme ai Campi di Montelanico) in cui si concentrano le attività di pascolo. Questa attività rappresenta una forma di disturbo notevole, che diminuisce le possibilità di rinnovazione della faggeta e delle popolazioni di tasso e agrifoglio.

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Figura 7. Alcuni tassi vetusti presenti nel di Carpineto Romano

Queste stazioni, poste alle quote inferiori, sono anche state sfruttate per il taglio saltuario del legno, senza criteri selvicolturali razionali, fino in tempi recenti; qui, infatti, erano più semplici le operazioni di taglio e di trasporto. Si è per tale motivo creato uno strato dominato di faggi (sporadiche ceppaie e molte piante nate da seme) in forte concorrenza tra di loro.

Figura 8. Bacca rossa (arillo) di tasso

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Le faggete poste alle quote più elevate non sono minacciate da questi fattori di disturbo, e sono in uno stato di conservazione decisamente migliore. Si tratta di fustaie prevalentemente disetaneiformi, con esemplari monumentali di faggio e, qui più sporadici, di tasso e agrifoglio; sono presenti individui vetu- sti e altri schiantati che costituiscono un importante habitat per diverse specie di funghi e licheni. Lo stu- dio svolto sull’evoluzione del paesaggio mostra come questo habitat si sia notevolmente espanso nel pe- riodo 1945-1954 e che dal 1985 ad oggi si sia praticamente stabilizzato.

Figura 9. Fioritura di specie nemorali (anemone dell’Appennino)

• Habitat 6210 - Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substra- to calcareo (Festuco-Brometalia) (* stupenda fioritura di orchidee) Le praterie dei Brometalia erecti Br. Bl. 1936 rappresentano l’aspetto steppico della vegetazione er- bacea dell’Eurasia. Nel nostro continente si irradiano dalla provincia sarmatica, dove costituiscono il bio- ma delle steppe, fino al bacino pannonico, all’Europa Centrale e alla penisola iberica, dove sono però li- mitati alla porzione settentrionale. Sugli Appennini sono abbastanza frequenti e rappresentano, almeno nelle catene continentali inter- ne, il limite meridionale del loro areale di distribuzione. Queste formazioni erbacee ospitano frequentemente un notevole numero di specie endemiche del sistema appenninico, importanti da un punto di vista fitogeografico, e anche specie rare (fra le quali al- cune orchidee che rendono prioritario tale habitat). Le praterie aride calcaree rappresentano il secondo habitat più esteso (1407 ha di superficie), dopo le faggete a tasso e agrifoglio. Naturalmente non tutta questa superficie può essere considerata habitat

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prioritario, in quanto le due condizioni necessarie affinché siano considerate tali (popolazioni consisten- ti di orchidee e presenza di orchidee rare) solo in alcune aree si manifestano. Le tre aree di maggior pregio sono le praterie di Pian della Faggeta, quelle del versante che da Campo di Segni sale al Monte dei Briganti e quelle che da Campo Rosello salgono al M. Semprevisa. Queste tre aree ospitano consistenti popolazioni di Orchidacee, quali Orchide minore (Orchis mo- rio), Orchide calabrese (Orchis pauciflora), Ballerina (Aceras anthropophorum) e Ofride fior di ape (Ophris apifera), e sporadici individui di Ophris lacaite e Ofride gialla (Ophris lutea), queste ultime due rarissime nel Lazio e Orchide gialla (Orchis provincialis), specie rara nel Lazio. Oltre a queste è da segnalare la presenza di diverse specie che, seppur non inserite nell’allegato II della direttiva 97/43 CEE, rivestono un’importanza particolare per diversi motivi, tra cui: Viola pseudo- gracilis (diffusa nelle praterie aride della ZPS e molto rara, invece, nel Lazio, ed è un elemento endemi- co della nostra flora); Narcissus poeticus (protetta dalla L.R. 71/74 art.3 e considerata vulnerabile dalle liste rosse regionali); Viola eugeniae (diffusa soprattutto a Campo Rosello, ma presente in molte prate- rie della ZPS; si tratta di un interessante endemismo appenninico. Le praterie presenti a Pian della Faggeta, situate a 850 m, ospitano invece, accanto alle fitocenosi tipiche dei Festuco-Brometea, un mosaico di diverse classi vegetazionale. Questo “disordine” vegeta- zionale è dovuto al disturbo causato dal pascolo. Un’altra pericolosa conseguenza di tale attività è la dif- fusione della Felce aquilina (Pteridium aquilinum) che in alcuni tratti ricopre totalmente la superficie del suolo soffocando le altre specie. Per tali motivi lo stato di conservazione di questo habitat non è buono. Le popolazioni di orchidee e delle altre importanti specie prima descritte potrebbero essere più diffuse e consistenti se il pascolo fos- se gestito in modo differente.

• Habitat 9340 - Querceti di Quercus ilex Il bosco misto di leccio si sviluppa prevalentemente in collina e bassa montagna, dove costituisce una fascia di transizione tra il bosco sempreverde e quello delle querce caducifoglie. È ancora incerto il carattere di vegetazione climax di queste fitocenosi nell’area mediterranea: il con- tingente di specie caducifoglie aumenta e diviene dominante nelle formazioni mature lasciate sviluppar- si autonomamente e a loro volta i boschi misti di leccio possono crescere in boschi di roverella governa- ti a ceduo, ove l’aumentata esposizione del suolo alla radiazione solare ne diminuisce il contenuto d’ac- qua per evaporazione. Probabilmente, quindi, è stato l’intenso sfruttamento dei boschi di caducifoglie da parte dell’uomo, con la conseguente aridificazione di questi habitat, a rendere dominante il leccio (spe- cie più vitale in ambiente xerofilo) in queste fitocenosi miste. Anche questo habitat è ben rappresentato all’interno della ZPS: oggi occupa 720 ha di superficie. È situato dalle quote più basse dell’area (700 m) fino ai 1000 m a Perrone del Corvo (la piccola catena roc- ciosa che fiancheggia il lato orientale di Pian della Faggeta). Sono individuabili quattro nuclei principa- li di tale formazione: la lecceta che da sopra Bassiano arriva fin quasi a Campo Rosello, direttamente a contatto con la faggeta, quella di M. Perrone, quella, meno estesa, situata sopra Montelanico fra M. dei Briganti e M. della Croce, e quella che circonda i fianchi di M. Gorgoglione. Si sviluppano tutte su versanti piuttosto acclivi con diverse esposizioni e con una cospicua quantità di roccia calcarea affiorante e petrosità. I suoli sono poveri e piuttosto aridi anche a causa dell’intensa attività di pascolo passata: nella carta di uso del suolo del 1954 si nota come queste aree fossero occu- pate da pascoli, cespuglieti e leccete rade molto più estesi rispetto ad oggi. Con il progressivo abbando- no di tale attività questi boschi si sono estesi, e nelle stazioni con esposizione settentrionale, suoli più maturi e minore pendenza sono stati sostituiti da formazioni di caducifoglie. L’attività di pascolo, anche se ridotta, è ancora presente e cospicua.

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La gestione selvicolturale passata era a ceduo matricinato, ma il turno di taglio è stato abbondante- mente superato e i processi di autodiradamento delle ceppaie stanno portando ad un’evoluzione natura- le verso l’alto fusto. Anche da un punto di vista floristico queste formazioni sono in buono stato di conservazione. Le spe- cie caratteristiche della fitocenosi e dell’alleanza di riferimento sono presenti, anche se non molto diffuse.

4.3.4. Specie vegetali Nella Tabella 3 viene riportata una selezione delle specie che presentano uno stato di conservazio- ne critico nell’area di studio.

Specie Arabis rosea DC. Cardamine monteluccii Br. Catt. et Gubell. Cephalanthera damasonium (Miller) Druce Lamium garganicum L. subsp. gracile (Briq.) Greuter et Burdet Minuartia verna (L.) Hiern subsp. verna Ophrys fusca Lin Ophrys lacaitae Lojacono Ophrys lutea Cav. Scleranthus polycarpos L. Sedum amplexicaule DC. subsp. tenuifolium (Sm.) Greuter Sempervivum italicum Ricci Verbascum phlomoides L.

Tab. 3. Specie a stato di conservazione critico nell’area di studio

4.3.5. Invertebrati, anfibi e rettili Il percorso metodologico seguito ha contemplato sia l’esame della letteratura disponibile sia la rac- colta di dati in gran parte inediti, resi disponibili o raccolti da singoli specialisti durante numerosi rilie- vi di campo effettuati dal 1971 ad oggi. Nel comprensorio dei Lepini risultano segnalate oltre 1720 specie di invertebrati, anfibi e rettili tra cui sono state selezionate - in base a criteri conservazionistici, biogeografici ed ecologici - ben 87 “spe- cie obiettivo” del Piano di gestione. Si rilevano in particolare 8 specie di invertebrati elencate negli All. II e IV della Direttiva HABITAT, di cui 2 prioritarie (Tab. 4).

