Corso di Laurea Magistrale in Marketing e Comunicazione

Tesi di Laurea

Rebranding e riposizionamento: il caso Lotto Sport

Relatore Ch. Prof. Tiziano Vescovi

Correlatore Ch. Prof. Claudio Giachetti

Laureando Dario Bertolo Matricola 847716

Anno accademico 2018/2019

INDICE

RINGRAZIAMENTI pag. 3

INTRODUZIONE pag. 4

CAPITOLO 1 - GESTIONE DEL BRAND: CONCETTI E STRATEGIE 1.1 Nozioni fondamentali 1.1.1 Il concetto di marca pag. 6 1.1.2 Brand identity pag. 8 1.1.3 Brand knowledge: brand awareness e brand image pag. 13 1.1.4 Brand reputation pag. 19 1.1.5 Brand equity pag. 22 1.2 Strategie di marca 1.2.1 Il posizionamento pag. 26 1.2.2 Brand portfolio pag. 29 1.2.3 Brand architecture pag. 32 1.2.4 Brand extension pag. 36 1.2.5 Co-branding pag. 38

CAPITOLO 2: IL REBRANDING 2.1 Gli aspetti teorici del rebranding 2.1.1 Definizione di rebranding pag. 42 2.1.2 Il rebranding come continuum pag. 44 2.1.3 I livelli gerarchici del rebranding pag. 46 2.1.4 Teoria e principi del rebranding pag. 47 2.1.5 Contraddizioni e incoerenze del rebranding pag. 51 2.2 Il processo di rebranding 2.2.1 Motivazioni e driver principali pag. 52 2.2.2 Rebranding mix pag. 55 2.2.3 Il modello Muzellec-Lambkin: un punto di partenza pag. 56 2.2.4 Il modello Daly-Moloney: l’importanza della comunicazione pag. 58 2.2.5 Il modello Miller-Merrilees: fattori abilitanti e ostativi pag. 61 2.2.6 Le insidie del rebranding pag. 67

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2.3 Strategie di rebranding 2.3.1 Tipi di cambiamento pag. 69 2.3.2 Sei opzioni strategiche pag. 71

CAPITOLO 3 - IL CASO LOTTO SPORT ITALIA 3.1 L’azienda 3.1.1 Storia e attività pag. 74 3.1.2 Informazioni e dati sull’azienda pag. 77 3.2 Il mercato dello 3.2.1 Analisi del contesto e principali trend pag. 78 3.2.2 L’analisi della concorrenza pag. 80 3.3 Il rebranding di Lotto Sport 3.3.1 Raccolta di informazioni e analisi pag. 83 3.3.2 Le prime considerazioni pag. 85 3.3.3 Archeologia del brand pag. 88 3.3.4 Il riposizionamento: lo sport edonistico pag. 89 3.3.5 Le novità del rebranding: Life’s, brand architecture e pay off pag. 93 3.3.6 Il coinvolgimento degli stakeholders interni ed esterni pag. 95 3.3.7 Gli sviluppi della strategia pag. 97 3.3.8 I brand di Lotto: valori, ruoli strategici, mission e loghi pag. 98

CONCLUSIONI pag. 102

BIBLIOGRAFIA pag. 105

SITOGRAFIA pag. 108

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RINGRAZIAMENTI

Giunto ormai alla conclusione del mio percorso di studi universitari, colgo l’occasione per ringraziare chi, da sempre o in questi anni, mi ha accompagnato e mi ha permesso di raggiungere questo importantissimo traguardo.

Il mio ringraziamento più grande va ai miei genitori e a mia sorella, che da sempre mi hanno sostenuto e appoggiato in qualsiasi mia decisione senza mai ostacolarmi. A volte non mi rendo conto di quanto sono fortunato ad avere una famiglia così forte e unita, le opportunità che mi avete concesso sono frutto del vostro amorevole e instancabile sostegno. Senza il vostro incoraggiamento e la vostra pazienza non sarei dove mi trovo oggi, per cui ancora una volta vi ringrazio con tutto il mio cuore. Vi voglio bene.

Desidero ringraziare vivamente Lotto Sport Italia per l’opportunità che mi è stata concessa di svolgere un tirocinio che è andato ben oltre le mie aspettative. Nello specifico, ringrazio il personale dell’ufficio Marketing e Comunicazione per la cordialità con cui sono stato accolto e per l’atmosfera serena che ha accompagnato la durata del mio tirocinio. In particolar modo ringrazio due persone per cui nutro una gran stima e che reputo come dei punti di riferimento durante questo mio percorso: Corinne Babuel, PR manager e mia tutor aziendale, e Stefano Taboga, direttore dell’ufficio Marketing e Comunicazione.

Inoltre, ringrazio fortemente Luca Roselli, consulente strategico di brand management e innovazione, per la disponibilità e la gentilezza dimostrata nel fornirmi materiale fondamentale riguardante l’intero processo di rebranding di Lotto Sport.

Ringrazio il mio relatore, il professore Tiziano Vescovi, per i consigli e per la disponibilità dimostrata nello sviluppo del seguente elaborato.

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INTRODUZIONE

Il rebranding è una pratica a cui le varie imprese non possono sottrarsi, è un atto radicale di cambiamento che interessa tutti i settori di mercato. Questa strategia esprime la natura dinamica del brand, spesso costretto a rinnovarsi per seguire le richieste di contesti competitivi in continua evoluzione. L'elaborato ha come obiettivo individuare le tematiche che ruotano attorno al rebranding per poi presentare ed analizzare la strategia di rebranding aziendale di Lotto Sport che ha portato ad un riposizionamento nel mercato sempre più competitivo dello sportswear.

La tesi è sviluppata in tre capitoli ed una parte conclusiva. Per potere analizzare il tema del rebranding è necessario prima contestualizzare ciò che l’impresa mette in atto dal principio, ovvero il branding. Per questo motivo il primo capitolo mira a identificare i concetti chiave e le strategie che caratterizzano il processo di branding attuato dalle imprese. La prima parte si sofferma sulla marca in tutti i suoi aspetti principali, dal concetto di base all’analisi delle tre componenti principali (brand identity, brand knowledge e brand reputation) che danno vita a al patrimonio della marca, meglio conosciuto come brand equity. Dato che il reale significato del brand il più delle volte risiede nella mente dei consumatori, la seconda parte del capitolo analizza le strategie con cui le imprese cercano di valorizzare la marca attraverso una serie di attività su cui si basa la gestione del brand: posizionamento, brand portfolio, brand architecture, brand extension e co-branding.

Il secondo capitolo offre un’analisi molto approfondita sulla letteratura riguardante il rebranding e si suddivide in tre parti: la prima parte tratta degli aspetti teorici del rebranding, partendo dalla definizione fino ai principi individuati da esperti del settore, passando per l’intensità dei cambiamenti, che può contraddistinguere la strategia in evolutiva o rivoluzionaria, e per i livelli della gerarchia aziendale in cui si verifica (corporate, business unit e product). La seconda parte si addentra nel processo di rebranding analizzando in primis le motivazioni per cui le imprese decidono di intraprendere questa strategia, successivamente vengono presi in considerazione i quattro elementi che compongono il rebranding mix e che rappresentano il processo. Di seguito, l’analisi della letteratura si concentra su tre modelli fondamentali di processo di rebranding basati sullo studio di vari casi aziendali: il modello Muzellec-Lambkin, un primo approccio significativo verso la comprensione in materia; il modello Daly-Moloney,

4 il quale sottolinea l’importanza della comunicazione interna ed esterna; il modello Miller- Merrilees, il più completo in letteratura. Per finire, sono descritti i rischi che si possono incontrare commettendo errori durante le campagne di rebranding.

Il terzo e ultimo capitolo tratta il caso di rebranding aziendale di Lotto Sport, azienda italiana leader nelle calzature e l’abbigliamento per lo sport e il tempo libero. Dopo aver introdotto l’azienda con le informazioni riguardanti storia, attività e dati generali, si passa ad una contestualizzazione del mercato dello sportswear individuando i principali trend e la situazione competitiva grazie al modelle delle cinque forze di Porter. La parte finale del capitolo, nonché la più rilevante, descrive l’intero processo di rebranding messo in atto dall’azienda durato più di due anni, il quale ha portato al riposizionamento sul mercato grazie all’introduzione di un nuovo brand e la conseguente nuova brand architecture.

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CAPITOLO 1 - GESTIONE DEL BRAND: CONCETTI E STRATEGIE

1.1 Nozioni fondamentali

Il ciclo di vita di un brand è essenzialmente composto da quattro fasi: nascita, sviluppo, maturità e declino. Nel corso delle prime tre fasi, un’impresa si propone di attuare un meticoloso processo di branding mirato alla creazione del brand e alla sua gestione nel tempo per riuscire a differenziarsi dalla concorrenza. Risulta opportuno comprendere cosa si intende per brand o marca e quali sono gli elementi che contraddistinguono questo aspetto, in quanto i cambiamenti di questi aspetti sono alla base della strategia di rebranding che talvolta si intraprende per rilanciare il brand in fase di declino.

1.1.1 Il concetto di marca

L’etimologia della parola inglese “brand” e di quella italiana “marca” rimanda al concetto di “fuoco” e di “marchiare a fuoco”, in entrambi i casi. Nell’alto tedesco antico e nell’inglese antico il termine “brand” stava per “fuoco”, “fiamma” o “bruciare” e ha poi acquisito il significato di “marchiare con un ferro bollente, lasciando un segno”, proprio come si faceva con gli animali di allevamento per identificare il proprietario in caso di furto. Lo stesso vale per la parola “marca”, proveniente dal germanico “marka” o “segno”. Il concetto indica quindi l’azione di contrassegnare, distinguere, rendere facilmente identificabile qualcosa1. Infatti, inizialmente la marca era semplicemente un segno, ma col passare del tempo sono emerse delle nuove definizione a riguardo. Una delle prime è quella proposta dall’American Marketing Association: “la marca è un nome, termine, disegno, simbolo o qualsiasi segno che identifichi il bene o servizio di un venditore e aiuti a distinguerlo da quello di altri venditori”. Successivamente, vari esperti di marketing hanno dato il loro contributo in questo ambito grazie a nuove definizioni di brand che, partendo dalla marca come segno, articolano i contenuti tra tangibili e intangibili2:

• “Il brand è la somma intangibile delle caratteristiche di un prodotto” (David Ogilvy)

1 https://www.insidemarketing.it/glossario-marketing-comunicazione/brand/ 2 http://www.socialcomitalia.com/che-cose-un-brand-guida/ 6

• “La marca corrisponde all’identità di uno specifico prodotto, servizio o business” (David Aaker) • “Se un prodotto offre una determinata efficacia, la marca aggiunge ulteriore valore” (Jean-Noël Kapferer) • “Il brand è una promessa. Attraverso l’identificazione e l’autenticazione di un prodotto/servizio, il brand si impegna solennemente a fornire determinati standard di soddisfazione e qualità” (Walter Landor) • “Il brand è l’insieme di percezioni nella mente dei consumatori” (Colin Bates) • “Un brand non è più ciò che l’azienda comunica al cliente. È ciò che i clienti comunicano tra loro” (Scott Cook) • “Fare delle promesse e mantenerle è un’ottima strada da percorrere verso la costruzione di un brand” (Seth Godin)

La marca oggi rimane un concetto molto complesso ed astratto, e rappresenta per qualsiasi impresa una risorsa immateriale avente una doppia funzione: da una parte è una fonte di vantaggio competitivo nei confronti dei competitor, dall’altra trasmette valore ai consumatori.

La concezione di marca cambia in base alla prospettiva del soggetto3: nella prospettiva del consumatore, la marca è un insieme di segni ai quali sono associati dei significati che si rafforzano attraverso l’esperienza maturata nel tempo, ed acquista valore in quanto utile nei processi di valutazione, scelta e consumo. Nella prospettiva dell’impresa, invece, lo sviluppo del valore della marca è perseguibile mediante una accurata progettazione e gestione delle componenti (identificativa, valutativa e fiduciaria) che ne definiscono la struttura. Queste tre componenti che costituiscono la struttura della marca, sono strettamente connesse tra loro4:

1. La componente identificativa coinvolge l’insieme degli elementi che hanno il compito di identificare e distinguere il brand rispetto alla concorrenza, come ad esempio nome, logo, slogan ecc. Questa componente è direttamente legata al costrutto di brand identity.

3 DE ANGELIS M., Il brand nei settori dei carburanti. Dalla mente al cuore: creazione, sviluppo e gestione del brand di successo, Verona, 2016. 4 PASTORE A., VERNUCCIO M., Impresa e comunicazione, Apogeo, Milano, 2008. 7

2. La componente valutativa svolge un ruolo prettamente comunicativo nei confronti del consumatore, attiene alle percezioni e associazioni mentali che il consumatore annette alla marca, ed è riconducibile ai concetti di brand image e brand awareness. 3. La componente fiduciaria, la cosiddetta brand reputation, riguarda un insieme di valori che si costituiscono nel lungo periodo come fiducia e reputazione. Dato che il brand nel tempo ha soddisfatto le attese del consumatore, si è consolidato nella sua mente un giudizio positivo in termini di credibilità e affidabilità (brand trust).

Nei prossimi paragrafi verranno analizzate queste componenti nel dettaglio per comprendere come interagiscono tra di loro dando vita alla brand equity, ovvero il patrimonio della marca.

1.1.2 Brand identity

L’identità aziendale è una combinazione unica di elementi di riconoscimento del brand che l’azienda cerca di costruire e mantenere nel tempo, con l’obiettivo di agevolare il consumatore nell’identificare il brand e distinguerlo da un’offerta alternativa. In sostanza, la brand identity è come l’azienda vuole essere percepita dal proprio target e riflette l’orientamento e gli obiettivi dell’azienda, oltre che la personalità e i valori della marca.

Il francese Jean-Noël Kapferer, uno dei massimi esperti di branding, nel suo elaborato The new strategic brand management formulò il brand identity prism, illustrato in Exhibit 1.1 di seguito, con il quale identifica i sei elementi principali che costituiscono la brand identity. Questi elementi sono divisi orizzontalmente in base a quello che comunica l’emittente e quello che riceve il destinatario e verticalmente in esterni, ovvero quegli attributi che sono ben visibili, ed interni, ovvero quegli attributi che non vengono percepiti al primo impatto ma che possono essere assimilati nel tempo.

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Exhibit 1.1: Brand identity prism5

Le sei dimensioni individuate da Kapferer nel prisma sono6:

• Aspetti fisici → sono le caratteristiche fisiche base presenti nei prodotti o servizi del brand che consentono i consumatori di separare il brand dal resto dell’offerta. Sono quindi compresi nome, logo, design, colori, packaging. Come spiega l’esperto si tratta di “una combinazione di caratteristiche oggettive e salienti che vengono immediatamente in mente quando un brand viene menzionato in un sondaggio”. Un esempio può essere la mela di Apple, oppure il baffo di Nike; se si pensa alla Coca Cola, invece, ci si ricollega al font in corsivo o al packaging della bottiglia. • Personalità → attraverso la comunicazione e i vari sforzi di marketing il brand sviluppa una propria personalità. È il modo in cui l’azienda presenta i propri prodotti o servizi al pubblico, il tono di voce che rivela come sarebbe l’azienda se fosse un essere umano. La personalità, dunque, riguarda lo stile di scrittura, di design e di voce utilizzato. L’utilizzo di testimonial famosi da parte delle aziende è un modo per dare una personalità forte e mirata alle marche ed ottenere endorsement, come ad esempio George Clooney per Nespresso. • Cultura → riguarda tutti i valori e i principi su cui si fonda la marca, è necessario un profondo legame di coerenza tra la cultura del brand e la sua organizzazione. Spesso gli elementi chiave della cultura della marca sono profondamente radicati

5 https://www.insidemarketing.it/glossario-marketing-comunicazione/brand-identity/ 6 KAPFERER J.N., The new strategic brand management, Kogan Page, Londra, 2008. 9

nella cultura del luogo geografico di nascita del brand. Il country of origin, dunque, è un aspetto importante per la brand culture, e può essere visto sia su scala nazionale sia su specifiche regioni o città. Inoltre, associare il brand ad una specifica area geografica può creare un forte legame emotivo con le persone. • Relazione → rapporto necessario con i clienti per trasmettere i valori dell’azienda. Lo sviluppo di un brand passa dalle relazioni che si creano con i consumatori. Quando questi si sentono effettivamente associati al brand in maniera più significativa rispetto al semplice acquisto, è più probabile che ripetano l’acquisto più volte. Instaurare relazioni con i clienti potrebbe non essere un processo veloce ma è sicuramente un modo significativo per costruire un brand duraturo nel tempo. • Immagine riflessa → “il brand è il riflesso dei clienti” spiega Kapferer. Il brand, quindi, dovrebbe rispecchiare la personalità e l’identità del mercato di riferimento. Se i consumatori si sentiranno in sintonia con la cultura e l’identità espresse, saranno connessi al brand. • Auto-immagine → questo corrisponde alla percezione e all’immagine che i consumatori hanno di sé stessi quando utilizzano il prodotto o servizio. L’immagine che ha il brand ha nel mondo e ciò che comunica va a pari passo con il miglioramento di immagine degli acquirenti. Questo concetto è spesso visto, ad esempio, nel mercato delle auto di lusso.

Il brand identity prism consente ai brand managers di valutare forze e debolezze del brand, di creare brand loyalty e quindi di aumentare il valore finanziario. Dal punto di vista organizzativo è uno strumento in parte rigido ed in parte flessibile: è rigido nel salvaguardare i valori fondamentali del marchio, ma allo stesso tempo lascia spazio per adattarsi ai cambiamenti delle comunicazioni del brand in base alle transizioni di mercato o di prodotto. Inoltre, fornisce informazioni utili per preservare la coerenza della comunicazione sulle varie piattaforme, per determinare gli attributi di prodotto per nuove brand extension e anche per le strategie di comunicazione nel periodo di lancio di prodotti o servizi in nuove aree geografiche7.

7 PONNAM A., Comprehending the Strategic Brand Building Framework of Kingfisher in the Context of Brand Identity Prism, ICFAI Journal of Brand Management, Vol. 4, 2007. 10

Per riuscire a gestire tutti i concetti legati alla brand identity è necessario individuare i vari livelli su cui essa è strutturata. Un sistema di pianificazione chiamato “brand identity system” è stato ideato dagli esperti David Aaker ed Erich Joachimsthaler nel libro Brand leadership; questo modello è composto da vari passaggi necessari al fine di costruire la propria brand identity:

1. Individuare i livelli su cui si struttura la brand identity. In Exhibit 1.2 sotto, l’identità di marca viene descritta attraverso tre cerchi concentrici8: ▪ Brand essence → l’essenza della marca è l’anima del brand e, dato che è il valore più importante associato all’impresa, è rappresentato nel cerchio più interno del sistema. È un elemento emotivo legato al sentimento evocato al pubblico quando sente nominare il brand. Infatti, esprime la promessa fatta ai consumatori e riflette ciò che la marca vuole rappresentare nel mercato. Combina gli attributi e i vantaggi del brand separandolo così dalla concorrenza. Dovrebbe essere coerente e continuo nel tempo, e rilevante in tutti i mercati e per tutti i prodotti. ▪ Core identity → l’identità centrale è rappresentata dal cerchio intermedio e contiene i principali elementi identitari, che probabilmente rimarranno costanti nel tempo, i quali rendono il brand sostenibile, unico e prezioso. Questi elementi riflettono mission e strategia dell’impresa, e rimangono immutati anche nel caso in cui la marca decidesse di entrare in nuovi mercati o lanciare nuovi prodotti. ▪ Extended identity → l’identità allargata svolge un ruolo di completezza in quanto ingloba gli elementi che non fanno parte della core identity ma che comunque la marca si propone di tramettere. A differenza dei punti precedenti, questi elementi possono cambiare nel tempo e riguardare solo determinati prodotti o servizi.

8 AAKER D.A., JOACHIMSTHALER E., Brand leadership, The Free Press, New York, 2000. 11

Exhibit 1.2: Brand identity system9

2. Identificare i concetti che si associano alla marca. In questo modo i responsabili cercano di assicurarsi che la brand identity abbia consistenza e profondità. Come si può vedere sempre dall’Exhibit 1.2 sopra, le associazioni di marca individuate sono quattro: ▪ Marca come prodotto → questa prospettiva è fondamentale in quanto è fortemente legata alle decisioni aziendali e all’esperienza d’uso del prodotto/servizio. Infatti, in questa prospettiva si fa riferimento allo scopo e agli attributi del prodotto, al rapporto qualità/valore, alle modalità e occasioni d’uso, al gruppo di utilizzatori e al paese di origine della produzione. ▪ Marca come organizzazione → riguarda gli attributi dell’organizzazione, come innovazione, consumatore, interesse e affidabilità, nonché la differenziazione tra locale e globale. Questi attributi devono essere duraturi e resistenti alle richieste competitive, contribuiscono alla proposta di valore del brand dato che possono comportare benefici emotivi e auto-espressivi basati su ammirazione, rispetto e apprezzamento. ▪ Marca come persona → questa dimensione si esprime attraverso attributi di personalità rilevanti e applicabili alla marca, i quali sono simili a quelli del carattere una persona. Si può dunque parlare a tutti gli effetti di brand personality, ovvero il carattere del brand e come si pone al pubblico in termini di stile e tono di voce. Queste caratteristiche fanno riferimento, ad esempio, ad

9 https://www.van-haaften.nl/branding/corporate-branding/117-brand-identity 12

una marca genuina, energica ecc., e alle relazioni formali o informali che si instaurano con i clienti. ▪ Marca come simbolo → l’ultima prospettiva include le immagini visive, metafore e la brand heritage. Riflette la visual identity del brand, ossia l’insieme coordinato delle forme di comunicazioni sensoriali del brand che possono includere logo, colori, melodie, payoff. Gli elementi citati lo rendono riconoscibile e più facile da ricordare. La storia dell’impresa, la sua longevità e reputazione rafforzano questo concetto.

3. La proposta di valore della marca creata dalla brand identity, ovvero la promessa ai consumatori che include, oltre alle caratteristiche funzionali del prodotto/servizio, i benefici emozionali ed espressivi. Questi benefici riguardano la sensazione che provano i consumatori durante il processo d’acquisto o l’utilizzo del bene e danno la possibilità ai clienti di esprimere una particolare immagine di sé, aggiungendo così ricchezza e profondità nell’utilizzo del brand.

4. Il “relationship construct”, ossia il tipo di rapporto la marca vuole instaurare con il cliente. Creare una relazione con i clienti deve essere uno degli obiettivi del brand, meglio ancora se di tipo personale. Un esempio è Saturn, catena di magazzini tedesca di oggetti elettronici, che ha una relazione basata sul trattare intelligentemente i clienti come amici.

Lo sviluppo della brand identity coinvolge molti aspetti dell’impresa, per questo risulta essere un processo complesso e strategico. Risulta necessario definire gli obiettivi aziendali, tra cui quelli riguardanti la comunicazione, e quindi identificare il posizionamento del brand nel mercato per stabilire la tipologia e la personalità del messaggio al pubblico di riferimento. In questo modo l’azienda potrà conquistare un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti.

1.1.3 Brand knowledge: brand awareness e brand image

La brand knowledge si riferisce a tutti i pensieri, i sentimenti, le immagini, le esperienze e le convinzioni che vengono associate ad un brand. Il professore ed esperto di marketing

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Kevin Lane Keller nel suo saggio Conceptualizing, Measuring, and Managing Customer- Based Brand Equity descrive il modello CBBE (customer-based brand equity) in cui spiega che la conoscenza di marca esercita sulla risposta del consumatore un effetto differenziale: questo effetto è positivo se i consumatori reagiscono in maniera favorevole quando identificano il brand rispetto a quando non lo conoscono, viceversa è negativo se l’attività di marketing di un brand determina nei consumatori una reazione meno favorevole rispetto a quella di un medesimo prodotto anonimo o con un nome fittizio. Ad esempio, la sensazione che dà un vestito semplicemente in virtù della marca10.

La brand knowledge, come si può vedere in Exhibit 1.3, è concettualizzata attraverso due dimensioni: brand awareness e brand image.

Exhibit 1.3: Dimensions of Brand Knowledge11

La brand awareness o consapevolezza della marca rappresenta la notorietà del brand, il grado di conoscenza che il pubblico della marca stessa. Può essere definita come il punto di forza della marca dell’impresa e al tempo stesso una traccia nella memoria dei consumatori intesa come probabilità e facilità con cui brand viene ricordato dal consumatore, quindi legata al suo essere famoso e riconoscibile nella mente degli utenti. Come spiegato nell’Exhibit 1.3 sopra, la brand awareness è a sua volta spiegata attraverso due dimensioni: da una parte la brand recall consiste nella capacità dei consumatori di

10 KELLER K.L., BUSACCA B., OSTILLIO M.C., La gestione del brand. Strategie e sviluppo, Egea, Milano 2005. 11 KELLER K.L., Conceptualizing, Measuring, and Managing Customer-Based Brand Equity, Journal of Marketing, Vol. 57, No. 1, Jan., pp. 1, 1993. 14 fare riferimento alla marca quando dispongono di un indizio rilevante, come la categoria di appartenenza o i bisogni che quella categoria di prodotti soddisfa, oppure una situazione di acquisto o utilizzo del prodotto. Dall’altra parte la brand recognition si riferisce alla capacità dei consumatori di riconoscere un brand dopo essere stati sottoposti ad uno stimolo verbale o visivo come il payoff, il logo ecc.

L’importanza di questi due fattori dipende molto dalla misura in cui i consumatori prendono decisioni nel luogo d’acquisto del prodotto/servizio, dove potrebbero essere potenzialmente esposti al brand, rispetto all’esterno.

