LA GRANDE GUERRA NELL’ALTO GARDA E LEDRO Marco Ischia 1

1914: l’inizio del conflitto

Nell’Alto Garda la notizia dell’assassinio di Sarajevo e successivamente della guerra, arrivarono, come nel resto dell’Impero, in una clima di tragica ineluttabilità. Due giorni dopo la dichiarazione della guerra alla Serbia del 28 luglio 1914, l’Impero austro-ungarico provvide alla mobilitazione delle proprie truppe: chi era già soldato fu rapidamente mandato in zona di guerra, mentre coloro che avevano prestato il servizio militare negli ultimi anni dovevano presentarsi, entro i primi giorni di agosto, ai centri di raccolta dei vari reggimenti. Per le popolazioni dell’Alto Garda la guerra era ormai una realtà concreta: il 19 agosto 1914, causa i rapporti diplomatici tra Austria e Italia sempre più freddi, l’Impresa Italiana di Navigazione, società che gestiva il traffico di passeggeri e merci sul lago di Garda, decise di sospendere l’approdo dei piroscafi nei porti in territorio austriaco. Per l’economia di Riva e Torbole fu un colpo durissimo che, aggiungendosi al mancato arrivo dei turisti dai Paesi della Mitteleuropa, fece crollare del tutto l’intero settore turistico e ciò che gravitava intorno ad esso, primo fra tutti il commercio della frutta, ma anche le imprese artigiane locali, facchini, barcaioli, spedizionieri, ecc. 2. Con gli ultimi piroscafi abbandonarono la città i regnicoli residenti a Riva del Garda, una comunità piuttosto numerosa, pari a circa il 16% del totale della popolazione 3. Il vuoto lasciato da questi abitanti fu colmato dall’arrivo, nel Basso Sarca, di un consistente numero di soldati che ricevevano in zona un’essenziale addestramento militare prima di essere avviati sul fronte4; arrivi e partenze dei trasporti militari si susseguivano di continuo. Con il passare delle settimane e l’intensificarsi dei combattimenti sui fronti galiziano e balcanico, Riva, e ancor più Arco, divennero inoltre centri di cura e convalescenza per ufficiali e soldati reduci dai campi di battaglia 5. Nei mesi di neutralità italiana, vi fu, nell’Alto Garda, un’intensificazione della costruzione di opere campali e dell’approntamento delle linee di difesa, come già visto. A queste opere non lavoravano soltanto i soldati, ma soprattutto la popolazione locale, integrata anche da arrivi di manodopera boema 6. I grandi cantieri di opere militari furono, infatti, una fonte importante di sostentamento per la popolazione, soprattutto dopo la crisi determinata dallo scoppio delle ostilità nell’agosto del 1914. Quasi tutti gli appalti erano gestiti dall’impresa edile Zontini 7, l’unica, a livello locale, ad avere il carattere di una vera e propria industria con centinaia di dipendenti; l’impresa Zontini, dall’inizio del ‘900, prosperò grazie a questi appalti governativi. La vicina presenza del confine di Stato con l’Italia, ancora neutrale, faceva sì che alcuni trentini scegliessero di riparare in Italia per evitare l’arruolamento nell’esercito imperiale; le motivazioni erano molteplici e andavano ricercate o nel semplice opportunismo o in profondi convincimenti politici di carattere irredentista. La maggior parte dei fuoriusciti erano, infatti, giovani compresi tra i 18 e i 30 anni e appartenevano ad agiate famiglie borghesi, che spesso avevano una formazione culturale legata ai valori risorgimentali italiani. Quando l’Italia entrò in guerra molti di loro, coerentemente con i loro ideali, si arruolarono come volontari nell’esercito italiano. I volontari altogardesani furono alcune decine, ricordiamo, a titolo di esempio: Guido Bettinazzi di Arco, Arturo De Bonetti di Nago, Giacomo Floriani di

1 Testi tratti prevalentemente da: Tamburini A., Tavernini L. e Ischia M., La difesa sotterranea. Il Festungabschnitt, settore fortificato di Riva, e le sue opere in caverna nella Grande Guerra . Edizioni Stella di Claudio Nicolodi editore. – Rovereto, giugno 2007, e da altri testi dell’autore. 2 G. Fait (a cura di), Giuseppe Bresciani. Una generazione di confine. Cultura nazionale e Grande Guerra negli scritti di un barbiere Rivano , Museo del Risorgimento e della Lotta per la Libertà di Trento, La Grafica, Mori (TN), 1991, pagg. 45-6, 50 3 Una statistica degli abitanti di Riva, relativa al maggio 1910 e pubblicata su «L’Eco del Baldo», indicava in 1.263 il numero dei regnicoli residenti in città, mentre la popolazione di Riva, esclusi i soldati, era di 7.918. In:G. Fait (a cura di), Giuseppe Bresciani , cit., pag. 58 4 G. Fait (a cura di), Giuseppe Bresciani , cit., pag. 47 5 G. Fait (a cura di), Giuseppe Bresciani , cit., pag. 49 6 G. Fait (a cura di), Giuseppe Bresciani , cit., pag. 48 7 Giovanni Zontini, con il fratello Ezzelino, era titolare di una grande impresa a Riva; fu insignito, nel 1913, della croce ufficiale dell’ordine sovrano di Francesco Giuseppe. In: G. Fait (a cura di), Giuseppe Bresciani , cit., pag. 59, 61 Riva del Garda, Federico Guella di Bezzecca, Riccardo Maroni di Riva del Garda, Emilio Parolari di Arco, i fratelli Fernando e Giovanni Tonini di Riva del Garda, i fratelli Giulio e Nino Pernici di Riva del Garda 8. L’Altissimo e le montagne del versante meridionale della valle di Ledro erano notoriamente terra di passaggi clandestini in Italia e di contrabbandieri che per arrotondare i loro magri bilanci familiari esportavano in Italia derrate alimentari, soprattutto zucchero, sale e tabacco da pipa 9, e pertanto sorvegliate dai gendarmi giorno e notte. Per gli uomini di Nago e di Pregasina, abituati a vivere di quello che la montagna poteva loro offrire, la conoscenza dettagliata delle sue peculiarità, delle sue risorse e del suo territorio era a dir poco fondamentale, non c’è da stupirsi che essi siano stati a quel tempo gli esperti migliori di quell’ambiente, vere e proprie guide locali che aiutarono molte persone ad entrare in Italia. Tra le più attive si ricorda Domenico Rigotti di Nago che, attraverso l’Altissimo tra il settembre 1914 e l’aprile 1915, fece fuggire in Italia decine di persone provenienti da tutto il 10 .

“Giunge notizia della fortunata fuga di mio nipote, Vittorio Pross, avvenuta da Nago attraverso il Monte Baldo. L’affare lo combinai io con un vecchio contadino di Nago certo [Domenico Rigotti] che per 250-300 Cor. si assunse l’obbligo di far passare oltre il confine il nipote. […] Il [Rigotti] aveva circa 1 ½-2 ore distante da Nago un piccolo podere sul Baldo, e la mattina – finita l’opera – se ne tornava bel bello verso il paese o con un fascio di legno o con un sacco di fieno” 11 .

Per evitare fughe di uomini, le autorità militari austriache emanarono alcune disposizioni restrittive e organizzarono un’intensa sorveglianza dei confini soprattutto dove avvenivano traffici illeciti. Questo purtroppo andò a discapito dei soldati trentini, soprattutto figli di contadini e operai, che si trovavano già al fronte e che si videro negare le licenze 12 . L’Imperial Regio esercito austro-ungarico aveva, già da alcuni decenni, studiato l’eventualità di un’entrata in guerra del Regno d’Italia contro l’Austria-Ungheria; verso “l’alleato” italiano regnava da sempre una certa sfiducia 13 . Per premunirsi contro tale ipotesi, venne costruito un sistema di fortificazioni permanenti che però, all’inizio della guerra, risultava ancora incompleto. Mentre l’Italia ritardava il suo ingresso in guerra a fianco di Austria e Germania adducendo, a giustificazione, il carattere prettamente difensivo della Triplice Alleanza, contemporaneamente in Trentino si assistette ad una nuova fase fortificatoria, durante la quale venne ultimato il Festung Trient 14 e vennero realizzate ulteriori opere nel campo trincerato di Riva. Il comportamento politico dello Stato italiano e la neutralità dei primi nove mesi di guerra, infatti, non avevano fatto altro che rafforzare i sospetti degli austriaci 15 .