Specie * Rosalia alpina (Linné, 1758) Cerambyx cerdo Linné, 1758 * Osmoderma eremita (Scopoli, 1763) Maculinea arion (Linné, 1758) Melanargia arge (Sulzer, 1776) Parnassius mnemosyne (Linné, 1758) Euplagia quadripunctaria (Linné, 1761) Coenagrion mercuriale (Charpentier, 1840)

Tabella. 4. Invertebrati prioritari (*) e di interesse comunitario elencati negli Allegato II e IV della Direttiva Habitat

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I Monti Lepini ospitano inoltre 3 specie di anfibi e 3 specie di rettili elencate nell’All. II della Direttiva Habitat (Tab. 5).

Specie Salamandrina terdigitata Triturus carnifex Bombina pachypus Testudo hermanni Emys orbicularis Elaphe quatuorlineata

Tabella. 5. Anfibi e rettili di interesse comunitario elencati nell’Allegato II della Direttiva Habitat

Sono state rilevate numerose altre entità faunistiche di grande interesse, molte delle quali meriterebbero a pieno titolo di essere inserite nella Direttiva Habitat.

Figura 10. Caratterizzazione del gruppo delle “specie obiettivo” in relazione ai criteri di selezione utilizzati

• Invertebrati per quanto concerne gli invertebrati, in particolare sono stati rilevati numerosi endemismi appar- tenenti alla fauna ipogea, nonché diverse specie forestali con distribuzione geografica ed ecologica a carattere relitto, spesso subendemiti o endemiti italiani, che costituiscono degli indizi importanti circa la presenza di una componente faunistica “antica” di notevole interesse biogeografico e naturalistico, da riferire almeno in parte all’isolamento relativo di questo massiccio preappenninico rispetto al resto della dorsale Appenninica.

Tra queste specie un posto di particolare rilievo spetta a Crowsoniella relicta (Fig. 11), l’unico Coleottero Arcostemato noto dell’intera Regione Paleartica occidentale, vero e proprio “fossile vivente” della coleotterofauna paleozoica e mesozoica.

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Figura 11. Crowsoniella relicta

• L’erpetofauna Per quanto concerne l’erpetofauna, l’area riveste certamente un valore elevato per la conservazione di diverse popolazioni di Anfibi appartenenti ad almeno 11 specie, tra cui la Salamandrina dagli occhia- li (Salamandrina terdigitata) (Fig. 12), il Tritone italico (Triturus italicus), l’Ululone appenninico (Bombina pachypus) e la Rana italica (Rana italica), esclusive dell’Italia peninsulare. Nel comprensorio sono state inoltre complessivamente censite 17 specie di Rettili, sebbene non sia stato possibile confermare nei siti Natura 2000 la presenza di Testudo hermanni. Va comunque ricorda- to che questa specie è legata prevalentemente ad ambienti xerici, estremamente localizzati nei Monti Lepini, ove si rinvengono solo in località di modesta altitudine. Utilizzando tabelle descrittive delle relazioni specie-habitat compilate dagli specialisti tenendo con- to della vegetazione e degli habitat presenti nel comprensorio, sono state ottenute delle mappe in cui so- no rappresentate le aree potenzialmente idonee ad ospitare la specie in esame (Fig. 13 e Fig. 14).

Figura 12. Salamandrina dagli occhiali, una specie di interesse comunitario discretamente diffusa sui Monti Lepini

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Figura 13. Distribuzione potenziale di Rosalia alpina secondo il modello d’idoneità ambientale

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Figura 14. Distribuzione potenziale di Salamandrina terdigitata secondo il modello d’idoneità ambientale

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• Siti critici per gli invertebrati e l’erpetofauna Classificando le aree della ZPS in base al numero di specie di invertebrati, Rettili ed Anfibi per cui l’habitat risulta più o meno idoneo sono stati ottenuti elaborati cartografici di supporto sia all’individua- zione di zone chiave ai fini conservazionistici, i cosiddetti “hotspots”, che alla progettazione e alla ge- stione di reti ecologiche nel comprensorio (Fig. 15). Inoltre, tutte le cavità ipogee del comprensorio so- no considerate “siti critici” per la conservazione della fauna invertebrata.

Figura 15. “Hotspots” per la conservazione di 45 specie obiettivo di invertebrati

Per quanto attiene l’erpetofauna, considerati il numero ridotto di popolazioni note all’interno della ZPS, il basso numero di siti idonei alla loro presenza, l’elevata frammentazione ambientale del compren- sorio, sono ritenuti critici tutti i siti nei quali è stata individuata la presenza di popolazioni di specie “obiet- tivo”, in particolare i corpi idrici come ad esempio sorgenti, grandi abbeveratoi in pietra, corsi d’acqua, in quanto fondamentali per la riproduzione e la persistenza delle popolazioni stesse.

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4.3.6. Uccelli La comunità ornitica è stata studiata nel periodo dello svernamento (dicembre-febbraio) e della ni- dificazione (marzo-giugno). Gli uccelli sono stati censiti mediante stazioni d’ascolto/osservazione distri- buite negli ambienti predominanti nel comprensorio dei Monti Lepini: faggeta, bosco deciduo, lecceta, rimboschimenti a conifere, oliveti, zone a prato/pascolo (includendo anche le zone cespugliate). Oltre ai dati raccolti con metodi standardizzati, sono state effettuate dei sopralluoghi nel territorio al fine di avvistare le specie ornitiche più elusive. A giugno alcune aree della ZPS sono state visitate in due uscite in orario notturno per contattare gli uccelli con abitudini crepuscolari e notturne.

• Le specie svernanti Nel periodo invernale sono state osservate 54 specie. Gli ambienti aperti e gli uliveti sono risultati gli ambienti con rispettivamente il maggior numero di specie e di individui. Negli uliveti la presenza di olive non raccolte favorisce le specie ad alimentazione invernale frugivora (Capinera, Pettirosso, Tordo bottaccio, Merlo). Il bosco deciduo è la formazione boschiva che mostra i valori più elevati di ricchez- za di specie e di abbondanza di individui. Alcuni dati indicano che d’inverno gli uccelli si spostano al- l’interno del comprensorio in cerca di zone di alimentazione, soprattutto alle pendici dei Lepini e fuori dall’area della ZPS. Questi spostamenti interessano anche specie di interesse comunitario (all. 1 Dir. 79/409/CEE) come il Pellegrino e la Tottavilla. Sono state inoltre osservate due specie (Picchio verde, Corvo imperiale) inserite nella categoria a più basso rischio della Lista Rossa degli Uccelli e tre specie 9 (Gheppio, Saltimpalo, Zigolo muciatto) inserite tra quelle a priorità di conservazione in Europa .

• Le specie nidificanti Nell’intero comprensorio dei Monti Lepini sono state osservate in periodo riproduttivo 70 specie di cui 47 nella ZPS Monti Lepini. La ZPS infatti, non includendo la fascia altitudinale più bassa dei Monti Lepini, offre in genere ambienti poco adatti per le specie più termofile come per esempio il Gruccione, l’Averla capirossa e la Monachella. Gli ambienti aperti sono di gran lunga i più ricchi di specie, ma il bosco deciduo è comunque l’ambiente dove sono stati censiti il maggior numero di individui e, tra gli ambienti boschivi, quello più ricco di specie. Dieci specie di interesse comunitario nidificano nel comprensorio dei Monti Lepini, sette delle quali (Pellegrino, Succiacapre, Tottavilla, Calandro, Balia dal collare, Averla piccola, Ortolano) nella ZPS e tre (Falco pecchiaiolo, Biancone, Lanario) al di fuori di essa. Altre 14 specie di interesse conservazionistico, cioè incluse nella Lista rossa italiana e/o tra quelle in rarefazione in Europa, sono nidificanti nella ZPS. Con 4-5 coppie nidificanti lo status nella ZPS del Falco pellegrino sembrerebbe attualmente soddi- sfacente (le segnalazioni, anche recentissime, di saccheggio di nidi della specie da parte dell’uomo so- no l’unico motivo attuale di preoccupazione per la specie), mentre il Succiacapre mostra basse densità. La Tottavilla è stata rilevata nelle zone di pascolo cespugliato poste alle maggiori altitudini (750-1200 m s.l.m.). Risulta comunque poco comune come nidificante e assente in alcuni ambienti apparentemen- te adatti alla specie. Il Calandro è decisamente raro nell’intero comprensorio dei Monti Lepini essendo stato avvistato solo in due località su versanti di altitudine pascolati, mentre la Balia dal collare è stata rinvenuta nelle faggete del gruppo del Monte Semprevisa, confermando che il mantenimento di alberi vetusti e senescenti è prioritario per la nidificazione della specie. L’Averla piccola dimostra di una buo- na distribuzione nel territorio, mentre l’Ortolano è decisamente raro in tutto il comprensorio dei Monti Lepini, essendo stato osservato un solo individuo nell’area di pascolo cespugliato di Pian della Faggeta.

9 Tucker G.M. & Heath M.F., 1994. Birds in Europe: their conservation status - Cambridge, U.K.: Birdlife International, (Birdlife Conservation Series no.3).

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Il Pecchiaiolo è nidificante nella parte settentrionale dei Monti Lepini, ma l’intero comprensorio dei mon- ti Lepini è interessato a un buon passaggio della specie in periodo pre- e post-riproduttivo. Per il Biancone, il sito di nidificazione attuale non è noto, ma le osservazioni in periodo riproduttivo sono più frequenti 10 nella catena orientale, dove di recente è stata accertata anche la nidificazione del Lanario .