La brand awareness gioca un ruolo importante nel processo decisionale dei consumatori per tre motivi principali. Il primo riguarda l’importanza del fatto che i consumatori pensino al brand quando pensano alla categoria di prodotto. Aumentare la brand awareness aumenta la probabilità che la marca faccia parte del gruppo di brand che vengono presi in considerazione per l'acquisto. Il secondo motivo è che la brand awareness può influenzare le decisioni nel gruppo di brand presi in considerazione anche se sostanzialmente non ci sono altre associazioni di marca. Nelle impostazioni decisionali a basso coinvolgimento, un livello minimo di brand awareness può essere sufficiente per la scelta del prodotto. Secondo l’elaborato The Elaboration Likelihood Model of Persuasion degli psicologi Richard Petty e John Cacioppo, i consumatori possono basare le scelte sulle considerazioni sulla brand awareness quando hanno un basso coinvolgimento. Questo potrebbe derivare da una mancanza di motivazione dei consumatori (non si preoccupano del prodotto/servizio) o una mancanza di capacità dei consumatori (non sanno nulla degli altri brand). Infine, il terzo motivo concerne l’influenza della brand awareness sulla formazione e sula forza delle associazioni di marca nella brand image. Una condizione necessaria per la creazione di un'immagine di marca è stabilire un nodo riguardante il brand nella memoria del consumatore, e la natura di tale nodo dovrebbe facilitare il ricordo delle informazioni associate alla marca.

Per capire quanto un brand sia presente nella mente dei consumatori, lo studioso americano David Aaker ha sviluppato la cosiddetta “Awareness Pyramid” che comprende quattro livelli di notorietà del brand necessari per individuare la considerazione che hanno gli utenti della marca.

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Exhibit 1.4: Awareness Pyramid12

I livelli presi in questione, partendo dalla base, sono:

• Unaware of a brand → assenza di conoscenza del brand, i consumatori non hanno idea dell’esistenza del brand nemmeno su sollecitazione. • Brand recognition → conoscenza superficiale del brand ma ancora non sufficiente per avere un impatto importante sul mercato. È una fase iniziale in cui il brand comincia a farsi conoscere, gli utenti riconosco la marca grazie a delle sollecitazioni. • Brand recall → conoscenza abbastanza forte del brand, i clienti ricordano spontaneamente una marca senza bisogno di aiuti, soprattutto in situazioni di bisogno o in una determinata categoria di beni/servizi che rientrano nell’ambito del brand. • Top of mind → il brand è il primo che viene in mente ai consumatori per un determinato bene/servizio.

È possibile misurare la brand awareness e comprendere in che posizione un brand si trova nella piramide di Aaker in vari modi: i primi dati sono ottenuti sulla base della comunicazione, con questionari mirati ed osservazioni sul campo. Risultano essere di grande aiuto gli strumenti online come Google Analytics, che mette a disposizione tutte le informazioni necessarie sul traffico ricevuto dal sito web della marca con dettagli precisi sulla frequenza di rimbalzo, sul numero di visite, di conversioni, le sorgenti di traffico ecc13. Da tenere in considerazione anche gli insights dei vari canali social che contengono

12 https://blog.mcgroup.it/brand-awareness-significato-e-importanza 13 https://it.semrush.com/blog/brand-awareness-cosa-e-come-aumentarla/ 16 informazioni utili a conoscere il comportamento, gli interessi e le caratteristiche degli utenti all’interno delle pagine social del brand.

La brand image è definita come la percezione della marca riflessa dalle associazioni presenti nella mente dei consumatori. Queste associazioni di marca sono dei nodi informativi collegati al nodo principale del brand in memoria e contengono il significato del brand per i consumatori. Come descritto dal Exhibit 1.3 sopra, queste associazioni si presentano in diverse tipologie che possono essere presenti nella mente degli utenti, e si possono fare diverse distinzioni aggiuntive in base alla natura qualitativa dell’associazione:

• Attributi → caratteristiche descrittive che contraddistinguono un prodotto o servizio, ciò che un cliente pensa che il prodotto/servizio sia o abbia e che cosa implichi nel suo acquisto o consumo. Questi si distinguono a loro volta in base a quanto siano direttamente correlati alle prestazioni: gli attributi legati al prodotto sono definiti come gli ingredienti necessari per il funzionamento richiesto dai consumatori, pertanto si riferiscono alla composizione fisica di un prodotto o ai requisiti di un servizio. Gli attributi non relativi al prodotto, invece, si riferiscono ad aspetti esterni all’utilizzo in sé del prodotto e nello specifico i principali sono prezzo, packaging e immagini di chi usa il prodotto/servizio e in che situazione. • Benefici → valore personale che i consumatori danno agli attributi, ovvero ciò che ritengono il prodotto/servizio possa fare per loro. Possono essere suddivisi in tre categorie: funzionali, esperienziali e simbolici. I benefici funzionali sono i vantaggi più intrinseci del consumo e solitamente riguardano gli attributi legati al prodotto che coinvolgono il desiderio di rimuovere o evitare problemi, che quindi si rifanno a bisogni fisiologici e di sicurezza. I benefici esperienziali si riferiscono alla sensazione che si prova nell’utilizzare il bene o servizio e quindi soddisfano bisogni esperienziali come piacere sensoriale, varietà e stimolazione cognitiva, infatti generalmente corrispondono agli attributi relativi al prodotto. I benefici simbolici sono vantaggi più estrinseci del consumo di prodotti o servizi e si collegano agli attributi non relativi al prodotto, si riferiscono alla necessità di approvazione sociale e della libertà di espressione quindi i consumatori valutano il prestigio, l’esclusività o quanto un brand è alla moda per capire in che modo si relaziona con sé stessi.

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• Atteggiamenti → valutazioni generali dei consumatori sul brand, sono importanti perché costituiscono la base del comportamento del consumatore, è un tipo di associazione del brand piuttosto astratta. Possono essere correlati agli attributi relativi al prodotto e ai benefici funzionali e simbolici in linea con il lavoro sulla qualità percepita, oppure possono anche essere collegati agli attributi non relativi al prodotto e ai benefici simbolici in quanto danno la possibilità agli individui di esprimere il proprio modo di essere.

Oltre ai diversi tipi di associazione, Keller descrive anche le diverse dimensioni che caratterizzano queste associazioni di marca: preferenza, forza e unicità. Queste contraddistinguono la brand knowledge, la quale svolge un ruolo importante la risposta differenziale che costituisce la brand equity, specialmente nelle decisioni ad alto coinvolgimento.

• Preferenza → le associazioni si differenziano in base al modo in cui vengono favorevolmente valutate. Un programma di marketing di successo si riflette nella creazione di associazioni favorevoli al brand, vale a dire che i consumatori ritengono che il brand abbia attributi e benefici che soddisfano le loro esigenze, in modo tale da formare un atteggiamento positivo generale verso il brand. Per rendere le associazioni desiderabili occorre che abbiano importanza, credibilità e distinzione. • Forza → le associazioni possono essere caratterizzate dalla forza della connessione relativa al nodo del brand presente nella mente dei consumatori. Questa forza dipende dal processo di codifica e archiviazione, quindi da come l’informazione entra nella memoria del consumatore e da come viene mantenuta parte della brand image, è in funzione sia della quantità di informazioni ricevute che della qualità dell’elaborazione delle informazioni. Più le informazioni saranno impegnate durante la codifica, più saranno forti le associazioni del brand in memoria, inoltre sarà più facile sia che queste informazioni siano accessibili in futuro sia che possano essere richiamate grazie ad una sollecitazione. • Unicità → Inevitabilmente, tranne in rari casi, il brand si troverà a condividere delle associazioni di marca con i marchi concorrenti, come quella della categoria di prodotto. Nel posizionarsi sul mercato il brand ha come obiettivo quello di creare un vantaggio competitivo o una proposta di vendita “unica” per

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differenziarsi e offrire ai consumatori una ragione convincente d’acquisto del proprio prodotto/servizio. Le differenze possono essere comunicate esplicitamente o meno, basandosi su attributi e benefici.

1.1.4 Brand reputation

“La brand reputation è il risultato dell'insieme di percezioni, valutazioni e aspettative che i diversi stakeholder hanno nei confronti di un'azienda o di un brand, che sono frutto di fattori come la storia, la comunicazione e le condotte aziendali assunte nel corso del tempo”14.

La reputazione d'impresa rappresenta la finalità principale della comunicazione istituzionale. La comunicazione istituzionale è la base dell'orientamento strategico e dell'approccio relazionale complessivo che l'impresa segue nel tempo; si rivolge ad un’audience molto varia (clienti, dipendenti, media, opinione pubblica, gruppi politici, ecc.) pertanto è necessario stabilire dei comportamenti comunicativi diversificati in base ai destinatari e, oltre alla costruzione e miglioramento della reputazione, ha come obiettivi: diffondere l'identità dell'impresa, i suoi valori e la sua mission; rafforzare o modificare il posizionamento dell'immagine dell’impresa; stimolare un atteggiamento favorevole verso l'organizzazione.

Una buona reputazione porta numerosi vantaggi: può essere alla base di un maggiore profitto e valore sui mercati finanziari, di miglior resistenza in situazioni di crisi e rappresenta anche un vantaggio competitivo. Infatti, nel contesto competitivo, la reputazione è un elemento distintivo del brand; non è imitabile, poiché deriva da caratteristiche intrinseche dell'organizzazione e si forma nel tempo15.

Nel percorso di creazione brand reputation emerge una differenza significativa rispetto alla creazione dell’immagine di marca: quest’ultima è sviluppata e costruita in maniera strategica solamente da un soggetto che è l’azienda stessa la quale fornisce tutti gli elementi necessari e riguarda il breve periodo, quindi può essere soggetta a cambiamenti rapidi e drastici. Per quanto riguarda la brand reputation, invece, si tratta di un processo collettivo che coinvolge sia l’impresa che tutti i suoi stakeholders e si proietta nel lungo periodo presentando una maggiore stabilità. Nella creazione della reputazione, la

14 https://www.insidemarketing.it/glossario-marketing-comunicazione/brand-reputation/ 15 PASTORE A., VERNUCCIO M., 2008, cit. 19 comunicazione istituzionale gioca un ruolo chiave per favorire la conoscenza degli elementi identitari, per creare determinate associazioni mentali che costituiscono l'immagine a livello corporate, per formare le aspettative degli stakeholder e per agevolare la congruenza fra percezioni riguardanti l'azienda, i valori degli stakeholder e le loro aspettative.

La reputazione aziendale, dunque, resta sempre collegata alla comunicazione e ai rapporti umani, dato che è una diretta conseguenza della presenza e delle azioni di un’azienda in un determinato contesto, le quali comportano un giudizio di valore da parte del pubblico che racchiude percezioni, aspettative, valutazioni, fiducia e stima dei consumatori verso l’azienda16.

Il Reputation Institute è un’organizzazione internazionale fondata nel 1997 specializzata in reputazione aziendale. Attraverso un modello di misurazione chiamato RepTrak, il Reputation Institute offre consulenza ad aziende leader in tutto il mondo. Questo strumento si basa su sette dimensioni che contribuiscono alla creazione della reputazione e come le persone percepiscono le aziende17:

• Performance → senza dubbio un fattore che guida la reputazione aziendale, sia che si tratti di questioni finanziare o sociali. I numeri contano, prestazioni e redditività sono indicatori chiave. • Prodotti e servizi → possono plasmare profondamente la reputazione di un’azienda. Sono altamente visibili in quanto sono le parti che probabilmente interagiscono maggiormente con i clienti. Se non soddisfano le aspettative degli stakeholders, la reputazione sarà bassa così come le entrate. • Innovazione → le aziende lungimiranti e di ispirazione creativa sono più apprezzate. Conta in che misura viene percepita l’azienda come innovativa, soprattutto come caratteristiche sofisticate e vantaggiose di prodotti e servizi. • Corporate culture e ambiente di lavoro → alle persone interessa molto del posto di lavoro offerto da un’azienda ai suoi dipendenti e in un certo senso è una misura per capire cosa rappresenta l’azienda. Benefits, work-life balance, formazione continua sono ormai indispensabili.

16 CORRADINI I., NARDELLI E., La reputazione aziendale. Aspetti sociali, di misurazione e di gestione, Franco Angeli, Milano, 2016. 17 https://www.reputationinstitute.com/why-reputation-institute 20

• Leadership → punta principalmente sull’efficacia della gestione dell’azienda. Le aziende con CEOs che si allineano con gli obiettivi aziendali superano le aziende mene visibili. Si cerca di misurare il buon lavoro fatto dai leader nella gestione dell’azienda. • Governance → misura il comportamento etico, la trasparenza e l’equità dell’azienda. È necessario essere forti in questo settore per essere rispettati e per ottenere i permessi dagli stakeholders per operare, in particolare le autorità di regolamentazione e i responsabili politici. • Cittadinanza → un punteggio alto in questa dimensione equivale ad avere una posizione attiva nel cercare di rendere il mondo un posto migliore attraverso sforzi ambientali e sociali.

Secondo Charles Fombrun, co-fondatore e presidente del Reputation Institute, è possibile analizzare la brand reputation attraverso diverse prospettive18:

1. In termini contabili, la reputazione è un asset intangibile misurabile che stabilisce la differenza tra il valore delle risorse tangibili dell’impresa (certificate nei bilanci) e il valore effettivo di mercato, e si sovrappone quindi al concetto di avviamento

2. In termini economici è l’insieme di tutti quei segnali, percepiti dagli stakeholder, che le organizzazioni utilizzano per costruire un vantaggio competitivo e comunicare, così, la propria forza e autorità

3. In termini di marketing sfrutta a proprio vantaggio il punto di vista dei consumatori o utenti finali attraverso l’immedesimazione e l’utilizzo di testimonianze e referral

4. In termini psicologici è un sistema di significati (simboli) che gli individui usano per focalizzare le impressioni sull’organizzazione

5. In chiave organizzativa è un’interpretazione cognitiva dell’impresa da parte del pubblico interno, influendo sulle motivazioni del management e dei lavoratori e sul modo in cui essi si relazionano con l’esterno

18 https://www.zwan.it/editoriali/le-7-dimensioni-della-reputazione/ 21

6. In termini sociologici è un indicatore di legittimità, un insieme di valutazioni della performance di un’impresa, in relazione alle aspettative e alle norme della società, in un ambiente sociale condiviso

7. In chiave strategica garantisce un vantaggio competitivo in grado di tenere distanti i competitori e proteggere l’organizzazione dall’ingresso nel mercato di nuovi concorrenti.

1.1.5 Brand equity

La brand equity o valore della marca è la risorsa strategica costituita da un insieme di attività e passività legate al brand che accrescono o diminuiscono il valore di un prodotto/servizio per un’impresa e/o ai suoi clienti. Per essere rilevanti queste attività o passività devono collegarsi direttamente al nome o simbolo della marca, e possono essere sintetizzate in cinque categorie19:

1) Fedeltà alla marca (brand loyalty) 2) Conoscenza del nome (name awareness) 3) Qualità percepita 4) Associazioni di marca (brand associations) 5) Altre risorse del brand (es: brevetti, marchi registrati, canali distributivi esclusivi…)

19 AAKER D. A., Managing Brand Equity, The Free Press, New York, 1991. 22

Exhibit 1.5: Brand Equity20

Come si può vedere dall’immagine sopra, queste cinque categorie compongono le fondamenta della brand equity; questa crea valore sia per i clienti che per l’impresa: generalmente gli assets della brand equity aggiungono o sottraggono valore ai clienti. Aiutano ad interpretare, elaborare e archiviare enormi quantità di informazioni sui prodotti e possono anche influire nella decisione di acquisto grazie, ad esempio, ad un’esperienza o alla familiarità con il brand e le sue caratteristiche. È importante anche il fatto che sia la qualità percepita che le associazioni del brand possano migliorare la soddisfazione dei clienti nell’esperienza d’uso.

La brand equity ha il potenziale necessario per aggiungere valore all’impresa, generando flussi di cassa in diversi modi:

• Può migliorare le strategie di marketing per attirare nuovi clienti o riconquistare quelli vecchi.

20 AAKER D. A., 1991, cit. 23

• Consente di ottenere margini di guadagno più elevati grazie all’applicazione di prezzi premium e ad un uso ridotto di promozioni. In svariati contesti, le cinque categorie servono per supportare prezzi premium; un brand con un valore minore rispetto ai concorrenti dovrà investire di più in attività promozionali, anche solo per mantenere la propria posizione nel canale di distribuzione. • Una forte brand loyalty è particolarmente significativa per aumentare il valore dell’impresa. Occorre sottolineare una particolarità: la brand loyalty è una delle dimensioni della brand equity ed è influenzata proprio dalla brand equity. Le altre quattro dimensioni possono aumentare la fedeltà alla marca, influenzando la soddisfazione d’uso così da ridurre l’incentivo a provare altre marche. Inoltre, la brand loyalty è particolarmente importante nel temporeggiare quando i concorrenti innovano e ottengono dei vantaggi competitivi. • Favorisce la possibilità di crescere attraverso strategie di brand extensions, soprattutto grazie all’importanza del nome della marca • Può fornire la leva necessaria nei canali di distribuzione. Come per i clienti, il mercato ha meno incertezza nel trattare un brand comprovato che ha già ottenuto il giusto riconoscimento. Una marca forte avrà il vantaggio di ottenere sia una buona posizione, sia la cooperazione nell’attuazione dei programmi di marketing.

Le cinque categorie o assets della brand equity offrono un vantaggio competitivo che rappresenta una barriera per i competitors. Richiedono investimenti per essere create e rischiano di azzerarsi nel tempo se non vengono mantenute. Nello specifico:

• Fedeltà alla marca (brand loyalty) → Per qualsiasi azienda è più costoso acquisire nuovi clienti che mantenere quelli abituali, specialmente se quest’ultimi sono soddisfatti del prodotto/servizio. In gran parte dei mercati i clienti non sono propensi a modificare le proprie abitudini di acquisto, nonostante i ridotti switching costs e un basso livello di commitment verso il brand. Una larga base di clienti fedeli deriva da investimenti passati di acquisizione di clienti, in più i clienti abituali offrono visibilità e rassicurazione ai nuovi clienti. La fedeltà della base clienti riduce la vulnerabilità dell’azione competitiva, i concorrenti saranno scoraggiati dall’investire proprie risorse per attirare clienti già soddisfatti. Infine, una maggiore fedeltà si traduce anche in una maggiore leva commerciale, poiché i clienti si aspettano che il prodotto/servizio sia sempre disponibile.

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• Conoscenza del nome (name awareness) → Le persone spesso comprano una marca familiare perché si sentono a proprio agio, oppure si può supporre che un brand familiare sia affidabile e di qualità. Dunque, un brand riconosciuto verrà preferito ad un brand sconosciuto, il fattore notorietà è particolarmente importante nei contesti in cui debba rientrare in un set di brand presi in considerazione dal cliente. Solitamente una marca sconosciuta possiede poche possibilità. • Qualità percepita → Un brand verrà associato dai clienti ad una percezione della qualità complessiva che non sarà necessariamente basata su delle conoscenze dettagliate. La qualità percepita può assumere forme differenti per i diversi tipi di mercato, ma rimane sempre una caratteristica importante per il brand: questa influenza direttamente le decisioni di acquisto e la fedeltà alla marca, soprattutto quando un acquirente non conduce un’analisi dettagliata. Inoltre, con un’alta qualità percepita il cliente può essere disposto a pagare un prezzo premium che porta ad un consistente margine di guadagno da poter reinvestire. Concludendo, la qualità percepita può essere la base per strategie di brand extensions, se un brand gode di una buona considerazione qualitativa in un contesto, si suppone che avrà un’alta qualità in un altro contesto correlato. • Associazioni di marca (brand associations) → Il valore che sta alla base di un brand si basa spesso su associazioni collegate ad esso. Gli esempi nei vari mercati sono praticamente infiniti, associare un brand ad un personaggio o ad uno stile di vita può essere in grado di modificare positivamente l’esperienza d’uso del prodotto. Se una marca gode di una posizione solida riguardo ad un attributo chiave nella classe di prodotto, per i concorrenti sarà difficile attaccare. • Altre risorse del brand → Per altre risorse del brand si fa riferimento a brevetti, marchi registrati, canali distributivi esclusivi. Queste risorse sono preziose se impediscono ai concorrenti di sottrarre clienti dalla base dell’impresa e di diminuire la fedeltà dei clienti verso il brand. Queste risorse possono assumere diverse forme: un marchio registrato protegge la brand equity da concorrenti che potrebbero confondere i clienti utilizzando un nome, un simbolo o un packaging simile. Un brevetto può limitare la concorrenza diretta se risulta essere forte e rilevante nella scelta del cliente. Un canale di distribuzione può essere controllato

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da un brand grazie alle sue performance passate. Questi assets per essere rilevanti devono essere legati allo specifico brand piuttosto che all’azienda in generale.

1.2 Strategie di marca

L’approfondita descrizione degli elementi caratterizzanti del brand risulta fondamentale per comprendere le diverse strategie che l’impresa intraprende nella sua gestione. Le strategie di seguito spiegate permettono all’impresa sia di creare che di modificare la propria struttura e l’offerta proposta.

1.2.1 Il posizionamento

Se un brand è senza dubbio una fonte di valore per la sua organizzazione, il suo posizionamento sul mercato e nelle menti dei consumatori è fondamentale per l’effettivo valore creato. Esistono molte definizione di brand positiong, le due più interessanti sono le seguenti:

1. “Il posizionamento inizia con un prodotto. Una parte del merchandise, un servizio o persino una persona. Ma il posizionamento non è quello che fai per un prodotto. Il posizionamento è ciò che fai alla mente di un potenziale cliente.”21 2. “Posizionare significa possedere una posizione credibile e redditizia nella mente del consumatore, ottenendola per primi oppure adottando una posizione differente rispetto alla concorrenza, o anche riposizionando la concorrenza.”22

La prima, formulata dagli studiosi Al Ries e Jack Trout, risulta essere ancora contemporanea nella sua ampia considerazione del prodotto. La seconda, invece, suggerisce di definire i mercati attraverso il posizionamento del brand piuttosto di posizionarsi in un mercato o in una categoria in relazione alla concorrenza. Chiaramente, entrambe le definizioni proposte sottolineano che, in primo luogo, è necessario agire sulle menti e sulle emozioni dei potenziali clienti.

21 RIES A., TROUT J., Positioning: The Battle for Your Mind, McGraw-Hill, New York, 2001. 22 COWLEY D., Understanding Brands: By 10 People Who Do, Kogan Page, Londra, 1996. 26

Nella costante ricerca di un vantaggio competitivo per l’impresa, risulta essere sempre più importante l’idea di “prendere posizione” nel senso di mostrare leadership e visione su come il brand manterrà le promesse e soddisferà esigenze e desideri delle persone che, ad oggi, si aspettano standard sempre più elevati. Inoltre, è necessario che il posizionamento del brand sia comunicato in modo chiaro e rilevante, attraverso poche parole, con una frase ad effetto o con un’immagine d’impatto, che renda comprensibile l’idea di base della marca.

Exhibit 1.6: The brand positioning process23

Esistono varie metodologie per il brand positioning, quello proposto in Exhibit 1.6 sopra rappresenta il processo base per il posizionamento e prevede24:

• La necessità di comprendere gli stakeholders in un senso più ampio, sia internamente che esternamente. Il processo inizia con l’identificazione degli stakeholders valutandone l’importanza e definendone la relazione ideale da stabilire per consentire il raggiungimento degli obiettivi aziendali. È da tener conto che i diversi portatori d’interesse definiranno il brand in base alle loro esigenze e programmi, la priorità da dare non è semplice e i ruoli da ricoprire con ciascun componente non devono essere uguali. Una volta identificati i portatori d’interesse chiave, il posizionamento non dovrebbe focalizzarsi sul minimo comune denominatore che li unisce ma dovrebbe puntare sulle varie prospettive riguardanti le percezioni condivise per il futuro. • La generazione di informazioni, approfondimenti, idee e possibilità. La maggior parte dei brand più significativi inizia con l’idea che per avere successo deve avere un ottimo posizionamento. L’intuizione può aiutare a individuare opportunità di posizionamento. Tuttavia, nella pratica sono necessarie continue ricerche e analisi che tengano conto di opzioni strategiche, competenze, tendenze attuali e future del

23 THOMPSON A. B., Brand positioning and brand creation, in CLIFTON R., SIMMONS J., Brands and branding, The Economist in association with Profile Books, p. 79-95, Londra, 2003. 24 THOMPSON A. B., 2003, cit. 27

mercato, e di desideri, bisogni e percezioni dei clienti. Per comprendere l’idea di base di posizionamento è necessario concentrarsi su quattro concetti: rilevanza per i clienti, differenziazione dai concorrenti, credibilità, e elasticità di pensiero. • Esprimere chiaramente il posizionamento del brand attraverso comunicazione visiva e verbale, prodotti, servizi e atteggiamenti. L'obiettivo di base del brand positioning dovrebbe essere quello di consentire alla marca di sopravvivere e prosperare per sempre, indipendentemente dalle dinamiche competitive e da come le esigenze aziendali si evolvono nel tempo. Risulta quindi necessario delineare gli elementi costitutivi del brand, ovvero vision, mission e valori, che compongono la brand platform. Quest’ultima è progettata per far comprendere il brand all’interno dell’organizzazione, per influenzare i comportamenti degli stakeholders, e per dare un brief creativo per lo sviluppo della comunicazione e dell’identità verbale e visiva. • L’utilizzo di un sistema di brand architecture che ottimizzi il valore del posizionamento, garantisce che le strategie aziendali e la pianificazione del brand si sostengano a vicenda. • Continuo sviluppo, gestione e valutazione del posizionamento nel tempo. Il posizionamento del brand se ben ponderato risulta fondamentale quanto un solido piano finanziario nella creazione di valore a lungo termine per un'azienda.