8 B. Rizzi, Pagine di guerra e della vigilia di legionari trentini , Tipografia editrice mutilati ed invalidi, Trento, 1932; P. Dogliani, G. Pécout, A. Quercioli, La scelta della patria. Giovani volontari nella Grande Guerra , Edizioni Osiride, Rovereto, 2006; A. Miorelli, Le perdite militari trentine della prima guerra mondiale , In: G. Fait (a cura di), Sui campi di Galizia… cit.; A. Miorelli, I numeri della memoria. Volontari e internati trentini in Italia durante la Prima guerra mondiale , In: I forti austro-ungarici nell’Alto Garda: che farne? , Atti del convegno forte superiore di Nago 27 febbraio – 2 marzo 2002, Museo di Riva del Garda, tipografia Tonelli, 2003, pag. 59 9 G. Giovanazzi, Memorie di Arco. Piccole storie d’altri tempi, Litotipografia La Reclame, Trento, 1992, pagg. 28-29 10 T. Rigotti, Ombre nella notte , in «La Giurisdizione di Penede», n. 23, Arco, 2004, pag. 70. A tal proposito si ricorda anche l’arcense Romano Baratella che durante la Grande Guerra era un lavoratore militarizzato sul Monte Baldo: «Attraverso impervi sentieri riuscì a far passare in Italia il notaio Bortolotti, il dottor Tappainer e molti altri, prima di espatriare lui stesso». In: G. Giovanazzi, Arco d’altri tempi. Spigolature di storia, Litotipografia La Reclame, Trento, 1993, pag. 100 11 Si tratta del diario scritto durante la Grande Guerra dal dottor Vittorio Fiorio, irredentista rivano, che aveva cancellato, per precauzione, il nome della guida Rigotti. In: G. Fait (a cura di), Giuseppe Bresciani , cit., pag. 63 12 Ancora nel diario di Fiorio: «La rabbiosa protesta dei contadini fedeloni dell’Albola, nella campagna di Riva, adirati perché (dicono) i Siori coi soldi possono scappare e causa loro i loro figli (per precauzione militare) non ricevono permessi». In: G. Fait (a cura di), Giuseppe Bresciani , cit., pag. 54 13 J. Fontana, Il Tirolo storico… cit.,, pagg. 7-8; L’ultima guerra dell’Austria-Ungheria 1914 – 1918 , relazione ufficiale compitala dall’archivio di guerra di Vienna, vol. II, L’anno di guerra 1915, sino alla fine dell’estate , trad. Ambrogio Bollati, Ministero della guerra, Comando del Corpo di Stato Maggiore – Ufficio storico, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1935, pag. 197 14 C. Marzi, T. Borsato, Trento Città Fortezza. Le opere militari in muratura (1860 – 1914) ed in caverna (1914 – 1915) , Persico Edizioni, Cremona, 2000, pagg. 4-5 15 Il feldmaresciallo Conrad von Hötzendorf, Capo di Stato Maggiore, era: «da tempo animato dalla massima diffidenza verso l’Italia», infatti, già il 13 agosto 1914, dopo la dichiarazione della neutralità italiana, il Comandante Supremo, Arciduca Federico, aveva incaricato il generale di cavalleria Franz Rohr di: «Studiare, predisporre ed organizzare in modo rispondente alla situazione L’organizzazione dell’esercito imperiale prevedeva, in caso di attacco italiano, l’immediata evacuazione nel Trentino delle popolazioni che distavano dal confine militare circa 15-20 km. Il confine tra i due Stati, che correva pressappoco lungo le attuali demarcazioni del Trentino con la Lombardia e il Veneto, non garantiva un’efficace difesa, pertanto, l’esercito imperiale decise di ritirarsi in posizione più favorevole: “Tra l’agosto del 1914 e la primavera del 1915 il comando militare di Innsbruck fece costruire lungo il confine del Tirolo meridionale dall’Ortles sino alla valle di Sesto, una cintura fortificata continua di ben 350 Km, chiamata “Tiroler Wiederstandslinie”, ovvero linea di resistenza tirolese. A questo scopo il genio militare austriaco impiegò oltre ventimila lavoratori civili, fra cui numerose donne ed adolescenti, organizzati militarmente in battaglioni. Nel giro di breve tempo il paesaggio del Trentino meridionale subì una profonda trasformazione: interi boschi abbattuti ed edifici demoliti per sgombrare il campo di tiro dei cannoni, le montagne perforate da caverne, le colline e le vallate solcate da profonde trincee” 16 . La linea di difesa, così accorciata da 450 a 350 chilometri permetteva di sfruttare le difese naturali del territorio e di usufruire del sistema di fortificazioni realizzate a partire dagli ultimi anni del XIX secolo, economizzando il numero dei soldati necessari, visti i grandi sforzi richiesti dal fronte orientale.

L’Italia in guerra

Nel maggio 1915, allo scoppio del conflitto italo-austriaco, la piana del Basso Sarca si stava preparando alla sua funzione militare di campo trincerato, mentre la valle di Ledro era già stata destinata a diventare “terra di nessuno”. Gli alti comandi dell’esercito imperiale avevano studiato da tempo una linea di difesa che si estendeva lungo le montagne poste a settentrione della valle di Ledro, appoggiandosi alla morfologia del territorio. Ripidi versanti, talvolta intervallati da rocciose pareti verticali, avrebbero garantito già da soli un possente ostacolo all’avanzata di un esercito invasore. La linea di difesa dell’esercito austro-ungarico raccordava attraverso le montagne ledrensi due importanti piazzeforti: la “Cintura di Lardaro” a occidente e il “Festungabschnitt” di Riva a oriente. L’esercito italiano non considerava conveniente un’avanzata nel settore del Basso Sarca: le linee austroungariche erano troppo ben costruite e avrebbero richiesto un’enorme sacrificio in termini di uomini e di risorse, anche solamente per progressi limitati. Cardine del sistema difensivo della zona erano i modernissimi forti in cemento armato, costruiti prima della guerra e collegati tra loro da trincee, casematte e gallerie scavate nella montagna, in un imponente e intricato sistema di difese. Dai forti della valle del Chiese la linea fortificata austriaca saliva sulle vette del Nozzolo e del Cadria, raggiungeva la Bocca di Trat seguendo la testata della val Concei e poi l’Alto Garda, attraverso le cime Parì, Sclapa, Oro, e Rocchetta. Dalla Rocchetta scendeva alle sponde del lago. Le trincee erano nella città di Riva, come testimoniano numerose foto, ed erano protette da reticolati che giungevano fino sulle rive e a volte addirittura dentro il lago. In particolare per proteggere il porto di Riva del Garda vennero stesi dei reticolati galleggianti e minati che partivano da Punta Lido e arrivavano al forte Bellavista (ovvero alla batteria cosiddetta “Della Madonnina”, nei pressi dell’attuale Residence Vecchio Porto - Excelsior). La prima linea austroungarica passava proprio sulle sponde del lago di Garda, fino al Brione e ai suoi forti, poi proseguiva lungo lo specchio lacustre fino a Torbole, saliva le pendici dell’Altissimo fino a Malga Zures e al Segron, per poi scendere a Passo San Giovanni e proseguire a nord del solco di Loppio. Nel Basso Sarca inoltre erano state parzialmente apprestate altre linee di difesa: la seconda linea passava per Varone, Ceole, San Tommaso, San Giorgio e Linfano. Arco era terza linea ma, fino alle vicinanze del ponte di Ceniga, si trovavano alcuni tratti di reticolato militare che testimoniavano la predisposizione in questi luoghi di alcuni nuclei di difesa in profondità. Se le difese nell’Alto Garda e nella valle di Ledro risultavano quanto mai solide, le principali preoccupazioni dell’esercito austro-ungarico allo scoppio del conflitto italo-austriaco furono rivolte all’allontanamento in

