“ L'illusionista ”
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[ VISIONI 125 ] Proiezione al cineclub Detour Via Urbana 107 (Roma) 8 novembre 2016 Blog. http://forumcinema.blog.tiscali.it/ m@il [email protected] “ L’Illusionista ” Si spengono le luci … T itolo originale: The Illusionist Regia: Sylvain Chomet Sceneggiatura: Jacques Tati, Sylvain Chomet Montaggio: Sylvain Chomet Musiche: Sylvain Chomet Origine: Francia Anno: 2010 Durata: 80 minuti 1 Soggetto L’illusionista mette in scena la fine di un’epoca, la resa inevitabile di una generazione di artisti, schiacciati da nuove star, nuovi gusti, altri ritmi. La fama di un illusionista viene oscurata dalle rock star emergenti della zona. Costretto ad accettare di esibirsi in situazioni precarie come piccoli teatri, feste in giardino e nightclub, l’insoddisfatto illusionista incontra un fan che cambierà la sua vita per sempre… La storia, che inizia nella Francia del 1959, illustra la dura carriera artistica di un anziano illusionista francese che non riesce mai a raggiungere il successo. I suoi spettacoli non quale, credendolo un vero mago, decide di seguirlo fino sono in grado di meravigliare il pubblico sempre più a Edimburgo. Trasferitisi nella metropoli l'uomo esigente delle grandi metropoli. L'unico vero cercherà in tutti i modi di continuare a farla credere riconoscimento gli viene dato dagli spettatori di un nella sua magia, trovandosi però a fare grossi sacrifici pub in un piccolo villaggio delle Highlands scozzesi. e davanti a situazioni imbarazzanti. Intanto la ragazza Qui i numeri di magia catturano l'animo di una cresce e il mondo intorno a loro inesorabilmente giovanissima ragazza che viveva e lavorava nel pub, la cambia. The Illusionist è un grandioso saggio sull'arte e, al tempo stesso, sulla fine di un'epoca. La figura dell'illusionista è ormai marginale. C'è un momento in cui il protagonista si deve esibire sul palco dopo un celebrato gruppo rock dove il leader si scatena buttandosi per terra. Lui cerca di entrare più volte in scena ma è costretto a ritardare il suo ingresso perché il pubblico chiede il bis. Appare quasi la reincarnazione di Calvero di Luci della ribalta e si porta dietro anche quella coerenza nei movimenti del corpo, nel rapporto contrastato con gli oggetti, nell'utilizzo di brandelli di frasi proprio del cinema di Tati. C'è poi dentro anche la storia melodrammatica, straordinaria e straziante, tra il protagonista e Alice. Un gioco magico, ipnotico e funereo simile a quello tra Benigni e il figlio nel campo di concentramento di La vita è bella, in cui la realtà, ben visibile, viene continuamente mascherata. Anche davanti l'esibizione nella vetrina di un negozio, in cui l'illusionista è costretto a lavorare. Ad un certo punto Tati diventa in carne ed ossa quando il protagonista, per non farsi vedere da Alice, si nasconde dietro a un carrello di vestiti ed entra in un cinema dove proiettano Mon oncle. Lì forse prende forma in pieno questo progetto mai realizzato e quindi, questo film 'perduto', ambientato nel 1959 in cui Chomet sembra idealmente proseguire e terminare questo suo lavoro. Con un rispetto e una grazia assoluti. Con una nostalgia incontrollabile di un'opera immensa ed estremamente triste. 2 Commento Un atteso ritorno. Sylvain Chomet, oramai tra i Alice, mette in scena la fine di un’epoca, la resa nomi di punta dell’animazione europea, può vantare inevitabile di una generazione di artisti, schiacciati una filmografia di assoluto spessore, nonostante dalle nuove star, dai nuovi gusti, da altri ritmi. E l’esiguo numero di opere. Poche ma davvero ottime: il l’ambientazione scozzese, soprattutto nella splendida cortometraggio La vielle dame et les pigeons Edimburgo, risulta fondamentale. (1998), con cui conquistò una nomination all’Oscar, il Si respira magia nel lungometraggio di Chomet, lungometraggio d’esordio Appuntamento a nonostante l’allampanato Tatischeff sia solo un Belleville (2003), che gli valse la notorietà professionista dell’illusionismo: ma il coniglio nel internazionale e la seconda nomination, e l’episodio cilindro, le monetine che spariscono e i fazzoletti che Tour Eiffel del film collettivo Paris, Je t’aime nascondono inattesi regali hanno ancora la forza di (2006). E adesso, a sette anni dal primo, arriva il affascinare il cuore puro di Alice e gli occhi degli secondo, sospirato e prezioso lungometraggio: spettatori. Senza bisogno di parole, senza ricorrere a L’illusionista, coproduzione anglo-francese, inutili drammatizzazioni, Chomet riesce a descrivere conferma l’abilità e, soprattutto, la sensibilità di un autore che sembra quasi fuori dal tempo, come i suoi personaggi. Nel cinema di Sylvain Chomet, poetico e malinconico, possiamo scorgere con estrema facilità la profondità dello sguardo, l’ispirazione autoriale, la conoscenza