Il processo di brand positioning ha come obiettivo principale quello di creare una mappa percettiva nella mente del consumatore della posizione del brand rispetto alla concorrenza. L’impresa può impostare la strategia di posizionamento del brand attraverso diversi modi: facendo leva sugli attributi, rispetto alla concorrenza, in base alle modalità d’uso o al rapporto qualità/prezzo, selezionando il target clienti o la specifica classe di prodotto ecc25. È importante essere sicuri che la strategia scelta sia rilevante per i consumatori e che fornisca loro un vantaggio che sarà considerato utile nel processo decisionale.

25 CLOW, K.E., BAACK, D., Concise Encyclopedia of Advertising, Haworth Reference Press, pp. 21–22, New York, 2005. 28

1.2.2 Brand portfolio

La strategia di branding attuata maggiormente da un’impresa ha come oggetto una pluralità di marche. L’insieme dei brand gestite dall’organizzazione costituisce il brand portfolio o portafoglio delle marche, il quale rappresenta l’altra faccia della medaglia del product portfolio o portafoglio dei prodotti. Le strategie riguardanti la gestione del brand portfolio stabiliscono la struttura e lo scopo del portafoglio, quindi viene selezionata la composizione delle marche all’interno e i tipi di relazioni che si instaurano tra di esse. Gli obiettivi principali sono quindi una miglior copertura di mercato e un’ottimale allocazione delle risorse interne tra le diverse marche, così da assicurare conformità delle marche ai loro target di riferimento26.

Tre aspetti chiave forniscono un quadro completo della strategia di brand portfolio dell’impresa e sono27:

1) Portata → numero di brand posseduti e commercializzati dall’impresa, e il numero di segmenti di mercato in cui l’azienda compete con questi brand. Sul numero di brand di un’impresa, gli studiosi nel corso degli anni si sono divisi: per alcuni, possedere un numero elevato di brand consente all’azienda di attrarre e trattenere i migliori brand managers e di usufruire di sinergie nello sviluppo e condivisione di capacità specializzate nella gestione del brand, come ad esempio il monitoraggio della brand equity, le ricerche di mercato ecc. Inoltre, avere molti brand dà la possibilità all’impresa di avere una maggiore quota di mercato così da soddisfare meglio le diverse esigenze dei consumatori e scoraggiare chi intende entrare nel mercato. Di contro, secondo altri esperti avere un ampio brand portfolio risulta essere inefficiente perché vengono diluite le spese di marketing e si riducono le economie di produzione e di distribuzione. Per di più, la proliferazione del brand è una potenziale causa di indebolimento della fedeltà al brand e di aumento della concorrenza sui prezzi in molti mercati, che porta ad un potenziale aumento di costi per le imprese con ampi brand portfolio. Il numero di segmenti di mercato in cui un’azienda commercializza i suoi brand indica la portata della sua copertura di mercato all’interno di un settore. Anche su

26 PASTORE A., VERNUCCIO M., 2008, cit. 27 MORGAN N.A., REGO L.L., Brand Portfolio Strategy and Firm Performance, Journal of Marketing, January, vol. 73, pag 59-74, 2009. 29

questo argomento gli esperti di marketing hanno espresso opinioni contrastanti: i favorevoli alla presenza dell’impresa in diversi segmenti basano la propria idea sul fatto che i forti legami di marketing tra diversi segmenti possono offrire i vantaggi di economie di scopo nei costi aziendali per creare e mantenere il proprio brand portfolio. Al contrario, alcuni studi indicano che la presenza di un brand in più segmenti può indebolirlo, a seconda delle percezioni dei consumatori sull’adattamento nei diversi segmenti. Pertanto, nel commercializzare i propri brand in più segmenti, un’impresa rischia di diluire la propria forza, rendendoli di valore inferiore. Poiché la maggior parte delle aziende possiede molti brand, per evitare questo rischio di diluzione possono scegliere di commercializzare brand differenti in ogni segmento in cui operano. 2) Concorrenza intraportfolio → riguarda la misura con cui i brand all’interno del portafoglio competono tra loro essendo posizionati in modo simile e che quindi risultano attrattivi per gli stessi consumatori. Tale concorrenza interna può portare sia svantaggi che vantaggi: da un lato si può verificare una riduzione dell’efficienza amministrativa a causa della duplicazione degli sforzi economici, un minor ritorno sugli investimenti in pubblicità a seguito della cannibalizzazione della domanda tra i brand dell’impresa. Dall’altra parte un’impresa può sfruttare questa concorrenza per creare delle barriere all’ingresso e ostacolare l’entrata di potenziali rivali, anche per diminuire gli effetti negativi sulla performance dell’impresa dovuti alla ricerca di varietà e cambiamento da parte dei consumatori. Inoltre, questa concorrenza può creare una sorta di mercato “interno” all’impresa che porta a una maggiore efficienza e una migliore allocazione delle risorse. 3) Posizionamento → riguarda la percezione delle qualità e del prezzo delle marche dell’azienda tra i consumatori. La qualità percepita riguarda la forza delle associazioni positive nella mente dei consumatori dei brand nel portfolio dell’azienda. Gran parte del valore di una marca è legato alla sua capacità di ridurre il rischio per il consumatore, e i brand che sono percepiti come di alta qualità offrono una maggiore riduzione di rischio per i consumatori e rendimenti finanziari superiori per i proprietari del brand. I brand di alta qualità possono contare su maggiori sovrapprezzi e la qualità percepita di più prodotti dello stesso brand influisce sul valore complessivo del brand stesso. Di conseguenza, le azioni

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di marketing, come le promozioni, offrono maggiori rendimenti per brand di alta qualità rispetto a quelli di bassa qualità; le marche di alta qualità subiscono un impatto negativo sulla domanda a causa degli aumenti di prezzi e richiedono meno spese pubblicitarie e minori riduzioni di prezzo. Il prezzo percepito riguarda le percezioni del prezzo dei brand presenti nel portfolio aziendale. Le percezioni dei prezzi dei consumatori sono ampiamente ritenute determinanti nella scelta del brand da parte dei consumatori, così come nel comportamento post-acquisto. La misura in cui i consumatori percepiscono i brand come di basso prezzo, dovrebbe tradursi in una maggiore soddisfazione e fedeltà da parte loro, e quindi porta ad un aumento delle vendite e della quota di mercato, che a sua volta può portare a economie di scala e prestazioni finanziarie superiori. Raggiungere un posizionamento di brand portfolio in cui i consumatori percepiscono i brand come sia di alta qualità che a basso prezzo porta numerosi vantaggi in termini di prestazioni. Tuttavia, raggiungere contemporaneamente entrambe le posizioni per tutti i brand risulta essere molto difficile e raro nella pratica. Ad esempio, i consumatori utilizzano il prezzo come indicatore di qualità; oppure, ottenere percezioni di alta qualità è spesso costoso perché può comportare l’utilizzo di materie prime di qualità superiore, tecnologie operative o di produzione superiori, e maggiori spese di comunicazione. Questi costi aggiuntivi rendono difficile la vendita dei brand dell’azienda a prezzi che i consumatori percepiranno come bassi.

Uno strumento utile per avere una visione di insieme dei brand dell’organizzazione e per la relativa gestione del brand portfolio è la “matrice marca-categoria” ideata da Keller (Exhibit 1.7). Essa rappresenta graficamente i rapporti esistenti tra le marche e le categorie di prodotto, poste rispettivamente su righe e colonne. Sulle righe della matrice si formano le relazioni brand-categoria ed esprimono una strategia di estensione di marca, l’insieme di diverse categorie di prodotto presidiate dallo stesso brand. La cosiddetta “linea di marca” è formata dall’insieme di prodotti diversi commercializzati sotto lo stesso nome della marca in questione, infatti occupa un’intera riga della matrice. Per quanto riguarda le colonne della matrice, essere determinano le relazioni categoria- marca, ovvero le diverse marche che possiede l’azienda all’interno della stessa categoria di prodotto. Per un’impresa, possedere più marche è necessario per riuscire a competere

31 in segmenti di mercato differenti. È compito dell’impresa definire le proprie categorie di prodotto, in base ai diversi obiettivi e alle proprie specificità.

AMPIEZZA Categoria Categoria 1 Categoria 2 Categoria 3 Categoria 4 Marca

Marca A

Marca B

Marca C PROFONDITÀ

Marca D

Exhibit 1.7: Matrice marca-categoria28

Inoltre, è possibile individuare l’ampiezza e la profondità del brand portfolio: l’ampiezza è data dalla varietà di categorie o tipologie di prodotto associate a ciascuna marca, e quindi dipende dalla lunghezza delle righe o dal numero di colonne: la profondità, invece, è legata al numero e alla natura di marche commercializzate per ciascuna categoria di prodotto, e quindi dipende dal numero di righe o dall’altezza delle colonne.

1.2.3 Brand architecture

Per una gestione ottimale del brand portfolio, le imprese si avvalgono sempre più spesso della brand architecture o architettura di marca, definita da Aaker come “struttura organizzativa del brand portfolio che specifica i ruoli del brand e la natura delle relazioni che si instaurano tra le varie marche”29.

Gli obiettivi della brand architecture si focalizzano in particolar modo su come l’azienda si presenta al mercato. Ovvero, evitare confusione tra i consumatori comunicando somiglianze e differenze tra i numerosi prodotti/servizi dell’impresa, e migliorare l’immagine del brand trasferendo valore sia al brand stesso che ai singoli prodotti/servizi.

28 Rielaborazione personale da PASTORE A., VERNUCCIO M., 2008, cit. 29 AAKER D. A., JOACHIMSTHALER E., The brand relationship spectrum: the key to the brand architecture challenge”, California Management Review, Berkeley, Vol. 42 n. 4, 2000. 32

Fornisce, inoltre, una linea generale sulla gestione della marca, e risulta essere utile per quanto riguarda la salvaguardia dell’identità aziendale e il mantenimento coerente dei propri valori.

La brand architecture rappresenta la struttura concettuale del brand portfolio, mediante la quale sono definiti i ruoli delle diverse marche presenti in portafoglio e sono organizzati i rapporti di gerarchia e complementarietà tra i brand. Esistono vari modi per definire i livelli di una gerarchia, una semplice rappresentazione è quella di Keller che va dall’alto verso il basso30:

• Corporate brand (o company brand) → livello più alto della gerarchia, rappresenta e identifica l’azienda nel suo complesso (storia, valori e cultura) ed esprime unicità. Trasmette fiducia e garanzia per gli stakeholders dal momento che sanno cosa aspettarsi dai prodotti con questa marca. Nel caso di marca ombrello, rappresenta il nome primario associato ai brand sottostanti così da rafforzarne identità e fiducia. Per motivi legali, è sempre presente sul prodotto o sul packaging • Family brand (o brand gamma o range brand) → utilizzato in più categorie di prodotto ma non necessariamente coincide con il corporate brand. Per questo motivo le associazioni con la casa madre tendono ad essere meno rilevanti, soprattutto quando si tratta di prodotti/servizi diversi tra loro, e difatti la maggior parte delle aziende tende a predisporre di pochi family brand. Nel caso in cui il corporate brand viene applicato ad una gamma di prodotti, funge anche da family brand e i due livelli della gerarchia combaciano. • Individual brand (marca individuale) → limitato essenzialmente a una categoria di prodotto, sebbene possa essere utilizzato per diversi tipi di prodotto all’interno della categoria stessa. Il vantaggio principale della marca individuale sta nella personalizzazione del brand e delle relative attività di marketing, così da soddisfare le esigenze di uno specifico segmento di clienti. • Brand modifier (modificatore di marca) → indica un modello specifico o una particolare versione di un prodotto. L’aggiunta di un modificatore serve per segnalare perfezionamenti o differenze tra brand della stessa famiglia correlati da

30 KELLER K. L., Strategic Brand Management: Building, Measuring, and Managing Brand Equity, Fourth Edition, Pearson, Hanover, 2013. 33

fattori come qualità, attributi, funzione e così via. Inoltre, aiuta a rendere i prodotti/servizi più comprensibili e pertinenti per il mercato.

Ciascun livello di marca può essere usato da solo o combinato con gli altri. Di conseguenza, è possibile ottenere diverse strutture gerarchiche di marca, anche all’interno della stessa impresa, in base alla strategia adottata per la formazione della brand corporate identity. La stesura di un efficace brand architecture può fornire all’impresa vantaggi sia economici che strategici: economici in quanto ottimizza l’allocazione delle risorse, che vengono concentrate sui brand selezionati, ed indica le potenziale sinergie in portafoglio. In più, consente di individuare ed eliminare le sovrapposizioni interne superflue. Strategici dal momento che migliora il presidio del territorio della marca o di un gruppo di marche, creando così nuove risorse. Consente, inoltre, di individuare nuove opportunità di brand extension.

Esistono differenti tipologie di strategia di architettura di marca, quelle di base individuate sono fondamentalmente quattro31:

1) House of Brands → questa strategia prevede un insieme indipendente di brand autonomi, ognuno dei quali è focalizzato nel massimizzare l’impatto sul proprio mercato. Consente all’azienda di posizionare chiaramente i brand sulla base di vantaggi differenziali, così da evitare i possibili conflitti di canale, e di presidiare con successo i mercati di nicchia, aumentando la copertura di mercato e fornendo ai consumatori una proposta di valore mirata. Di contro, vengono sacrificate le economie di scala e le sinergie tra i brand in portafoglio, aumentando così l’onerosità e l’impegno manageriale. Inoltre, questi brand necessitano di investimenti dedicati altrimenti rischiano la stagnazione e il declino, per questo chi adotta questa strategia tende ad avere una gamma ristretta. 2) Endorsed branding → questa strategia presuppone dei brand associati in maniera debole alla marca principale. Gli endorsed brands non sono indipendenti da questa marca, tuttavia possono contare su una propria autonomia nel posizionamento e nello sviluppare associazioni di prodotto. Hanno una propria personalità che differisce da quella del brand sostenitore, il quale ha il compito di fornire credibilità e sostanza all’offerta al brand sostenuto, e può trarne associazioni

31 AAKER D. A., JOACHIMSTHALER E., 2000, cit. 34

vantaggiose. Occorre però sottolineare che una eccessiva diffusione degli endorsed brands potrebbe portare al rischio di confusione all’interno del brand portfolio e di de-focalizzazione della marca principale. 3) Sub-branding → a differenza dell’endorsed branding, questa strategia prevede l’utilizzo di sub-brands, ovvero dei brand collegati fortemente al master brand di livello superiore (quindi corporate o family) che avrà il ruolo di guida principale. Grazie a questa associazione diretta, i sub-brands modificano o aggiungono associazioni alla marca principale e danno la possibilità al master brand di estendersi in nuovi segmenti di mercato, soprattutto quando c’è la necessità di comunicare una nuova innovazione che può attirare l’attenzione del pubblico. Per di più, questa strategia assicura un relativo margine di autonomia nel posizionamento rispetto alla marca principale. 4) Branded House → la marca principale, detta “marca ombrello”, ricopre il ruolo di driver dominante in tutte le offerte di mercato e si avvale di sub-brands associati con ruoli minori, quasi semplicemente “descrittivi”, che non assumono la posizione di marca vera e propria. Risulta difficile mantenere un’immagine interessante o una posizione di qualità con una grande quota di mercato. Infatti, è fondamentale che ci sia una solida coerenza tra i valori del corporate brand, le attività associate e i target-group presidiati dall’organizzazione. Il principale vantaggio di questa strategia riguarda le politiche di estensione in ampiezza del brand portfolio, dato che la notorietà del master brand riduce i costi legati al lancio di nuovi prodotti/servizi. Inoltre, offre economie di scala e migliora la chiarezza verso il cliente che sa esattamente cosa viene offerto offre economie di scala.

Queste diverse strategie appena elencate svolgono un ruolo attivo nella configurazione delle strutture dell’identità di marca dell’impresa. Questi modelli di solito non vengono adottati singolarmente, infatti sono preferite le strutture “ibride” che nascono dalla loro combinazione. Le tre principali strutture individuate sono32:

1) Monholithic identity → nasce dalla strategia branded house, in tutte le relazioni di mercato viene utilizzato un solo nome e un unico identity mix. 2) Endorsed identity → è il risultato che si ottiene dalla combinazione delle strategie di sub-branding e di endorsed branding. Ciascun prodotto/servizio presente in

32 OLINS W., Corporate Identity: Making Business Strategy through Design, Thames and Hudson, Londra, 1989. 35

portafoglio possiede una propria identità, ma per mantenere la coerenza espressiva si appoggia in maniera più o meno diretta alla marca principale. 3) Branded identity → si realizza dalla strategia di house of brands dove ciascun prodotto/servizio detiene una solida autonomia e una forte brand identity, dal momento che il corporate brand non è presente nei diversi identity mix.

1.2.4 Brand extension

Le imprese sono continuamente alla ricerca di modi per migliorare le possibilità di successo. È sempre più inusuale il protrarsi nel tempo di un binomio esclusivo “prodotto- marca” dal momento che il brand nel corso della propria vita tende ad espandersi alla ricerca di differenti varianti di prodotto, introducendo nuove categorie e funzioni d’uso.

La brand extension è una strategia adottata dall’impresa che mira ad espandere il brand con il lancio di un nuovo prodotto in una categoria diversa da quella in cui il brand è noto, oppure inserendo nel mercato un prodotto simile ma con caratteristiche diverse. In entrambi i casi l’impresa fa leva sugli elementi dell’identità della marca già consolidata nel mercato, allo scopo di dare valore e credibilità alla nuova offerta.

Nella letteratura la brand extension viene analizzata da diversi punti di vista, ma le varie strategie possono essere riassunte in due macrocategorie33:

• Estensione orizzontale → questa strategia si suddivide a sua volta in due tipologie, line extension e category extension, i quali sono accomunati dal fatto che in entrambi viene utilizzato il nome del core brand per lo sviluppo di nuovi prodotti. Con la line extension, vengono sviluppate nuove versioni di prodotto rimanendo all’interno della stessa categoria della marca principale, con gli obiettivi di aumentare il numero di varianti del prodotto esistente così da soddisfare la varietà della domanda, differenziarsi dalla concorrenza e inserirsi in nuovi segmenti di mercato. Con la category extension, invece, la marca punta ad estendersi in nuove categorie di prodotto, più o meno collegate a quelle in cui è già presente. • Estensione verticale →consiste nello spostamento della marca in segmenti di mercato superiori o inferiori rispetto alla categoria in cui è posizionata. Questo,

33 HUSSAIN S., YASIR R., Brand Extension Success Elements: A Conceptual Framework, Journal of business Administration an Education, Volume 8, 2016. 36

dunque, comporta delle sostanziali differenze di prezzo in base al movimento verso l’alto o verso il basso. Lo spostamento verso segmenti inferiori ha come obiettivo l’aumento dei ricavi e l’ampliamento della base clienti, tramite un’offerta più accessibile ai consumatori in termini di rapporto qualità-prezzo. Bisogna però tener conto degli aspetti negativi, come gli elevati rischi di insuccesso o di danneggiamento del valore della marca. Di contro, lo spostamento verso segmenti superiori porta la marca a servire segmenti di mercato premium, i quali consentono di conseguire maggiori margini di guadagno grazie a prezzi elevati ed offrono all’impresa prospettive di crescita.

L’espressione brand extension è stata coniata da Edward M. Tauber, professore di marketing e fondatore del Brand Extension Research, azienda che si occupa dello sviluppo di questo tipo di strategia34. Lo stesso esperto ha identificato sette principali tipologie per favorire l’introduzione di una brand extension35:

• Stesso prodotto in forma diversa. Ad esempio, Snickers ha introdotto le originali barrette di cioccolato in formato gelato. • Prodotti che contengono una caratteristica preesistente. Un esempio può essere lo snack Nutella B-ready. • Prodotti complementari a quelli della marca esistente. Per esempio, i sughi pronti di Barilla. • Prodotti rilevanti per il target della marca, anche se non della stessa categoria. Un esempio può essere il servizio Poste Mobile lanciato da Poste Italiane. • Prodotti che capitalizzano le competenze sviluppate dall’impresa. La competenza di Honda nel campo dei motori ha portato l’introduzione dei rasaerba. • Prodotti che offrono gli stessi benefici o attributi della marca preesistente. La linea di abbigliamento di Geox offre traspirabilità, che è il beneficio primario della linea di scarpe. • Prodotti che sfruttano l’immagine della marca. Ad esempio, tutti i prodotti Ferrari che non riguardano prettamente macchine o motori: orologi, magliette, zaini ecc.

34 https://www.insidemarketing.it/glossario/definizione/brand-extension/ 35 TAUBER E., Brand Leverage: Study for Growth in a Cost-controlled World, Journal of Advertising Research, Vol. 28, No.4, Aug. – Sep., 1988, pp. 28 37

La strategia di brand extension può generare notevoli vantaggi a favore dell’impresa, tra i quali la facilità dell’accettazione di nuovi prodotti da parte dei consumatori, i benefici di ritorno alla marca originaria e la riduzione dei costi di marketing per lo sviluppo e il lancio di una nuova marca. Tuttavia, vi è anche l’altra faccia della medaglia dato che il rischio da affrontare durante questo tipo di operazione è la distruzione della brand equity, in termini di possibile danneggiamento dell’immagine della marca originaria e confusione tra i consumatori. Onde evitare l’insuccesso della brand extension, l’impresa ha il compito di far percepire ai consumatori un’offerta coerente con i valori della marca preesistente, e che questa offerta sia potenzialmente superiore rispetto a quella dei concorrenti. Per di più, risulta necessaria un’appropriata analisi strategica preliminare in modo da capire se la marca originaria riuscirà a rafforzare l’estensione e viceversa, contribuendo ad alimentare fiducia, qualità, valore proposto, consapevolezza ecc36.

1.2.5 Co-branding

Un’altra strategia che le imprese prendono in considerazione al fine di aumentare il valore della marca ed espandere il proprio territorio è il co-branding, si tratta di una pratica molto utilizzata soprattutto negli ultimi anni. Il co-branding è una particolare forma di co- marketing37 e si verifica quando due o più brand noti vengono combinati nella realizzazione di un prodotto o commercializzati insieme in qualche modo. Lo scopo di questa strategia è che ne traggano beneficio tutte le marche coinvolte (tipicamente “marca ospitante” e “marca invitata”, possono anche appartenere alla stessa impresa) e che i consumatori finali percepiscano la novità e il valore della proposta.

Dato il grande numero di applicazioni nelle realtà aziendali di questa pratica e le varie sfaccettature che emergono in ognuna di esse, sono molteplici le interpretazioni in letteratura a riguardo ed ogni tentativo di classificare il co-branding risulta essere complicato. È possibile, però, soffermarsi su due dimensioni generali sulle quali basarsi

36 AAKER D., Brand portfolio strategy: creating relevance, differentiation, energy, leverage, and clarity, Free Press, New York, 2004. 37 Secondo Sergio Cherubini (1999), il co-marketing può essere definito come “processo mediante il quale due o più operatori, privati o pubblici, svolgono in partnership una serie d’iniziative di marketing (organizzate, programmate, controllate) al fine di raggiungere obiettivi di marketing (comuni o autonomi ma tra loro compatibili), attraverso la soddisfazione dei consumatori”. 38 per effettuare delle distinzioni. Una dimensione da prendere in considerazione è il grado di strategicità che emerge dalla combinazione di due o più marche38:

• Co-branding tattico ➔ la collaborazione ha una programmazione limitata al breve termine e il coinvolgimento organizzativo tra le parti è molto ridotto, così come le decisioni da prendere in comune. • Co-branding strategico ➔ in questo caso, invece, l’impegno tra i partner nello sviluppo del progetto ha un orizzonte temporale a medio-lungo termine ed ha un peso significativo in termini di innovazione e collaborazione, c’è un coinvolgimento diretto tra le identità a tal punto che possono arrivare alla creazione di una brand identity ibrida.