d’ogni momento la difesa dell’Impero sulla nostra frontiera sud-occidentale, nelle condizioni attuali», In: L’ultima guerra dell’Austria-Ungheria… cit., vol. II, pag. 197 16 N. Fontana, In: Sentinelle di Pietra. La nascita delle fortificazioni austriache sul territorio trentino nei secoli XIX e XX , VHS, Centro Audiovisivi della Provincia Autonoma di Trento, Servizio Attività Culturali massa della popolazione da quella che sarebbe diventata la prima linea e all’invio di truppe da mandare nel settore fortificato. L’ordine di evacuazione di massa alla popolazione fu dato dall’Austria-Ungheria tra il 22 e il 24 maggio 1915. Fu il Capitanato di Riva del Garda, uno degli otto distretti politici in cui era stato suddiviso il Trentino durante l’amministrazione austroungarica, ad applicare l’ordine di sfollamento. Nell’Alto Garda non tutti i paesi furono totalmente evacuati: i più colpiti dal provvedimento furono gli abitati più vicini alla prima linea come Nago-Torbole e Riva del Garda. Anche Arco e le frazioni limitrofe fino ai paesi di Ceniga e Dro vennero progressivamente sgombrati dalla popolazione civile. Per la valle di Ledro invece, le disposizioni prevedevano lo sfollamento dei paesi il giorno 23 maggio, suddiviso in tre scaglioni: bassa valle (Pregasina, Biacesa, Prè, Molina e Legós), valle media (Mezzolago, Pieve, Bezzeca e i comuni della Val Concei), e alta valle (ovvero i comuni di Tiarno di Sopra e di Sotto). Il primo scaglione avrebbe dovuto raggiungere Riva per le 9 antimeridiane, il secondo per l’1 pomeridiana e l’ultimo a seguire per le 5. L’evacuazione della popolazione fu tuttavia afflitta da ritardi inevitabili, vista la portata dell’evento, di conseguenza lo sfollamento dell’ultimo settore non ebbe il decorso previsto e le popolazioni di Tiarno rimasero nelle loro case durante le prime fasi del conflitto e furono evacuate dall’esercito imperiale soltanto il 3 agosto 17 . Il piano di evacuazione applicato poco prima della dichiarazione di guerra da parte dell’Italia costrinse la popolazione a lasciare le proprie case con pochissime ore di preavviso, senza poter portare con sé quasi nulla. Quando i profughi raggiunsero i campi nell’entroterra dell’Impero, essi si ritrovarono senza tutto, costretti a vivere con il solo sostentamento del sussidio governativo. Boemia, Moravia, Austria Superiore e Inferiore furono le regioni di destinazione della quasi totalità dei profughi; altri più fortunati, poterono trovare ospitalità nel Tirolo settentrionale, presso parenti. Sempre in quei primi giorni di guerra furono internati coloro sospettati di sentimenti filo-italiani: il campo di Katzenau accolse tutte le persone sospettate di appartenere ad organizzazioni di stampo irredentista 18 . Anche alcuni tra i più importanti esponenti della borghesia altogardesana furono internati a Katzenau. Per quanto riguarda le truppe stanziate nel settore fortificato, allo scoppio del conflitto italo-austriaco si trovavano tra l’Alto Garda e le un numero ridottissimo di corpi. Nel settore “Judicarien”, che si estendeva dalla Presanella fino al Doss della Torta, vi erano alle dipendenze del colonnello Theodor Spiegel, il 163° battaglione Landsturn, un quarto della III Compagnia del XIV Zappatori e la guarnigione dei forti di Lardaro, ovvero il primo Distaccamento del II Reggimento Landeschützen, la III e la IV Compagnia del VII Battaglione da Fortezza 19 . Nel Festungabschnitt di Riva, ovvero il settore dell’Alto Garda, compreso tra il Doss della Torta e il Creino, vi erano al comando del generale Anton Schiesser il 37° gruppo del I Battaglione delle riserve, i battaglioni del Tiroler Landsturm (leva in massa del Tirolo) n. 164 e 168, la III Batteria obici del XIV Reggimento artiglieria da montagna, una batteria da campagna da 90 mm, una batteria di cannoni da montagna mod. 75, la prima compagnia del IX Zappatori, i battaglioni I e IV artiglieria da fortezza, questi ultimi di stanza ai forti di Riva 20 . Per salvare il fronte tirolese non restarono che gli Standschützen, ovvero tutti gli immatricolati presso i Casini di Bersaglio e non mobilitati: ragazzi dai 15 ai 19 anni e anziani sopra i 45 21 . Nel settore fortificato di Riva operarono principalmente gli Standschützen di Arco e di Riva, che furono affiancati dai battaglioni Standschützen di Bolzano, Lana e val Sarentino 22 . Altre formazioni di bersaglieri immatricolati presenti nelle vicinanze del settore fortificato di Riva furono quelle di Cavedine, Lasino, Lavis, Vezzano (complessivamente 191 uomini 23 ) e Brentonico (197 uomini), questi ultimi mandati a presidiare la

17 FIORONI G., La valle di Ledro nella prima guerra mondiale 1915 – 1918 , Temi Editrice, Trento, 1993, pp. 102-103, 112; COLOMBO D., Boemia. L’esodo della Val di Ledro 1915-1919 , Centro Studi Judicaria, Collana “Judicaria Summa Laganensis”, Tipografia Tonelli, Riva del Garda (TN), giugno 2008, pp. 204-220. 18 A. Gorfer, Katzenau la landa dei gatti , In: La Prima guerra mondiale , «Didascalie», n. 3 aprile 1998, pag. 47 e seg. 19 MOGNASCHI A., Due paesi, una storia. Bondo e Breguzzo nella Grande Guerra 1914-1918 , II edizione, Cassa Rurale di Bondo Breguzzo 1985, Temi, Trento, 1987, p. 32; FIORONI G., La valle di Ledro nella prima guerra mondiale, cit., p. 125. 20 FIORONI G., La valle di Ledro nella prima guerra mondiale , cit., pp. 126-127; SCHWABL A., Das k.u.k. Standschützen – Bataillon Lana , Gruber, Lana, 2005, p. 40. 21 DALPONTE L., I bersaglieri tirolesi nel Trentino 1915 – 1918 , Casa Editrice Publilux, Trento, 1994, p. 33. 22 DALPONTE L., I bersaglieri tirolesi nel Trentino cit., pp. 52-53, 104; FONTANA J., Il Tirolo Storico nella prima guerra mondiale cit., p. 61. 23 DALPONTE L., I bersaglieri tirolesi nel Trentino cit., pp. 52-53. cima dell’Altissimo nei giorni prossimi allo scoppio della guerra 24 . Sulle montagne ledrensi del settore “Judicarien” operarono gli Standschützen dei battaglioni di Bezau (Vorarlberg) e di Chiusa, nonché i tiratori locali del battaglione Tione-Stenico. Gli uomini che non vennero inquadrati nei reparti degli Standschützen vennero impiegati come Militärarbeiter. Risulta arduo tuttavia operare una netta scissione tra i numeri effettivi che componevano gli Standschützen e i Militärarbeiter e i rispettivi incarichi di questi due corpi. I Militärarbeiter erano personale trattenuto in loco all’atto della partenza degli sfollati nei giorni immediatamenti precedenti il conflitto italo-austriaco o, addirittura, strappati alle famiglie e fatti scendere dai treni profughi nei giorni successivi. Furono utilizzati per l’ultimazione delle opere militari, per la custodia del bestiame, ecc 25 . Gli Standschützen erano uomini iscritti ai Regi Casini di Bersaglio, in grado di espletare un’eventuale azione bellica, tuttavia accanto alle mansioni militari gli Standschützen furono impiegati anche per la sistemazione degli apprestamenti, la distribuzione del rancio alla prima linea, il recupero dei feriti, il trasporto di materiali, ecc. Fra gli utilizzi degli Standschützen arcensi ci fu anche quello della requisizione del fieno nelle abitazioni dei profughi partiti in seguito all’evacuazione, come testimoniato dalle bollette della pesa pubblica di Arco del giugno 1915 recanti quali attestazioni i timbri della Imperial Regia Società Veterani Guerrieri Austriaci “Arciduca Alberto” Arco. Queste bollette avrebbero dovuto fungere da ricevuta per ottenere il rimborso delle merci asportate 26 . Testimonianza dell’intensa attività di reclutamento allo scoppio del conflitto italo-austriaco viene riportata nel diario del dottor Vittorio Fiorio, di Riva: “Visita a Riva dei 18-50; vengono ritenuti quasi tutti abili. Ogni giorno estendo una grande quantità di Attestati per gente che deve presentarsi alla visita militare (ad ognuno carico le liste per liberare – se possibile – questi disgraziati a cui ripugna il pensiero di andare a farsi ammazzare in Galizia). […] Vennero vestiti e militarizzati i soci del Bersaglio militare (Scizzeri), nonché i veterani che vennero accasermati all’Oratorio (Largo Inviolata), alle scuole, ecc./ Ieri l’altro vennero qui riveduti circa 900 uomini fra i quali 400-500 lavoratori ”27 .

Le principali operazioni di guerra nell’Alto Garda e Ledro tra il 1915 e il 1916

Nell’Alto Garda e nella Valle di Ledro non vi furono operazioni di grande portata, se si escludono alcuni episodi che comunque restano modesti rispetto alle impressionanti cifre della prima guerra mondiale. L’esercito italiano, occupate le creste di confine lasciate incustodite da quello austro-ungarico, cominciò a insediarvisi permanentemente e a costruire una rete di strade, al fine di consolidare le prime posizioni occupate e far avanzare le proprie artiglierie. Le pendici montuose sottostanti il confine tra i due stati cominciarono a essere interessate dai pattugliamenti da parte di entrambi gli eserciti. Questa situazione si mantenne per tutta l’estate, fino all’autunno inoltrato: l’esercito italiano osservò un atteggiamento di estrema prudenza, quello austro-ungarico si preoccupò soprattutto di consolidare la propria linea di massima resistenza. Nel periodo compreso tra la seconda metà di ottobre e la prima metà di dicembre gli italiani occuparono gli avamposti che gli austriaci tenevano davanti alla loro linea di resistenza, ovvero Pregasina e il monte Nodic (13-22 ottobre), cima Palone sulla cresta che divide la valle di Ledro dalla valle del Chiese (18-19 ottobre), i dossi Casina e Remit sulle pendici dell’Altissimo (24 ottobre 1915), il Doss Alto di Nago 28 e il monte Vies, quest’ultimo sottostante le cime del Nozzolo e del Cadria (10 dicembre).

