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Samuel Colt contro la Arms Co. GIORGIO CALORE

el corso della sua carriera si trovò più volte nella condi- zione di dover difendere la propria idea di arma a rotazione dalle mire N di alcuni costruttori suoi colleghi. Per quanto non risulti egli abbia mai espressamente dichiarato d’essere stato l’inventore del (paternità inve- ce che i suoi avvocati erano soliti attribuirgli con forza ogni qualvolta si trova- vano di fronte a giudici e giurie), non si può negare che sia stato uno dei primi a individuare (e brevettare) gli elementi distintivi essenziali per il funzionamento ottimale di questa macchina, che con lui assunse indubbiamente una struttura moderna.1 Nei decenni 1840-1850, risultava quindi assai problematico costruire un’arma a ripetizione (se non altro per gli evidenti vincoli imposti dal sistema di propulsione e accensione di allora), senza duplicare in modo più o meno in- tegrale non solo i particolari meccanici da lui messi su carta, ma soprattutto l’intero cuore del sistema in quanto tale, evitando quindi di violare la legge sui brevetti dell’epoca. All’inizio del XX secolo, quando ormai il revolver era giunto a definitiva maturazione, Charles W. Sawyer, autore di una delle prime monografie dedicate all’argomento, disse: “Egli risolse il problema così bene che nessun’altro trovò mai un metodo migliore del suo.” Ciò nonostante vi fu- rono parecchi fabbricanti contemporanei di Colt che si cimentarono in vari mo- di nello studio e nella realizzazione di armi con fasci di canne o culatte rotanti.2 E in virtù del fatto che proprio il provvedimento che disciplinava i brevetti, involontariamente, ma frequentemente, apriva le porte ai doppioni e alle specu- lazioni, andrebbe spesa qualche parola su questa legge. Sia per inquadrare le circostanze che videro maturare il processo che ebbe protagonisti Colt e un suo concorrente, che per capire come mai, a partire dalla prima metà del XIX seco- lo, ed almeno fino al decennio 1860, vi furono negli Stati Uniti un numero così rilevante di cause giudiziarie in merito alle violazioni dei diritti di scoperta, riguardanti principalmente manufatti ma anche procedimenti chimici e tecnolo- gici applicati all’industria.

IL SISTEMA DEI BREVETTI AMERICANO Dopo un paio di proposte di legge abortite ed alcune sessioni a vuoto del Congresso, la materia fu regolamentata per la prima volta con la Federal Patent Act del 10 aprile 17903, la quale, nella sua essenzialità, non prevedeva 98 un’accurata valutazione tecnica delle domande né un ufficio apposito. Lasciava infatti ai funzionari incaricati il potere inappellabile di scelta e chi aveva neces- sità di garantirsi l’uso esclusivo di una propria idea (o di uno scritto) per un determinato periodo, non poteva far ricorso a nessun tribunale4. Agli albori dell’amministrazione americana chi sovrintendeva al rilascio delle patenti non era quindi una commissione dedicata allo scopo ma tre Ministri (bastavano in ogni caso due firme, oltre a quella del Presidente); il Secretary of State, al quale andava indirizzata la domanda, il Secretary of War e lo U. S. Attorney General. Quest’ultimo, malgrado il nome, non era un giudice (e non lo è tuttora) ma qualcosa di assimilabile al nostro Ministro della Giustizia, pur non esistendo ancora il relativo Ministero (Department of Justice), che fu infatti istituito solo nel 1870. Lo spessore culturale e la caratura morale di queste autorevoli perso- nalità, senza dubbio estranee a qualsivoglia questione tecnica, doveva in sé bastare a stabilire se la richiesta riguardava un’idea veramente nuova oltre che sufficientemente utile e importante quanto era necessario per meritare il sigillo del Governo. Naturalmente, dato il loro ruolo e i molteplici impegni, si occupa- vano di brevetti a tempo perso e si riunivano per lo scopo una volta al mese chiamando se stessi Commissioners for the Promotion of Useful Arts o più sem- plicemente Patent Board o Board of Arts. Benché la loro prima occupazione fosse la politica, alcuni di questi uomini erano in ogni caso dotati di notevoli capacità nei più svariati campi, non ultimo quello delle scienze applicate. Le decisioni di questa prima commissione erano essenzialmente vincolate ad una