L’altra dimensione significativa riguarda la leva di marketing mix39 sulla quale, prevalentemente o esclusivamente, si concretizza la collaborazione. Questa può basarsi sulla leva della comunicazione, della distribuzione o del prodotto, ed emergono, quindi, le seguenti categorie fondamentali di co-branding40:

• Co-branding communication-based → è la forma meno intensa di alleanza tra i partner, si realizza tramite attività di comunicazione congiunta. Queste iniziative possono essere di natura tattica quando, ad esempio, le marche collaborano e vengono accostate per delle promozioni temporanee con l’obiettivo di incrementare le vendite attraverso la loro capacità di richiamo. Invece, se la comunicazione coinvolge maggiormente le identità delle marche interessate si ha una maggiore strategicità in quanto si toccano i punti in comune delle rispettive immagini. • Co-branding distribution-based → si verifica quando le imprese coinvolte gestiscono congiuntamente la leva distributiva, con relative campagne di comunicazione. La collaborazione può verificarsi tra soggetti dello stesso livello di filiera (alleanze orizzontali, o laterali se i partner operano in settori differenti) o meno (alleanze verticali). Attraverso un approccio tattico, questa tipologia di co- branding ha quasi una valenza comunicativa dato che si traduce in attività

38 LAMBIN J. J., Marketing strategico e operativo, McGraw-Hill, Milano, 2004. 39 Il marketing mix è insieme delle leve di marketing che l’impresa definisce e impiega per soddisfare il consumatore e raggiungere i propri obiettivi di mercato. Queste leve sono: prezzo, prodotto, distribuzione e comunicazione. Fonte: https://www.glossariomarketing.it/significato/marketing-mix/ 40 PASTORE A., VERNUCCIO M., 2008, cit. 39

temporanee di merchandising in store, oppure promozioni congiunte tramite mass media. Se, invece, l’intensità della collaborazione gestionale si intensifica, la strategia assume connotati maggiormente strategici che può portare, ad esempio, alla distribuzione della marca invitata presso la struttura distributiva della marca ospitante (anche in esclusiva), oppure la creazione di una nuova rete distributiva. • Co-branding product-based → è la tipologia che coinvolge più intensamente i partner dell’alleanze dato che il focus della collaborazione è l’innovazione di prodotto. Questa scelta necessita il supporto di attività di comunicazione e di soluzioni distributive concordate. Anche in questo caso, in base al livello di strategicità, è possibile profilare differenti forme di gestione congiunta41: ▪ Reach-awareness co-branding, si traduce in bundling, ovvero l’abbinamento di due prodotti in un’unica confezione, oppure nel lancio di un nuovo prodotto che mira ad acquisire una notevole notorietà in breve tempo sfruttando l’esposizione alla base clienti dei partner. ▪ Value endorsement co-branding, si punta a migliorare le immagini delle marche nella mente dei consumatore attraverso un supporto (endorsement) unilaterale o reciproco. ▪ Ingredient co-branding, avviene quando un brand noto al pubblico per una sua caratteristica distintiva viene integrato come componente nel prodotto dell’altra marca, quasi come “ingrediente”. Questo va a supportare la differenziazione e il posizionamento, di conseguenza ne traggono beneficio l’immagine e le vendite. ▪ Complementary co-branding, massima strategicità in questa collaborazione tra marche complementari, che si integrano le proprie caratteristiche fino a formare un prodotto ibrido con una nuova identità.

Ogni iniziativa di co-branding, come tutte le strategie prese in considerazione dall’impresa, deve essere attentamente valutata al fine di individuare i benefici e i rischi derivanti. Senza dubbio, il motivo per cui si decide di optare per una collaborazione con un’altra marca è il raggiungimento di benefici che non si potrebbero cogliere autonomamente. Questi benefici possono avere natura sia qualitativa che quantitativa: dal punto di vista qualitativo si punta al rafforzamento dell’immagine di marca e del

41 BLACKETT T., BOAD B., Co-branding. The Science of Alliance, Macmillan, Londra, 1999. 40 posizionamento nel mercato, alla conquista di nuovi spazi in differenti ambiti di business così da aumentare la notorietà. Per quanto riguarda l’aspetto quantitativo, invece, risulta possibile generare ricavi incrementali, ottenere economie di scala e ridurre gli investimenti in comunicazione e in ricerca e sviluppo.

Tuttavia, è necessario tenere in considerazione anche i potenziali rischi derivanti da questa strategia. Questi si riferiscono in particolar modo alla perdita di significato della marca, la cosiddetta “diluizione”, dovuta ad associazioni non volute per le altre marche in portafoglio o ad una perdita di controllo nella gestione. Per ridurre questi rischi bisogna valutare in via preliminare la coerenza tra le brand image dei partner e le categorie preesistenti e quelle nuove, interessate al co-branding. Inoltre, bisogna tener conto dell’insorgenza di costi superiori rispetto a quelli programmati.

41

CAPITOLO 2 - IL REBRANDING

2.1 Gli aspetti teorici del rebranding

In un contesto imprenditoriale in cui il numero di brand sui mercati cresce sempre più e la relativa competizione si intensifica col passare del tempo, la sopravvivenza e il successo delle aziende dipende dall’attitudine a evolversi e adattarsi gradualmente per affrontare le nuovi sfide che sorgono ogni giorno. La marca rimane l’asset più prezioso per le imprese e, in particolare, quelle forti tendono ad aggiungere valore economico e strategico alle rispettive aziende tramite la brand equity. Le decisioni sui cambiamenti imprenditoriali che coinvolgono gli aspetti della brand equity sono il riflesso delle dinamiche di mercato per continuare a soddisfare le aspettative degli stakeholders.

La gestione dei brand a lungo andare può comportare la necessità di un rebranding, uno dei più radicali atti di cambiamento, per esprimere la natura dinamica del brand, mai uguale a sé stesso, spesso costretto a rinnovarsi seguendo le richieste di un contesto sempre più mutevole42. Le strategie che nascono da questa pratica, accuratamente realizzate da consulenti esperti, sono pensate per rivitalizzare le aziende e i prodotti, fornendo loro una nuova identità e la possibilità di generare nuovi profitti. Il rebranding, in alcuni casi, risulta essere essenziale per la sopravvivenza e può offrire un’opportunità di trasformazione completa43.

2.1.1 Definizione di rebranding

Come spesso accade, quando emerge un nuovo termine è necessario che sia ben noto nell’uso popolare prima che la comunità accademica inizi a codificarlo. Infatti, l’interesse accademico verso il rebranding si è verificato ad inizio anni 2000, periodo in cui l’utilizzo di questo termine è cresciuto nella stampa economica a causa dei cambiamenti di nome di varie imprese (Philip Morris in Altria, Guinness in Degeo per citarne alcune).

Inizialmente nella letteratura commerciale e nella pratica, l’espressione “rebranding” era comunemente utilizzata per indicare che un brand è “reborn”, ovvero “rinato”. Oppure

42 D’AMICO S., “Il re-branding: la necessità di adattarsi al cambiamento”, in Casi di marketing (Vol. 14), FrancoAngeli, Milano, pag XXXV-XLVII, 2018. 43 KAIKATI J. G., KAIKATI A. M., A rose by any other name: Rebranding campaigns that work, Journal of Business Strategy, 2003. 42 veniva utilizzata in vari modi per descrivere tre diversi eventi: cambiare nome, cambiare l’estetica di marca (colore, logo ecc.) e riposizionare il brand. Questo uso risulta essere fuorviante e genera confusione dato che, come si vedrà più , questi eventi fanno tutti parte del processo di rebranding e nessuno da solo può fornire una definizione teorica. Come suggeriscono i professori di marketing Laurent Muzellec e Mary Lambkin, un approccio etimologico sembra essere il modo più appropriato per definire il rebranding. Infatti, il termine “rebranding” è un neologismo composto da due termini ben definiti: re e branding. Re è il prefisso degli ordinari verbi d’azione che talvolta significano “di nuovo”, quindi implica che l’azione viene eseguita una seconda volta; branding, invece, si riconduce ai concetti visti nel Capitolo 1. Di conseguenza, gli studiosi definiscono il rebranding come “la pratica di costruire nuovamente un nome che rappresenti una posizione differenziata nella mente degli stakeholders e un’identità distintiva dai concorrenti”44.

Prendendo in considerazione la definizione tradizionale di brand proposta dalla American Marketing Association: “La marca è un nome, termine, disegno, simbolo o qualsiasi segno che identifichi il bene o servizio di un venditore e aiuti a distinguerlo da quello di altri venditori”, si può notare che essa si concentra in particolar modo sulle attività di differenziazione attraverso il nome o elementi che riguardano l’identità visiva. Seppur limitante, è possibile individuare una corrispondenza con il processo di rebranding con cui Muzellec e Lambkin chiariscono ulteriormente la definizione: “Il rebranding consiste nella creazione di un nuovo nome, termine, simbolo, design o una combinazione di essi per un brand affermato con l’intenzione di sviluppare una posizione differenziata nella mente degli stakeholder e nuova rispetto ai concorrenti”45.

La prima parte della definizione si riferisce ai cambiamenti nell’estetica di marca dalla quale nasce la domanda: devono essere cambiati tutti gli elementi o solo alcuni di essi per meritare l’etichetta di “rebranding”? Poiché le modifiche estetiche sono di natura superficiale, sostanzialmente apportate a componenti tecniche del brand, possono essere piuttosto sottili e difficili da comprendere. La variabile “cambio nome” viene utilizzata come indicazione di quanto radicale sia il rebranding.

44 MUZELLEC L., DOOGAN M., LAMBKIN M., Corporate rebranding - an exploratory review, Irish Marketing Review, vol. 16, no. 2, pp. 31—40, 2003. 45 MUZELLEC L., LAMBKIN M., Corporate rebranding: destroying, transferring or creating brand equity?, European Journal of Marketing, Vol. 40 Iss 7/8 pp. 803 - 824, 2006. 43

La seconda parte della definizione riguarda il posizionamento della marca, se cambia o rimane invariato nel corso del processo di rebranding. A volte un fattore esterno, come ad esempio un cambiamento nel contesto normativo, non implica necessariamente un cambiamento nel posizionamento. In questo caso, lo sforzo di intraprendere il rebranding potrebbe riguardare semplicemente l’obiettivo di ristabilire il brand. Tuttavia, molte modifiche di nome vengono invocate allo scopo esplicito di alterare l’esistente brand image e, pertanto, il riposizionamento può essere considerato un elemento chiave nel rebranding. Modificare la posizione di mercato è un cambiamento profondo dato che investe i pilastri di valore del brand46.

Un’altra possibile definizione di rebranding è quella fornita dai ricercatori Bill Merrilees e Dale Miller, che inquadrano il rebranding come una pratica onnipresente nella comune politica di branding. Ovviamente i due concetti vanno differenziati: mentre il branding concerne l’articolazione iniziale coerente delle scelte strategiche riguardante il brand e può avvenire in qualsiasi momento, il rebranding si riferisce alla disgiunzione o al cambiamento tra il brand inizialmente formulato e una sua nuova formulazione47.

2.1.2 Il rebranding come continuum

Esiste un continuum nel rebranding che va dalla modifica evolutiva, riguardante slogan o logo ad esempio, fino alla modifica rivoluzionaria, come un nuovo nome48. Il modello descrittivo illustrato di seguito in Exhibit 2.1, ideato da Muzellec e Lambkin, mette in evidenza il continuum nel rebranding prendendo in considerazione le due dimensioni fondamentali sopracitate: cambiamento nell’estetica di marca e cambiamento nel posizionamento. In base alla variazione del grado in cui si verifica ogni cambiamento, il rebranding può essere indicato come evolutivo o rivoluzionario.

46 D’AMICO S., 2018, cit. 47 MERRILEES B., MILLER D., Principles of corporate rebranding, European Journal of Marketing, Vol. 42, pp. 537- 552, 2008. 48 STUART H., MUZELLEC L., Corporate makeovers: Can a hyena be rebranded?, Journal of Brand Management, Vol. 11, No. 6, pg. 472, July 2004. 44

Exhibit 2.1: Rebranding as a continuum49

Il rebranding evolutivo, al di sotto della curva del modello, descrive un cambiamento minore nell’estetica e nel posizionamento dell’azienda ed è così graduale da risultare appena percettibile dall’esterno. Tutte le imprese nel tempo mettono in atto questo processo attraverso una serie di aggiustamenti e innovazioni cumulative, solitamente non oggetto di studio.

Al contrario, il rebranding rivoluzionario, sopra la curva del modello, descrive un importante cambiamento identificabile nell’estetica e nel posizionamento che ridefinisce fondamentalmente l’azienda. Solitamente, questo cambiamento viene identificato grazie ad un cambio di nome.

Allo stesso modo, gli esperti Aidan Daly e Deirdre Moloney considerano il rebranding come un continuum. Secondo quanto affermano, la marca è un asset prezioso ed è costituita da elementi tangibili (espressione fisica del brand) e intangibili (valori, immagine, emozioni). Tali elementi possono essere modificati in parte o totalmente attraverso il processo di rebranding. Data l’importanza di questo cambio d’identità, la decisione strategica di intraprendere un rebranding deve essere oggetto di un’attenta pianificazione da parte dell’impresa50.

In Exhibit 2.2 sottostante è illustrato il continuum riguardante il rebranding suddiviso in base all’intensità dei cambiamenti. Le modifiche minori riguardano prettamente l’estetica e possono variare dal semplice restyling alla rivitalizzazione dell’aspetto del brand, il quale potrebbe essere datato. Le modifiche intermedie possono dar vita ad un riposizionamento per il brand attraverso l’utilizzo di tecniche di marketing mirate alla

49 MUZELLEC L. LAMBKIN M., 2006, cit. 50 DALY A., MOLONEY D., Managing Corporate Rebranding, Irish Marketing Review, Vol 17, No 1-2, pp 30-36, 2004. 45 comunicazione e all’assistenza clienti, in modo tale da conferire una nuova brand image. Un cambiamento completo dà vita ad un rebranding totale che deve essere accompagnato da una campagna marketing integrata allo scopo di comunicare i valori e l’immagine della nuova marca. Il concetto di fondo di questo schema è molto simile a quello di rebranding evolutivo e rivoluzionario visto nel precedente modello.

Exhibit 2.2: Rebranding continuum51

2.1.3 I livelli gerarchici del rebranding

Altro modo utile per concettualizzare l’argomento del rebranding è in base al livello della gerarchia aziendale in cui esso si verifica. I livelli in questione, come si nota dall’Exhibit 2.3 sotto, sono tre e sono essenzialmente quelli individuati da Keller visti nel precedente capitolo: corporate, business unit e product. Il rebranding può avvenire a un solo livello della gerarchia oppure a più livelli, anche a tutti e tre52.

Exhibit 2.3: Rebranding Hierarchy53

51 DALY A., MOLONEY D., 2004, cit. 52 MUZELLEC L. LAMBKIN M., 2006, cit. 53 GYENSARE M., Rebranding: a strategy whose time has come, University of Education, Winneba, 2016. 46

Il corporate rebranding si riferisce alla ridenominazione di un’intera entità aziendale e spesso indica un importante cambiamento strategico o un riposizionamento, incidendo sulla brand image e sulla brand identity. La maggior parte dei casi e, soprattutto, quelli strategicamente più rilevanti si verificano a livello corporate.

Il business unit rebranding si riferisce a una situazione in cui a un brand sussidiario o a una divisione all’interno dell’azienda viene attribuito un nome distintivo per avere conseguentemente un’identità distinta e separata da quella della corporate. Questo può essere il risultato di una scissione forzata o per motivi di posizionamento competitivo.

Il product rebranding è relativamente raro e si riferisce solitamente ad un cambio di nome di un prodotto. Si tratta di una mossa tattica guidata dal desiderio di rendere il brand più globale e ricavarne economie di scala nel packaging e nella pubblicità. Inoltre, è utile per dare una migliore organizzazione e struttura al brand portfolio. In questo schema sono riportati alcuni casi rilevanti di rebranding nei differenti livelli delle gerarchie aziendali.

Exhibit 2.4: A Hierarchical Model of Rebranding54

2.1.4 Teoria e principi del rebranding

Nell’area di ricerca del rebranding aziendale, la letteratura è in gran parte costituita da casi di studio descrittivi che coinvolgono differenti contesti. Gli esperti di marketing Bill

54 MUZELLEC L., DOOGAN M., LAMBKIN M., 2003, cit. 47

Merrilees e Dale Miller nel loro elaborato Principles of corporate rebranding prendono in considerazione quattro rilevanti case studies accademici che, secondo loro, apportano importanti contributi nella comprensione del rebranding aziendale: il primo riguarda il rebranding di Mazda (Ewing et al., 1995) che ha comportato il passaggio da una stretta focalizzazione su durabilità e affidabilità a un insieme più complesso e differenziato di valori fondamentali che comprendono qualità, tecnologia ed entusiasmo. Il secondo studio si concentra sui processi di sviluppo intrapresi dal LEGO Group nel loro rebranding aziendale (Schultz and Hatch, 2003) che coinvolgono i nuovi valori del brand: il corporate brand ha attraversato una serie complessa di cicli nella sua nuova formulazione, incluso il collegamento tra i tre elementi principali (vision, cultura e immagine) e il coinvolgimento degli stakeholders. Il terzo caso di studio concerne l’acquisizione di Eircell da parte di Vodafone e il successivo rebranding (Daly and Moloney, 2004): questo si focalizza sul periodo di transizione in cui entrambi i brand venivano pubblicizzati insieme come strategia provvisoria, prima di rimuovere Eircell dal mercato. Infine, il quarto studio riguarda il rebranding di Canadian Tire (Merrilees, 2005) in risposta alle pressioni della concorrenza, in cui vengono messi in evidenza i ruoli delle ricerche di mercato qualitative e quantitative e l’intuizione dell’azienda di guidare la nuova brand vision, oltre alla gestione degli stakeholders e la strategia integrata e creativa di comunicazione pubblicitaria.

Da questi quattro casi appena riassunti, Merrilees e Miller individuano dei punti in comune dai quali interpretano la teoria del rebranding come un amalgama di tre temi dominanti:

• La necessità di re-vision del brand sulla base di una solida conoscenza del consumatore per soddisfare sia le esigenze attuale che quelle prevista • L’uso del marketing interno per garantire l’impegno degli stakeholders • Il ruolo dell’advertising e degli altri elementi del marketing mix nella fase di implementazione

Successivamente, i due studiosi hanno sviluppato sei principi con l’obiettivo di estendere la teoria sul rebranding per renderla più dettagliata e quindi maggiormente suscettibile di valutazioni e sperimentazioni. Stabilire dei principi guidati dalla letteratura è un metodo utile di codifica e, inoltre, concedono maggiore libertà ai manager nelle decisioni discrezionali. I primi tre principi si riferiscono al processo di revisione della brand vision,

48 il quarto riguarda il supporto interno o “buy-in” della nuova vision, mentre gli ultimi due si concentrano sull’implementazione della nuova strategia di marca.

▪ Principio 1: progettare una nuova brand vision adatta al corporate brand dovrebbe bilanciare il bisogno di continuare a soddisfare l’ideologia di base della marca, ma anche far progredire il brand in modo che rimanga rilevante per le condizioni attuali.

Il primo principio riflette un evidente paradosso che colpisce il rebranding: il bilanciamento tra due situazioni contrastanti come il “rimanere gli stessi” e il “cambiamento”. È possibile trarre vantaggi dalla combinazione tra i valori fondamentali del brand e l’innovazione, che dà vita ad una forte relazione sinergica. I brand forti che ben performano sul mercato e per questo rifiutano l’innovazione, inavvertitamente corrono il pericolo di essere superati dai concorrenti. La soluzione è insita nella volontà del brand di innovare volta per volta, il che richiede un rebranding per la sostenibilità aziendale.

▪ Principio 2: affinché il rebranding aziendale abbia successo può risultare necessario il mantenimento di alcuni concetti chiave o periferici del brand, in modo da costruire un ponte che colleghi il brand prima e dopo la rivisitazione.

C’è sempre pressione nel modificare il brand mantenendo una pertinenza attuale. Tuttavia, è fondamentale mantenere un nesso tra il brand preesistente e quello rivisitato. Quando un brand viene revisionato è importante non abbandonare le tracce lasciate nella memoria dei consumatori perché queste contribuiscono all’accettazione del nuovo brand e forniscono legittimità. Questo principio suggerisce che il rebranding è un processo incrementale e non un cambiamento radicale che inizialmente richiede considerazioni sulla gestione del cambiamento a livello di progettazione della nuova vision. Un supporto a questo principio lo fornisce indirettamente la teoria che sta alla base delle brand extension: le estensioni di successo si concretizzano nel riuscire a trasferire il significato della marca da un contesto ad un altro, mentre il rebranding è un trasferimento di significato che si verifica di volta in volta.

▪ Principio 3: un rebranding di successo può richiedere un punto di incontro nella soddisfazione delle esigenze tra i nuovi segmenti di mercato e quelli precedenti.

49

La decisione di effettuare un rebranding potrebbe portare a dover inserirsi in nuovi segmenti di mercato o persino in nuovi mercati. La crescita del brand potrebbe richiedere di attingere ad altri mercati target con esigenze differenti rispetto alla base clienti originale, aggiungendo nuovi attributi al brand è possibile soddisfarli. L’emergere di nuovi segmenti di mercato nel tempo riflette l’evoluzione naturale dei mercati e la necessità di mantenere i brand con un focus attuale e fresco.

▪ Principio 4: un’azienda che applica un alto livello di brand orientation attraverso la comunicazione, la formazione e il marketing interno ha maggiori possibilità di mettere in atto un rebranding efficace.

La brand orientation si verifica quando il brand è fondamentale per l’essenza dell’azienda e delle sue strategie, ovvero quando tutti gli stakeholders hanno possesso del brand e lo vivono nella loro quotidianità, in particolar modo i dipendenti. Un pieno coinvolgimento delle parti interne all’impresa, sotto la guida di una leadership efficace, è di vitale importanza per la buona riuscita di un rebranding.

▪ Principio 5: un’azienda di successo con un alto livello di integrazione e coordinamento di tutti gli aspetti del marketing mix, con ogni elemento allineato con il concetto di base del brand nella sua implementazione della strategia di rebranding, ha maggiori possibilità di mettere in atto un rebranding efficace.

Le aziende dovrebbero implementare metodicamente una strategia di rebranding. Ogni elemento della marca che rappresenta un componente del marketing mix o del retail mix dovrebbe essere direttamente allineato al brand concept. Tutte le parti della strategia devono essere integrate, compresa la progettazione di prodotti/servizi, il servizio clienti, la distribuzione, i prezzi, la gestione delle relazioni ecc.

▪ Principio 6: la promozione è necessario per mettere a conoscenza gli stakeholders del brand rivisto, con possibili benefici aggiuntivi nel caso in cui i non mass media siano inclusi nel promotion mix.

Questo principio mostra la necessità di comunicare il nuovo brand agli stakeholders. Sebbene la pubblicità sia una scelta ormai naturale per le grandi imprese, le considerazioni riguardanti il budget richiedono l’utilizzo di metodi promozionali più diretti, tra cui le pubbliche relazioni. Queste possono avere un vantaggio comparato quando l’obiettivo è cambiare gli atteggiamenti, come ad esempio una campagna per il

50 sociale o, appunto, un rebranding. Inoltre, diverse aziende per rafforzare la propria posizione utilizzano i non mass media come mezzo di promozione e il coinvolgimento dei clienti in questi processi può essere particolarmente efficace.

2.1.5 Contraddizioni e incoerenze del rebranding

Una interessante analisi su alcuni limiti nella teoria e nella pratica del rebranding è proposta da Laurent Muzellec e Mary Lambkin in Corporate rebranding: destroying, transferring or creating brand equity? I due studiosi affermano infatti che nel corso degli anni sono state elaborate diverse concettualizzazioni riguardanti il corporate branding ed un buon compromesso può essere quello di riassumere questo termine come “un processo sistematicamente pianificato e implementato per creare e mantenere un’immagine favorevole e di conseguenza una buona reputazione per l’intera azienda, inviando segnali a tutti gli stakeholders e gestendo il comportamento, la comunicazione e il simbolismo”. A primo impatto, il rebranding può apparire come una contraddizione rispetto alla letteratura riguardante la reputazione aziendale e il marketing in generale. La principale incoerenza ruota attorno al concetto di brand equity a cui si aggiungono delle sfide riguardanti il periodo formazione iniziale del rebranding, il coinvolgimento del personale e i mezzi di comunicazione. Il rebranding può essere visto come una trasformazione del marketing aziendale, ovvero un segnale molto forte per gli stakeholders che qualcosa è cambiato nell’impresa.

A primo impatto, l’approccio al rebranding rivoluzionario sembra andare incontro a molte contraddizioni. Come affermato precedentemente, il cambiamento più radicale si verifica con un cambio di nome. Affinché un nuovo nome venga lanciato è necessario che venga abbandonato il vecchio nome, e quest’azione probabilmente annullerà anni di sforzi di branding in termini di creazione di awareness. Poiché la name awareness è una delle componenti chiave della brand equity, è probabile che questa modifica possa danneggiarla ulteriormente, se non distruggerla. Un rebranding che comporta un cambio di nome potrebbe cancellare le associazioni mentali positive che la marca stimola solitamente. Inoltre, la ridenominazione riguarda anche il danneggiamento di una risorsa reale che ha un valore contabile di una certa importanza in bilancio. D’altro canto, un cambio di nome offre l’opportunità di proiettare il carattere distintivo dell’azienda attraverso un uso

51 intensivo del mix della comunicazione aziendale, ovvero pubblicità, conferenze e comunicati stampa.

La pratica effettiva del rebranding presenta alcune incoerenza aggiuntive rispetto a come viene effettivamente articolato il corporate branding. Ad esempio, la gestazione del brand viene percepita come un processo a medio-lungo termine mentre il rebranding può apparentemente essere messo in pratica in un brevissimo lasso di tempo. O ancora, tutto il personale dell’impresa dovrebbe essere coinvolto durante la fase di branding, mentre la decisione di effettuare il rebranding è spesso presa da poche persone, generalmente dai dirigenti.

2.2 Il processo di rebranding

2.2.1 Motivazioni e driver principali

Una caratteristica chiave del rebranding sta nel fatto che si tratta di un metodo di segnalazione, un mezzo per comunicare agli stakeholders che qualcosa è cambiato all’interno dell’organizzazione. I principali driver per il rebranding sono, dunque, le decisioni, gli eventi o i processi che causano un cambiamento nella struttura, nella strategia o nelle prestazioni di un’azienda, talmente notevole da suggerire la necessità di una ridefinizione fondamentale dell’identità. Tali eventi possono variare e sono riassunti in Exhibit 2.5 che segue:

INTERNI ESTERNI Cambiamenti nella struttura proprietaria Cambiamenti nella posizione competitiva

• Fusioni e acquisizioni • Immagine obsoleta • Spin-off e scissioni • Erosione della posizione di mercato • Proprietà da privata a pubblica • Problemi di reputazione • Sponsorizzazioni Cambiamenti nella strategia aziendale Cambiamenti nell'ambiente esterno

• Internalizzazione e localizzazione • Regolamentazione legale • Diversificazione e disinvestimento • Crisi/catastrofi Exhibit 2.5: Drivers of rebranding55

55 Rielaborazione personale da MUZELLEC L., DOOGAN M., LAMBKIN M., 2003, cit. 52

Come si evince, i driver possono essere suddivisi in due macrocategorie principali: fattori interni ed esterni all’organizzazione. I fattori interni presi in considerazione riguardano i cambiamenti nella struttura proprietaria e i cambiamenti nella strategia dell’azienda, mentre i fattori esterni concernono i cambiamenti della posizione competitiva e i cambiamenti dell’ambiente esterno.