24 BERTI G., Il primo conflitto mondiale sul Monte Baldo nella letteratura di guerra italiana , In: «La Giurisdizione di Penede», n. 23, dicembre 2004, p. 22. 25 In: L. Dalponte, I bersaglieri tirolesi nel Trentino… cit., pagg. 31, 61; G. Giovanazzi, Arco d’altri tempi… cit., pag. 85, 96-7, M. Ianes, Fortificazioni in Marzola , In: Marzola la nostra montagna , Sat sezioni Bindesi, Villazzano e Povo, Promo Service, Villazzano (TN), 2002, pagg. 105-7 26 In: J. Fontana, Il Tirolo storico… cit., pag. 77; A. Miorelli, I numeri della memoria… cit., pag. 61; ASTN, Capitanato di Riva, busta C 255 27 G. Fait (a cura di), Giuseppe Bresciani , cit., pag. 83 28 Vi è una discordanza tra le date riportate dagli autori che hanno trattato la Grande Guerra sulle pendici dell’Altissimo; secondo Ovidio Menegus, Doss Alto fu occupato il 3 dicembre 1915, secondo Giovanni Berti la notte del 16 dicembre, mentre Tiziano Bertè, dalle ricerche recentemente condotte e pubblicate in un volume edito dal Museo Storico Italiano della Guerra, riporta l’occupazione di Doss Alto concomitante con l’azione di Malga Zures, ovvero la notte del 30 dicembre 1915. G. Berti, Il primo conflitto mondiale sul Monte Baldo nella letteratura di guerra italiana , In: «La Giurisdizione di Penede», n. 23, dicembre 2004, pag. La notte del 29 dicembre cominciò infine l’azione di Malga Zures, una delle poche battaglie violente combattute nel settore altogardesano. Ben 5 compagnie di Alpini del Battaglione Verona ed altre 3 del Battaglione Val d’Adige cominciarono l’attacco alle prime ore del mattino del 30 dicembre, conquistando di primo impeto le postazioni prefissate e arrivando ad occupare la malga, difesa soltanto da una compagnia di soldati. Alle due del pomeriggio cominciò il contrattacco austro-ungarico; altre due compagnie salirono da Nago a rioccupare le posizioni, mentre tutte le postazioni vicine (Rocchetta, Creino, Monte Brione, Perlone e Castel Penede) aprirono il fuoco di tutte le batterie d’artiglieria nell’intento di impedire i rinforzi alle truppe italiane. Queste ultime avevano in appoggio qualche batteria da montagna con l’ordine di intervenire solo nel caso in cui il contrattacco degli imperiali avesse minacciato le posizioni di partenza 29 . Fu uno scontro cruento con vittime da ambo le parti: gli italiani dovettero ritornare sulle proprie posizioni rinunciando ai loro intenti. Malga Zures nei mesi successivi fu irrobustita e rinforzata con postazioni in caverna al punto di diventare imprendibile. Nella bassa valle di Ledro, il 5 gennaio 1916 gli italiani occuparono con una compagnia della Guardia di Finanza la posizione di San Giovanni di Biacesa, sulle pendici di Cima Rocca, mentre nel mese di aprile essi tentarono l’assalto alle postazioni austriache dello Sperone, di Cima Rocca, e delle pendici di Cima Oro. A tale fine fu impiegato un ingente spiegamento di forze: il 45° Bersaglieri, quattro compagnie di Fanteria, il Battaglione Alpini Valchiese, il Reparto volontari bresciani e il III Battaglione della Guardia di Finanza 30 . Sul monte Sperone venne conquistato il Defensionmauer e le posizioni austriache fino all’ampia cengia di quota 700 m. Gli italiani tentarono anche un assalto alla vetta della montagna (Cima Capi 906 m), che fu ricacciato dai difensori sulle posizioni di partenza 31 . Anche la conquista di Cima Rocca fallì, mentre sulle pendici meridionali di Cima Oro i soldati italiani si insediarono a quota 1330 e 1337 m, nelle vicinanze degli avamposti austriaci di Costa di Salò, ma non poterono andare oltre. Al termine di quella che è nota anche come “La battaglia per Riva”, le truppe italiane avevano riportato sensibili perdite 32 , per la conquista di posizioni dominate comunque da sovrastanti postazioni austro-ungariche, e pertanto poco utili. Quell’episodio segnò anche la massima avanzata dell’esercito italiano nel settore dell’Alto Garda e Ledro. La linea raggiunta dagli italiani era, da ovest verso est, approssimativamente la seguente: Cima Palone, Cima Cingla, monte Vies, bassa val Concei con i Dossi Perea e Costa Prighent, monte Cocca, pendici meridionali di Cima Oro (intorno a quota 1330 m presso Costa di Salò), q. 1141 a nord di Molina, San Giovanni di Biacesa, q. 700 m dello Sperone, Belvedere del Ponale, lago di Garda, pendici dell’Altissimo fino a Dossi Casina e Remit, Sasso Sega, Doss Alto, lago di Loppio.

Guerra di posizione

Poche settimane dopo la “Battaglia per Riva” l’esercito imperiale scatenò l’Offensiva degli altipiani (Strafexpedition), costringendo gli italiani a concentrare le proprie forze in quel settore, per non subire uno sfondamento del fronte. Nella zona dell’Alto Garda e Ledro non si registrò alcun mutamento della situazione: la guerra si trasformò dunque in guerra di posizione e l’impossibilità di muovere le truppe fece aumentare l’utilizzo delle artiglierie. Le potenti artiglierie italiane piazzate sulla cima dell’Altissimo e sul sottostante Varagna, potevano sparare fino a 15 km di distanza; utilizzavano soprattutto un cannone di medio calibro, da 149 mm in acciaio, che

23; T. Bertè, Arditi e alpini sul Dosso Alto di Nago (1915-1918) , Collana di documenti della guerra 1915-1918, Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, Edizioni Osiride, Rovereto (TN), 2005, pagg. 22-23; O. Menegùs, La Prima Guerra Mondiale sul Monte Altissimo di Nago, Tipoffset Moschini, Rovereto (TN), 1980, pag. 42 29 O. Menegùs, La Prima Guerra Mondiale sul Monte Baldo , Tipoffset Moschini, Rovereto (TN), 1989, pag. 48-50; P. Giuliani, Su Malga Zurez (30 XII 1915) , In: «La Giurisdizione di Penede», n. 13, dicembre 1999, pag. 109 30 FIORONI G., La valle di Ledro… , cit., pp. 202-3; VECCHIATO D., ZANON G., Qui finisce l’odio del mondo… , cit., p. 59. 31 TAMBURINI A., TAVERNINI L., ISCHIA M., La difesa sotterranea. Il Festungabschnitt, settore fortificato di Riva, e le sue opere in caverna nella Grande Guerra , Museo Riva del Garda, edizioni Stella – Rovereto, 2007, pp. 229-270. 32 DISCACCIATI DON P., Mio diario di guerra. La testimonianza del cappellano militare Don Primo Discacciati dal fronte di Storo 1915- 1918 , a cura di Poletti G., In: «Passato Presente Contributi alla storia della Val del Chiese e delle Giudicarie», n. 13, dicembre 1988, pp. 77-80. poteva raggiungere i paesi di Dro e Ceniga. Sull’Altissimo era inoltre posizionato un osservatorio di artiglieria dotato di un cannocchiale da 90 ingrandimenti, capace di leggere le insegne dei negozi di Arco. Altre artiglierie dell’esercito italiano si trovavano sulle montagne del versante meridionale della Val di Ledro nella zona di Tremalzo, passo Nota, monte Carone 33 . I pezzi di artiglieria italiani di maggior calibro per colpire l’Alto Garda erano due cannoni da 305 mm, posizionati uno a Malcesine e l’altro a Limone. I tiri delle artiglierie italiane sembra arrivassero prevalentemente nel primo pomeriggio, perché l’Ora facilitava la gittata dei proietti: la loro gittata massima era di oltre 21 km e potevano arrivare fino alla Centrale idroelettrica di Fies 34 . L’esercito imperiale cercava di contrastare le artiglierie nemiche con il cosiddetto tiro di controbatteria, che doveva distruggere l’offesa avversaria. Nella zona del Linfano fu posizionato, nel giugno del 1916, un grosso pezzo d’artiglieria austro-ungarico che era stato utilizzato sull’altipiano di Folgaria e Lavarone 35 durante l’offensiva di primavera ( Strafexpedition ). L’obice, denominato “Barbara”, era di calibro 380 mm 36 e distrusse il cannone italiano da 305 mm posizionato a Limone 37 . Dalla documentazione fotografica consultata in un archivio privato, l’obice austro-ungarico venne individuato dall’artiglieria italiana, nonostante fosse stato accuratamente mimetizzato. In alcune fotografie si vedono chiaramente due grandi crateri prodotti da proietti di grosso calibro nelle vicinanze della postazione. Le artiglierie austroungariche erano dislocate principalmente sul Creino, nei forti del Monte Brione e del Tombio, sulla Rocchetta e poi sparse sulle cime ledrensi. Analogamente agli italiani, gli austriaci realizzarono una rete di strade, teleferiche, sentieri e gallerie, a supporto delle prime linee, che collegava l’Alto Garda con le postazioni di Bocca di Traqt, di cima Oro, della Rocchetta, del Creino, dello Stivo e di Malga Zures. Con l’intensificarsi dei bombardamenti le sedi dei comandi furono spostate dalla prima linea: lo stesso Capitanato Distrettuale di Riva del Garda, sede dell’autorità militare di settore, fu trasferito a Ceniga e a Drena 38 . Anche la posta militare, che aveva il suo ufficio centrale presso il Comando di Fortezza di Riva del Garda, attivò due sedi periferiche a Ceniga e ad Arco 39 . Le artiglierie italiane devastarono i paesi dell’Alto Garda, Riva in particolare fu duramente bombardata in più riprese come testimoniato dal diario del rivano Adriano Cattoi, gendarme in servizio presso la caserma di Riva, rimasto nella città dallo scoppio delle ostilità fino all’armistizio. Il suo diario ripercorre l’intera durata della Grande Guerra, con una sospensione dall’agosto 1916 al novembre 1917. Adriano Cattoi, nei suoi scritti riporta i quasi quotidiani bombardamenti a cui erano soggetti i territori del fronte altogardesano. A titolo di esempio basti pensare che Cattoi, per la sola città di Riva del Garda, registra dal luglio del 1915 alla fine della guerra una decina di bombardamenti aerei e quasi 200 bombardamenti di artiglieria 40 .