• Le specie estinte Le specie di interesse comunitario, estinte in epoca storica come nidificanti sui Monti Lepini, anno- verano l’Aquila reale, il Capovaccaio e la Coturnice. La prima, seppure osservabile con individui errati- ci in tutti i periodi dell’anno, si è estinta come nidificante negli anni ottanta a causa di fenomeni di brac- conaggio Il 1970 è l’ultimo anno in cui il Capovaccaio ha nidificato sui Monti Lepini. Successivamente le osservazioni della specie si sono sempre più rarefatte e non ci sarebbero più stati avvistamenti in epo- ca recente. È interessante, quindi, l’osservazione di un esemplare subadulto avvenuta nel giugno 2004 nel- l’area della ZPS. A parte gli interventi contro il bracconaggio, la distribuzione di bocconi avvelenati e il disturbo antropico, occorrerebbe approfondire se le disponibilità trofiche siano sufficienti a favorire il ri- torno di questi due rapaci come nidificanti. La Coturnice, presente come nidificante sui Monti Lepini fi- no agli anni ottanta, si è successivamente estinta. In caso di un suo ritorno nell’area per processi naturali o per un progetto di reintroduzione, bisognerebbe reprimere severamente ogni atto di bracconaggio.

4.3.7. Mammiferi • Chirotteri Lo studio sui chirotteri è stato effettuato preliminarmente attraverso una ricerca bibliografica riguar- dante le specie potenzialmente presenti nell’area di studio, e successivamente mediante sopralluoghi di campo in tutte le cavità naturali e artificiali. Nel corso dell’indagine state rilevate quattro specie d’inte- resse comunitario: Ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum), Ferro di cavallo minore (Rhinolophus hipposideros), Rinolofo euriale (Rhinolophus euryale) e Miniottero (Miniopterus schrei- bersii). Una notazione importante riguarda la grotta di Colle Cantocchio (Sito di Importanza Nazionale), situata fuori SIC (adiacente alla ZPS), nel Comune di Bassiano, una cavità naturale che risulta essere uno dei rifugi più importanti di tutto il Lazio. Il sistema dei monti Lepini sembra presentare caratteristiche fondamentali per la conservazione dei chi- rotteri, in quanto sono presenti estesi ambienti naturali utilizzabili per l’alimentazione e gli spostamenti e de- cine di cavità ipogee idonee ad essere utilizzate come siti di svernamento e di nursery per le diverse specie.

• Lupo Il lupo rappresenta una delle priorità conservazionistiche e gestionali del nostro Paese e la popola- zione italiana riveste particolare importanza anche a livello internazionale, essendo una delle poche po- 11 polazioni superstiti dell’Europa occidentale . Gli obiettivi dell’indagine svolta sul lupo sono stati indi- rizzati alla verifica della presenza ed alla definizione dello stato di conservazione della sub-popolazione della specie nei due siti della Rete Natura 2000 SIC “Pian della Faggeta e Monte Semprevisa” e ZPS “Monti Lepini centrali”, insieme alla definizione di eventuali interventi per il suo mantenimento in uno stato soddisfacente di conservazione a lungo termine.

10 Corsetti L. e P. Fusacchia, 2004. Status del Pellegrino (Falco peregrinus) e del Lanario (Falco biarmicus) nel Lazio meridionale. In Corsetti L. (ed.), 2004. Uccelli rapaci nel Lazio: status e distribuzione, strategie di conservazione. Atti del Convegno, , 13 dicembre 2003, Ed. Belvedere, Latina: 15-20 11 Genovesi P. (a cura di), 2002 – Piano d’azione nazionale per la conservazione del lupo (Canis lupus). Quad. Cons. Natura, n. 13, Min. Ambiente – Ist. Naz. Fauna Selvatica.

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Il metodo utilizzato per attestare la presenza del lupo nel comprensorio e per individuare aree mag- giormente critiche per la conservazione della specie, è la conta delle tracce su neve. La raccolta di cam- pioni di feci ed urine ha consentito di verificare l’effettiva appartenenza delle impronte alla specie, me- diante analisi genetiche compiute dall’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Dato che la principale minaccia per la sopravvivenza del lupo nell’area è costituita dalla persecu- zione diretta da parte dell’uomo, si è inoltre indagato al fine di determinare l’entità, le cause ed i possi- bili interventi per attenuare questo problema, effettuando interviste direttamente agli allevatori, ad alcu- ni Comandi di Stazione CFS presenti nell’area, alle amministrazioni pubbliche, alle ASL, per avere un quadro dei danni causati dal lupo al bestiame. Il lupo risulta presente lungo tutta la catena montuosa appenninica regionale, ma vi sono due impor- tanti ramificazioni dell’areale in corrispondenza del comprensorio Tolfetano-Cerite, in contiguità con la Toscana centro-meridionale, e dei Monti Lepini, dove una stima del tutto indicativa del numero di lupi presenti nel territorio del SIC/ZPS che si può ricavare dai dati finora ottenuti, è di un minimo di 4 indi- vidui, fra cui almeno una femmina, probabilmente riferibili ad un piccolo nucleo familiare e/o ad indi- vidui isolati. I dati raccolti hanno permesso di individuare le aree interne e circostanti i siti frequentati da questo canide, ovvero il Monte Lupone, Campo di Segni, Monte Erdigheta (versanti di Cori) ed il Monte Semprevisa. Questo dato coincide in parte con quanto precedentemente osservato nelle indagini svolte sulla specie nel territorio. Nel territorio del SIC/ZPS viene effettuato l’allevamento brado di mucche, cavalli e capre, pratica- to per tutto l’anno, perlopiù senza guardiania e senza il ricovero notturno degli animali. Questo tipo di allevamento costituisce quello più a rischio per gli attacchi dei predatori, fra cui il lupo. La presenza di cani vaganti nell’area interessata dalla presenza del lupo, costituisce un ulteriore pro- blema per la conservazione di questo canide, non solo in quanto ad esso vengono attribuiti la gran parte dei danni causati dai cani, ma anche per il rischio di ibridazione cane-lupo con conseguente perdita di identità genetica di questa specie protetta. Infine, i rischi di bracconaggio nel comprensorio nell’area dei monti Lepini sono ancora molto alti sia per un diffusa avversione tuttora esistente, quantomeno fra gli allevatori, verso l’ipotesi di istituzione del Parco dei Monti Lepini, sia poiché le misure di indennizzo dei danni sono del tutto inefficaci a diminuire il conflitto con questa specie.

• Altre specie di interesse Il Moscardino (Muscardinus avellanarius) è uno dei più piccoli mammiferi italiani. La maggiore minaccia per questa specie è la frammentazione del suo habitat e l’isolamento delle popolazioni dovuto anche ad una cattiva gestione forestale. Questa specie infatti non attraversa aree aperte e quindi è vulne- rabile ad estinzione locale quando appezzamenti di bosco vengono ridotti o scompaiono. La grande ri- duzione di elementi lineari vegetazionali, che permetterebbero al moscardino di spostarsi, ha determina- to negli ultimi anni la scomparsa di corridoi naturali tra aree boscate utilizzate e siti alternativi. La gestione forestale è un punto cruciale per garantire la persistenza del moscardino. Questa dovrà garantire boschi maturi in grado di fornire rifugi nelle cavità degli alberi durante il periodo invernale ed un sottobosco denso. Anche aree di boschi giovani possono essere indicate garantendo comunque un ade- guato strato di vegetazione nel sottobosco. L’Istrice (Hystrix cristata) è il più grande tra i roditori italiani. È una specie ancora relativamen- te comune, diffusa in tutto il massiccio dei Monti Lepini, soprattutto al di sotto dei 900m. Pur essen- do protetto è vittima del bracconaggio che sicuramente è una delle principali cause di minaccia per questa specie. La Martora (Martes martes) è una specie tipicamente forestale. La quale non risulta più presente nel

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comprensorio dei Monti Lepini, probabilmente per la frammentazione dell’habitat forestale e la mancan- za di connessioni con quelli delle aree limitrofe. Il Gatto selvatico (Felis silvestris) è una specie particolarmente legata alle foreste di latifoglie, par- zialmente aperte e alternate con aree rocciose, che può incrociarsi con il gatto domestico, producendo prole fertile, con gravi rischi di inquinamento genetico delle popolazioni naturali. Tracce potenzialmente attribuibili a questa specie sono state rinvenute nei pressi del Monte Rinsaturo e nei pressi della Croce di Capreo nel comune di Carpineto Romano. La specie è essenzialmente minac- ciata dalla distruzione e frammentazione dell’habitat, dal bracconaggio e dalla mortalità stradale. La Lepre italica (Lepus corsicanus) è una specie endemica italiana, in diminuzione e gravemente minacciata di estinzione. Considerata per lungo tempo una sottospecie della Lepre europea (Lepus eu- ropaeus), solo recentemente è stato messo in evidenza il suo status specifico. La presenza attuale sui Monti Lepini della preesistente popolazione di L. corsicanus non è comprovata da reperti ma solo da te- stimonianze di locali. Da quanto affermato nel piano d’azione nazionale della specie, nelle aree in cui la specie è presen- te, occorre vietare i rilasci di lepre europea (Lepus europaeus) a scopo venatorio, soprattutto perché gli animali immessi provengono da allevamenti intensivi e quindi sono dei serbatoi di agenti patogeni, dan- nosi per la specie endemica.