Queste motivazioni che spingono le imprese a rebrandizzarsi sono illustrate da uno studio pilota effettuato da Muzellec e Lambkin nel 2003 su un campione di 166 aziende appositamente scelto. Queste aziende prese in considerazione provengono principalmente da Regno Unito e Irlanda (45%), seguite da imprese provenienti dagli Stati Uniti d’America (31%) e dall’ Europa continentale (15%), per finire con Australia, Canada e Sudafrica (9%). Le azienda incluse in questo database rappresentano oltre quaranta settori diversi, i quali sono stati riuniti in dodici tipologie grazie al sistema di classificazione industriale del nord America (NAICS), come si può vedere da Exhibit 2.6:

Exhibit 2.6: Industry Spread of Rebranded Companies56

Emerge fin da subito che nessun settore è immune al rebranding. Il settore più colpito è quello dell’informatica e telecomunicazioni (22,3%), seguito dal settore finanziario e assicurativo (16,3%) e dal settore riguardante i servizi pubblici, energia e costruzioni (15,1%). Questo significa che le aziende di che operano in questi tre settori ricoprono il 53,7% dello studio. Altri due settori hanno una certa rilevanza e riguardano i servizi professionali, scientifici e educativi i prodotti chimici e per la salute, entrambi con un’incidenza del 8,4%. I settori restanti comprendono prodotti di consumo e servizi, la bassa rilevanza in questa ricerca può essere spiegata dal fatto che spesso queste aziende

56 MUZELLEC L., DOOGAN M., LAMBKIN M., 2003, cit. 53 hanno linee di prodotto molto lunghe e complicate in mercati non collegati tra loro, caratterizzate quindi dall’architettura di marca house of brands.

Exhibit 2.7: Drivers of Rebranding57

Come indicato da Exhibit 2.7, le fusioni e acquisizioni (33,1%) e le scissioni (19,9%) sono le ragioni più frequenti per le aziende che optano per un corporate rebranding, il quale comporta molto spesso un cambio di nome data l’impatto sull’identità di un evento così importante.

I problemi legati alla brand image (17,5%) sono il terzo fattore per rilevanza e si riferiscono a quando un’azienda rinnova la propria immagine ormai obsoleta oppure per riflettere un cambiamento nella posizione strategica; è necessario evidenziare che tra tutte le motivazioni questa è l’unica che deriva da una decisione strategica di marketing e non da una necessità amministrativa.

Le restanti cause si mantengono tutte sotto il 10%, per cui sono relativamente meno importanti. Poiché un brand non solo identifica l’azienda o il prodotto ma ne è anche l’essenza, è improbabile che si verifichi un rebranding se l’organizzazione stessa non è cambiata, come infatti suggerisce questo studio.

Esistono molte altre motivazioni che inducono le imprese a prendere la decisione di rebranding. Questa necessità deve essere innanzitutto basata sul presupposto che qualcosa è cambiato nel mix aziendale, e questo cambiamento impone il bisogno di evolvere il brand. Alcune motivazioni sono così riassunte58:

57 MUZELLEC L., DOOGAN M., LAMBKIN M., 2003, cit. 58 GOI C. L., GOI T. M., Review Models and Reasons of Re-branding, International Conference on Social Science and Humanity, 2011. 54

• Per stare al passo con i tempi e con le mutevoli esigenze dei consumatori • Perché il brand è diventato ormai vecchio stile e rischia la stagnazione o è già in stato di erosione • A causa della forte concorrenza o di un ambiente in rapida evoluzione • Come mezzo per bloccare o sviare i concorrenti, o per gestire una maggiore competitività dei prezzi • Come risultato della globalizzazione • Al fine di migliorare la competitività del brand in generale, creando un comune senso di scopo e identità unificata, costruendo il morale e l’orgoglio del personale, nonché un modo per attirare i migliori talenti o anche per testare nuovi mercati/prodotti • Per ridurre lo sviluppo del business e i costi operativi, o per contrastare il calo della redditività o della fiducia dei consumatori • Per segnalare un cambio di direzione, concentrazione, attitudine o strategia • In presenza di brand portfolios complessi, disordine considerevole della pubblicità, proliferazione dei media e successiva frammentazione del pubblico • Per sfruttare nuove opportunità o mezzi innovativi

2.2.2 Rebranding mix

Che cosa comporta esattamente il processo di rebranding aziendale? Una volta presa la decisione di attuare la strategia, risulta necessario analizzare le fasi che un’azienda deve accuratamente intraprendere. Il cosiddetto “rebranding mix” rappresenta il processo di rebranding ed è composto da quattro elementi: repositioning, renaming, redesign e relaunch59.

Il repositioning o riposizionamento è la fase di definizione degli obiettivi in cui viene presa la decisione da parte dell’azienda di cercare di creare una posizione radicalmente nuova nella mente dei suoi clienti, dei concorrenti e degli stakeholder. Il brand positioning, come visto nel Capitolo 1, è un processo dinamico e incrementale che deve essere regolato con costanza per rimanere in sintonia con le mutevoli tendenze del mercato e con le pressione della concorrenza, nonché con più ampi eventi esterni. Un rebranding può imporre le

59 MUZELLEC L., DOOGAN M., LAMBKIN M., 2003, cit. 55 condizioni per una revisione più radicale del posizionamento in termini sia di com’è l’azienda sia di come si presenta.

La fase di renaming o ridenominazione è considerata un modo di inviare un segnale molto forte agli stakeholder che l’impresa sta modificando la propria strategia, sta rifocalizzando la sua attività o è in atto un cambiamento di proprietà. Il nome è l’indicatore chiave del brand, è la base per la brand awareness e per la comunicazione, è per questo che la denominazione occupa una posizione fondamentale nelle relazioni tra l’impresa e gli stakeholder.

Il redesign o riprogettazione riguarda il logo aziendale, altro elemento importante oltre al nome e allo slogan. Gli esperti in materia in questa fase cercano di concentrare in un unico simbolo la realtà complessa come l’essenza della filosofia aziendale oppure gli attributi caratteristici di un prodotto. Il redesign non viene eseguito solo sul logo ma in tutti gli elementi organizzativi aziendali, come ad esempio le campagna pubblicitarie, il sito internet, i report annuali, le brochure, gli articoli di cancelleria ecc. per manifestare la posizione desiderata dall’impresa.

Infine, il relaunch o rilancio si concentra sulla strategia di comunicazione di tutta la campagna di rebranding e ne determina la valutazione del pubblico. Per gli stakeholder interni, il nuovo brand può essere introdotto attraverso brochure o giornalini, tramite workshop o intranet, oppure in occasione di una riunione annuale. All’esterno, invece, può essere comunicato tramite comunicati stampa e pubblicità per attirare l’attenzione, così da sensibilizzare il pubblico e facilitarne l’accettazione.

Prendendo in considerazione il modello elaborato sempre dai due esperti e precedentemente visto in Exhibit 2.1, queste quattro elementi presi tutti insieme possono essere considerate le linee guida per un rebranding rivoluzionario, mentre se modificati singolarmente possono comportare un rebranding di tipo evolutivo.

2.2.3 Il modello Muzellec-Lambkin: un punto di partenza

Attraverso lo studio di vari casi aziendali, nel corso degli anni alcuni esperti hanno individuato dei punti in comune tra le differenti situazioni e di conseguenza si sono prodigati nel proporre dei modelli riassuntivi riguardanti il processo di rebranding. Un

56 primo approccio molto sintetico riguarda il modello proposto da Muzellec e Lambkin, illustrato nella seguente Exhibit 2.8:

Exhibit 2.8: A Model of the Rebranding Process60

In questo modello sono sintetizzate le principali conclusioni derivanti dallo studio condotto dagli autori61. È possibile identificare tre fasi:

1) Cause o fattori che portano le aziende a decidere di intraprendere il rebranding (rebranding factors), riassunti nell’Exhibit 2.5 in precedenza. 2) Obiettivi principali del rebranding (rebranding goals) → riflettere una nuova identità e creare una nuova immagine. 3) Internalizzazione ed esternalizzazione (rebranding process) → cultura dei dipendenti e immagine degli stakeholders.

Questo modello ha contribuito in modo significativo alla comprensione del concetto di base del rebranding, sebbene sia stato criticato per la mancanza di monitoraggio e valutazione del processo in tutte le fasi. I due autori sottolineano l’importanza di coinvolgere gli stakeholders nel processo, dato che questa strategia, indipendentemente dai fattori scatenanti e dallo scopo iniziale, dovrebbe avere un effetto sia interno che esterno. Nello specifico, il rebranding è concettualizzato come un cambiamento nell’identità dell’organizzazione e/o un tentativo di cambiare la percezione

60 AGUNG KRISPRIMANDOYO D., Corporate rebranding: a literature review, The Second International Conference on Entrepreneurship, Surabaya, 2015. 61 MUZELLEC L. LAMBKIN M., 2006, cit. 57 dell’immagine, e per raggiungere questi obiettivi è di fondamentale importanza il coinvolgimento dei dipendenti interni e degli stakeholders esterni.

Come si evince da alcuni casi studio però, non è detto che l’intera implementazione dello sforzo di rebranding riesca a convincere le parti interne a comportarsi in conformità con le promesse che prevede il nuovo brand: i dipendenti potrebbero considerare la decisione di rebranding come una limitazione esterna e questo può aumentare il divario tra l’identità “vera” e quella “comunicata”, generando così un’immagine incoerente dell’azienda tra tutti gli stakeholders.

2.2.4 Il modello Daly-Moloney: l’importanza della comunicazione

Altro modello di rilevante importanza presente in letteratura è quello sviluppato dagli esperti Aidan Daly e Deirdre Moloney nel loro elaborato Managing Corporate Rebranding in cui prendono in considerazione la strategia di rebranding aziendale adottata da Vodafone nel 2001, in seguito all’acquisizione di Eircell, all’epoca importante azienda irlandese di rete mobile. La strategia di rebranding in questione ha avuto successo e ha raggiunto gli obiettivi fissati per le campagne sia esterne che interne, i passaggi fondamentali della campagna sono riassunti in Exhibit 2.9 sotto:

62

Exhibit 2.9: Vodafone's Communications Campaign

Gli approcci utilizzati sono stati integrati nel framework di rebranding mostrato in Exhibit 2.10. Questo framework ha come obiettivo quello di aiutare le aziende a gestire il processo di rebranding e si basa su tre settori cardine di marketing, vale a dire analisi di mercato,

62 DALY A., MOLONEY D., 2004, cit. 58 pianificazione di marketing e pianificazione della comunicazione, ed è sostanzialmente suddiviso in tre sezioni sequenziali ma sovrapposte: analisi, pianificazione e valutazione.

Exhibit 2.10: Corporate Rebranding Framework63

1) Analisi ➔ in questa fase strumentale iniziale si riesce a capire se ci sia o meno l’effettiva opportunità di avviare il processo di rebranding. Tutti gli aspetti della pianificazione di marketing dovrebbero essere basati e sviluppati a partire un’analisi situazionale o di mercato. In generale, questa analisi dovrebbe esaminare le questioni quantitative e qualitative, come le dimensioni e il potenziale del mercato, le attitudine e le preferenze di mercato, nonché i punti di forza e di debolezza della concorrenza. In particolare, il risultato del brand audit dovrebbe essere in grado di fornire una prospettiva di mercato sul brand coinvolto nel processo di rebranding rivelando i punti di forza e di debolezza dei concorrenti. La raccolta di informazioni di mercato come quelle precedentemente spiegate

63 AGUNG KRISPRIMANDOYO D., 2015, cit. 59

richiede l’implementazione di metodi di audit e di ricerche di mercato. Inoltre, nel caso di acquisizione o fusione, il marketing interno dovrebbe essere avviato conducendo ricerche sulla gestione e sui comportamenti dei dipendenti acquisiti, le stesse tecniche di ricerca esterna possono essere utilizzate per conoscere le percezioni, gli atteggiamenti, le paure e le aspirazioni dei manager e dei dipendenti. 2) Pianificazione ➔ questo step comprende la definizione degli obiettivi e della vision del nuovo brand. Inizia dall’interno dell’azienda con programmi sia di comunicazione che di formazione per ottenere il supporto e l’impegno da parte dei dipendenti e per formarli riguardo le nuove politiche e procedure aziendali. Pianificare il programma di comunicazioni interne dovrebbe seguire le linee guida generali per le comunicazioni esterne integrate. Invece, per la pianificazione che riguarda l’esterno il modello inserisce anche la strategia di ridenominazione, dato che si basa su un caso di acquisizione, e suggerisce quattro possibili approcci per il nuovo nome: ad interim o doppio, prefisso, sostituzione o amalgamazione. Il brand audit dovrebbe aiutare l’organizzazione a decidere quale utilizzare, tuttavia il nuovo nome può diventare un problema emotivo per i consumatori, i dirigenti e persino i dipendenti. Addirittura, in alcune casi questo sentimentalismo risulta essere un vincolo per la nuova gestione che deve conservare il brand acquisito come parte del nuovo, pena l’annullamento del contratto di acquisizione. Per concludere l’intera fase di pianificazione, è necessario inserire la parte riguardante il “piano di marketing rebranding”. Cambiare un brand già consolidato e conosciuto significa sprecare un bene prezioso e comporta una decisione molto seria. Le aziende che hanno successo con il rebranding pianificano il processo seriamente e con molta attenzione, questa fase di pianificazione è condotta in base ai principi del piano di marketing (analisi, autoanalisi, scenario, implementazione, risorse, budget…) ed è molto chiaro che ogni elemento del mix dovrebbe essere preso in considerazione per il progetto di rebranding, ad esempio le decisioni sui vantaggi del prodotti, sui prezzi, sulle comunicazioni integrate, sul ruolo dei dipendenti ecc. 3) Valutazione ➔ ultimo elemento del framework, è necessario condurre la valutazione durante il processo di pianificazione se si vuole avere maggiori possibilità di affinare la campagna. Questa valutazione graduale consente di modificare qualsiasi aspetto del piano nel caso emerga una necessità evidente.

60

Inoltre, alla fine si dovrebbe attuare una revisione o una valutazione complessiva approfondita per ottenere una visione più integrata del processo di pianificazione.

2.2.5 Il modello Miller-Merrilees: fattori abilitanti e ostativi

La preponderanza dei modelli di rebranding presenti in letteratura adottano un approccio basato sullo studio dei fenomeni di questa strategia, mentre poche indagini si basano sulla teoria esistente del rebranding per comprendere le fasi del processo. Un primo modello di Merrilees e Miller, illustrato nella Exhibit 2.11, integra tutti gli aspetti del processo di rebranding ed è in grado di esaminare la letteratura pertinente.

Exhibit 2.11: Model of corporate rebranding64

Questo modello riflette un processo che comprende le cause scatenanti del rebranding, suggerisce tre fasi chiave e include dei risultati finali. La prima fase di brand re-vision consiste in processi necessari per definire il nuovo brand rivisitato, la seconda fase riguarda l’implementazione della strategia di rebranding attraverso un approccio integrato, mentre la terza fase racchiude le attività di branding interno che mirano a incoraggiare l’accettazione da parte degli stakeholders del nuovo brand.

Questo primo approccio da parte degli studiosi, con le sue proprietà teoriche, olistiche e generaliste, funge da piattaforma iniziale per una lunga evoluzione della letteratura dalla cui revisione nasce un nuovo modello di processo complessivo. Per ottenere una revisione integrata della letteratura, lo studio condotto da Miller e Merrilees intitolato Corporate rebranding: an integrative review of major enablers and barriers to the rebranding process ha come scopo quello di riunire varie concezioni dei meccanismi del rebranding, ponendo i principali fattori abilitanti e barriere al centro della strategia poiché influenzano altri aspetti del processo. Questa revisione si è sviluppata attraverso quattro fasi:

64 MILLER D., MERRILEES B., YAKIMOVA R., Corporate rebranding: an integrative review of major enablers and barriers to the rebranding process, International Journal of Management Reviews, Vol. 16, pp 265–289, 2014.

61 identificazione di articoli influenti; ampliamento della ricerca di articoli riguardanti il rebranding; analisi degli articoli per identificare i temi riguardanti i meccanismi del rebranding; ed infine, sviluppo di dichiarazioni autorevoli sullo stato della letteratura. Da questa revisione sono emersi 61 articoli rilevanti che discutono di 76 casi di rebranding aziendale così suddivisi: 43,1% aziende a scopo di lucro presenti in diversi settori (retail, finanza, automotive ecc.), 40,7% inerenti a luoghi come città e località, 16,2% organizzazioni non-for-profit.

I risultati che emergono da questa revisione mettono in evidenza sei fattori abilitanti e cinque ostacoli che influenzano le fasi il processo di rebranding, alcuni di essi sono definiti “multifase” dato che riguardano più fasi. Nello specifico, i fattori abilitanti elencati di seguito sono gli elementi essenziali che consentono di raggiungere un rebranding di successo:

• Forte leadership di rebranding → unico fattore abilitante multifase e sicuramente il più importante perché è alla base di tutti i fattori abilitanti, è caratterizzato dalla rilevante esperienza strategica e dall’impegno dei leader, i quali mettono a disposizione dell’impresa le proprie competenze consolidate per le complesse decisioni da assumere. Aumenta la probabilità di avere altri fattori abilitanti e quindi di esiti finali positivi della strategia. • Sviluppare la comprensione del brand → i manager intraprendono una ricerca qualitativa e quantitativa per comprendere l’ambiente di mercato per sviluppare attributi ed elementi della nuova marca • Attività di branding interno → queste attività hanno lo scopo di incoraggiare manager e dipendenti a supportare il brand rivisto, includono in genere formazione e comunicazioni interne. Il supporto comportamentale emerge quando questi comprendono il nuovo brand e si impegnano nello sforzo di rebranding. • Continuità degli attributi della marca → nei casi in cui si sono verificati ottimi risultati, la marca rivista ha mantenuto continuità con il significato precedente del brand. Le ricerche suggeriscono che questa continuità incoraggia i principali stakeholders a sostenere il nuovo brand. • Coordinamento degli stakeholders → questo coordinamento per attuare la nuova strategia è un punto in comune nei casi con esiti positivi. Questo sforzo include il

62

coordinamento di funzioni e di agenzie di comunicazione, o l’integrazione di stakeholders differenti tra loro. • Programma di marketing integrato → importante per un’efficace attuazione della strategia di rebranding. Un programma di comunicazione raggiunge l’integrazione se tutte le comunicazioni trasmettono il significato della nuova marca.

Dall’altro lato, sono stati individuati degli ostacoli che impediscono il processo di rebranding e ne inibiscono il successo. È necessario evidenziare che, a differenza dei fattori abilitanti, la maggior parte degli ostacoli qui sottoelencati è multifase:

o Approccio autocratico di rebranding → il primo grande ostacolo si verifica quando i leader introducono il nuovo brand con un coinvolgimento limitato degli stakeholders nello sviluppo. Questo è un fattore che costituisce una seria minaccia alla buona riuscita della strategia e comporta l’aumento della probabilità di avere altre barriere durante il processo. o Tensione degli stakeholders → casi con esiti negativi sono spesso soggetti a tensioni tra i principali gruppi di stakeholders con interessi differenti, le organizzazioni sono particolarmente sensibili a queste tensioni durante lo sviluppo di una nuova brand orientation. In queste situazioni, il contrasto tra la vecchia prospettiva di gestione e il nuovo approccio contribuisce alla dissonanza tra i portatori d’interesse. o Brand re-vision limitata → una delle cause di insuccesso di rebranding è lo sviluppo di un nuovo brand di portata troppo ristretta che inibisce le fasi del processo, limita il potenziale di ottenere un’offerta di valore convincente e differenziata. o Ricerca inadeguata → un’analisi inadeguata della situazione impedisce lo sviluppo di un brand distintivo e aumenta la possibilità di esiti negativi. o Considerazione inadeguata dei clienti → fattore che riguarda solo la fase riguardante gli stakeholder, il cui supporto può essere sminuito se si trascura di considerare e indirizzare le preferenze dei consumatori.

Da questa analisi dei fattori abilitanti e ostativi emerge che la leadership è il fulcro nel processo di rebranding. Infatti, essa è una questione comune a tutto il processo e a seconda di come si impone sulla brand revision, sugli stakeholder e sull’implementazione della strategia può determinarne il successo o meno.

63

Oltre ai fattori abilitanti e ostativi, lo studio condotto da Miller e Merrilees offre un importante contributo proponendo un nuovo modello generale di processo di rebranding aziendale robusto e complesso, data la quantità e la varietà di casi presi in considerazione, concettualizzato in Exhibit 2.12 seguente:

Exhibit 2.12: A new general complex process model of corporate rebranding65

L’interpretazione del modello inizia con la contestualizzazione dell’azienda riguardante il mercato in cui opera, locale o globale, e l’obiettivo che essa persegue, quindi con o senza scopo di lucro. Dopodiché si analizzano i fattori scatenanti (triggers) che danno il via a questo processo, i quali sono suddivisi in due dimensioni: proattivi o reattivi e urgenti o non urgenti. I casi proattivi si verificano quando viene individuata internamente

65 MILLER D., MERRILEES B., YAKIMOVA R., 2014, cit. 64 un’opportunità per migliorare la marca e questa guida l’iniziativa di rebranding, mentre i casi reattivi sono caratterizzati da fattori esterni che influenzano negativamente il brand dando il via allo sforzo di rebranding. Invece, per quanto riguarda l’urgenza è facilmente intuibile che la variabile sia il periodo di tempo in cui avviare e concludere il processo: i casi urgenti hanno una scadenza di lancio specifica per il brand rivisto, al contrario i casi non urgenti non hanno una scadenza di attuazione. In base a come vengono categorizzati, questi elementi si traducono in obiettivi specifici che le imprese devono perseguire per poi monitorare le fasi e misurare gli esiti positivi e negativi.

Il cuore del modello è costituito dalla categoria multifase, un’assoluta novità e un grande contributo alla comprensione del rebranding aziendale, che si dirama in tre sottoprocessi a fasi singole (viste nel precedente modello degli autori). Il tutto viene considerato in concomitanza con i fattori abilitanti e con le soluzioni per evitare gli ostacoli: nella parte multifase viene infatti considerato la questione della leadership che, come visto in precedenza, è il fattore di maggior rilevanza che influisce in tutto il processo, mentre viene riassunto in un “anticipare le potenziali barriere” dato che praticamente tutti gli ostacoli sono considerati multifase perché possono colpire l’intero processo se non vengono evitati nelle singole fasi.

La prima fase definita “brand re-visioning” è caratterizzata da tre variabili: il fattore abilitante riguardante lo sviluppo della comprensione del brand, e le soluzioni per evitare i due ostacoli quali la brand re-vision limitata e la ricerca inadeguata. In questa fase vengono in aiuto i prime tre principi di rebranding di Merrilees e Miller visti in precedenza: i principi 1, 2 e 3 infatti affermano che nella nuova progettazione della visione della marca è necessario bilanciare il bisogno di continuare a soddisfare l’ideologia di base del brand e la necessità di essere trainati dal progresso per mantenere rilevanza nelle condizioni contemporanee, mantenendo una connessione tra il brand esistente e quello passato tramite elementi core e periferici e trovando un punto di incontro nella soddisfazione delle esigenze tra i nuovi segmenti di mercato e quelli precedenti. Dunque, tornando alle variabili, l’utilizzo della ricerca quantitativa e qualitativa è utile per migliorare il brand e per cogliere queste esigenze degli stakeholder; al contrario, una stretta revisione non può aiutare il brand a realizzare una nuova offerta di valore differenziata e valida, e questo avrà delle conseguenze negative nelle fasi successive.

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La seconda fase “stakeholder buy-in” riguarda l’accettazione del nuovo brand da parte degli stakeholder, i fattori abilitanti presi in considerazione sono le attività di branding interno e la continuità degli attributi della marca, mentre l’ostacolo è l’inadeguata considerazione dei clienti. Trascurare gli elementi del passato si ripercuote negativamente in questa fase, non solo per gli stakeholder esterni ma anche per quelli interni come i dipendenti. Qui entra in gioco il principio 4 degli autori: per riuscire a comunicare nel modo opportuno un importante cambiamento all’esterno è necessario che chi vive quotidianamente il brand partecipi attivamente e positivamente alla revisione, questo è possibile attraverso delle attività di branding interno. Il tutto senza trascurare le ciò che si aspettano i clienti dal prodotto/servizio, i quali devono essere coinvolti nel processo e potranno essere convinti maggiormente da chi vive la realtà aziendale.

L’ultimo sottoprocesso di “rebranding implementation”, ovvero l’implementazione del rebranding, è la fase in cui risulta essere necessario un programma di marketing integrato e il coordinamento degli stakeholder. Il primo trova conferma nei principi 5 e 6 degli autori: le possibilità di un rebranding efficace aumentano per un’azienda con un buon coordinamento di marketing mix e con ogni elemento allineato al concetto del brand aziendale revisionato, tenendo sempre conto dell’importanza della promozione per farsi conoscere. Il secondo pone l’attenzione sul coordinamento dei portatori d’interesse per implementare la nuova strategia del brand.