33 D. Fava, La Grande Guerra sul fronte tra il Garda e Ledro. Le fotografie e gli scritti del tenente Giuseppe Cipelli , Il Sommolago, Grafica 5, Arco (TN), 2000, pag. 15 34 A. Tamburini, L. Tavernini, Dro, Ceniga e Pietramurata tra Grande Guerra e fascismo , In: A.A.V.V., Fragmenta. Vicende, uomini e territorio della Comunità di Dro, Ceniga e Pietramurata , Il Sommolago, Comune di Dro, Grafica 5, Arco (TN), 2005, pag. 336 35 S. Offelli, 1916. La spedizione punitiva , Gino Rossato Editore, Valdagno, 2006, pag. 27 36 Obice da 38 cm M16. L’affusto poteva rotare su di un tamburo posto sopra una corona circolare sistemata sul fondo di una piattaforma metallica interrata. Per il traino su strada o su ferrovia il materiale veniva scomposto in 4 carichi. Il peso in batteria era di 81.300 kg. Sparava una granata del peso di 740 kg per una gittata massima di 15 km. In: F. Cappellano, L’artiglieria austroungarica nella Grande Guerra , Gino Rossato Editore, Valdagno, 2001, pagg. 188 e 231. 37 H. von Lichem, La guerra in montagna… , cit., vol. II, pag. 131. Documenti fotografici originali testimoniano che il pezzo di artiglieria era stato sistemato su postazione fissa nella zona del Linfano e protetto da mascheramenti vegetali. 38 R. Turrini, Diari e lettere di profughi 1915 – 1918 , cit., pag. 85 39 L’istituzione nel Basso Sarca del primo ufficio di posta militare ( Feldpost ) risale al 24 giugno del 1915, esso corrispondeva al numero 216. Il 27 maggio 1916 l’ufficio di Riva, con le sue sedi periferiche di Ceniga e Arco, cambiò questo numero di identificazione con il 517. Gli uffici postali della Grande Guerra seguivano gli spostamenti del fronte, ma nel caso dell’Alto Garda essi rimasero sempre nella collocazione iniziale. In. F. Trentini, Nella grande tempesta. La posta dei militari trentini durante la prima guerra mondiale , In. I forti austro-ungarici dell’Alto Garda… , cit., pagg. 12-14 40 Particolarmente intenso fu il bombardamento del 22 luglio 1916: “ Più di 150 colpi di artiglieria furono oggi sparati su Riva, vi furono 3 incendi, l’Hotel Baviera venne distrutto dal fuoco, casa Armani ed un altro incendio poterono essere localizzati. Il lavoro di spegnimento è molto pericoloso dai tiri di schrapnell, circa 56 case sono più o meno danneggiate. «Si crede sia stata una rappresaglia per l’esecuzione di Battisti avvenuta a Trento» ”. G. Riccadonna (a cura di), Il Piave mormorò. Immagini e memorie della Grande Guerra nell’Alto Garda , Casa degli Artisti “Giacomo Vittone”, 1988, pagg. 157-168. I paesi della Valle di Ledro, invece, trovandosi tra le due linee di resistenza degli eserciti, subirono le devastazioni di entrambe le artiglierie, al unto che al termine del conflitto in valle non c’era nessuna casa agibile. Nel 1916 Riva del Garda fu teatro anche di un’incursione di un dirigibile italiano che bombardò Forte Garda e la stazione ferroviaria M.A.R. Il lago di Garda era, infatti, la principale rotta di accesso al Trentino per le formazioni di dirigibili italiane, ma, quando la via di penetrazione fu scoperta e l’Impero austro-ungarico adottò efficaci misure difensive, vennero utilizzate altre rotte. Con l’evoluzione tecnica dei velivoli si cominciarono ad effettuare vere e proprie azioni di bombardamento aereo. Per contrastare il volo degli aerei da ricognizione e dei bombardieri, vennero impiantate diverse batterie antiaeree anche sulle montagne del settore di Riva del Garda: “La contraerea austriaca si dimostrava molto efficace, era piazzata, oltre che nella piana del Sarca, sul Misone e sul Biaena; particolarmente temuta era proprio quest’ultima postazione. […] Gli aeroporti austro-ungarici, interessati alla nostra zona [Alto Garda] , erano situati a Egna, Gardolo e Pergine, uno a Romagnano e il più vicino […] a Campo Lomaso. Il campo aveva 6 hangar, 7 baracche e un deposito di carburante. […] Avevano in dotazione 2 caccia Phoenix monoposto, 4 caccia Albatros […] 4 ricognitori Brandenburg. […] L’aviazione austriaca partendo dalle sue basi in prossimità del fronte si spinse anche fino a Verona, dove il 14 novembre [1915] bombardarono piazza Brà. In questo periodo entrambe le parti si alternavano con attacchi aerei, infatti, anche gli aerei italiani colpirono Riva il 31 luglio e il 28 agosto 1915” 41 .

La tattica degli imperiali sulle montagne ledrensi (1917)

Con la perdita delle posizioni avanzate sulla propria linea di resistenza, gli austriaci assunsero un atteggiamento offensivo e logorante contro gli italiani. Si trattò di azioni brevi ma cruente, per non concedere all’esercito italiano il tempo di organizzarsi adeguatamente in quelle posizioni appena occupate 42 . Per tali azioni i comandi austriaci fecero giungere alcune Streifkompanien dei Kaiserjäger, unità specializzate e addestrate per condurre rapide incursioni sulle posizioni nemiche. Azioni sugli avamposti e scontri di pattuglie furono assidui soprattutto nel 1917: l’8 gennaio vi fu infatti un colpo di mano condotto sulle posizioni italiane presso Costa di Salò, con la cattura di una decina di prigionieri 43 . L’azione fu condotta da un reparto di Kaiserjäger facenti parte della compagnia comandata dal tenente Felix Hecht 44 . Un’ulteriore azione da Costa di Salò venne condotta dagli austriaci nel maggio 1917, con l’assalto e la cacciata del presidio nemico e il ritorno sulle proprie posizioni. Don Primo Discacciati la raccontava infatti nel suo diario, accennando alla successiva severa repressione condotta sui soldati italiani per lo scarso carattere combattivo dimostrato 45 . Altre azioni vi furono nell’estate 1917, anche di carattere “alpinistico” come quando i Kaiserjäger si calarono dalle pareti di Cima Rocca e dello Sperone assaltando le posizioni italiane 46 . Simili assalti furono infine condotti in val Concei sulle posizioni di Dos Prighent, Dos Perea e Cima delle Coste 47 .