5. L’AMBIENTE ANTROPICO

5.1. I comuni e l’assetto demografico La ZPS Monti Lepini Centrali è costituita da un’area con un estensione di 7482,691 ha situata nella regione Lazio e ricadente all’interno delle Province di Roma e Latina, con una ripartizione percentuale della superficie corrispondente al 33,34 % nella provincia di Latina ed al 66,66% nella provincia di Roma. I Comuni il cui territorio interessa, anche solo in parte, il comprensorio dei Monti Lepini, e in par- ticolare la ZPS “Monti Lepini Centrali” e il SIC incluso “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta” sono Carpineto Romano, Montelanico e Segni nella Provincia di Roma e Bassiano, Cori, Maenza, Norma, Roccagorga e Sezze nella Provincia di Latina. Rientrano nel comprensorio la Comunità Montana XIII nel territorio provinciale di Latina e la XVIII Comunità Montana per la parte appartenente a Roma. Per quanto concerne la percentuale di ripartizione della superficie della ZPS rispetto ai limiti co- munali si può constatare che i territori di Bassiano, Cori, Maenza, Norma, Roccagorga, Segni e Sezze hanno una percentuale di occupazione compresa tra il 3,01% (Maenza) ed il 9,46% (Segni), mentre per Montelanico si raggiunge il 14,83% e per Carpineto Romano il 42,37%.

Nei primi decenni dopo la seconda guerra mondiale il territorio in esame ha subito un notevole ca- lo demografico, arrestatosi negli anni ’70, sebbene la variazione positiva della popolazione, dal 1971 fi- no all’ultimo censimento, risulti piuttosto contenuta (Tab. 6). Il dopoguerra, infatti, ha visto un notevo- le flusso migratorio della popolazione locale verso oltre oceano (ed in particolare verso il Canada e l’Australia) e verso i capoluoghi di provincia (Roma, Latina, Frosinone) che hanno rappresentato, du- rante gli anni del boom industriale, una meta per le famiglie in cerca di opportunità lavorative. Conseguentemente, in questi anni il territorio si è impoverito di risorse umane, ed in special modo di quelle più giovani e dinamiche. L’inversione di tendenza che si registra a partire dagli anni settanta è probabilmente dovuta al fatto che all’emigrazione che aveva caratterizzato il primo dopoguerra, si sosti- tuisce pian piano il fenomeno del pendolarismo della popolazione attiva verso i centri urbani che offro- no le maggiori opportunità lavorative.

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Figura 16. La ZPS Monti Lepini Centrali ed i limiti amministrativi comunali

Comune Var. Var. Var. Var. Pop. Residente Pop. Residente 1951/71 1971/81 1981/91 1991/2001 1991 2001 Carpineto Romano -16,90 0,70 -1,30 -4,88% 5.189 4936 Montelanico -14,80 0,90 5,80 2,24% 1.878 1920 Segni -10,00 0,70 -0,40 5,71% 8.306 8780 Bassiano -25,50 -3,80 6,50 -1,10% 1.635 1617 Cori -3,30 8,50 0,50 2,65% 10.257 10529 Maenza -12,10 -1,70 13,10 -1,02% 3.048 3017 Norma -13,00 7,90 3,30 5,33% 3.600 3792 Roccagorga 4,30 4,40 2,60 0,00% 4.386 4386 Sezze -3,00 11,50 7,80 2,23% 21.457 21935 Totale -12,17 1,55 4,11 1,89% 60.534 61676

Tabella 6 - Variazioni della popolazione residente nei Comuni del comprensorio dei Monti Lepini dal 1951 al 2001 (Fonte: elaborazione su dati ISTAT) Piuttosto critica è la struttura demografica della popolazione che, come succede nel resto del Paese, ve- de un incremento degli over 65: rispetto al ’91 aumentano del 3,1%. In particolare la popolazione ricaden-

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te nella classe di età 15-64 anni, che rappresenta la popolazione attiva, nel decennio 1991-2000 è diminuita a Cori, Roccagorga, Norma, Sezze e Segni, mentre è aumentata nei Comuni di Carpineto, Maenza e Montelanico

5.2. Il Sistema Socio-Economico dei Monti Lepini Per descrivere la situazione socio-economica dei Monti Lepini si è fatto riferimento al sistema eco- nomico locale costituito dai Comuni di Carpineto Romano, Gorga, Cori, Norma, Sezze, Bassiano, Roccagorga, Maenza, Montelanico e Segni, di cui sono stati analizzati i dati demografici ed economici. L’analisi della struttura e dei caratteri della popolazione residente mostra la tendenza evolutiva in atto, consistente nel leggero incremento della popolazione, nell’invecchiamento della popolazione; nel- la diminuzione dei tassi di natalità, nel leggero incremento dei saldi naturale e migratorio, nell’incremen- to della presenza ìdegli stranieri, nelle migliori dinamiche nei Comuni più grandi che presentano per la popolazione migliori opportunità sociali ed economiche, nell’innalzamento del livello di istruzione. Per quanto riguarda il sistema agricolo, la destinazione prevalente della SAU dei territori conside- rati è il bosco, seguita da prati permanenti e pascoli; le due categorie compongono il 65% del totale, co- me di norma avviene in aree con una forte connotazione di marginalità (Fig. 17). L’analisi ha evidenzia- to inoltre la quasi esclusiva presenza di aziende diretto-coltivatrici e il calo progressivo sia della super- ficie, sia del numero delle aziende, con conseguente polverizzazione fondiaria.

Figura 17. Ripartizione della SAU nei territori dei Comuni dei Monti Lepini

La zona in esame ha una lunga tradizione zootecnica, basata soprattutto sull’allevamento degli ovi- caprini. Anche qui si assiste ad un calo progressivo di capi e di allevamenti, combinato ad una crescita del numero di capi per allevamento, quindi al processo di concentrazione delle greggi comune all’inte- ra zootecnia italiana. Analizzando infine i dati relativi alle attività industriali e del terziario, sono emerse in sintesi le seguen- ti caratteristiche del sistema economico del comprensorio: • buona posizione geografica per lo sviluppo economico, sebbene non del tutto sfruttata vista la fa- cilità di collegamento con i mercati di Roma, Napoli e Latina; • forte terziarizzazione del sistema economico, con predominanza di piccole imprese a carattere fa- miliare; uno scarso peso del settore agricolo nonostante la forte tradizione agricola e pastorale; • contrazione delle attività artigianali nonostante l’esistenza di lavorazioni tradizionali (legno, ferro e pietra); • invecchiamento della forza lavoro e scarsa tendenza all’innovazione specialmente nelle strategie di marketing; • scarsa offerta di manodopera locale in parte sostituita da quella straniera con più basso livello di specializzazione; •elevate attività legate al settore immobiliare; • scarsa qualificazione professionale nei settori agricolo e terziario.

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5.3. Il sistema agricolo e pastorale dell’area della ZPS Le attività di coltivazione nella ZPS risultano difficili e costose, a causa dell’acclività dei versanti e del carattere roccioso dei rilievi, che rendono il terreno fortemente soggetto a fenomeni di erosione idri- ca, soprattutto dove vi è scarsa copertura vegetale. Infatti la natura calcarea del suolo, l’antica opera di disboscamento ed il pascolamento eccessivo hanno impoverito la copertura vegetale limitando la capa- cità del terreno di trattenere l’acqua delle precipitazioni, che solo per una piccola percentuale si infiltra nel sottosuolo, defluendo rapidamente a valle. L’area della ZPS racchiude, dunque, le quote più elevate ed i suoli più acclivi e poveri, motivo per cui oggi risultano quasi completamente scomparsi frutteti e seminativi, mentre prevalgono i boschi e i prati pascoli (vedi Carta di Uso del suolo e Tab.1). Inoltre, vaste aree risultano di proprietà pubblica e gravate da diritto di pascolatico, fungatico e legna- tico a favore delle popolazioni locali, diritti che non di rado interessano anche le aree di proprietà privata.

5.3.1. L’attività agricola Le categorie di agricoltori ancora impegnati nei paesi del comprensorio dei Monti Lepini possono essere ascritte a due differenti categorie generali: esistono ancora classi di piccoli-medi imprenditori, ri- masti in campagna per inerzia o per scelta; a cui possono aggiungersi agricoltori che hanno saputo con- sociare un’attività nell’industria o nell’edilizia o nel terziario con il mantenimento di oliveti o allevamen- ti zootecnici, da soli o con l’aiuto di familiari. Il comune denominatore di tali imprenditori è la conser- vazione di attività agricole, condotte con criteri di sostenibilità con l’agroecosistema in cui si svolgono. Nella Tabella 7 vengono riportati sia il numero di aziende agricole, sia i tipi di conduzione presenti nei Comuni del comprensorio. La quasi esclusiva presenza di aziende diretto-coltivatrici lascia intrave- dere una maglia poderale di ridotte dimensioni, come verrà poi confermato dalle successive analisi.