Infine, il passaggio finale riguarda il monitoraggio dei singoli processi e dei risultati del rebranding. La ricerca condotta dagli esperti individua tre indicatori di successo per valutare l’esito positivo o negativo della strategia: il primo indicatore è l’aumento delle misure del successo aziendale, come redditività, vendite, reputazione aziendale o immagine aziendale; il secondo indicatore è il raggiungimento degli obiettivi dichiarati per il rebranding aziendale; il terzo indicatore individua referenze forti e positive per l’intero caso o solo per aspetti specifici. In base a questi indicatori, gli esiti delle prestazioni vengono valutati come positivi se si raggiunge almeno uno di questi indicatori, al contrario vengono considerati negativi se non si raggiunge nessun indicatore. È facilmente intuibile che i fattori abilitanti giocano un ruolo fondamentale nel raggiungimento di esiti positivi della strategia: nella revisione della letteratura è emerso che nei casi positivi l’80% è caratterizzato da una forte leadership, ovvero il fattore multifase, l’86% ha avviato attività di branding interno e il 63% ha avviato un programma

66 di marketing integrato o ha coordinato gli stakeholder. Di contro, nei casi di esiti negativi il 71% presente almeno una barriera multifase. Pertanto, dato che i fattori abilitanti possono aiutare a prevenire o superare le barriere, i manager dovrebbero cercare di perseguirli per raggiungere i risultati sperati.

2.2.6 Le insidie del rebranding

Oltre ad essere una pratica molto costosa e impegnativa, il rebranding aziendale fa correre il rischio alle aziende di annullare potenzialmente interi anni di sforzi di marketing nella costruzione della brand equity. Nel corso degli anni sono stati commessi molti errori in campagne di rebranding di imprese note, quindi risulta essere di primaria importanza identificare le insidie che devono affrontare i responsabili delle decisioni riguardanti la progettazione e la realizzazione della strategia, anche per far avanzare la teoria e la pratica in questo settore.

Gli esperti Manto Gotsi and Constantine Andriopoulos hanno realizzato uno studio esplorativo qualitativo basato sulla realizzazione di quattordici interviste con dirigenti di importanti società di telecomunicazioni coinvolte in processi di rebranding (tipicamente di carattere rivoluzionario) e sull’analisi di materiali d’archivio rilevanti forniti dalle società stesse, tra cui comunicati stampa, comunicazioni interne ecc. I dirigenti partecipanti sono stati selezionati da aree diverse dell’azienda ma tutti coinvolti nella gestione del processo di rebranding e sono stati intervistati con l’obiettivo di comprendere cosa comporta il rebranding, opinioni e problemi riscontrati. I due studiosi hanno individuato quattro insidie comuni espresse dai dirigenti, identificate come aree problematiche chiave che complicano l’insediamento del nuovo brand nelle menti e nei cuori del pubblico interno ed esterno. Le quattro insidie sono così riassunte66:

1) Disconnessione dalla core identity → a rebranding avvenuto, gli stakeholder reagiscono al nuovo brand sulla basa delle loro precedenti associazioni. Un fattore chiave nella scelta di una nuova brand identity è, quindi, considerare le aspettative dei diversi gruppi di stakeholder dell’impresa in relazione alla nuova marca. Non investire risorse per comprendere in che modo ciascun gruppo di stakeholder

66 GOTSI M., ANDRIOPOULOS C., Understanding the pitfalls in the corporate rebranding process, Corporate Communications: An International Journal, Vol. 12 No. 4, 2007. 67

percepisce il brand e allontanarsi dal patrimonio e dall’identità aziendale può comportare il rischio di alienare i portatori d’interesse dall’azienda, i quali non riescono a identificarsi nel nuovo brand. Le discrepanze tra una brand identity determinata dalla strategia e le aspettative degli stakeholder nei confronti del brand rivisitato possono comportare un divario che non può sempre essere colmato facilmente. 2) Miopia degli stakeholder → attuare un rebranding e concentrarsi solo su chi ha una quota di capitale aziendale comporta una focalizzazione eccessiva sulla posizione finanziaria dell’impresa e sul lancio del nuovo brand, così da non concentrarsi sul dialogo con il personale e con i clienti in merito al rebranding. I dipendenti possono trovarsi impreparati all’evento a causa della mancanza di incoraggiamento e di comunicazione interna. Questo avrà ripercussioni negative anche sulle campagne mediatiche dal momento che tutta l’attenzione sarebbe posta sulle comunicazione esterne per influenzare le aspettative e le percezioni degli investitori, con il rischio di promettere qualcosa che in realtà non si può offrire. 3) Enfasi sulle etichette e non sui significati → nello sviluppo di nuove “etichette” per il brand, come un nuovo nome e logo, nuovi valori ecc., deve svilupparsi parallelamente la traduzione di questi in nuovi significati per il personale. “Siamo un’azienda innovativa” oppure “Puntiamo su semplicità e velocità” sono frasi che inglobano la promessa della nuova marca, ma bisogna essere efficaci negli sforzi di dare un significato utile ai dipendenti coinvolti. Questo disallineamento tra etichette e significati rischia di indebolire la promessa del brand e alimentare l’ambiguità dell’identità. Non basta porre l’accento sulla comunicazione delle novità, è necessario formare e motivare i dipendenti per far sì che supportino il riposizionamento con le proprie azioni, incentivandoli con ricompense e premi sulle prestazioni. Dunque, risulta importante la sinergia tra il reparto marketing e il reparto risorse umane. 4) Un’azienda, una voce: la sfida di identità multiple → l’intero processo di rebranding parte sulla premessa di creare una cultura aziendale interna unificata seguendo la filosofia “un’azienda, una voce” (“one company, one voice”). Purtroppo, questo solleva molte sfide in contesti aziendali caotici e complessi dato che i vari reparti hanno tradizionalmente culture molto distinte e le persone comprendono i metodi di gestione alla “vecchia maniera”. Queste molteplici identità all’interno delle

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aziende hanno aspettative diverse ed è necessario prenderle in considerazione durante le decisioni su elementi e significati della nuova marca.

Le insidie individuate dagli autori offrono preziose informazioni a livello manageriale e confermano l’importanza delle ricerche da parte dell’azienda sulle aspettative degli stakeholder nei confronti del brand rivisitato, essenziale dunque il coinvolgimento sin dalle primissime fasi del rebranding, e risulta necessario formare e incentivare i dipendenti per allineare atteggiamenti e comportamenti con la promessa della nuova marca.

2.3 Strategie di rebranding

2.3.1 Tipi di cambiamento

Una volta presa la decisione di intraprendere il processo di rebranding aziendale, le principali modifiche che apportano gli esperti in materia tre elementi in particolare: nome, logo e slogan67. Le permutazioni possibili in un rebranding aziendale sono: nome più logo, nome più logo più slogan, solo il logo, logo più slogan, solo slogan. Come affermato precedentemente modificare solo uno degli elementi comporterà un cambiamento di carattere evolutivo, dall’altro lato il cambiamento sarà rivoluzionario nel caso di modifica simultanea di tutti gli elementi. Dunque, è possibile notare che un cambiamento di nome non può avvenire da solo e questo comporta spesso e volentieri un rebranding rivoluzionario.

Il nome di un’organizzazione è uno dei mezzi principali con cui l’organizzazione stessa comunica ai propri stakeholder, cambiare il nome di un’impresa è una strategia rischiosa poiché ciò che viene comunicato cambia radicalmente. Affinché una modifica del nome abbia esito positivo, un’azienda deve avere un’idea chiara del perché il cambiamento è necessario e dei risultati sperati, tenendo conto che è difficile sapere se un potenziale nuovo nome sarà efficace o meno. Il nuovo nome dovrebbe riflettere la personalità o la ragion d’essere dell’azienda ed è importante cercare qualcosa che migliori la situazione piuttosto che cadere nella “trappola del cambio mediocre di nome”.

67 STUART H., MUZELLEC L., 2004, cit. 69

Il dilemma del nome si può risolvere facendo brainstorming68 sui nomi o generarli tramite un computer e trovare una nuova parola come nome, come nel caso di Accenture, un nome che pone l’accento o l’enfasi sul futuro e che è il risultato della richiesta ai dipendenti di presentare dei nomi, oppure attraverso l’utilizzo di parole latine e greche per aggiungere del mistico, come ad esempio il nome Altria che deriva dal latino “altus” e suggerisce che l’impresa punta a prestazioni massime e al costante miglioramento. La consultazione con i dipendenti è un imperativo, devono essere considerati come stakeholder chiave nel cambio di nome in quanto la loro identificazione con il nuovo nome sarà fondamentale, molte volte capita che abbiano un forte attaccamento al vecchio nome.

La ricerca sull’efficacia di un potenziale nome può essere un compito difficile, una domanda importante è la seguente: quale gruppo o gruppi di stakeholder dovrebbero essere coinvolti? I risultati derivanti da consumatori o pubblico in generale possono essere fuorvianti in quanto il loro interesse verso l’organizzazione può essere effimero. Un gruppo focus di giornalisti potrebbe essere un campione di ricerca migliore poiché le loro opinioni tendono a dominare le notizie post rebranding.

Nel caso di fusioni risulta difficoltoso trovare un che soddisfi le aziende dato che entrambe vorrebbero che il loro nome rimanesse in qualche modo ma questo può tradursi in un nome lungo e ingombrante, solitamente il partner dominante ottiene la prima parte del nome combinato. Accade spesso che questa prima parte di nome diventi dopo alcuni anni l’unico nome per l’azienda, sarebbe molto meno costoso cambiare nome immediatamente ma si potrebbe riscontrare un abbassamento di morale da parte dei dipendenti dell’azienda non più nominata e una reazione negativa degli stakeholder esterni.

In relazione ai cambiamenti nel logo aziendale ci deve ovviamente essere una motivazione di base: se il motivo della modifica è che l’organizzazione ha cambiato nome, è ovviamente importante avere un nuovo logo. Invece, se si tratta di cambiare il logo in un disegno astratto per essere più aggiornato e moderno, allora si dovrebbe prestare molta attenzione perché se il nuovo logo non simboleggia realmente l’azienda o se il simbolismo non è chiaro agli stakeholder, il suo valore è discutibile. I simboli astratti sono molto popolari anche se generalmente sono legati alle aziende attraverso colori e/o forme. Non

68 L'espressione brainstorming, in italiano raccolta di idee, (letteralmente "assalto mentale", o "tempesta di cervelli") è una tecnica creativa di gruppo per far emergere idee volte alla risoluzione di un problema. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Brainstorming 70

è facile trovare un buon simbolo astratto che si distingua dalla massa, che dia l’apparenza di potere, che evochi una risposta emotiva forte e un senso di esperienze, fiducia e tradizione. Il problema con questi tipi di simbolo è la perdita di significato dal designer al pubblico.

Una ricerca empirica condotta da Henderson e Cote analizza le caratteristiche che rendono un logo forte, ovvero altamente riconoscibile. I risultati evidenziano che i loghi forti sono moderatamente elaborati e molto naturali e armoniosi, per cui non rientrano in questa categoria i loghi altamente astratti né quelli monocolore. Questi risultati, però, possono essere in qualche modo fuorvianti in quanto un’organizzazione con un budget elevato e un simbolo astratto può condizionare gli stakeholder per ottenere un alto riconoscimento del logo69.

In un mondo già pieno di slogan risulta difficile trovarne uno che rimanga impresso tra gli stakeholder. Mentre un ottimo slogan può solo giocare a favore di un’impresa, uno slogan pessimo o addirittura ridicolo rischia di compromettere la credibilità aziendale e di essere bersaglio di critiche. La modifica dello slogan può essere messa in atto più frequentemente e con meno rischi rispetto al cambio di nome o di logo, sebbene cambiare lo slogan si traduce in una modifica del posizionamento. Infatti, idealmente lo slogan riflette la strategia di posizionamento del brand: se quello attuale rispecchia il brand positioning è meglio mantenerlo piuttosto di rischiare di adottare un nuovo slogan, il quale può essere percepito come un’indicazione che l’impresa non ha le idee chiare riguardo la propria identità. In caso contrario, cambiare slogan può essere di grande aiuto, come può esserlo per l’introduzione del nuovo nome del brand.

2.3.2 Sei opzioni strategiche

I dirigenti aziendali che stanno esplorando la possibilità di mettere in pratica un rebranding devono decidere come implementare questa transizione dal vecchio al nuovo. Possono selezionare una delle sei opzioni strategiche seguenti o una combinazione di esse70:

69 HENDERSON P., COTE J., Guidelines for Selecting or Modifying Logos, Journal of Marketing, Vol. 62(2), pp 14- 30, 1998. 70 KAIKATI J. G., KAIKATI A. M, 2003, cit. 71

• Strategia di introduzione/eliminazione graduale (phase-in/phase-out strategy) → durante la fase di introduzione graduale, il nuovo brand è legato in qualche modo a quello esistente per un periodo introduttivo specifico. Dopo un periodo di transizione, il vecchio brand viene gradualmente eliminato. Tutto questo allo scopo di abituare gradualmente i consumatori al cambiamento così da evitare possibili contrasti causati da un cambiamento rapido e brusco. Questa strategia è stata adottata da Disney nel parco a tema di Parigi passando per varie fasi: inizialmente il parco aperto nel 1992 era indicato come “Euro Disney” per poi cambiare negli anni successivamente in “EuroDisney” - “EuroDisney” - “Euro Disneyland” - “Euro Disneyland Paris” fino al nome finale “Dineyland Paris” del 1994, il quale ha l’obiettivo di aiutare a localizzare precisamente il parco a tema nella mappa europea. • Strategia di branding combinato tramite un umbrella brand (combined branding strategy via one umbrella brand) → questa strategia combina i diversi brand appartenenti alla stessa azienda sotto un unico brand globale, che può essere identificato come un umbrella brand. Ad esempio, la National BankAmericard emetteva carte di credito con ventidue nomi diversi in tutto il mondo prima di consolidarle tutte sotto la marca ombrello Visa. • Strategia di avvertimento trasparente (translucent warning strategy) → questa strategia si basa sull’informare i consumatori prima e dopo delle effettive modifiche relative al brand attraverso una campagna promozionale intensiva solitamente realizzata con l’utilizzo di display in negozio, banner pubblicitari e packaging del prodotto. Basti considerare il caso di rebranding di successo delle barrette di cioccolato Marathon diventate Snickers nel Regno Unito: prima della campagna sugli involucri delle barrette Marathon compariva la tagline71 “conosciuti in tutto il mondo come Snickers” e a rebranding avvenuto la tagline era “precedentemente conosciuto come Marathon”, il tutto accompagnato da campagne pubblicitarie aggressive. • Strategia di eliminazione improvvisa (sudden eradication strategy) → questa strategia prevede l’eliminazione del vecchio brand quasi dall’oggi al domani e di sostituirlo immediatamente senza alcun periodo di transizione. È una strategia

71 La tagline è una frase breve e diretta che riassume in modo istantaneo la vocazione di una marca, di un prodotto o di un'azienda. Il termine è in uso soprattutto in pubblicità. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Tagline 72

appropriata quando l’organizzazione vuole dissociarsi dalla sua vecchia immagine. Validi candidati per questa strategia sono i brand morenti e senza speranza di rivitalizzazione, la mancata eliminazione di marche deboli ritarda la ricerca aggressiva di prodotti sostitutivi però le aziende devono sviluppare una politica ben ponderata per questa gestione. • Strategia di contro-acquisizione (counter-takeover strategy) → questa variante si applica di solito in seguito ad un’acquisizione. Mentre gli acquirenti tendono a far apparire il proprio brand per dimostrare di essere dominanti, nel rebranding di contro-acquisizione gli acquirenti invertono i ruoli: abbandonano la propria marca a favore del brand acquisito, un’ammissione che il brand acquisito è più popolare rispetto alla propria marca. Sebbene questa strategia sia meno convincente, può risultare appropriata quando i concorrenti guadagnano un peso globale in modo aggressivo costruendo i rispettivi global brands. È il caso di France Telecom che nel 2000 ha acquisito l’operatore telefonico inglese Orange e ha rinominato tutte le sue funzioni telefoniche con il nome Orange, elevando il brand Orange a livello multinazionale che copre 33 milioni di clienti in venti paesi. In sostanza, l’acquirente ha abbandonato il proprio brand a favore di Orange. • Strategia di retrobranding → attraverso questa strategia drastica, le aziende ripristinano le funzioni precedenti al rebranding ammettendo così un errore e cercando di riconquistare i clienti persi o potenzialmente persi. Strategia adottata dalla società di direct marketing Wunderman, Ricotta & Kline fondata nel 1958 da Lester Wunderman, considerato il padre fondatore del direct marketing. A seguito di una fusione, il nome della società diventò Impiric nel febbraio 2000, un nome dal suono moderno per sfruttare il boom di dot.com enfatizzando i nuovi servizi di database management, telemarketing e consulenza. Questo ha creato l’impressione che si trattasse di una società di consulenza più che un’agenzia pubblicitaria, generando confusione tra i clienti e conseguente sofferenze degli affari. Nel giugno 2001 la società è tornata al nome Wunderman, accompagnata da un nuovo logo, per evidenziare il patrimonio dell’azienda enfatizzando i servizi di direct marketing.

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CAPITOLO 3 - IL CASO LOTTO SPORT ITALIA

3.1 L’azienda

3.1.1 Storia e attività

Lotto, l’azienda italiana leader nelle calzature e l'abbigliamento per lo sport e il tempo libero, viene fondata dalla famiglia Caberlotto nel 1973 a (TV) nel cuore dello Sportsystem, un distretto produttivo industriale ufficialmente riconosciuto a livello regionale che oggi comprende oltre trecento imprese che operano nel settore della calzatura tecnica ed articoli sportivi72. Questo piccolo territorio famoso in tutto il mondo per l’eccellenza della tecnologia applicata, è considerato una vera e propria “Silicon Valley” del settore sportivo dove la tradizione incontra l’innovazione e la creatività, ed è proprio qui che si trova il laboratorio di ricerca e sviluppo di Lotto.

L’esordio tra le aziende produttrici di calzature sportive avviene con le scarpe da , ben presto seguite da modelli da basket, pallavolo, atletica e dalle prime scarpe da calcio. In breve tempo la gamma prodotti si amplia anche alla produzione di abbigliamento sportivo. Il nome dell’azienda è associato fin da subito allo storico logo, la losanga: un campo da tennis e uno da calcio sovrapposti, a rappresentare la passione per lo sport e valori quali rispetto e fair-play, che ancora oggi riflettono il dna di Lotto.

Exhibit 3.1: l’evoluzione della losanga, Il logo di Lotto73

Nei successivi dieci anni dalla nascita, Lotto diventa uno dei primi brand di riferimento nel settore dell’articolo sportivo, l’innovazione continua e la ricerca dell’eccellenza vengono ripagati dalla fiducia che i grandi campioni ripongono nell’azienda. Negli anni ’70 nascono le collaborazioni con atleti di fama internazionale nel mondo del tennis che indossano il brand durante le tappe più importanti della loro carriera: John Newcombe,

72 https://www.montebellunasportsystem.com/distretto-sportsystem 73 https://www.lotto.it/it/storia/ 74 otto volte vincitore di Wimbledon e Tonino Zugarelli, campione in Coppa Davis con l’Italia nel 1976.

Negli anni ’80 comincia lo sviluppo dell’azienda fuori dai confini italiani e, nel giro di un decennio, il brand viene distribuito in oltre sessanta paesi in tutto il mondo. Proprio in questi anni l’azienda avvia la produzione dei primi modelli di scarpe da calcio, raggiungendo l’apice del successo con il trionfo con e della sua Italia ai Mondiali di calcio dell’82 e sponsorizzando atleti e squadre di primissimo livello, da Carlo Ancelotti a alla Nazionale Olandese. Sempre in questi anni continuano le collaborazioni nel tennis con atleti di spicco: Alberto Mancini, e Josè Luis Clerc. Per di più nell’atletica Lotto è al fianco di Said Aouita, il più grande mezzofondista della storia capace di trionfare in tutte le discipline dagli 800 ai 10.000 metri e primo campione olimpico del suo Paese, e ad Alessandro Andrei, medaglia d’oro nel lancio del peso nelle olimpiadi di Los Angeles del 1984.

Gli anni ’90 affermano e confermano Lotto sempre più leader nel settore dell’abbigliamento e calzature sportive, con un mix vincente tra innovazione e tradizione. L’elevato standard tecnico dei prodotti accompagna i professionisti dello sport verso i loro più grandi traguardi: , detentrice di tutti i record di vittorie nella storia del tennis femminile, estroso combattente e animato guerriero, Thomas Muster, che nel 1995, insieme a Lotto, alza al cielo di Parigi la coppa del Roland Garros. Ma gli anni ‘90 sono anche l’epoca del calcio firmato Lotto. Nel 1994 l’azienda trevigiana è campione d’Europa e d’Italia insieme ai rossoneri del Milan mentre nel 1998, conquista uno splendido terzo posto con la neonata Nazionale Croata nei mondiali di Francia ‘98.

I successi continuano anche nel nuovo millennio: nel 2002, ai piedi del testimonial brasiliano Cafu, la losanga è campione del mondo nei Mondiali disputati in Corea e Giappone, traguardo storico ripetuto solo 4 anni dopo quando nella notte magica del 9 luglio 2006, nell’Olympiastadion di Berlino, l’Italia si laurea Campione del Mondo per la quarta volta nella sua storia. Ai piedi dei tre Azzurri Luca Toni, Simone Perrotta e Mauro Camoranesi c’è la calzatura Lotto Zhero Evolution. I Mondiali di Germania nel 2006 sono anche il palcoscenico in cui viene ufficialmente lanciata Lotto Zhero Gravity, la prima scarpa da calcio al mondo senza lacci. Se da una parte spiccano i trofei di squadra,

75 dall’altra ad arricchire ulteriormente le vittorie e l’orgoglio Lotto, Andriy Shevchenko, campione d’Europa nel 2003 e Pallone d’Oro nel 2004.

Nel 2010 proseguono i trofei nei campionati mondiali per Lotto: in Sud Africa è Joan Capdevila con le sue “Lotto Fuerzapura” a portare la losanga in cima al mondo, vincitore della coppa con la sua Nazionale Spagnola. Intuito, passione e coraggio nel credere in grandi sogni portano Lotto a sponsorizzare la Nazionale del Costa Rica, scommessa vinta grazie al grande successo storico della nazionale sudamericana nel mondiale 2014, giunta eroicamente fino ai quarti di finale. La losanga è anche accanto ad un campione assoluto del calcio come Luca Toni che viene incoronato Capocannoniere della Seria A nel 2014 realizzando più di 300 goal in carriera. Nel tennis, continuano le vittorie in vari tornei internazionali e per la prima volta, nel 2010, un’italiana conquista il Roland Garros: è l’atleta Lotto Francesca Schiavone. Doppietta vincente appena 3 anni dopo a Wimbledon, dove i due atleti Lotto, e Gianluigi Quinzi vincono. Anche e Agnieszka Radwanska inanellano una serie di vittorie portando il brand Lotto sui campi da tennis più importanti al mondo74.

Oggi questa tradizione continua: nel calcio sono oltre 100 le squadre di Club e le Nazionali che in tutto il mondo vestono Lotto, tra cui Mainz05 in Germania, Sturm Graz in Austria e Dijon in Francia, e più di 200 i giocatori professionisti che scendono in campo indossando le calzature Lotto. Nel tennis Lotto è da sempre presente nelle più importanti competizioni internazionali, nei tornei del Grande Slam così come nei Master Series. Matteo Berrettini, ed sono solo alcuni dei tennisti professionisti che oggi sono legati a Lotto. Particolare attenzione è riservata allo scouting dei campioni di domani: intuire le potenzialità dei giovani talenti, puntare sul loro impegno e accompagnarli con la migliore tecnologia in ambito performance sulla strada del successo è da sempre il segno distintivo delle sponsorizzazioni di Lotto. In linea con la nuova filosofia del brand, Lotto ha aperto nuove strade nel mondo delle sponsorizzazioni: ha fatto il suo ingresso nel mondo del Padel sponsorizzando le nazionali italiane maschile e femminile e diventando sponsor tecnico della Federazione spagnola. È inoltre sponsor tecnico del torneo ATP Next Gen dedicato alla nuova generazione del tennis mondiale e ha fatto il suo ingresso nel mondo degli eSport. Oltre il mondo dello sport, prosegue il rafforzamento di Lotto affiancando il brand a VIP e testimonial come Vittorio Brumotti,

74 https://www.lotto.it/it/storia/ 76 ma anche blogger e influencer della rete, per raccontare un brand in evoluzione anche nel segmento fashion, ma "sportivamente" fedele al suo dna.

3.1.2 Informazioni e dati sull’azienda

Il 1999 rappresenta per Lotto un cambio di passo: l’azienda viene rilevata da un gruppo di imprenditori locali, già attivissimi nel settore dello sport, con a capo Andrea Tomat che assume il ruolo di Presidente e Direttore Generale della nuova società. L’obiettivo della nuova proprietà è quello di valorizzare i punti di forza del brand: dinamismo, innovazione, qualità, design made in e passione per lo sport. Infatti, Negli anni viene potenziato il settore performance, in particolare, le calzature e l’abbigliamento tecnico calcio e tennis e, sulla base del know-how produttivo, tecnico e stilistico acquisito nel tempo, viene sviluppata una linea di calzature e abbigliamento per uomo e donna con un’immagine e un gusto sport-inspired.