41 U. Zanin (a cura di), L’Alto Garda e l’aviazione. Ricordi di costruttori, piloti e avieri , Associazione Arma Aeronautica Sezione Alto Garda, Arco, 2000, pagg. 22 e 25 42 VON LICHEM H., La guerra in montagna… , vol. I, cit., pp. 292-293, 297; FIORONI G., La valle di Ledro… , cit., pp. 218-219; FAVA D., GRAZIOLI M., LIGASACCHI G. (a cura di), La grande guerra nell’Alto Garda. Diario storico militare del Battaglione Val Chiese 16 maggio 1915 - 30 aprile 1918 , Il Sommolago, Arco (TN), 2010, p. 245. 43 FIORONI G., La valle di Ledro nella prima guerra mondiale 1915 – 1918, Temi Editrice, Trento, 1993, p. 220. 44 HECHT F., Diario di guerra dal Cadria e dallo Stivo , cit., pp. 88-89. 45 DISCACCIATI DON P., Mio diario di guerra. La testimonianza del cappellano militare Don Primo Discacciati dal fronte di Storo 1915- 1918 , a cura di Poletti G., In: «Passato Presente Contributi alla storia della Val del Chiese e delle Giudicarie», n. 13, dicembre 1988, pp. 133. 46 DISCACCIATI DON P., Mio diario di guerra. La testimonianza del cappellano militare Don Primo Discacciati dal fronte di Storo 1915- 1918 , a cura di Poletti G., In: «Passato Presente Contributi alla storia della Val del Chiese e delle Giudicarie», n. 13, dicembre 1988, pp. 137; WITZHAUPT H., Die Tiroler Kaiserjäger im Weltkriege 1914-1918 , Göth, Wien, 1935, p. 355. 47 WITZHAUPT H., Die Tiroler Kaiserjäger im Weltkriege 1914-1918 , Göth, Wien, 1935, p. 356; FIORONI G., La valle di Ledro… , cit., pagg. 238. Accanto a tali scontri, vanno tuttavia ricordati anche episodi di armonia (o non belligeranza) tra i soldati degli eserciti belligeranti, come quello sul monte Sperone, raccontato nel diario di don Primo Discacciati: «17 [aprile 1917] È portato all’Ospedaletto un alpino ferito alla coscia destra da un frammento di granata. Proviene da Biacesa e narra cose curiose. Vivono in buona armonia con le vedette austriache, le quali lanciano sassi sui loro ricoveri quando le bombarde stanno per iniziare il fuoco: 4 o cinque colpi ogni giorno. I nostri quando vedono i sassi si mettono immediatamente al riparo e le bombe raramente colpiscono. Avevano fatto una piccola teleferica: i nostri mandavano pane agli austriaci, questi rimandavano liquori. Un capitano delle nostre guardie di finanza scoprì il gioco e lo fece cessare. Gli Austriaci se la legarono al dito: domandarono la ragione della sospensione e saputo del capitano lo tennero d’occhio per qualche giorno, finché riuscirono a scoprirlo mentre usciva dal suo baracchino e con una fucilata lo mandarono al Creatore. Se non vi fosse un tacito accordo in quel punto i nostri non potrebbero rimanervi un’ora sola: gli Austriaci sono in cima alle rocce, i nostri sotto, a meno di 200 metri, riparati da pochi sacchetti di terra» 48 .

La tattica aggressiva che gli austriaci esercitavano sulle posizioni avversarie diede i suoi risultati nella bassa valle di Ledro sul finire del 1917, quando gli italiani, nella notte del 14 dicembre, ripiegarono a sud del Rio Ponale, abbandonando tutti gli avamposti tenuti sulla Rocchetta fino ad allora 49 . Gli austriaci ripresero le posizioni perdute nella primavera del 1916 e le fortificarono, assicurandosi così il possesso della montagna fino al termine del conflitto. Nella media valle invece i posti avanzati degli italiani rimasero presso il monte Cocca, Val Marza e a quota 979 m a sud di Costa di Salò 50 . Anche in alta valle le situazione rimase immutata.

L’ultimo anno di guerra

Nell’Impero il rifornimento dei generi alimentari già dal 1915 era estremamente difficile. Con il passare degli anni di guerra, anche a causa del blocco navale attuato dall’Intesa, la situazione divenne sempre più dura 51 : la popolazione delle campagne faticava a trovare il cibo, ancora più drammatica era la realtà nelle grandi città. Anche nell’esercito, che aveva diritto a rifornimenti prioritari, non si riusciva a garantire un approvvigionamento sufficiente 52 . Nel 1918 il peso medio di un soldato austriaco era di circa 50 kg. Tra le categorie che subirono di più la carenza alimentare vi furono, dopo i prigionieri di guerra, proprio i profughi. Alcuni profughi appartenenti ai paesi più lontani dalla prima linea riuscirono a rientrare in Trentino già nel 1916 e poi nel 1917 per tornare a coltivare i loro campi; per ottenere questo permesso dalle autorità militari austroungariche, i profughi dovevano dimostrare di essere autonomi sotto il profilo economico ed alimentare o essere funzionali alle necessità militari 53 . La maggior parte dei profughi tuttavia rientrò solo al termine del conflitto e anzi molti dovettero attendere ulteriori mesi: l’ultimo convoglio lasciò il campo di Braunau nel gennaio del 1919.

48 DISCACCIATI DON P., Mio diario di guerra. La testimonianza del cappellano militare Don Primo Discacciati dal fronte di Storo 1915- 1918 , a cura di Poletti G., In: «Passato Presente Contributi alla storia della Val del Chiese e delle Giudicarie», n. 13, dicembre 1988, pp. 126-127. 49 FAVA D., GRAZIOLI M., LIGASACCHI G. (a cura di), La grande guerra nell’Alto Garda. Diario storico militare del Battaglione Val Chiese 16 maggio 1915 - 30 aprile 1918 , Il Sommolago, Arco (TN), 2010, p. 390; FIORONI G., La valle di Ledro… , cit., pp. 241-243 50 FIORONI G., La valle di Ledro… , cit., p. 243. 51 J. Fontana, Il tirolo storico… cit., pagg. 136-147 52 Il soldato austro-ungarico Fritz Weber, autore nel primo dopoguerra di numerosi volumi, così descrive l’offensiva del solstizio, nel giugno del 1918: «Vi è poi una cosa nuova, di cui gli organizzatori sono molto fieri: ovunque, dietro le prime linee, stanno pronti interi parchi di carri, che nel piano della battaglia figurano sotto la denominazione di “colonne di botti”. […] Ai soldati la cosa fa una impressione assai penosa. Ecco, dicono, non si vuole mettere fuori combattimento il nemico e decidere le sorti della guerra mondiale, andando, dopo la disfatta italiana, sul fronte occidentale; si vuole soltanto farlo indietreggiare di qualche decina di chilometri, per impadronirci dei suoi magazzini, requisire scatolette di carne e maccheroni, per sprofondarci una volta ancora nelle trincee, dove aspetteremo che il nemico abbia preparato nuovi magazzini per ripetere il gioco. […] Per due settimane ogni uomo ha ricevuto centoventi grammi di carne e mezzo chilo di pane, quantità che per della gente affamata non è certo grande, ma che, a paragone di quella che veniva distribuita negli ultimi mesi, sembra addirittura favolosa». In: F. Weber, La fine di un esercito. Tappe della disfatta , Mursia, Azzate (VA), 1982, pagg. 199-200 53 R. Turrini, Diari e lettere di profughi 1915 – 1918 , «Il Sommolago», n. 3, anno XIII, dicembre 1996, pagg. 19, 85-92 Mentre l’Impero sprofondava sempre più nella fame, l’esercito italiano, grazie anche al contributo degli alleati dell’Intesa, potè riprendersi dalla disfatta di Caporetto e, grazie all’accorciamento del fronte, concentrare più truppe e artiglierie. Proprio il diario del gendarme Cattoi testimonia che i bombardamenti sul settore fortificato di Riva si intensificarono soprattutto nell’ultimo anno di guerra. Nella primavera dell’ultimo anno di guerra gli italiani ritornarono a prendere l’iniziativa e nella notte tra il 22 e il 23 maggio, essi conquistarono quota 1400 di Costa di Salò 54 . Questo fu l’ultimo significativo episodio di guerra nella valle di Ledro; nei mesi successivi si ebbero piccoli scontri presso le pendici del Nozzolo 55 , ma lo schieramento difensivo austriaco non diede segni di debolezza fino al giorno dell’armistizio. La critica situazione economica e politica dell’Austria-Ungheria, la fame che imperversava in tutti gli angoli dell’Impero, gli scioperi e le manifestazioni popolari sia nelle città che nelle campagne si rifletterono anche sul morale dell’esercito. Al fronte crescevano le diserzioni e gli atti di insubordinazione, anche in seguito all’accentuarsi delle tensioni nazionalistiche all’interno dell’Impero che avevano come obiettivo la creazione di nuovi Stati indipendenti. Nell’Alto Garda ciò è testimoniato dalle azioni dei Legionari cecoslovacchi 56 . Nella notte tra il 3 e il 4 luglio 1918 quattro disertori cecoslovacchi unitisi all’esercito italiano effettuarono uno sbarco e un’incursione presso Linfano che ebbe tragico esito. Tra di essi vi erano Jan Smarda e Alois Storch che, catturato, fu condannato a morte ed impiccato 57 . Il 7 luglio 1918, due giorni dopo l’impiccagione del volontario cecoslovacco Alois Storck, Riva fu pesantemente bombardata, come raccontava il gendarme Cattoi: “Domenica - Alle 9.30 antimeridiane Riva fu bombardata da più di 10 batterie in una volta con 12-14 colpi al minuto. Il bombardamento durò 25-28 minuti ed aveva preso parte tutte le batterie del fronte, si calcola siano cascate su Riva 300 granate, cagionando un danno rilevante. Alle 11.45 di notte altro bombardamento eguale al primo ”. Le ultime azioni di guerra nel settore fortificato di Riva riguardarono Doss Alto. L’altura, in mano italiana dal dicembre 1915, fu assaltata con fortuna dagli austriaci il 15 giugno 1918 58 Gli italiani tentarono otto volte, nei tre giorni successivi, di riprendere il presidio, ma furono sempre respinti, poi nel mese di luglio studiarono la posizione per preparare la riconquista. Questa avvenne di sorpresa la mattina del 3 agosto per opera del 29° Reparto d’Assalto 59 . Gli austriaci, rassegnati alla rioccupazione italiana della posizione, non tentarono alcun contrattacco nei giorni successivi. La battaglia del 3 agosto 1918 sarebbe stata probabilmente l’ultima combattuta per Doss Alto, se il Comando italiano non avesse mandato, il 19 agosto 1918, a presidio dell’altura alcuni reparti della Legione