Conduzione diretta del coltivatore Altre forme di conduzione Con solo Con Con Conduzione Conduzione Altra Totale COMUNI manodopera manodopera manodopera Totale con salariati a colonia forma di generale familiare familiare extrafamiliare parziaria conduzione prevalente prevalente adoperata Bassiano 285 9 8 302 4 1 307 Carpineto Romano 1.005 8 3 1.016 3 1.019 Cori 1.615 123 55 1.793 48 1.841 Maenza 828 9 14 851 5 856 Montelanico 387 1 7 395 14 409 Norma 658 4 14 676 1 1 678 Roccagorga 1.654 65 7 1.726 2 1.728 Segni 690 51 7 748 2 750 Sezze 1.578 57 15 1.650 31 1.681 TOTALE 8.700 327 130 9.157 110 0 2 9.269

Tabella 7. Suddivisione delle aziende agricole del comprensorio dei Monti Lepini per forma di conduzione (Fonte: Dati ISTAT Censimento agricolo 2001)

Nei comuni in esame, il calo di aziende è stato meno rilevante di quello della Superficie Agricola Utilizzata, e di conseguenza la superficie produttiva per azienda è diminuita in otto comuni su nove. La polverizzazione fondiaria costituisce un limite alla produzione e, soprattutto nelle aree marginali, ciò ha

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sempre costituito un forte vincolo, che unito alla diminuzione della superficie agricola utile, rende anco- ra più problematica la prosecuzione dell’attività agricola nell’area in oggetto.

5.3.2. L’attività zootecnica e l’esercizio del pascolo I cambiamenti sociali ed economici hanno completamente mutato le attività legate all’allevamento. Nel corso degli ultimi tre decenni, la zootecnia ha risentito più di altri comparti del settore primario del- l’abbandono dell’agricoltura. L’abbandono ha riguardato soprattutto la pastorizia vagante, mentre han- no subito meno scosse le forme di allevamento stanziali o legate alla transumanza verticale, basate cioè su un’azienda fissa a valle per l’inverno e sui pascoli di montagna per l’estate. Analizzando i dati relativi alle presenze di bestiame, disponibili soltanto a livello di intero territorio dei Comuni e non alla sola porzione compresa nella ZPS, in confronto alla superficie disponibile per il pascolo, non emergerebbero delle condizioni preoccupanti per l’eccessiva densità di bestiame, tranne il caso di Roccagorga, ma in realtà vanno considerati alcuni aspetti, quali: • non tutti i pascoli vengono utilizzati omogeneamente, pertanto il bestiame viene spesso concentra- to su alcuni, trascurando quelli più scomodi e poveri; • il pascolo viene quasi sempre sfruttato durante l’intero anno, con eccezione per le superfici oltre i 1.000-1.100 m s.l.m. (transumanza verticale o orizzontale), quindi possono essere raggiunti dei li- velli di densità, sia pure limitati a brevi periodi, proibitivi per la cura del cotico erboso. • per la determinazione della densità di bestiame occorre una accurata indagine sulla presenza di be- stiame transumante (sia in transumanza verticale, sia orizzontale), che stabilmente o nei mesi pri- maverili-estivi frequenta i pascoli alto-collinari e montani.

Nella zootecnia razionalmente condotta, i pascoli sono sfruttati con opportune turnazioni, gli ani- mali sono curati e “governati”, nei mesi di scarsa produzione erbacea, con foraggi e mangimi. Oltre ai campi propri, si cerca di affittare con contratti annuali o pluriennali o di “vendita d’erba” altre superfi- ci. Aspetti qualificanti del corretto impiego della risorsa pascolo sono la manutenzione delle recinzioni e dei punti d’acqua. Le prime, anche se talvolta realizzate con materiali non troppo compatibili col pae- saggio, sono comunque preziose per contenere il bestiame e razionalizzare l’impiego delle superfici fo- raggiere. Le fonti e le sorgenti, la cui portata assicura la piena utilizzabilità dei pascoli, sono mantenute in efficienza ed i danni arrecati dal bestiame prontamente riparati solo se esiste una attenzione costante da parte degli allevatori. La gestione agricola, condotta con i criteri tramandati da generazioni, sia pure con le eventuali e ine- vitabili eccezioni, rientra in un’ottica ecosostenibile, nel senso che l’agroecosistema viene sfruttato ocu- latamente, evitando di danneggiare la fonte del proprio guadagno. Un motivo di deperimento dei pascoli, presente nei Lepini e segnalato anche dai Piani di Sviluppo delle Comunità montane XIIIa e XVIIIa, è legato, invece, alla presenza di un altra tipologia di allevato- ri che utilizzano i pascoli solo come forma di mantenimento a costo nullo del bestiame, lasciando i capi allevati liberi e non custoditi né foraggiati con regolarità nei mesi con scarsa produzione di pascolo. Questo tipo di gestione provoca una pressione eccessiva su alcuni pascoli, mentre altri sono sottoutiliz- zati, provocando un degrado generale dell’agroecosistema. A tali fenomeni si aggiungono altri aspetti di degrado, quali l’abigeato, il danneggiamento di recinzioni e fonti, l’incendio colposo o doloso di arbu- steti e boschi, il pascolo incontrollato in bosco anche in fase di ripresa o rinnovazione, motivo per cui ri- sulta assente o scarsa la rinnovazione. Una visione puntuale delle condizioni attuali e delle modalità di gestione dei beni pastorali previste nel prossimo futuro è possibile tramite i Piani di Assestamento forestale delle proprietà pubbliche dei co- muni dei Monti Lepini, di cui alcuni sono in fase di approvazione ed altri di stesura.

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In particolare si segnalano i seguenti fattori di degrado delle superfici pascolive incluse nella ZPS: • la permanenza nel corso dell’anno degli animali, che dovrebbe, al contrario, essere limitata a 5-7 mesi su dodici; • scarso controllo degli animali da parte degli operatori; • il carico di bestiame, esiguo in assoluto, però eccessivo per la ridotta superficie e le basse poten- zialità produttive dell’area; • mancanza di turnazioni, talché le specie pabulari non hanno modo di rinnovarsi spontaneamente.

5.4. Il sistema forestale Nella ZPS è in atto un fenomeno di espansione del bosco, che sta colonizzando i radi coltivi oggi abbandonati e i pascoli ad esso immediatamente adiacenti. La composizione e la tipologia attuale dei bo- schi risentono della situazione microclimatica diversa tra i due versanti: ad ovest è notevole l’azione mi- tigatrice del Mar Tirreno accresciuta nel periodo estivo da un forte irraggiamento, ad est, invece, le tem- perature mediamente minori favoriscono una vegetazione con specie tipiche degli ambienti più freschi. La proprietà dei boschi è per circa i due terzi in mano pubblica, il resto è di proprietà privata. Tutti i Comuni detengono un proprio patrimonio boscato: quello più ampio, in valore assoluto, appartiene a Carpineto Romano. I castagneti da frutto sono localizzati soprattutto nei Comuni di Montelanico e Carpineto Romano ma ricadono solo in piccola percentuale nella zona di interesse. Nella zona non sono risolti i problemi legati all’abbandono e all’uso irrazionale delle risorse boschi- ve, anche se l’applicazione dei Piani di Assestamento Forestale, in via di redazione in tutti i comuni del- la zona, dovrebbe però garantire la corretta gestione delle proprietà pubbliche. Di seguito si riporta una breve descrizione delle tipologie forestali presenti nell’area. • Le faggete Per circa il 40 %, il complesso della ZPS è occupato da faggete, sono governate ad alto fusto nel 70- 80% dei casi, mentre la frazione rimanente è governata a ceduo. Si tratta di ecosistemi in buono stato generale, che però presentano in alcune zone segni di proces- si di degrado in atto. Strutturalmente sono riconducibili a tipologie intermedie tra le fustaie coetanee e quelle irregolari, di età mediamente avanzata ma ancora con una buona capacità rigenerativa, con alter- nanza di aree in cui la rinnovazione è abbondante e di altre in cui essa inizia a stentare. Per queste aree sarebbe opportuno, in prospettiva, prevedere interventi finalizzati a favorire l’attecchimento e l’afferma- zione della rinnovazione naturale. I cedui di faggio sono localizzati soprattutto a ridosso di piste e strade, zone in cui si è maggiormen- te concentrata in passato l’attività di utilizzazione. • Gli ostrieti Le formazioni dominate dal carpino nero coprono attualmente il 16% dell’area, con un incremento di presenza negli ultimi 50 anni che ha permesso una conquista di circa il 10% in più all’interno della ZPS. Grazie alla loro capacità di colonizzare i terreni nudi, nonché di affermarsi in boschi parzialmente degradati - vista la spiccata capacità pollonifera, di affrancazione ed il rapido accrescimento -, hanno ac- quisito nuovi spazi e rilevanza forestale, in particolare nelle stazioni con una matrice calcarea e con con- dizioni climatiche favorite dalla presenza di venti caldo umidi. • I castagneti Le tipologie di boschi che ricoprono la fascia altimetrica inferiore sono differenziate con castagne- ti e altre formazioni miste con querce (cerro e roverella). Il castagneto è comunque poco diffuso nell’area. Nella zona lepina le condizioni più vicine a quelle ottimali si riscontrano solo nel settore settentrio- nale (nel comune di Cori), mentre altrove la presenza dei castagneti si rinviene su stazioni di origine cal- carea. Le problematiche che investono i castagneti da frutto riguardano soprattutto la gestione di questi