Il Blodgett Hotel a Washington fu la sede dell’Ufficio Brevetti dal 1810 al 15 dicembre 1836 quando un incendio lo distrusse quasi completamente, nonostante la caserma dei pompieri fosse a meno di 200 metri. Lo stabile era condiviso con il Washington Post Office 99 rigida morale più che a fattori tecnico-commerciali e il loro giudizio era duro e definitivo (tre brevetti rilasciati fino al dicembre del 1790, una trentina nel 1791, undici nel 1792, anche se queste cifre sono viziate dalla perdita di molti documenti). Una prima discriminante riguardava la descrizione dell’invenzione e il modello (o prototipo) i quali dovevano essere sufficientemente accurati da permettere ad un operaio esperto la sua riproduzione e il suo uso, di modo che alla scadenza della patente tutti potessero trarne beneficio. Un’altra legge però (la successiva Patent Act del 21 febbraio 1793, le cui radici si fondavano principalmente sul sistema inglese) si rese ben presto neces- saria, sia per l’insoddisfazione dei diretti interessati che per la concreta impos- sibilità dei tre Ministri di seguire personalmente il crescente numero di doman- de, nonostante ad un certo punto svolgessero il loro compito ognuno nel proprio ufficio, assistiti da un messo che correva a cavallo di un pony da una parte all’altra della capitale (in quegli anni ancora Philadelphia). Con le nuove norme si passò dalla massima rigidità all’estremo opposto, al punto che se la domanda era regolare nella forma (quindi con la richiesta giura- ta, la descrizione, il disegno, il modello e i due testimoni) non vi poteva essere rifiuto. Questa scelta si rivelò da subito inadeguata alla quantità e alla varietà delle domande che via via salivano di numero, portando ad un quadro globale caotico e mettendo in luce negli anni successivi tutte le sue lacune. Malgrado

Colt Walker Whitneyville. Due esemplari fuori contratto di quest’arma - sembrerebbe senza matricola - arrivarono come dono personale di Colt al Capitano Samuel Hamilton Walker mentre era impegnato nei combattimenti contro le truppe regolari messicane. Il contributo di Walker allo sviluppo di questo particolare modello fu molto importante. I revolver erano arrivati in zona d’operazioni, al confine col Messico, ai primi di ottobre del 1847, nonostante fossero stati spediti il 28 luglio dal fratello di Colt, James B. e destaro- no grande interesse tra tutti gli uomini che ebbero modo di vederli. Le armi destinate alla Compagnia comandata da Walker arrivarono solo dopo la morte del Capitano, av- venuta il 9 ottobre 1847, benché la notifica della spedizione avesse la data del 8 luglio (Casa d’aste James D. Julia) 100 nel 1793 la Board of Arts fosse stata eliminata, il tentativo fatto per introdurre un organo tecnico fallì per almeno un paio di motivi; non si volle interferire con il libero sviluppo delle arti utili, né creare un nuovo ufficio che avrebbe necessariamente portato con sé altri dipendenti e altri stipendi (sic).5 Fu però aumentata la tassa per il rilascio che passò dai 4-5 dollari (a seconda di quanto era lunga la relazione che accompagnava i disegni o lo schizzo; 20 centesimi per cento parole) a 30 dollari. Una cifra molto alta per quei tempi, raggiungibile a fatica dai comuni mortali e che avrebbe sicuramente permesso all’Ufficio di navigare nell’oro. Ma nonostante gli introiti fossero sostenuti, ci furono sempre problemi finanziari dal momento che la tassa andava girata al Tesoro e per qualsiasi spesa si dovevano poi attendere gli speciali stanziamenti approvati dal Congresso (come aveva già previsto la Costituzione). Era abbastanza evidente che qualcosa non funzionava ma nonostante il suc- cedersi di un gran numero di processi, le richieste di molti parlamentari e le