54 La località era chiamata dagli italiani “ultimo gradino di Cima d’Oro”. FIORONI G., La valle di Ledro… , cit., p. 246. 55 FIORONI G., La valle di Ledro nella prima guerra mondiale , cit., p. 252. 56 A partire dal 1917 si formò a fianco dell’esercito italiano un corpo di volontari cecoslovacchi, disertori dell’esercito imperiale. Nel 1918 questi volontari si trasformarono in un vero e proprio esercito cecoslovacco in Italia. Il 21 settembre del 1918, in un’azione militare austriaca presso Doss Alto, caddero prigionieri cinque legionari cecoslovacchi; trasferiti nottetempo fino a Ceniga, subirono un sommario processo come traditori per la loro diserzione. Quattro di loro vennero impiccati: Serk, Novak, Svoboda e Schlegel. Altro episodio analogo riguarda l’ufficiale cecoslovacco Alois Storch che, il 5 luglio 1918 fu impiccato a Riva del Garda perché autore di un’azione di sabotaggio. 57 D. Fontana, Il tragico episodio avvenuto alla foce del Sarca nel luglio 1918 , In: «Annuario Sat di Riva del Garda», 2005, pagg. 231- 252; G. Riccadonna, Il Piave mormorò. Immagini e memorie della Grande Guerra nell’Alto Garda , Casa degli Artisti “G. Vittone”, Grafica 5, Arco (TN), 1988, pag. 130. 58 Nonostante l’attacco austriaco fosse stato preannunciato da due disertori boemi, Alois Storch e Frantisek Tobek, fuggiti da Malga Zures la notte fra il 27 e il 28 maggio 1918 e consegnatisi al presidio italiano di Doss Casina, l’attacco ebbe successo grazie soprattutto a tre fattori. Innanzi tutto il tiro di fuoco molto efficace dell’artiglieria austriaca, operante su un arco di 180° tra lo Zugna e la Rocchetta; poi l’azione di sorpresa delle truppe attaccanti che neutralizzarono le vedette e catturarono il presidio della galleria senza che esso potesse espletare una qualche reazione; infine essersi portati nell’assalto alcune mitragliatrici, che piazzate alle entrate della caverna riuscirono a respingere i contrattacchi dell’esercito italiano. T. Bertè, Arditi e alpini sul Dosso Alto di Nago …cit., pag. 35 e seg. 59 B. Di Martino, F. Cappellano, I Reparti d’Assalto Italiani nella Grande Guerra (1915-1918) , Stato Maggiore dell’Esercito, ufficio storico, Roma, 2007, pagg. 663-7; G. Berti, Il primo conflitto mondiale sul Monte Baldo… cit., pag. 63; T. Bertè, Arditi e alpini sul Dosso Alto di Nago …cit., pag. 77 e seg. Cecoslovacca 60 costituita da disertori e prigionieri boemi e sloveni arruolati nei campi di concentramento e organizzati in due Reggimenti che combattevano a fianco dell’esercito italiano 61 . La vicinanza così stretta di interi reparti di coloro che l’Impero austroungarico considerava traditori, comportava una situazione morale e politica insopportabile soprattutto per il pericolo di ulteriori diserzioni 62 . Urgeva un’azione dimostrativa che gli austroungarici intrapresero contro i presidi occupati dai legionari cecoslovacchi. Vi fu un primo assalto il 29 agosto in val Mastella, posizione presidiata dai legionari slavi 63 , ma ben più cruenta fu la battaglia tenutasi a Doss Alto il 21 settembre. Voluta per impartire una punizione ai soldati di etnia boema, si risolse con il mantenimento del presidio da parte delle formazioni cecoslovacche, ma con la cattura di alcuni prigionieri, quattro dei quali furono impiccati il giorno successivo a Prabi di Arco, presso la chiesetta di Santa Appollinare 64 . Negli anni seguenti il conflitto numerose furono le manifestazioni promosse dalle autorità cecoslovacche che in questi luoghi celebrano uno degli episodi più significativi della loro partecipazione alla Grande Guerra.

La fine della guerra

La linea difensiva allestita dagli austro-ungarici sulle montagne ledrensi e nell’Alto garda assolse il proprio compito efficacemente fino all’ultimo giorno di guerra; al mattino del 3 novembre, infatti, il fronte era praticamente immutato e i difensori resistevano nonostante le seconde linee (come forte Tombio), fossero già state abbandonate non appena raggiunte dall’ordine di cessare le ostilità. Nel pomeriggio gli italiani diedero maggior impulso, sostenuti dalle notizie di ritirata che giungevano da tutti i settori, spezzando i piccoli nuclei di resistenza ancora rimasti 65 . Verso 3 pomeridiane Riva era sgombra dalle truppe imperiali e i reparti provenienti dalla Rocchetta e dallo Sperone rientravano nella cittadina transitando ordinatamente alla volta di Arco. Furono aperti i magazzini per la distribuzione del poco che rimaneva, ma v’era solo abbondanza di rhum, con tutti i conseguenti effetti. Alcuni soldati della zona lasciarono le divise austroungariche e si rivestirono con gli abiti borghesi. Il primo battello italiano approdò nel porto di Riva alle 5 e mezza del pomeriggio 66 . Silvio Lutteri di Arco ricorda, nel suo diario, l’arrivo delle truppe italiane: « Il giorno 4 novembre dalla strada del Ponale scesero i primi soldati italiani. Nella piazzetta di S. Anna montarono le cucine da campo ed anche a noi accorsi offrirono minestra da riso che non vedevamo da tre anni »67 . I soldati imperiali, scendendo dai loro presidi in quota convinti della fine delle ostilità, trovarono sul fondo valle gli italiani che li aspettavano al varco per disarmarli e farli prigionieri 68 . Il Battaglione “ Standschützen Innsbruck” cadde in trappola presso Riva, i gruppi della valle dell’Isarco (Chiusa, Bressanone e Vipiteno) furono catturati ad Arco 69 . Per questi uomini si aprirono le porte dei campi di detenzione e furono liberati solo nel corso del 1919 70 .