Oggi la sede principale dell’azienda si trova a Trevignano, in provincia di , ed inoltre ha delle sedi commerciali in Europa, precisamente a Madrid, Parigi e Monaco di Baviera, mentre in Asia sono localizzate le sedi operative, nello specifico a Hong Kong, Foshan, Taichung e Jakarta. Tra la sede principale e quelle estere l’azienda conta 259 dipendenti, di cui 203 in Italia. Nel 2018 Lotto ha registrato un fatturato di 267 milioni di euro.

Lotto distribuisce i propri prodotti in 106 paesi attraverso 275 negozi monobrand tra diretti e gestiti da partner commerciali, e 9.200 negozi multibrand. I mercati focus per l’azienda sono, ovviamente, l’Italia e altri paesi europei tra cui Francia, Spagna, Germania, Repubblica Ceca e Turchia; il Medio Oriente, in particolare l’Arabia Saudita; i paesi del Sud America, tra tutti il Cile; e l’Asia con Cina, Giappone e Sud Corea. Infatti, le vendite per area geografica nel 2018 si concentrano in Italia con il 23%, poi nel resto dell’Europa con il 32% e il restante sono spartite in America (18%), Asia (16%), Medio Oriente e Africa (11%).

I prodotti più venduti dall’azienda nel 2018 sono le scarpe con il 55%, seguite dall’abbigliamento con il 40% e il restante 5% dagli accessori. Per quanto riguarda le vendite per disciplina, che includono calzature e abbigliamento, sono dominate dal lifestyle che detiene il 75%. Calcio e futsal occupano il 15%, mentre il tennis ha il 10%

77 delle vendite. I prodotti per l’uomo sono i più venduti con il 70% del totale, mentre donna e junior sono entrambi al 15%.

3.2 Il mercato dello sportswear

3.2.1 Analisi del contesto e principali trend

Il mercato mondiale degli articoli sportivi ha una previsione di crescita annuale del 4,3% fino al 2023 e gli Stati Uniti d’America che si confermano il paese leader con il 40% della quota globale e con un potenziale di valore di 35 miliardi di dollari. Questi sono alcuni dei dati presentati da Assosport (Associazione Nazionale fra i Produttori di Articoli Sportivi) in occasione dell’Assemblea Generale del 25 giugno 2019, che successivamente si concentrano sul settore della sport industry italiana, un mercato che vale circa 9,3 miliardi di euro e che nel 2018 ha registrato un incremento di produttività annuale del 3,4%. In Italia sono presenti 911 aziende e 22.369 che operano in questo settore e la maggior parte dei ricavi deriva dall’abbigliamento sportivo (55%), seguito dall’attrezzatura sportiva (27%) e dalle calzature sportive (18%). Durante l’Assemblea Generale, il Presidente di Assosport e CEO di Boxeur Des Rues Federico De Ponti afferma che l’Italia è al secondo posto tra i principali paesi esportatori di prodotti per lo sport in Europa con un valore di 5,1 miliardi di euro nel 2018, in rialzo del 11,88% rispetto al 2017 e ha mantenuto questa crescita anche nel primo semestre del 2019 con un +13,8% rispetto al 2018. L’export delle aziende italiane rappresenta una quota sempre maggiore del loro fatturato, addirittura oltre l’82% nel comparto della calzatura sportiva, ed esportano principalmente negli USA, seguiti da Francia, Germania e Regno Unito: mercati in cui, sempre secondo De Ponti, “lo sport e la forma fisica sono al tempo stesso sinonimo di benessere e di prestigio sociale, dove si trovano consumatori maturi che vogliono l’alto contenuto tecnologico e la qualità dei nostri prodotti.”75

Stando ai dati di NPD, nel 2018 in Italia la categoria delle calzature sportive ha registrato un aumento delle vendite del 2% rispetto al 2017 raggiungendo i 2,354 miliardi di euro, mentre l’attrezzatura sportiva è rimasta stabile con un valore di 2,974 miliardi di euro.

75 https://www.mark-up.it/articoli-sportivi-in-italia-i-numeri-di-un-mercato-trainato-dallexport/ 78

Invece, l’abbigliamento sportivo nel 2018 è in lieve calo rispetto al 2017 con un -1% e un valore di 2,951 miliardi di euro.

La distribuzione degli articoli sportivi in Italia è fortemente parcellizzata in quanto, secondo i dati Dimark, dei 4.214 punti vendita presenti nel territorio l’89% è composto da negozi indipendenti, mentre il restante 11% è rappresentato da catene. Nonostante la schiacciante superiorità dei negozi indipendenti, le catene pesano col 56% del valore degli acquisti che si aggira attorno ai 2,3 miliardi di euro.

I dati Coni 2018 dipingono un quadro positivo per quanto riguarda la pratica sportiva in Italia: più di 20 milioni di sportivi praticanti, +758mila rispetto al 2017. Di questi, il 25,7% pratica sport continuamente, il 9,6% sono praticanti saltuari, il 28,5% fa solo qualche attività fisica e il 35,9% sono sedentari.

Da un’indagine condotta da PwC emergono i cinque macro-trend che ridefiniscono il futuro dello sportswear mondiale: athleisure, luxury sportswear, sostenibilità, tecnologia, digitalizzazione e retail esperenziale. “Le nostre aziende devono conoscere sempre meglio il consumatore finale per intercettarne le esigenze. Non facile, dato che soprattutto le nuove generazioni non stanno abbandonando i negozi tradizionali, ma sembrano preferire un originale mix tra acquisto virtuale e acquisto di persona” dichiara De Ponti76 in seguito al sondaggio sulle opinioni dei consumatori sempre presente all’interno dell’indagine PwC, in cui sono state analizzate le abitudini di consumo di oltre 21.000 consumatori in 27 paesi del mondo e sono emerse le seguenti conclusioni:

• Profilo del consumatore → il cliente di articoli sportivi è un consumatore in movimento, tradizionalista, nativo digitale e dedito allo sport, al benessere e alla sostenibilità • Comportamenti d’acquisto → diversamente da quanto si potrebbe pensare, lo shopping in store non è in calo, anzi, è aumentato del 22% dal 2016, infatti un consumatore su due acquista in store quotidianamente o settimanalmente. Gli store fisici insieme al mobile continuano ad essere i trend principali, soprattutto tra i Millennials e tra la Generazione Z77. La moda dello “sharing” è in crescita

76 https://www.ilsole24ore.com/art/sport-system-fatturato-8-miliardi-milano-cortina-2026-atteso-10percento- ACfYsYU 77 Secondo il Pew Research Center la definizione “Millennials” comprendere tutte le persone nate tra il 1981 e il 1996, mentre la “Generazione Z” (o “Post-Millennials”) comprende tutte le persone nate dal 1997 ad oggi. Fonte: https://www.popeconomy.tv/video/millennials-e-generazione-z 79

soprattutto tra le attrezzature sportive con il 30% dei consumatori che è disposto a condividere l’attrezzatura, mentre per l’abbigliamento e le calzature solo il 12% si rende disponibile alla condivisione. • Rivoluzione digitale → il 67% dei consumatori acquista online almeno una volta al mese, un dato che è aumentato del 6% rispetto al 2018. Quasi il 75% dei consumatori acquista online abbigliamento e calzature, ovvero la principale categoria di prodotti acquistati online nel mondo, e circa il 45% acquista attrezzature sportive. I consumatori mostrano una maggiore propensione all’acquisto on line “esclusivo” o “per la gran parte dei propri acquisti” per abbigliamento e calzature, con il 30% dei consumatori rispetto al 18% del 2014, e per le attrezzature sportive, quasi il 30% dei consumatori rispetto al 14% del 2014. I social media giocano un ruolo sempre più importante nelle decisioni di acquisto dei consumatori, in particolar modo influenzano il 54% dei consumatori che acquistano prodotti fashion. I consumatori sui social media acquistano prevalentemente seguendo recensioni positive, ispirazione, offerte e promo ecc.

Erika Andreetta, partner PwC Italia consumer markets consulting leader, spiega che “l'attività fisica in è sempre più uno stile di vita, che si riflette anche nella cura per l'abbigliamento sportivo. Molti retailer cercano di competere trovando il giusto compromesso tra presenza fisica e digitale. Il consumatore del futuro compra in negozio, pertanto l'obiettivo dei retailer è rendere l'esperienza accattivante attraverso fattori sensoriali e sociali che invoglino le persone ad acquistare”78.

3.2.2 L’analisi della concorrenza

Per comprendere meglio il settore dell’abbigliamento e calzature sportive è possibile utilizzare il modello delle cinque forze competitive, anche conosciuto come analisi delle cinque forze di Porter. Questo strumento, raffigurato in Exhibit 3.2 si propone di individuare le forze che operano nell’ambiente economico e di studiarne intensità e importanza, al fine di ottenere un quadro completo sulla posizione competitiva delle

78 https://www.ilsole24ore.com/art/sport-system-fatturato-8-miliardi-milano-cortina-2026-atteso-10percento- ACfYsYU 80 imprese, di prendere decisioni strategiche, di stabilire i comportamenti e atteggiamenti da adottare nei confronti di queste forze79.

Exhibit 3.2: Le cinque forze di Porter80

Dunque, l’analisi delle cinque forze di Porter del mercato dell’abbigliamento e calzature sportive è così sviluppata81:

▪ Intensità della concorrenza forte → la competizione all’interno del settore è intensa a causa dell’alto numero di partecipanti, i principali concorrenti sono Nike, , e . Dunque, un mercato saturo in cui le aziende sono impegnate duramente a conquistare quote di mercato, cercando di investire soprattutto nel marketing. Dati questi fattori che portano ad una forte competizione, i protagonisti devono concentrarsi sullo sviluppo del mercato e del prodotto per garantirsi un vantaggio competitivo e una quota crescente nel mercato. ▪ Potere contrattuale dei fornitori debole → i fornitori che rendono disponibili le materie prime alle imprese sono molti, di piccole dimensioni e sparsi per il mondo. Per questo non possono esercitare pressione sulle aziende del settore, le quali definiscono gli standard di fornitura e se non vengono rispettati passano ad altri fornitori.

79 https://it.wikipedia.org/wiki/Modello_delle_cinque_forze_competitive_di_Porter 80 http://michaelmarketingworld.com/analisi/cinque-forze-di-porter/ 81 http://michaelmarketingworld.com/5-forze-porter-abbigliamento-sportivo/ 81

▪ Potere contrattuale dei clienti moderato → in questo settore il potere dei clienti è influenzato dai bassi costi di commutazione o switching cost che consentono ai clienti di decidere un prodotto di una marca o di sceglierne un’altra; dalla quantità moderata di prodotti sostitutivi che consente a volte ai clienti di acquistare altri prodotti; tuttavia, le dimensioni ridotte dei singoli clienti e il loro elevato numero riducono al minimo le forze individuali nei confronti dell’impresa. ▪ Minaccia di potenziali entranti debole → entrare in questo mercato da zero è molto difficile, ogni nuovo concorrente darebbe il via alla produzione solo a livello locale inizialmente e i restanti reparti, come marketing e distribuzione, richiedono investimenti, tempo e lavoratori specializzati. Inoltre, lo sviluppo della brand image è molto difficile se comparato a quello delle marche più note, che tra le altre cose godono di vantaggi competitivi forniti dalla economie di scala. ▪ Minaccia di prodotti sostitutivi moderata → il numero di prodotti sostitutivi presenti nel mercato è moderato e dà la possibilità ai clienti di avere notevoli alternative di acquisto. Diversi brand realizzano prodotti sportivi tenendo prezzi bassi sui mercati locali e internazionali, però questo viene compensato dalla qualità e dal design che propongono i leader di settore, riducendo così il rapporto qualità-prezzo dei prodotti sostitutivi.

3.3 Il rebranding di Lotto Sport

A differenza della stragrande maggioranza dei casi, le motivazioni di fondo che hanno spinto Lotto Sport ad attuare una strategia di rebranding non riguardano cambiamenti della struttura proprietaria, bensì l’azienda è stata spinta dal desiderio di dare una nuova direzione e visione alla marca per assolvere due situazioni: trovare un ruolo differenziante all’interno del mutuato contesto competitivo tra i grandi colossi dell’abbigliamento e calzature sportive, e proiettare la marca in avanti in modo da non vivere più solo della propria heritage, per quanto mitica.

L’intero processo di rebranding è stato esternalizzato e affidato a iCento, società di consulenza di Milano che offre a grandi e medie aziende italiane e multinazionali servizi di direct e targeted marketing di eccellenza. La società è stata al fianco di Lotto durante l’intero percorso strategico, dall’analisi iniziale alla finalizzazione del progetto.

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3.3.1 Raccolta di informazioni e analisi

L’ultimo trimestre del 2015 segna l’inizio del percorso, caratterizzato dalla raccolta di informazioni significative da parte di iCento. Il primo passo è il coinvolgimento dei diversi area manager di Lotto, i quali sono stati intervistati individualmente per comprendere le opinioni e le conoscenze sulla marca attraverso la somministrazione di un questionario, suddiviso nelle seguenti otto sezioni:

• Percezione personale della marca Lotto (es: Come era la sua percezione di Lotto prima del suo ingresso? Come è cambiata invece dopo che ha conosciuto la realtà dall’interno? Quali conferme? Cosa in peggio? Cosa in meglio?) • Gli asset strategici della marca (es: Quali sono i punti di forza di Lotto sia tangibili che intangibili? Quali sono le aree di potenziale ma ancora inespresso e non percepito appieno?) • Aree critichi della marca (es: Quali sono stati i più grandi errori commessi dall’azienda Lotto? In quali aree di prodotto/business la marca Lotto fa più fatica o è poco credibile? Quali sono le aree critiche e i punti di debolezza della marca?) • Comunicazione di Lotto (es: Qual è stata la storia di comunicazione della marca? Qual è la sua promessa valoriale e filosofia della marca Lotto? Ad oggi come e dove comunica la marca Lotto? La comunicazione di Lotto è uguale in tutti i paesi? Quali sono le specificità culturali/mercato di cui tenere conto? Quali sono i segmenti di target e le diverse community che coinvolge? • I consumatori (es: Chi è il cliente tipo dei prodotti Lotto? Quale il cliente desiderato per il futuro? Quali sono i driver di interesse e fedeltà verso la marca Lotto? Quali sono invece le barriere/ostacoli? Quando sente parlare la gente della marca Lotto quali sono le opinioni e le percezioni più comuni?) • L’ competitiva (es: Come sta cambiando il contesto competitivo? Quali sono le tendenze degli ultimi anni? Quali sono i concorrenti diretti e più vicini, oppure più simili? Quali sono invece i concorrerti indiretti? • Il mercato e il contesto sociale (es: Come è strutturato il mercato? Quali sono i segmenti di mercato? Quali sono le tendenze evolutive? Quali sono i segmenti in crescita/perdita?) • Il futuro della marca (es: Quali sono le sfide più grandi che la marca dovrà affrontare nel breve periodo (2 anni) e nel medio lungo (5 anni)? Quali sono le aree

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di sviluppo e di innovazione di prodotto? Quali sono i nuovi segmenti di mercato che Lotto può cavalcare? In ottica di posizionamento e di filosofia, ci sono aree scoperte o valori che la marca può far rinascere? Qual è il ruolo sociale che la marca Lotto può giocare? Dove e come potrebbe cambiare in meglio la vita delle persone?)

A queste interviste interne si aggiungono la documentazione inerente alla comunicazione di Lotto e un’analisi approfondita delle future collezioni e innovazione di prodotto della marca.

Oltre alle opinioni interne all’azienda, è di assoluta importanza avere un quadro generale sulle percezioni esterne della marca. Per questo motivo sono state fatte interviste anche a rilevanti opinion leader: Enrico Finzi (giornalista, docente e presidente di AstraRicerche), Vladimiro Bubba (amministratore delegato di Dimark), Andrea Candeago (direttore acquisti di Pittarosso), Carlo Ortenzi (direttore fashion di SportWeek), Enrica Barnato (blogger), Marco Colombo (direttore del magazine ) e Marco Marchei (direttore del magazine Runner’s World).

Successivamente, sono stati analizzate le ricerche riguardanti il mercato e le tendenze del consumatore fornite da istituti e azienda di ricerche, tra cui AstraRicerche, Doxa, osservatorio Socialis, Ixè, WGSN, Stylus e WARC, e le comunicazioni e best practice dei principali player di mercato, in particolare , Nike, Adidas, Puma, e Asics.

Infine, il percorso si è concluso con la partecipazione a importanti fiere di settore tra cui Micam, salone internazionale leader del settore calzaturiero, Pitti Immagine, saloni ed eventi internazionali nel settore della moda e del lifestyle, e White Show, salone internazionale della moda contemporary. L’obiettivo di queste partecipazioni è quello di raccogliere opinioni e informazioni riguardanti gli strumenti di comunicazione e promozione aziendale delle marche partecipanti. Inoltre, da aggiungere anche la visita anche al Museo dello scarpone e della calzatura sportiva, il quale racconta la storia e la cultura del distretto dello sportsystem attraverso la conservazione e la valorizzazione di documenti, materiali iconografici, oggetti, prodotti e macchinari, un luogo unico nel suo genere e punto di riferimento per rinnovare ogni giorno la cultura l’impresa82.

82 https://www.museoscarpone.it/about 84

3.3.2 Le prime considerazioni

Quello che emerge da un’analisi iniziale delle informazioni raccolte è che Lotto ha indiscutibilmente un passato mitico nel mondo dello sport, una marca che dagli anni ’70 fino all’inizio del nuovo millennio è stata leader a livello mondiale. La marca vive di credito per quanto fatto in passato, purtroppo negli ultimi anni ha perso smalto e appare “sbiadita” rispetto ai concorrenti. Questo è confermato dai dati riportati da AstraRicerche, in cui si evidenzia che Lotto è la quarta marca più conosciuta dai consumatori dopo i colossi Adidas, Nike e Puma, ma nei ranking di preferenza si posiziona tra le ultime.

Exhibit 3.3: La conoscenza di marche di scarpe e abbigliamento sportivo nel mercato italiano

Exhibit 3.4: Il ranking personale delle marche dei consumatori italiani

85

Queste considerazioni si notano anche grazie al BrandAsset Valuator (BAV), un modello sviluppato dall’agenzia pubblicitaria Young & Rubicam. Questo strumento empirico vanta il più grande database di informazioni su brand di consumo al mondo e permette di valutare le percezioni dei consumatori sulle marche grazie allo studio dei quattro pilastri del brand (brand pillars):

▪ Differenziazione (Differentiation) → alla base della scelta del consumatore: l'essenza del brand e la fonte di margine e di potere di determinare i prezzi. È la capacità di catturare l’attenzione nel panorama culturale utilizzando qualcosa di diverso, qualcosa di intrigante, qualcosa che fa desiderare a una persona di saperne di più. ▪ Rilevanza (Relevance) → quanto è appropriato e significativo un brand per i consumatori, favorisce la considerazione e l’utilizzo del brand. ▪ Stima (Esteem) → è il rispetto e la considerazione del consumatore verso il brand, una misura di quanto sia apprezzato e quanto bene mantiene le promesse. ▪ Conoscenza (Knowledge) → è il culmine degli sforzi di costruzione del brand ed è il risultato del suo sviluppo, la profondità di comprensione che le persone hanno del brand attraverso informazioni sia positive che negative.

La differenziazione e la rilevanza sono le chiavi per il futuro della marca e determinano la forza del brand (brand strength), mentre stima e conoscenza sono le chiavi delle performance passate e determinano la statura del brand (brand stature). Grazie alla sua completezza, il BAV permette di comprendere come viene creata la brand equity e il comportamento di un brand rispetto ai concorrenti. È possibile rappresentare graficamente il BAV come in Exhibit 3.5 sotto, dove sono posizionati i brand del mercato dello sportswear secondo l’analisi dei quattro pilastri (rispettivamente da destra a sinistra: differenziazione, rilevanza, stima e conoscenza) i quali descrivono il ciclo di vita dei brand. I nuovi brand iniziano la loro vita nel quadrante in basso a sinistra, hanno l’obiettivo di costruire consapevolezza e un chiaro punto di vista; normalmente questi si muovono verso l’alto aumentando la propria forza e diventando nicchie o brand con potenziale non realizzato, caratterizzati da bassi guadagni e alto potenziale. Le marche con alti livelli di forza e statura sono i leader che dominano il mercato, infatti si differenziano dagli altri brand, sono rilevanti nella loro categoria e hanno un forte rapporto con i clienti dato che sono molto apprezzati. La leadership può essere a lungo

86 mantenuta grazie ad una corretta gestione del brand, però ad alcuni può succedere di aumentare la statura a discapito della forza (soprattutto della differenziazione), così diventando leader in declino che operano nel mass market. A lungo andare questo processo comporta l’erosione dell’influenza sui consumatori di questi brand. Il peggiore scenario è quando la statura è influenzata negativamente e la marca perde gradualmente lo scopo iniziale verso il target diventando così un brand unfocused83.

Exhibit 3.5: BrandAsset Valuator mercato dello sportswear84

Come si può notare, Lotto è considerato un brand in erosione: valore basso di differenziazione che influisce negativamente sulla forza, ma livelli medio-alti di stima e conoscenza.

L’offerta di Lotto appare eccessivamente frammentata e dispersa, una gamma di prodotti troppa estesa in cui manca un centro gravitazionale su cui basarsi, ovvero uno sport&product-hero sia dal punto di vista commerciale che di comunicazione su cui costruire attorno l’intera offerta. La marca con l’aumentare della competizione si è dimostrata più reattiva che proattiva, denotando una debole sensibilità nel saper cogliere e anticipare i segnali emergenti che provengono dalla società e dal mercato.

83 DAHLEN M., LANGE F., SMITH T., Marketing Communications: a brand narrative approach, John Wiley & Sons, Chichester, 2009 84 Rielaborazione personale da DAHLEN M., LANGE F., SMITH T., 2009, cit. 87

3.3.3 Archeologia del brand

Da queste prime considerazioni negative Lotto ha deciso di ripartire con l’obiettivo di costruire una nuova visione per dare nuova energia al brand e all’azienda, rimettendo al centro gli elementi essenziali per rilanciarsi e influenzare le scelte future della marca. Questi elementi sono riuniti nella archeologia del brand (brand archeology) raffigurata in Exhibit 3.6 di seguito:

Exhibit 3.6: Lotto Brand Archeology

L’elemento che spicca tra tutti è sicuramente l’italianità: da sempre un segno distintivo e un vantaggio competitivo della marca, nonché un tratto credibile e differenziante nel mondo dello sportswear che si caratterizza per uno stile inteso come approccio creativo fatto di gusto, design e attenzione al dettaglio, che distingue l’Italia nel mondo, a cui si aggiunge lo spirito italiano come valore sportivo.

Il punto di partenza individuato per lo sviluppo della strategia è la calzatura sportiva: secondo i dati del 2016 di Transparency Market Research85, il mercato globale della calzature ha un valore di quasi 200 miliardi di euro destinato a superare i 250 miliardi di euro nel 2025, e si stima che il settore delle calzature sportive con i suoi 70 miliardi di euro rappresenti più del 35% del mercato. Le vendite continueranno a crescere in futuro grazie all’aumento della popolazione, del reddito disponibile, ai prezzi accessibili e alla distribuzione. Le calzature sportive sono il prodotto di punta di Lotto, un elemento chiave per la crescita globale del brand e della sua credibilità, mentre abbigliamento ed accessori contribuiscono all’aumento del fatturato, dei margini e della visibilità.

85 https://www.transparencymarketresearch.com/footwear-market.html 88

La tradizione nel mondo del calcio e del tennis ha caratterizzato la storia di Lotto, la quale è stata leader nel settore per molti anni. Purtroppo, con l’aumento della competizione la posizione è mutuata: nel calcio Lotto ha perso la leadership, ormai dominato dai colossi Nike e Adidas, mentre nel tennis Lotto ha ancora una presenza da co-leader ma, ad oggi, il segmento non è strategico per il business. Nonostante ciò, questi due settori non devono essere abbandonati, anzi, devono essere considerati radici storiche che tutt’ora conferiscono reputazione e credibilità alla marca grazie alla continua innovazione tecnologica e alle ottime prestazioni dei prodotti.

3.3.4 Il riposizionamento: lo sport edonistico

Partendo da questi concetti, Lotto si è posta l’obiettivo di riposizionarsi sul mercato e diventare leader in un proprio segmento elettivo. Innanzitutto, i dati raccolti dalle ricerche di Doxa (Exhibit 3.7) e AstraRicerche (Exhibit 3.8) evidenziano che running, palestra e fitness risultano essere business più promettenti rispetto a calcio e tennis, questo dovuto soprattutto all’aumento della pratica di questi sport. In questa area del benessere quotidiano Lotto può posizionare il proprio baricentro strategico sia in termini di business che di immagine, sfruttando il credito guadagnato negli anni grazie alle performance ad alti livelli nel mondo dello sport. Inoltre, è da sottolineare la possibilità di sfruttare l’anima “ambigua” di questi sport per ampliarsi verso il mondo del lifestyle.

Exhibit 3.7: Gli italiani e lo sport, Doxa 201486

86 http://doxapharma.it/724/gli-italiani-e-lo-sport/ 89

Exhibit 3.8: L'abitudine di praticare sport degli italiani dal 2011 al 2015

Grazie alla ricerca di AstraRicerche è emerso che Lotto viene percepita come una onesta marca italiana adatta allo sportivo amatoriale. Dunque, il focus si sposta sull’abbracciare una dimensione ampia e ricca di tutte le pratiche sportive quotidiane per il benessere olistico dei consumatori, sfruttando il vantaggio competitivo dell’italianità come attitudine allo sport in chiave positiva che può diventare un’interessante storia “vergine” da narrare.