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ecosistemi in termini di esecuzione delle cure colturali con tecniche e maestranze professionalmente pre- parate. Deve altresì citarsi il problema fitopatologico legato al mal dell’inchiostro, in cui, accanto alla nota Phytophthora cambivora, agisce la Phytophthora cinnamovi, polifaga e più dannosa della prima. Vista l’importanza della coltura in generale in tutta la zona dei Lepini, nonché gli ancora incerti mecca- nismi di diffusione, sarebbe auspicabile l’attivazione di una rete di monitoraggio continuo per averne sotto controllo la dinamica e l’evoluzione. • I querceti Altra tipologia forestale frequente nel territorio è rappresentata dai cedui misti a prevalenza di quer- cia, che trovano ubicazione nelle aree delle latifoglie montane eliofile, le cui specie ricorrenti sono la ro- verella e il cerro, al cui fianco si inseriscono l’orniello, l’acero campestre, il carpino ed il castagno. Le più diffuse sono le querce, pure e miste, governate a ceduo e, in misura molto marginale, a fustaia. Purtroppo la discontinuità nel tempo degli interventi e l’eccessiva matricinatura hanno portato alla formazione di soprassuoli di età avanzata con individui deperienti o sofferenti per stress idrici, nonché a una attenuazione della capacità pollonifera delle ceppaie stesse, ciò che ha favorito l’affermazione del car- pino. Gli interventi selvicolturali da attuare nel futuro hanno finalità di recupero del soprassuolo, ringio- vanendo e riequilibrando la struttura attuale, anche in considerazione del fatto che tali matricine, con l’ec- cessivo invecchiamento dei boschi, avranno sempre minori possibilità di produrre ceppaie vitali e attive. Citazione a parte meritano le leccete che, nel caso specifico, raggiungono quote elevate arrivando ad interferire con il faggio. Sono popolamenti governati a ceduo, in passato sottoposti a intense utilizza- zioni per la produzione della legna da ardere. In numerose stazioni gli ultimi interventi risalgono agli an- ni Sessanta: per questo oggi si è dinanzi a strutture invecchiate, dense, chiuse e monostratificate, con un sottobosco in pratica assente oppure presente nelle zone di margine. • I rimboschimenti I rimboschimenti, eseguiti intorno agli anni Cinquanta, sono ecosistemi a rischio, in dopo essere sta- ti avviati sono stati totalmente abbandonati, soprattutto negli ultimi trenta anni. Le necessità attuali con- sistono in interventi di manutenzione con diradamenti e spalcature. • Il settore della trasformazione del legno La principale destinazione del legname proveniente dai soprassuoli di cerro, leccio, carpino e, in mi- sura minore, castagno e faggio, è quello della legna da ardere. Ma anche l’utilizzazione di tali boschi non permette l’approvvigionamento di grossi quantitativi di legna da ardere. Anzi, spesso, data la morfolo- gia piuttosto accidentata dei versanti montani e lo stato di abbandono in cui versano questi soprassuoli, l’esbosco della legna risulta molto oneroso.

5.5. Gli incendi boschivi Uno dei fattori di minaccia per il complesso dei Lepini è rappresentato dagli incendi boschivi. Tuttavia questo fattore di impatto non ha rilevanza uniforme su tutto il complesso montuoso. Le aree a maggiore rischio risultano quelle del settore centro-meridionale, soprattutto nei Comuni di Sezze, Roccagorga, Maenza, nelle quote medie-basse, interessate dalla presenza di arbusteti, leccete ed altre formazioni forestali termofile. La fascia montana, occupata essenzialmente da boschi di faggio, non sembra sostanzialmente soggetta a tale impatto. Gli incendi sono soprattutto di origine dolosa e in alcune aree zone sono caratterizzati dalla ripeti- tività di questi episodi che di fatto compromettono ogni possibilità di recupero della vegetazione. A ta- le riguardo la XIII Comunità Montana, ha redatto un Piano Antincendio a cui si aggiungono quelli pre- visti da numerosi Comuni, tra cui Roccagorga, Carpineto Romano e Segni, che si sono dotati di mezzi antincendio ed hanno organizzato delle apposite squadre di volontari.

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5.6. L’attività venatoria La ZPS Monti Lepini è quasi del tutto ricadente nel territorio di due Oasi: l’Oasi 3 Provincia di Roma Carpineto Montelanico e l’Oasi Monti Lepini della Provincia di Latina. A nord-ovest ricade una piccola porzione dell’Azienda Faunistico-Venatoria AFV5 Cora; a sud est, l’AFV Maenzina e vicino al- le AFV vi sono piccoli lembi di ATC (ATC-LT1 e ATC-RM2).

5.7. Pianificazione Paesistica Regionale Il territorio della ZPS “Monti Lepini Centrali” è assoggettato alla normativa prevista dai Piani Territoriali Paesistici (PTP) n°8 - Subiaco, Fiuggi e e n°10 - Provincia di Latina. Ai sensi dei due PTP il territorio vincolato risulta essere sottoposto: • alle normativa di tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico; • alla normativa relativa ai beni e alle aree interni ai perimetri dei piani paesistici. Come riportato nella Figura 12 , la ZPS “Monti Lepini Centrali” risulta essere interessata dai seguenti tipi di tutela: - territori coperti da boschi e foreste o sottoposti a vincoli di rimboschimento: è la categoria più diffu- sa: interessa infatti circa il 71,73 % del territorio della ZPS, per un’estensione pari a circa 5367 ha; - fiumi, torrenti e corsi d’acqua iscritti negli elenchi di cui al T.U. approvato con R.D. 1775/37, ai sensi di quanto previsto dall’art.1, punto C della L.431/85 (interessa il corso d’acqua della Valle Carella, nell’ambito del PTP n°10); - zone di interesse archeologico: comune di Carpineto: aree in località Aia della Forca e Casal Vacino, settore centrale della ZPS, per un’estensione pari allo 0,3% della ZPS; - aree sottoposte a vincolo di inedificabilità temporanea: corrispondono a buona parte del territorio comunale di Carpineto Romano, includendo interamente il SIC “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”, per un’estensione di 2586 ha pari a circa il 34% della ZPS.

Figura 18. Quadro dei vincoli ricadenti all’interno della ZPS Monti Lepini centrali così come indicato dalle cartografie di Piano Territoriale Paesistico

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Il PTP ambito territoriale n°10 classifica i beni e le aree interni ai perimetri dei piani paesistici se- condo le categorie di tutela A, B, C e D (vedi artt.18 e ss. NTA PTP n°10), rispettivamente relative a:

A - Tutela dei beni integri B - Tutela delle aree in fase di degrado o degradate, in parte recuperabili C - Controllo dell’immagine complessiva in aree con insediamenti esistenti D - Zone e fasce di rispetto.

5.8. Pianificazione provinciale Per la Provincia di Roma, lo Schema di Piano Territoriale Provinciale Generale (PTPG) è stato adot- tato con deliberazione del Consiglio Provinciale n. 214 del 25.03.2003. Nel Quadro pianificatorio del PTPG il territorio provinciale viene classificato secondo classi di sensibilità. Il territorio della ZPS risulta essere articolato in: aree a sensibilità molto alta (“B”), nelle porzioni relative ai comuni di Segni, Montelanico e Carpineto Romano (solo parte); aree a sensibilità alta (“C”) , in una parte del territorio di Carpineto Romano (fascia di mezzacosta intorno ai monti Semprevisa e La Croce); aree a sensibilità debole (“E”), in una parte del territorio di Carpineto Romano (vallecole seconda- rie in riva destra del Fosso della Valle, tributario del Canale Mussolini). Di conseguenza il grado di trasformazione ammissibile del territorio, nelle aree a sensibilità molto alta sono indicati come ammissibili solo interventi di conservazione attiva; nelle aree a sensibilità alta sono consentiti interventi di recupero, valorizzazione e adeguamento dell’esistente con impatti trascura- bili, mentre nelle aree a sensibilità debole sono ammessi anche interventi di trasformazione selezionati tra più alternative; è comunque richiesta la minimizzazione degli impatti attraverso la definizione di spe- cifiche indicazioni e prescrizioni. In particolare il PTPG persegue l’obiettivo prioritario di tutelare gli ambienti naturali e le comuni- tà biologiche tenendo conto delle dinamiche della fauna e della sua possibilità di connettersi con il ter- ritorio circostante. Per la Provincia di Latina l’Ufficio di Piano ha redatto il “Documento Preliminare di indirizzi al Piano Territoriale Provinciale Generale (PTPG)” ex art.20 bis L.R. n° 38/99, approvato dal Consiglio Provinciale con atto n° 52 del 18 luglio 2003. Tale Documento delinea obiettivi, strategie e metodi che il PTPG intende perseguire e attuare in ri- ferimento ai Sistemi Ambientale, Insediativo e Relazionale riferiti al territorio provinciale. Sulla base di analisi specifiche il Documento Preliminare al PTPG fornisce, infatti, i primi indiriz- zi ed obiettivi per lo sviluppo sostenibile del territorio, senza per altro dimenticare le risorse ambientali e i processi di sviluppo tendenziale, residenziale ed infrastrutturale.