60 K. Pichlík, B. Klípa, J. Zabloudilová, I Legionari Cecoslovacchi (1914-1920) , traduzione di Barbara Zane, Collana di pubblicazioni del Museo Storico in Trento, Temi, Trento, 1997, pag. 220-1 61 T. Bertè, Arditi e alpini sul Dosso Alto di Nago …cit., pagg. 113 e seg.; O. Menegùs, La Prima Guerra Mondiale sul Monte Altissimo ….cit., pag. 123 62 «Se spari ammazzi un tuo fratello», così suonava un volantino in lingua slava della Legione cecoslovacca, gettato dagli aerei italiani sulle trincee degli austroungarici. In: K. Pichlík, B. Klípa, J. Zabloudilová, I Legionari Cecoslovacchi… cit., copertina 63 G. Fioroni, La valle di Gresta e la valle del Cameras… cit., pag. 219-220 64 Dopo un sommario processo come traditori vennero impiccati a Prabi, dove oggi si trova un monumento a loro memoria, i cecoslovacchi: Serk, Novak, Svoboda e Schlegel. 65 G. Fioroni, La Valle di Ledro nella prima guerra mondiale , cit., pag. 256 66 G. Riccadonna (a cura di), Il Piave mormorò , cit., pag. 168 67 R. Turrini, Diari e lettere di profughi , cit., pag. 21 68 Von Lichem, La guerra in montagna , cit., vol. I, pag. 318 69 J. Fontana, Il Tirolo storico , cit., pag.199 70 Secondo la relazione ufficiale italiana i prigionieri austriaci morti in Italia ammontano a 40.947, di cui 13.217 deceduti per le ferite riportate in combattimento e 27.740 per altre cause. Non si fa distinzione tra i morti in prigionia prima e dopo Vittorio Veneto. In M. Isnenghi, G. Rochat, La Grande Guerra 1914 -1918 , La Nuova Italia, Milano, 2000, pag. 347. Altri autori calcolano in circa 30.000 il numero dei soldati imperiali morti a ostilità terminate nei campi di prigionia italiani. In: J. Fontana, Il Tirolo storico , cit., pag. 205 Il rientro degli oltre 100.000 trentini avvenne nel corso dei difficili mesi invernali; la precedenza venne data ai profughi provenienti dall’Austria 71 . Gli abitanti dell’Alto Garda, come del resto anche gli altri profughi dei paesi in prima linea, trovarono le loro abitazioni distrutte dalle bombe e violate dai soldati. I profughi ledrensi non poterono tornare in valle se non nella primavera 1919: fino a quel periodo trovarono dimora negli alberghi di Riva e di Arco ancora agibili, requisiti dalle autorità italiane. Si presentò subito il problema di rendere nuovamente abitabili le case, in un contesto di estrema povertà che era proprio dei profughi rientrati dopo tre anni di durissimi soggiorni nei territori interni dell’Impero. I paesi del Basso Sarca furono inseriti nella nera, una parte di territorio particolarmente colpita dalla Grande Guerra. Questo consentiva ai proprietari di fondi o abitazioni in essa compresi di accedere a dei contributi per la ricostruzione, anche se bisognava dimostrare di essere stati danneggiati dalla guerra, o di ricevere materiali per la costruzione 72 . In linea teorica anche coloro, ed erano in molti, che avevano subito requisizioni di materiali come cibo, padelle, metalli, strumenti di lavoro, automezzi, animali da tiro, ecc., da parte dell’ex esercito imperiale avevano diritto a degli indennizzi, ma spesso le autorità italiane rispondevano di inoltrare le richieste al nuovo Stato austriaco, con lo scontato risultato di non ricevere alcunché da nessuno. La distruzione attuata dalle artiglierie dei centri abitati costrinse gli architetti ad adottare, in alcuni casi, nuove soluzioni urbanistiche. A Riva si ricorda, per esempio, la creazione dell’attuale piazza Erbe, che fu ricavata dalla demolizione di edifici privati distrutti dalle bombe e acquisiti dal Comune. Nella città lacustre, soprattutto, fu attivo l’architetto Giancarlo Maroni 73 che ristrutturò numerosi edifici e si occupò della nuova pianificazione urbana del primo dopoguerra. Anche ad Arco venne avviata un’intensa opera di ristrutturazione urbana: ad esempio piazza San Giuseppe mutò, in parte, il suo aspetto: questo quartiere, infatti, era stato bombardato in più riprese perché situato appena dopo il ponte sul Sarca, uno degli obiettivi dell’artiglieria italiana 74 . I profughi rientrati cercarono di arrangiarsi in tutti i modi possibili: furono recuperati tutti i materiali abbandonati dall’esercito imperiale e riutilizzati per costruire case, utensili da lavoro, vestiti, ecc. Molte persone si dedicarono alla raccolta dei metalli: era molto ambito l’ottone dei bossoli, il rame dei proietti di artiglieria, l’acciaio dei paletti. L’esplosivo, ottenuto soprattutto disinnescando i proietti inesplosi, era il materiale più remunerativo e veniva venduto alle cave di pietra o ai cantieri delle gallerie 75 . Fu proprio l’azione dei recuperanti a portare al pesante smantellamento delle opere di guerra, per il recupero di putrelle, armature e lamiere in ferro 76 . Molti soldati trentini, al loro rientro, nei primi mesi dopo l’armistizio del 3 novembre, furono internati come prigionieri di guerra dalle autorità militari italiane. Il più grande campo di concentramento contumaciale della regione era a Trento e, dopo l’armistizio, fu utilizzato dall’esercito italiano per concentrarvi i prigionieri austro-ungarici. Qui furono detenuti anche i prigionieri di guerra trentini che, avendo

71 M. Garbari, Esodo volontario e coatto dei Trentini durante la I Guerra Mondiale , In: S. Benvenuti (a cura di), La prima guerra mondiale e il Trentino , Convegno Internazionale promosso dal Comprensorio della , Rovereto 25 – 29 giugno 1978, Arti Grafiche Sergio Longo, Rovereto (TN), 1980, pag. 575 72 A. Miorelli, Irregolarità, ruberie e scandali nell’opera di ricostruzione , In: «La Giurisdizione di Penede», n. 27, dicembre 2006, pag. 19 73 Giovanni Maroni (cambierà il suo nome in Giancarlo per evitare un’omonimia) nacque ad Arco il 1893 e frequentò la scuola civica di Riva del Garda assieme al fratello Riccardo. A Milano si iscrisse alla Scuola d’Arte e poi, all’Accademia di Brera, frequentò la Scuola Speciale di Architettura. All’ingresso in guerra dell’Italia entrambi i fratelli si arruolarono nel Regio Esercito Italiano, Giancarlo Maroni fu volontario negli alpini e venne insignito della medaglia d’argento. Nel primo dopoguerra, rientrato a Riva, aprì uno studio tecnico artistico avviando un’intensa opera di ricostruzione della città danneggiata dal conflitto, non senza ricevere qualche critica tra cui quelle dell’architetto Giorgio Wenter Marini (Rovereto 1890 – Venezia 1973) che considerava i suoi restauri lontani dalle caratteristiche ambientali locali. Egli lavorò al Palazzo dei Provveditori, alla canonica arcipretale, al giardino d’infanzia, all’Hotel Sole, alla centrale elettrica, ai bagni di Riva, al campo sportivo, nonché a numerose abitazioni private; sotto la sua direzione venne demolita la chiesa di San Rocco danneggiata delle bombe e fu allargata la piazza omonima. Maroni fu inoltre membro della Commissione del Piano Regolatore dal 1920 al 1924 che si occupò della pianificazione edilizia del centro storico rivano. Divenne famoso soprattutto per essere stato il progettista del Vittoriale di D’Annunzio, impresa che proseguì fino alla morte, avvenuta a Riva del Garda il 1952. F. Irace (a cura di), L’architetto del lago. Giancarlo Maroni e il Garda , Museo Civico di Riva del Garda, Electa, Milano, 1993 74 G. Giovanazzi, Memoria di Arco… cit., pagg. 14 e 24 75 D. Brigà, I Recuperanti in val di Ledro, In: «I Quattro Vicariati», anno 33, n. 65, gennaio 1989, pagg. 161-8 76 BRIGÀ D., I Recuperanti in val di Ledro , In: «I Quattro Vicariati», anno 33, n. 65, gennaio 1989, pp. 162-168. combattuto nelle fila dell’esercito austro-ungarico, erano considerati nemici. Anche l’Alto Garda aveva un suo campo di concentramento a Torbole, di cui però abbiamo poche notizie. Il campo di prigionia era situato più o meno a metà di via Strada Granda, l’Archivio Storico di Riva del Garda conserva ancora gli elenchi dei prigionieri; anche qui furono internati prigionieri trentini originari dell’Alto Garda fin dal dicembre 1918, tuttavia in questo campo il regime di detenzione non era molto duro e spesso venivano concesse delle licenze per poter aiutare le famiglie nel lavoro dei campi 77 . Il campo di prigionia di Torbole venne utilizzato, inoltre, come punto di smistamento per il transito di numerosi contingenti di prigionieri austro-ungarici catturati in Trentino nel novembre 1918 78 . Le vicende dei prigionieri dell’Alto Garda si incrociano con la figura di Emilio Parolari 79 , di Chiarano di Arco, nato il 6 maggio 1892. Egli fu legionario trentino, nonché membro del Comitato Centrale di Patronato dei Fuoriusciti Adriatici e Trentini. Nel 1914, richiamato dall’esercito austro-ungarico, non si presentò al distretto di arruolamento e fuggì clandestinamente a Milano, dove nel maggio 1915 si arruolò come volontario nell’esercito italiano. Combatté sul monte Nero dove fu ferito, nel gennaio del 1916 fu nominato aspirante ufficiale e terminò la guerra come tenente. Tornato in Trentino nel dicembre del 1918, scoprì che il fratello Ernesto era prigioniero in Italia a Castellamare Adriatico (Pescara) e si attivò presso il Ministero della Guerra a Roma per far rilasciare i prigionieri di guerra originari del Basso Sarca e delle valli Giudicarie. Nel gennaio del 1919 gli venne concesso dalla Commissione per i prigionieri di guerra un documento per recarsi nei campi di concentramento di Luserna San Giovanni (Torino), Alessandria, San Damiano d’Asti, Urbania, Castellamare Adriatico, Isernia (Campobasso) e Servigliano. Questo documento lo autorizzava ad ottenere l’immediata liberazione dei prigionieri di nazionalità italiana: per il distretto di Riva, riuscì a far rientrare dai campi di concentramento italiani, ben 86 prigionieri 80 .

77 L. Tavernini, I prigionieri austro-ungarici nei campi di concentramento italiani. 1915-1920 , In: Annali, Museo Storico Italiano della Guerra, n. 9/10/11, 2001-2003, Edizioni Osiride, Rovereto, 2004 78 P. Pozzato, I vinti di Vittorio Veneto e la loro memoria , In: L. Cadeddu e P. Pozzato (a cura di), La Battaglia di Vittorio Veneto. Gli aspetti militari , Atti del Convegno, Vittorio Veneto 12-13 novembre 2004, Gaspari Editori, Udine, 2004, pag. 184-214 79 G. Parolari, Dall’interventismo all’antifascismo nel Trentino, 1914 - 1943 , Manfrini Editore, Calliano (Trento), 1985 80 G. Parolari, Dall’interventismo all’antifascismo nel Trentino… cit., elenco nominativo dei prigionieri di guerra trentini del distretto di Riva, pag. 230-1 BIBLIOGRAFIA

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