Exhibit 3.9: Il profilo di immagine di Lotto

90

Exhibit 3.10: Il target percepito di Lotto Ovviamente è da considerare che Lotto in questa dimensione dell’easy sport e della pratica del benessere quotidiano non è né first mover né best in class, deve quindi modellare una nuova ideologia per riuscire ad ottenere uno spazio per poter competere. Per capire come potersi inserire, è stato necessario comprendere appieno i nuovi trend emergenti che influenzano la partecipazione sportiva: questi mostrano uno spostamento dei consumi e dell’attenzione verso uno sport meno competitivo e professionistico, ma più finalizzato allo stare bene, alla socializzazione e al divertimento, a cui si aggiunge una maggiore consapevolezza dell’importanza di uno stile di vita sano, il benessere come motivazioni per intraprendere un’attività sportiva e l'aumento del numero di donne che praticano sport. La competizione rimane un fattore importante ma influisce sempre meno sui modelli dei consumatori, al suo posto si è diffusa una ricettività nuova e diversa. Inoltre, oggi il legame tra moda e sport è sempre più stretto, è in corso un trend sempre più marcato di contaminazione dello sportswear verso la moda e di un contenuto moda che caratterizza lo sportswear, come dimostrano le numerose capsule collection o collaborazioni tra marchi sportivi e stilisti dove lo sportswear diventa il new chic, una declinazione dell’eleganza contemporanea.

In seguito a queste considerazioni, è stata sviluppata una segmentazione di marketing (Exhibit 3.11) che ha permesso di cogliere una nuova opportunità strategica di riempire uno spazio vuoto e promettente.

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Exhibit 3.11: Segmentazione del mercato dello sportswear, un'opportunità strategica per Lotto

In questa segmentazione, che vede agli antipodi il divertimento e il sacrificio, il singolo e il sociale, è possibile individuare quattro ideologie differenti in cui sono posizionati i principali brand sul mercato:

o Competitivo o agonismo → la dimensione mitica ed eroica dello sport in cui conta vincere e superare i propri limiti. Lo sport è un mezzo per raggiungere empowerment e successo, questo implica sacrificio, fatica, sudore, impegno e cattiveria. La spettacolarizzazione è al massimo, i giocatori sono eroi inarrivabili. Il nemico sono gli altri ma anche se stessi se non si supera la pigrizia mentale. o Specializzato o focalizzato → anima tecnica e senza fronzoli del mondo sportivo, la sostanza è più importante della forma. Vocazione alla specializzazione, scarpe prodotte esclusivamente per la pratica sportiva. o Emergente o alla moda → la dimensione sportiva è un pretesto per dar vita ad una dimensione estetizzante, si tratta di marche fortemente lifestyle e fashion ma non per la pratica sportiva. È fondamentale la dimensione trendy, urban e giovanile. o Edonismo → la dimensione piacevole, democratica, divertente, sociale della pratica sportiva che mira a ridare valore etico allo sport. Quest’ultimo è visto come una pratica quotidiana durante il tempo libero che coinvolge chiunque, dove non c’è né giudizio né competizione. Il fine deve essere il piacere e il benessere personale e non un mezzo per raggiungere altri scopi.

La filosofia dello sport edonistico o active well-being rispecchia i nuovi trend di mercato e presidia un nuovo lifestyle che raggruppa molteplici pratiche sportive, per questo motivo

92

è il driver strategico del percorso di riposizionamento di Lotto da semplice follower nel settore performance a challenger dei colossi in cui si raffigura l’idea dello sport competitivo, così da diventare “l’anti-Nike”.

3.3.5 Le novità del rebranding: Life’s, brand architecture e pay off

Per valorizzare la filosofia dell’active well-being e raccontare il nuovo posizionamento strategico, Lotto ha deciso di introdurre il nuovo brand Life’s sviluppando una collezione di calzature e abbigliamento dedicata a coloro che vivono la vita sportivamente, in modo leggero e divertente, che interpreta appieno il nuovo spirito. I prodotti Life’s nascono dal know-how e dalla pluriennale esperienza di Lotto nel mondo sportivo, caratterizzati da un design e uno spirito tipicamente italiano. I materiali e le soluzioni progettuali guardano alla funzionalità e all’ergonomia, mentre le soluzioni grafiche e i colori seguono da vicino i trend stilistici più attuali. La collezione, che ha debuttato nei punti vendita e online a partire dalla stagione Spring/Summer 2018, presente essenzialmente due anime: Life’s Active, ideale per il fitness e il training; Life’s Inspired, perfetta per un tempo libero da vivere in modo attivo con un comfort adatto a tutte le occasioni.

Il processo di rebranding di Lotto non si è fermato solo al riposizionamento sul mercato, il lancio del nuovo brand Life’s ha portato con sé una nuova brand architecture. La situazione antecedente era molto dispersiva e frammentata, l’offerta di Lotto comprendeva quattro brand posti allo stesso livello: Lotto (abbigliamento e calzature sia performance che leisure), Lotto Leggenda, Lotto Works e Aequiter.

Exhibit 3.12: La vecchia brand architecture di Lotto

Le aree critiche individuate, come l’assenza di un brand a capo della gerarchia o di criteri di segmentazione per l’occasione d’uso, la categoria merceologica, la disciplina sportiva ecc., hanno portato Lotto all’introduzione di una nuova brand architecture che risponde

93 all’esigenza di raccontare meglio la struttura dell’offerta identificando con più chiarezza consumatori finali e canali di vendita.

Exhibit 3.13: La nuova brand architecture di Lotto

Come si può vedere dall’Exhibit 3.13, sotto il cappello del mother brand Lotto sono state incluse le identità di cinque diversi sub-brand: Lotto Performance, Life’s, Lotto Leggenda, Lotto Works e Aequiter.

Contestualmente, Lotto ha introdotto un nuovo pay off a supporto di questo cambiamento: “Sportivamente”, una parola che racchiude in perfetto equilibrio i concetti di impegno, divertimento, sacrificio e passione che riflette la natura dell’azienda e il nuovo percorso intrapreso. Un’espressione semplice e ricca di significati nella quale sono sintetizzati i valori caratterizzanti del nuovo corso di Lotto: la passione per lo sport, il rispetto per l’impegno, la gioia di vivere, l’italianità e il piacere per i prodotti che vengono realizzati. Nella scelta di questo nuovo pay off, il presidente Andrea Tomat ha così commentato: “Lotto è da sempre sinonimo di sport e oggi è un brand in evoluzione e non solo nel segmento lifestyle. È un percorso molto impegnativo iniziato dietro le quinte in cui tutti in azienda crediamo molto. Un progetto che mi piace sintetizzare in una sola parola: “Sportivamente”! Questa parola racchiude in sé, in perfetto equilibrio, impegno e divertimento, sacrificio e passione. Tutto quello che troviamo nello sport e non solo. Un’espressione semplice e allo stesso tempo ricca di significati che riflette la natura della nostra azienda: la passione per lo sport, il rispetto per l’impegno, la gioia di vivere, l’italianità e il piacere per i prodotti che realizziamo. Per questo Sportivamente è il nuovo pay off di Lotto”.

94

3.3.6 Il coinvolgimento degli stakeholders interni ed esterni

Lo step successivo ai cambiamenti di Lotto a livello di posizionamento e di brand architecture risponde a due domande importanti: come trasformare questa nuova strategia in racconto? Come e dove raccontare la nuova storia a tutti i target? Per capire come trovare le soluzioni ideali è stato necessario stabilire le risorse disponibili e definire le priorità di intervento.

La prima priorità in ordine temporale riguarda il coinvolgimento dei dipendenti Lotto riguardo tre implicazioni operative fondamentali: la prima riguarda un piano di internal engagement con cui diffondere la nuova cultura e la filosofia valoriale dell’azienda attraverso workshop, intranet, video e lo sviluppo di un internal toolkit. Una volta entrati nell’ordine delle idee delle novità che sono state apportate, i dipendenti si sono dedicati alle restanti implicazioni operative, ovvero la traduzione creativa della strategia e lo sviluppo delle collezioni prodotti. La traduzione creativa della strategia ha riguardato la nuova visual identity di Lotto, con la revisione dei loghi dei brand ridisegnati attorno alla storica losanga e lo sviluppo del manifesto della marca con cui comunicare l’essenza, gli obiettivi e la missione dell’azienda. Tutto questo è stato messo per iscritto nel brand manual e nei sei brand book, i quali comprendono le regole riguardanti i format da rispettare per il corretto utilizzo dei loghi (colori, distanze, misure ecc.), del codice visivo (quali immagini usare e quali evitare), della tipografia, della cancelleria (business card, badge, cartelle ecc.), del packaging completamente ridisegnato e degli identificatori dei prodotti (hangtag, shopping bag, buste prodotti ecc.). L’offerta delle nuove collezioni di prodotti Lotto deve essere in linea con la nuova architettura di marca, è stato necessario disciplinare la presenza dei logotipi sui diversi prodotti e dotarsi di linee guida per lo sviluppo dei product name. Inoltre, l’obiettivo è stato quello di individuare gli attributi e i benefici dei prodotti per capire come migliorare e comunicare la propria qualità, e come aumentare lo stile e la ricerca estetica.

La seconda priorità in ordine temporale concerne il coinvolgimento della forza vendita commerciale. L’organizzazione di eventi di presentazione e la presenza nelle fiere di settore sono state rilevanti al fine di favorire l’accettazione del rebranding da parte dei buyer commerciali. Infatti, per l’occasione è stato organizzato un meeting interno nella sede di Trevignano per presentare il rebranding ad oltre cinquecento rappresentanti della forza vendita provenienti da tutto il mondo. Sono stati presentati e resi disponibili i vari

95 materiali informativi che raccontano il nuovo posizionamento, quali shooting fotografici per le campagne di comunicazione, standard per i materiali POP da utilizzare in store, risorse per le campagne pubblicitarie online, caratteristiche principali dei prodotti ecc.

La terza e ultima priorità di intervento riguarda il coinvolgimento dei clienti finali attraverso il presidio dei media online e offline, di eventi e di spazi retail. La strategia PR adottata ha incluso due differenti piani di comunicazione: quello offline che riguarda articoli e interviste presenti su quotidiani e periodici a livello internazionale, la presenza all’interno dei punti vendita e la partecipazione ai vari press day; dall’altro lato quello online con la gestione di un piano di influencer marketing che ha visto il coinvolgimento di cinque top influencer e una cinquantina di mid-influencer con cui sono stati prodotti numerosi contenuti sui canali social di Lotto quali interviste, scatti fotografici e video, con un tone of voice volutamente ironico e leggero per promuovere e raccontare il nuovo posizionamento dell’azienda e la filosofia del brand Life’s.

Come spiega Stefano Taboga, of Communication and Digital Sales di Lotto Sport, per favorire e incentivare questa rivoluzione digitale “il tutto è stato accompagnato da un incremento degli investimenti pubblicitari e soprattutto da uno spostamento del budget verso i media digitali. Prima, Lotto spendeva sul digital circa il 5% del proprio budget mentre da ora la quota arriverà al 60%, con la stampa che passa dal 95% degli investimenti al 40%”. A conferma di ciò, la rivoluzione digitale ha portato l’introduzione di un nuovo sito web istituzionale con sezioni dedicate ai vari brand/tecnologie di Lotto e l’apertura della piattaforma di e-commerce internazionale.

Per riuscire a trasmettere la filosofia dell’active well-being, Lotto ha stretto una partnership con Welldance, il primo metodo di allenamento al mondo che permette di mantenersi in forma e divertirsi danzando. Una disciplina che coniuga armonia, fitness e stile di vita sano, presente nelle palestre di tutta Italia e nei più importanti eventi dedicati al wellness e fitness, come ad esempio il Rimini Wellness. Infine, Lotto ha inaugurato un nuovo punto vendita a Treviso, in pieno centro storico, con l’obiettivo di realizzare un format innovativo che sappia raccontare il progetto di crescita dell’azienda nel segmento lifestyle con una shopping experience coinvolgente e innovativa, che proietta l’azienda verso l’omnicanalità.

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3.3.7 Gli sviluppi della strategia

Il rebranding ha conferito a Lotto una nuova vision strategica che ha come base la storia e la conoscenza acquisita nel tempo del settore sportivo. Come affermato in precedenza, il processo di rebranding di Lotto è stato presentato al pubblico in occasione del lancio di Life’s nella stagione Spring/Summer 2018. Da allora l’azienda ha continuato a rafforzare il proprio posizionamento, dando vita ad una suddivisione in due anime di Lotto, come riportato dalle piramidi dell’Exhibit 3.14:

Exhibit 3.14: Le due anime di Lotto

Da una parte il mondo Active con Lotto Performance per gli sportivi più esigenti, professionisti o agonisti, e Life’s Active per il fitness, le attività in palestra o il training. Dall’altra parte il mondo Lifestyle che include Life’s Lifestyle con le linee retrò, advanced e contemporary, Lotto Leggenda con le calzature premium, e infine le collaborazioni.

Oltre a rafforzarsi nel segmento Active, l’azienda ha sfruttato molto le tendenze di mercato in cui lo sportswear è un trend mondiale e il mondo della moda ne è sempre più influenzato, soprattutto con capi vintage. Con l’ottica di dare nuova linfa vitale alla propria anima Lifestyle, Lotto si è concentrata molto sulle collezioni capsule sia con una propria linea inspired, sia con collaborazioni con stilisti e brand di moda molto noti.

La collezione capsule di Lotto si chiama Athletica ed è il risultato dell’elaborazione immaginaria del presente, unita alla conoscenza e la storicità del brand nel passato. È proprio dalla storia e dalle profonde e autentiche collezioni che Lotto trae ispirazione per

97 questa collezione di abbigliamento e sneakers, riportando alla luce lo stile e il design degli anni ’90. Sono numerosi gli influencer e gli sportivi sponsorizzati Lotto che apprezzano ed indossano la collezione Athletica.

Oltre alla propria collezione, Lotto ha avviato delle attività di co-branding per la realizzazioni di collezioni attraverso la collaborazione con brand conosciuti nel mondo della moda: Damir Doma, una collezione capsule esclusiva dedicata allo sportswear che coniuga i valori stilistici di Damir Doma con l’heritage e la qualità permormanti dei capi di Lotto; Numero 00, una collezione capsule dove l’elemento urbanwear caratterizza sia i capi dal carattere più sportivo sia quelli lifestyle, esaltandone l’anima italiana dei due brand; TPN, una collezione capsule fedele all’anima sportiva e dedicata al pubblico femminile giovane che segue le tendenze; ButNot, una collezione capsule che unisce lo stile sportivo con quello street; Gaelle Paris, una collaborazione con Lotto Leggenda per una collezione capsule sport-inspired dove i dna delle due marche si fondono dando vita a capi realizzati in materiali tecnici ma dall’animo fashion.

3.3.8 I brand di Lotto: valori, ruoli strategici, mission e loghi

Oggi, nell’offerta di Lotto sono compresi i cinque sub-brand visti in precedenza riuniti sotto il mother brand. La nuova visual identity ha portato nuovi loghi per tutti i brand ridisegnati attorno alla storica losanga con nuovi colori e forme, tutti accomunati dal font ufficiale scelto dall’azienda, il Maison Neue.

Il mother brand evoca i valori di italianità, socialità, mood sportivo che distinguono il nuovo posizionamento di Lotto, graficamente riassunti nel pay off “Sportivamente”. La mission è quella di sostenere la pratica dello sport, promuovere la consapevolezza di uno stile di vita sano e l'inclusione. Risvegliare l'attitudine sportiva di ciascuno per migliorare il benessere e godere di una vita in salute, con un approccio tipicamente italiano. Il colore ufficiale del logo è il Pantone Cool gray 11 C.

Exhibit 3.15: Il logo del Lotto Mother Brand

98

Lotto Performance è il brand del dinamismo, dell'energia e della passione, mantiene autenticità e tradizione del mondo Lotto. Si rivolge agli appassionati più esigenti, ai professionisti e agli agonisti e racchiude in sé i valori di passione inesorabile, impegno continuo, fair play. Include scarpe e abbigliamento sportivo caratterizzati da materiali e tecnologie innovative. È dedicato a professionisti e appassionati che cercano innovazioni specifiche e funzionalità raffinate per competere. La mission è di aumentare le performance e la fiducia in sé stessi, aiutare a realizzare i propri i sogni senza compromettere la propria autostima, come riassunto nella tagline “Better than your best”. Il logo è molto simile al vecchio logo del brand Lotto, infatti i colori scelti per il nuovo logo sono gli stessi, ovvero il Pantone Red 185 C, il nero e il bianco per la losanga e la scritta.

Exhibit 3.17: Il logo di Lotto Performance

“Get your lifesyle going” è la tagline che racchiude il significato di Life’s, il brand dedicato a coloro che vivono la vita sportivamente, in modo leggero e divertente e che intendono lo sport come un modo di essere attivi per migliorare la propria vita, il proprio corpo, la mente e lo spirito. Si rivolge in particolar modo alle famiglie tradizionali e al segmente Sp.In.E (sportivi, eleganti e informali), ed è il brand chiave con cui l’azienda punta a crescere, sia in termini di vendite che di arricchimento del valore della marca. Include calzature e abbigliamento per il tempo libero per tutti coloro che abbracciano uno stile di vita sano, attivo ed equilibrato. La mission è far scoprire alle persone un nuovo modo di vivere lo sport. Il logo racchiude la scritta Life’s nera con la losanga che presenta le tonalità di magenta, con sotto il richiamo al mother brand di colore bianco.

Exhibit 3.18: Il logo di Life's

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Lotto Leggenda è il brand delle leggende, dedicato a chi ama uno stile di vita dinamico e attivo, originale e ricercato. Negli anni Negli anni ’70, Lotto muoveva i primi passi nel mondo dello sport. Oggi Leggenda trae ispirazione da quell’era epica per ridare vita ai miti del tennis, del calcio, del running con calzature che reinterpretano in chiave lifestyle i modelli iconici della storia dello sport e questo si ritrova nella tagline “It takes a long time to become a Leggenda”. Lotto Leggenda comprende calzature dal mood contemporaneo che combinano il gusto sport-inspired alle tendenze più innovative del fashion, per gli -addicted più esigenti che diventano un must have. La mission è di alzare il profilo, mettere in luce i protagonisti, essere anticipatori dello stile. Il logo si rifà ai primi loghi ufficiale dell’azienda degli anni ’70, i colori scelti sono il Pantone Red 188 C e il Pantone Green 5535 C.

Exhibit 3.19: Il logo di Lotto Leggenda

Lotto Works è il brand professionale e pratico, contraddistinto dai valori come sicurezza, comfort e design che aiuta la crescita della credibilità aziendale. Grazie all’esperienza e alla tecnologia sviluppata nel settore sportivo, Lotto Works realizza calzature di alta qualità ed elevate prestazioni per gli ambienti di lavoro. La mission è lavorare in modo più tranquillo, appagante e ricco di significati, come spiega la tagline “Work like a ”. Il logo di Works presenta i colori Pantone Orange 165 C e il Pantone Blue 534 C, con sotto il richiamo al mother brand di colore bianco.

Exhibit 3.20: Lotto Works

Aequiter è il brand del know-how, della tecnologia e del prendersi cura di sé, quando il corpo e la mente sono in armonia, si raggiunge l’essenza del benessere. Da sempre, il

100 laboratorio di ricerca di Lotto ha condotto studi approfonditi in campo podiatrico ed ergonomico, sviluppando soluzioni innovative per realizzare prodotti in grado di garantire prestazioni in sicurezza. Oggi questi studi vengono applicati ad Aequiter, un prodotto pensato per coloro che devono recuperare da un infortunio o per quanti necessitano di sostegno e protezione particolari durante la camminata. La mission è vivere la vita in armonia con stile e fiducia, Aequiter è armonia ed equilibrio, il tutto riassunto nella tagline “Live life in balance”. Il logo presenta la scritta Aequiter divisa nel colori Pantone Light Green 3268 C e Pantone Dark Green 7720 C, con sotto il richiamo al mother brand.

Exhibit 3.21: Aequiter

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CONCLUSIONI

L’elaborato ha avuto come obiettivi principali quelli di comprendere le dinamiche che ruotano attorno al concetto di rebranding e di descrivere dal principio la strategia di rebranding adottata da un’azienda italiana importante e conosciuta come Lotto Sport per riuscire a dare una nuova direzione e visione alla marca in modo da differenziarsi in un mercato sempre più competitivo e governato da leader sempre più potenti.

Nel primo capitolo, la descrizione approfondita degli elementi principali che stanno alla base del concetto di marca e l’analisi delle strategie con cui viene gestita l’impresa sono state necessarie per comprendere come è articolato il processo di branding e quali cambiamenti dalla formulazione iniziale del brand comporta una strategia di rebranding. Per di più, la descrizione delle componenti che danno vita alla brand equity, ovvero brand identity, brand knowledge e brand reputation insieme all’analisi delle strategie di marca, in particolare posizionamento, brand portfolio, brand architecture, brand extension e co- branding, hanno permesso di contestualizzare in modo efficace la situazione in cui opera Lotto Sport sia prima che dopo la strategia di rebranding, mettendo in evidenza gli elementi colpiti dai cambiamenti apportati nella gestione della marca.

Il secondo capitolo ha fornito una analisi molto dettagliata di tutti gli aspetti presenti in letteratura attinenti all’argomento del rebranding. Da una prima considerazione teorica è stato possibile definire accuratamente il termine, dare una misura dell’intensità che contraddistingue i cambiamenti, individuare i livelli di gerarchia aziendale in cui è possibile operare e, soprattutto, sono stati individuati principi che guidano questa strategia. Successivamente, l’analisi si è spostata verso il lato pratico che concerne l’intero processo di rebranding con l’individuazione delle motivazioni principali che spingono le aziende ad intraprendere questa processo e le possibili strategie che le aziende possono decidere di realizzare. Lo studio dei tre modelli principali di processo di rebranding basati su casi aziendali ha permesso di comprendere come la letteratura si sia evoluta a riguardo, oltre ad aiutare a capire quali siano le fasi e gli aspetti fondamentali a cui vanno incontro le aziende in questa strategia.

102

Il terzo capitolo ha descritto il caso di rebranding aziendale di Lotto Sport. Inizialmente sono state prese in considerazione la storia e le attività intraprese da Lotto Sport nel mondo sportivo che hanno portato l’azienda ad essere molto nota a livello nazionale e mondiale. Grazie ad una contestualizzazione dell’ambiente competitivo in cui opera, è stato possibile comprendere i trend attuali di mercato e l’elevata concorrenza presente nel settore dello sportswear.

Il processo di rebranding di Lotto Sport aderisce pienamente alla letteratura vista nel secondo capitolo. Infatti, è di assoluta importanza evidenziare le numerose analogie presenti tra il caso aziendale di Lotto Sport e l’analisi del secondo capitolo così da poter strutturare un possibile modello di processo di rebranding basato sullo studio del caso aziendale, riassunto nelle seguente fasi:

• Motivazioni

• Analisi delle situazione interna ed esterna: individuare l’opportunità

• Re-vision del brand

• Coinvolgimento degli stakeholders

• Pianificazione delle strategie di marketing

Le motivazioni che hanno spinto l’azienda veneta ad intraprendere il processo di rebranding riguardano i cambiamenti della propria posizione competitiva dovuti ad una immagine ormai obsoleta e all’erosione della posizione di mercato per via della forte concorrenza, dunque si tratta di una decisione strategica di marketing.

Grazie ad una attenta analisi della situazione interna e di mercato che ha visto il coinvolgimento di alcuni stakeholder interni, di opinion leader e lo studio di ricerche di mercato, è stato possibile raccogliere informazioni che hanno fatto emergere i problemi legati all’immagine di Lotto e l’opportunità strategica da poter sfruttare: lo sport edonostico e l’active well-being. Da qui la scelta di intraprendere questo percorso e riposizionarsi nel mercato dello sportswear cambiando la vision e la filosofia aziendale, ma basandosi sul vantaggio competitivo fornito degli attributi chiave del brand, quali l’italianità, la tradizione nel mondo sportivo e la credibilità guadagnata grazie al know- how accumulato negli anni.

103

Con lo scopo di raccontare il nuovo posizionamento Lotto ha introdotto il nuovo brand Life’s nel mercato e per raccontare meglio la struttura della nuova offerta ha attuato una strategia di branding combinato attraverso un marca ombrello che ha portato ad una nuova brand architecture: sotto il mother brand Lotto sono stati riuniti i cinque diversi sub-brand, ovvero Lotto Performance, Life’s, Lotto Leggenda, Lotto Works e Aequiter.

Il coinvolgimento degli stakeholder è risultato di vitale importanza per ultimare il processo: i dipendenti interni sono stati coinvolti per allineare le collezioni dei prodotti con la nuova brand architecture, per sviluppare la nuova visual identity con i loghi dei vari brand ridisegnati e per pianificare le strategie di comunicazione; successivamente, sono stati coinvolti in ordine la forza commerciale, con eventi di presentazione interni e partecipazione alle fiere di settore, e i consumatori, con campagne di comunicazione sia offline ma soprattutto online grazie ad un incremento del budget per i media digitali.

Per concludere, il processo di rebranding di Lotto Sport è stato lungo e complesso, iniziato a fine 2015 e presentato al pubblico a inizio 2018. Questo processo, però, non si può ancora definire concluso in quanto l’azienda sta continuando a rafforzare il proprio nuovo posizionamento sia in ottica active che lifestyle, seguendo i trend di mercato in costante evoluzione. A causa di ciò, è necessario evidenziare la critica all’elaborato che concerne la mancanza di valutazione delle fasi del processo e dei risultati riguardanti la strategia; ciò non toglie questo rebranding è stato necessario per l’azienda ed è possibile definirlo come fortemente evolutivo dato le numerose novità portate che proiettano l’azienda verso il futuro.

104

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