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5.9. Pianificazione urbanistica di livello comunale Tutti i comuni risultano essere dotati di uno strumento urbanistico di livello comunale (vedi Tab.8). A tale livello disciplinare si sovrappone l’apparato normativo di tutela del sistema storico-paesistico dei due PTP n°8 - Subiaco, Fiuggi e Colleferro e n°10 - Provincia di Latina, oggetto di esame specifico in un paragrafo successivo.

Tabella 8. Quadro della pianificazione urbanistica (livello comunale) e paesistica

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IL PIANO

6. GLI OBIETTIVI E LA STRATEGIA DEL PIANO

• Obiettivo generale del Piano è quello di mantenere in uno stato di conservazione soddisfacente gli ha- bitat e le specie della Direttive Uccelli (79/409) e Habitat (92/43), con priorità per quelli degli allegati I e II. Il raggiungimento di tale impegnativo obiettivo rende necessario in particolare conciliare le attività umane che influiscono direttamente o indirettamente sullo status degli habitat e delle specie presenti, con la loro conservazione. Proprio in questa ottica, il Piano di gestione delinea strategie e propone interventi volti ad attenua- re o a eliminare i contrasti presenti e cerca di rendere compatibili le esigenze delle popolazioni locali e la tutela della biodiversità vegetale ed animale. Come richiamato nelle premesse dell’analisi i Piani di gestione dei Siti “Natura 2000” costituisco- no strumenti gestionali specifici derivati direttamente dalle direttive comunitarie Habitat ed Uccelli e fi- nalizzati specificatamente alla tutela degli habitat e delle specie individuate nelle Direttive stesse. Sulla base della rappresentatività delle specie e degli habitat nel sito e dei fattori di minaccia preli- minarmente individuati, sono stati definiti una serie di obiettivi specifici prioritari, quali:

A. conservazione del sistema delle piccole raccolte d’acqua artificiali, delle risorgive e dei corsi d’acqua minori come siti riproduttivi dell’erpetofauna d’interesse;

B.conservazione delle specie cavernicole, delle cavità carsiche e degli ambienti ipogei;

C. gestione e conservazione e delle faggete con Taxus e Ilex e delle faune associate;

D. gestione e conservazione delle foreste di leccio e delle faune associate

E. conservazione delle praterie, degli arbusteti e delle faune associate

F. conservazione dell’avifauna rupicola

G. conservazione del Lupo.

Sono questi i “temi forti nei confronti dei quali il presente Piano di Gestione rivolge una particolare at- tenzione.

La strategia del Piano ovvero la definizione delle linee guida da seguire per la migliore gestione de- gli habitat e delle specie di interesse comunitario e la selezione di alcune aree o siti di intervento nei qua- li concentrare alcune azioni di gestione. La strategia del piano di gestione della ZPS Monti Lepini Centrali e del SIC incluso “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta” si realizza attraverso un serie di “azioni” riportate in forma sintetica nella tabella 9.

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Tabella 9. Strategia del Piano: linea guida

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7. PROPOSTA DI REGOLAMENTAZIONE Tra le azioni proposte, insieme agli interventi di conservazione specifici, agli studi ed ai monitorag- gi, sono state individuate delle misure di regolamentazione delle attività antropiche svolte nei due siti.

• Gestione selvicolturale - Gli alberi secolari grandi e cavitati devono essere affidati al loro naturale ciclo di invecchiamen- to, fino all’eventuale abbattimento per cause naturali e/o alla successiva degradazione saproxilica della componente lignea in sede; la loro presenza va segnalata all’interno del registro particellare dei vari piani di assestamento e gestione forestale. - Nei piani di assestamento e gestione forestale va previsto il mantenimento di una percentuale si- gnificativa (non inferiore al 10%) degli alberi di media età e attualmente sani e non cavitati, che possano gradualmente sostituire, come biosedi idonee di sviluppo, gli alberi secolari a mano a ma- no abbattuti e degradati da eventi naturali. - Gli alberi abbattuti per cause naturali vanno mantenuti in loco a meno di prescrizioni particolari dovute alle norme antincendio, a motivi di ordine fitosanitario, o qualora ciò pregiudichi la sicu- rezza sulle strade o sui sentieri. - Lo svolgimento delle attività selvicolturali consentite deve essere previsto in modo da consentire la salva- guardia del sottobosco arbustivo ed erbaceo durante le operazioni di taglio, concentramento ed esbosco. - Va esclusa l’apertura di nuove strade di servizio, fatti i salvi i casi di esigenza imprescindibile, ade- guatamente documentati; in tali casi, le strade di servizio dovranno essere chiuse e ripristinate al termine delle operazioni in funzione delle quali esse siano state realizzate.

• Habitat delle faggete con Taxus e Ilex - Nelle more dell’approvazione dei vari Piani di Assestamento e Gestione Forestale che recepiscano lo schema riportato ai punti seguenti 1) e 2) è interdetta qualsiasi attività selvicolturale all’interno delle Faggete con Taxus ed Ilex, fatti salvi i diritti di uso civico di legnatico, ed i boschi di proprietà privata. - È permesso il transito del bestiame verso i pascoli di alta quota.

faggete con potenzialità di rinnovazione del tasso e dell’agrifoglio - i suddetti boschi avranno solo finalità di conservazione della biodiversità e del germoplasma ve- getazionale dagli organi competenti a norma dell’art.26 della L.R. 39/02 e dovranno essere inseri- ti all’interno dei piani appositamente adottati. - è interdetta qualsiasi azione di disturbo dovuta ad attività selvicolturali e pastorali.

faggete con scarsa o nessuna potenzialità di rinnovazione del tasso e dell’agrifoglio: - sono possibili operazioni selvicolturali che facilitino l’avviamento all’alto fusto; anche in questi boschi è vietato il pascolo brado per l’intero corso dell’anno. - È necessario prevedere una adeguata sorveglianza nel periodo della fruttificazione dell’Agrifoglio, onde evitarne la raccolta a scopi ornamentali secondo quanto disposto dalla L.R.. 61/1974.

• Habitat delle foreste di Leccio Si distinguono due situazioni possibili: 1. leccete in stazioni povere e/o in situazioni di forte pendenza o di scarsa disponibilità di substrato - Questi boschi andranno lasciati ad un’evoluzione naturale con sospensione degli interventi selvicoltura- li principali ed intercalari, a meno di interventi mirati di prevenzione di incendi o di difesa fitosanitaria. - È interdetto il pascolo.

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2. leccete in stazioni fertili a bassa e media pendenza - Questi boschi andranno avviati all’alto fusto, con invecchiamento naturale del soprassuolo fino al- l’esecuzione degli eventuali tagli di conversione. Sono possibili interventi selvicolturali che acce- lerino l’avviamento a fustaia, nel rispetto dei principi della selvicoltura naturalistica. - È permesso il pascolo, purché gestito e controllato, limitatamente ad alcuni periodi dell’anno, se- gnatamente dalla fine della primavera e l’estate.

• Attività pastorali: a. le superfici pascolive dovranno essere suddivise in parcelle, anche mediante messa in opera di re- cinzioni in paletti di castagno e filo spinato, sufficienti a contenere gli animali, senza creare osta- coli per la fauna selvatica; b. gli animali dovranno essere immessi nelle parcelle così ottenute secondo turni adeguati, in modo da ottenere un consumo meno selettivo delle specie pabulari e nel contempo per permetterne il ricaccio; c. il periodo di utilizzo complessivo dei pascoli non deve superare i 150 giorni su 365 dell’anno; d. la densità di bestiame sostenibile nelle diverse zone dovrà essere determinata nell’ambito di puntua- li e dettagliati Piani di utilizzo dei pascoli, da redigere per ogni Comune dell’area, sulla base di stime della produttività dei pascoli e del carico di bestiame mantenibile senza eccedere le potenzialità di sviluppo del cotico pabulare; in assenza di tali Piani, la densità di bestiame non dovrà superare la so- glia di 0,4 UBA/ha di superficie foraggera nei pascoli cacuminali e 0,6 UBA/ha negli altri pascoli.