del cinema del passato, la chiara volontà di realizzare seguendo la propria ispirazione e non le regole del mercato [1]. Ed ecco che un amore (paterno) che non conosce resa, anche di appare più che naturale l’incontro con Jacques Tati fronte all’impossibilità, al fallimento, all’evidente (Jour de fête, Mon oncle, Play Time…), mostro chimera. Tatischeff, come il clown triste o il buffo sacro del cinema francese: L’illusionista, tratto da ventriloquo, sta tramontando, sta svanendo tra le luci un progetto non realizzato dell’artista transalpino [2], soffuse di Edimburgo: i colori autunnali, splendidi, è prima di tutto un riuscito e commovente omaggio a della città scozzese accompagnano dolcemente i Tati e al suo cinema. E risulta fondamentale, in questo malandati artisti verso il loro destino. senso, lo stile utilizzato da Chomet, da sempre legato L’illusionista, che regala numerose trovate comiche, all’animazione imperfetta e stilizzata della Disney degli è una storia sorprendente malinconica. Si ride del anni sessanta [3]: per riportare sullo schermo paradossale incidente in macchina tra le strade deserte Jacques Tati, maschera inimitabile, qualsiasi scelta della Scozia, del geniale tormentone dell’aggressivo live action si sarebbe rivelata probabilmente coniglio, delle mancate entrate in scena di Tatischeff, fallimentare. Per non parlare della computer grafica, oscurato dal gruppo rock The Britoons, dello ma questa è un’altra storia [4]. scozzese sempre ubriaco, delle disavventure nel L’illusionista, raccontando del rapporto tra garage, dei gemelli saltimbanchi e via discorrendo. Si l’anziano illusionista Tatischeff [5] e la giovane ride, ma si è già capito. E allora si ride con gli occhi 3 lucidi, in attesa di un giovanotto baldanzoso e di una NOTE 1. Il mercato, appunto. Note dolenti. Si attende, ansiosi eppur collina dei conigli. fiduciosi, una degna distribuzione nel Bel Paese: il successo, E delle luci che si spengono. Luci della ribalta. anche se non proprio freschissimo, di Appuntamento a Belleville dovrebbe/potrebbe essere decisivo. Lo stile registico di Chomet, elegante, trattenuto, con 2. La sceneggiatura originale di Jacques Tati, scritta tra il misurati movimenti di macchina e piani sequenza che 1956 e il 1959, era conservata, in attesa di realizzazione, dal seguono il ritmo compassato del protagonista, il suo CNC (Centre National de la Cinématographie) sotto la definizione di Film Tati N° 4. character design caricaturale, volutamente impreciso, 3. Gli Aristogatti e, soprattutto, La carica dei 101 sono due dei i colori caldi, la colonna sonora mai invadente, la punti di riferimento dell’animatore e cineasta di Maisons- Laffitte. vivace comicità e l’attenzione ai personaggi secondari, 4. La proliferazione dell’animazione in computer grafica, ben caratterizzati già a livello grafico, si rivelano rafforzata dal sovrastimato 3D, sta creando non pochi problemi all’animazione tradizionale: tra i tanti, quello non perfetti per riportare sullo schermo Jacques Tati. secondario di trovare manodopera specializzata. Bob Last, “I maghi non esistono”. E noi aspettiamo, con ansia, la produttore della pellicola di Chomet, confida in un rilancio del 2D grazie al successo internazionale de La principessa e il prossima illusione, nonostante il tempo che passa e le ranocchio (“The time is right for worldwide audience to tante produzioni commerciali che affollano il grande rediscover the classic pleasures of 2D animation”). La Casa del Topo, nel bene e nel male, è sempre un punto di schermo. Chiassose e fastidiose come i Britoons. riferimento. 5. Tatischeff è il vero cognome di Jacques Tati. Come possa un cartone animato, peraltro praticamente privo di dialoghi, riuscire a scavare in modo così profondo nell’animo di chi guarda, risvegliando sentimenti e sensazioni spesso sopite, resta un mistero a meno che quello stesso cartone non porti la firma di un maestro del genere. L’illusionista è una vera opera d’arte, un cammeo in cui si fondono sentimenti di affetto, solidarietà, comprensione verso il prossimo. Sentimenti che accompagnano, senza mai infastidire con risvolti oleografici e scontati, lo spettatore verso una conclusione tanto scontata quanto sorprendente. Meraviglia, in tutto il percorso narrativo, la delicatezza quasi eterea del rapporto tra il vecchio e la ragazza, attraverso il contrasto di due mondi separati non solo dagli anni ma anche e soprattutto dal modo di guardare la vita. Il mondo immaginario della ragazza, che immagina e crede che le illusioni prodotte dal prestigiatore siano realtà e che il magico rappresenti solamente un altro riflesso della vita, si scontra con la disillusione del vecchio artista, che si vede sempre più emarginato ma, nonostante tutto, combatte contro la cattiveria delle persone pur di regalare a quella ragazza qualche