• Corsi d’acqua, risorse idriche e manufatti di accumulo e approvvigionamento idrico - Sono vietate le attività e le opere capaci di ridurre la disponibilità di acqua superficiale o di modi- ficare le dinamiche dei deflussi idrici, ad eccezione delle opere pubbliche di somma urgenza e de- gli interventi necessari al ripristino e riequilibrio di funzionalità ecologiche. - Gli interventi di manutenzione idraulica ordinaria e straordinaria, non possono comportare altera- zioni permanenti dello stato dei luoghi o dell’assetto idrogeologico del territorio. Tali interventi non dovranno interessare entrambe le sponde di un alveo nello stesso anno, non potranno comportare modifiche dell’assetto della vegetazione ripariale. - Le zone umide, anche a carattere temporaneo, e i manufatti di accumulo e approvvigionamento idrico (abbeveratoi, cisterne, pozzi in pietra, fontanili, ecc.), sono soggetti a tutela e manutenzione a fini naturalistici, secondo le seguenti prescrizioni: 1. è vietato il lavaggio di stoviglie, biancheria ed automezzi; 2. è vietata l’immissione di rifiuti e sostanze inquinanti di qualsiasi natura ed origine; 3. è vietata la pulizia del fontanile con sostanze chimiche; 4. la pulizia dei pozzi e dei fontanili deve essere realizzata in autunno; sono da evitare i mesi prima- verili e di inizio estate che corrispondono alla stagione riproduttiva delle popolazioni di anfibi; 5. la pulizia deve essere eseguita a mano rimuovendo parte del materiale depositato per evitare l’in- terramento, avendo cura di lasciarne una parte e di non asportare la vegetazione per salvaguarda- re le caratteristiche indispensabili per l’insediamento della comunità acquatica; 6. i fontanili e i pozzi non devono essere mai interamente svuotati; 7. tutte le specie animali incidentalmente catturate durante le operazioni di pulizia devono essere reimmesse nel fontanile o pozzo; 8. è vietata l’immissione di specie esotiche e/o comunque alloctone; 9. è vietata l’immissione di pesci anche autoctoni; 10. sono vietati la cattura o il prelievo di individui o uova di qualunque specie zoologica a qualunque stadio di sviluppo, come anche previsto dalla L.R. 18/88 sulla salvaguardia della fauna minore;

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11. è promossa la realizzazione di programmi di eradicazione di specie non autoctone eventualmen- te presenti.

• Cavità ipogee - Entro una fascia di rispetto di almeno 10 ml di raggio dalle cavità ipogee del raggio sono vietate le lavorazioni agricole, le opere di trasformazione del territorio di qualsiasi natura ed i tagli di ve- getazione, fatta eccezione dei casi di opere pubbliche di somma urgenza, comunque soggette a va- lutazione d’incidenza e fatti salvi eventuali controlli della vegetazione infestante a fini di tutela dell’equilibrio biotico delle cavità. - Le cavità ipogee sono soggette a tutela e manutenzione a fini naturalistici, secondo le seguenti prescrizioni: a. è vietata l’immissione di inerti, liquami, rifiuti e sostanze inquinanti di qualsiasi natura ed origine; b. sono vietati la cattura o il prelievo di individui o uova di qualunque specie zoologica a qualunque sta- dio di sviluppo; da tale divieto sono esclusi i ricercatori muniti di specifica autorizzazione, rilasciata unicamente per fini di studio e ricerca scientifica, che individui specie e quantitativi asportabili; - L’attività speleologica è consentita, per l’esplorazione e la ricerca scientifica, su autorizzazione ri- lasciata dall’Ente gestore e con le modalità stabilite in apposito disciplinare definito in collabora- zione con i circoli speleologici locali; tale disciplinare stabilirà il carico massimo annuale di visi- tatori consentito nelle diverse grotte. - Onde evitare gli effetti dell’eccessivo calpestio e disturbo, l’accessibilità alle grotte è consentita da un unico percorso, anche tramite l’eventuale posa in opera di adeguati cancelli, recinzioni e se- gnalazioni da concordare con i circoli speleologici locali. - È vietato l’accesso alle grotte nel periodo della nascita dei piccoli dei Chirotteri (maggio e luglio-agosto). - Nel corso di eventuali visite si devono ridurre i tempi di permanenza durante i mesi più freddi (dicem- bre - febbraio) e fatto, inoltre, divieto di sostare sotto le colonie e di accesso con lampade al carburo.

• Gestione faunistica: - È fatto divieto di introduzione di specie esotiche e/o comunque alloctone, con particolare riferi- mento a visone americano (Mustela vison), nutria (Myocastor coypus), testuggine a guance rosse (Trachemys scripta) e rana toro (Rana catesbeiana). - È fatto divieto di introduzione di pesci ossei negli ambienti umidi privi di fauna ittica e in acque che ospitano una fauna autoctona di Anfibi. - Va garantita l’applicazione attenta e rigorosa delle normative sulla raccolta di esemplari a scopo commerciale, amatoriale e scientifico (applicazione delle norme contenute nella Legge Regionale n. 18 del 5 aprile 1988), anche tramite specifici programmi di sorveglianza e monitoraggio del ter- ritorio, che saranno particolarmente frequenti nei periodi di massima criticità (nella tarda prima- vera, all’inizio della stagione estiva e tra la fine dell’estate e l’inizio del periodo autunnale). - È vietato effettuare ripopolamenti o immissioni a scopo venatorio di Lepus europeaus, di qualsia- si provenienza.

• Attività di arrampicata e altre attività sportive in ambiente rupicolo - È vietato l’utilizzo delle pareti o scarpate rocciose presenti nella ZPS e nel comprensorio dei Monti Lepini per il lancio con deltaplani o veicoli simili. - È vietata nell’ambito della ZPS e nell’intero comprensorio dei Lepini l’attività di arrampicata spor- tiva o di qualunque altro genere, di palestra di roccia e similari. È fatta eccezione per alcune aree e con tempi e modalità specificate e comunque dopo rilascio di autorizzazione da parte delle auto- rità competenti (Comuni/Comunità Montane), che si avvarranno della consulenza di ornitologi

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esperti locali per la definizione delle aree non sensibili. - Nelle aree individuate per l’attività di arrampicata questa è consentita dal 1 Agosto al 15 Gennaio ed esclusivamente in orari diurni. - Durante le attività di arrampicata è fatto obbligo di adottare un comportamento eticamente accet- tabile nei confronti della natura, evitando rumorosità e disturbi. - È fatto inoltre divieto assoluto di: a. scrivere, segnalare sulle pareti di roccia ovvero segnalare le piste, nonché danneggiare o alterare l’habitat e lo stato dei luoghi; b. lasciare rifiuti, corde, catene, placche o altri supporti, metallici e non, che siano visibili in parete, ad eccezione dei chiodi strettamente necessari alla pista.

8. PROPOSTA DI ADEGUAMENTO DEL PERIMETRO DEI SITI I risultati ottenuti nell’ambito della redazione del Piano di Gestione portano a ritenere che alcune zone esterne al SIC ed alla ZPS siano di elevata funzionalità ed interesse, quanto le aree interne ai siti. In particolate quelle periferiche della ZPS sembrano essere particolarmente significative per la presen- za di invertebrati legati alle quote più basse. Analoga la situazione per l’avifauna, per la quale si propo- ne di estendere il territorio della ZPS facendo riferimento sia ai dati raccolti nella presente indagine che al comprensorio individuato come IBA (Important Birds Areas in Europe) da BirdLife International (Gariboldi et al., 2000; Heat & Evans, 2000). È bene sottolineare a tale riguardo che l’inventario delle IBA di BirdLife Intenational è stato riconosciuto dalla Corte di Giustizia Europea (sentenza C-3 del 19 maggio 1998) come strumento scientifico per l’identificazione dei siti da tutelare come ZPS. Infine, per quanto riguarda la conservazione del Lupo, si propone di estendere il territorio del SIC al versante orientale dei Monti Lepini.

9. BIBLIOGRAFIA - Amori G., L. Corsetti e C. Esposito, 2002. Mammiferi dei Monti Lepini. Quad. Cons. Natura n.11, Ministero dell’Ambiente - Istituto Nazionale Fauna Selvatica. - Boano A., Brunelli M., Bulgarini F., Montemaggiori A., Sarrocco S. Visentin M., 1995. Atlante de- gli uccelli nidificanti nel Lazio. Alula II: 1-224. - Bologna M.A., Capula M., Carpaneto G. M. (a cura di), 2000. Anfibi e Rettili del Lazio. Fratelli Palombi Editori, Roma, 160 pp. - Bulgarini, F., Calvario E., Fraticelli F., Petretti F., Sarrocco S. (a cura di), 1998. Libro rosso degli animali d’Italia - Vertebrati. WWF Italia, Roma, 210 pp. - Conti F., Manzi A., Pedrotti F., 1997. Liste rosse regionali delle piante d’Italia. Dipartimento di Botanica ed Ecologia, Università di Camerino,Camerino. - Corsetti L. 1989. Atlante ornitologico dei Monti Lepini. Consorzio biblioteche dei Monti Lepini. - Corsetti L., 1994. Anfibi e Rettili dei Monti Lepini. Quaderni del Museo di Storia Naturale di Patrica, n. 5, Comune di Patrica, 190 pp. - Felici A. 1978 -“Il carsismo dei Monti Lepini (Lazio). Il territorio di Carpineto Romano”. Not. Circolo Speleol. Rom., anni XXI-XXII, 2-1-2, 3-230. - Gariboldi A., Rizzi V. e F. Casale, 2000. Aree importanti per l’avifauna in Italia. LIPU. pp.528 - Heath M.F. and M.L. Evans (eds.), 2000. Important Bird Areas in Europe: Priority sites for conser- vation. 2 vols. Cambridge, UK: BirdLife Internationale (BirdLife Conservation Series No.8). - Latella L. 1995. La fauna cavernicola dei Monti Lepini. Notiziario del Circolo Speleologico Romano, 6-7 (1991-1992): 77-119. - Marini F., Notarmuzi M.C., 1997. Life Natura 1997. Pian della Faggeta: azioni urgenti di tutela. Progetto n. B4-3200/97/270. Rapporto finale. Provincia di Roma.

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