Particolare di una delle 1000 governative. Le armi arrivarono al deposito militare di New York in tre lotti tra il giugno e il settembre del 1847 e furono poi spedite agli U. S. Mounted e in parte ai Texas Mounted Volunteers, entro la fine dell’anno. Tenendo conto dell’armamento dell’epoca, l’impatto psicologico di questi potenti revolver dovette essere notevole, specialmente per quelli che li ebbero di fronte. Un esempio: ancora nel dicembre del 1846, ad un Reggimento a cavallo, istituito origi- nariamente per proteggere i coloni in viaggio sulla Pista dell’Oregon (nel nord-ovest degli Stati Uniti) ma subito inviato al confine col Messico per le necessità belliche, ven- nero consegnati, come dotazione individuale, un fucile Modello 1841 “Mississippi ” e un paio di pistole a pietra Modello 1836 “Johnson” - fabbricate fino al 1844 (Casa d’aste James D. Julia) 101 continue lamentele dei primi interessati, ci vollero più di quarant’anni per un’importante legge di riordino. Fu infatti solo all’inizio del 1835 che il Senato nominò una commissione di studio, su richiesta del senatore del Maine John Ruggles (egli stesso interessato all’ottenimento di un brevetto), per capire lo stato in cui versava il settore. Il rapporto che ne venne fuori fu scoraggiante. Benché la legge del 1793 avesse previsto la carica di Director of Patents, la lettura tecnica dei documenti presentati e dei disegni era molto approssimativa e la concessione appariva poco più che una formalità (9957 furono i brevetti rilasciati nel corso della sua validità, dal 1793 al 1836). Il personale coinvolto, oltre al Direttore, comprendeva tre impiegati e un meccanico addetto alla ma- nutenzione e alla riparazione dei prototipi, ma risultavano comunque in forza al Department of State e naturalmente, escluso il Direttore, espletavano anche altre funzioni, almeno nei primi tempi. Lo stipendio del Direttore (o Superin- tendent) era composto in parte anche dalle tasse pagate per il rilascio dei docu- menti, ma egli non aveva ufficialmente titolo per rifiutare una domanda, né sui certificati vi era la sua firma. Il problema passava in seconda istanza alle Corti Circoscrizionali federali che dovevano occuparsi sia delle violazioni stretta- mente intese, che delle controversie tra i titolari dei brevetti che interferivano tra loro, dato che nessun filtro adeguato era posto in sede di valutazione tecni- ca.6 Ciò nonostante W. Thornton, Directors of Patents dal 1802 al 1828, esercitò un potere discrezionale veramente notevole, sebbene al Ministero il suo compi- to (relativamente ai brevetti) si limitasse appunto a quello dell’impiegato, per quanto di grado superiore. Egli fu oggetto di parecchie critiche, principalmente di natura parlamentare (anche per il fatto d’essere egli stesso titolare di un bre- vetto), ma il suo decisionismo si esprimeva anche in senso positivo. William P. Elliot infatti, all’epoca impiegato all’interno dell’Ufficio (che nel 1851 venne chiamato a testimoniare nel processo tra Colt e la Mass. Arms Co.), affermò dopo la morte di Thornton, di come il suo superiore non si facesse scrupolo a rilasciare brevetti anche senza il pagamento di alcuna tassa a quegli inventori che gli sottoponevano idee interessanti ma non disponevano di denaro suffi- ciente. Questo farebbe pensare che non si stesse troppo a controllare il rapporto tra i brevetti rilasciati e le tasse incamerate. Il risultato, messo ben in evidenza dalla relazione del senatore Ruggles, fu una proliferazione di certificati inutili e senza significato, spesso privi di valore e di interesse. Molti avevano contenuti non assoggettabili a nessun tipo di dirit- to. Ma quel che è peggio, ve n’erano in aperto contrasto senza che nessuno, al momento del rilascio, avesse avvisato i titolari richiedenti, col risultato che si può immaginare. Questa situazione, disse Ruggles, “[…] Comporta costi enor- mi per la comunità oltre ad essere avvilente per l’intero paese”. Nel periodo precedente l’approvazione della legge del 1836 (verosimilmente il pilastro legislativo del futuro sistema americano sulla prote- zione del diritto di scoperta), si assistette alla nascita di un commercio di bre- vetti. Bastava infatti cambiare qualche particolare marginale giocando in parti- 102

Brevetto n° 182 rilasciato a Daniel Leavitt il 29 aprile del 1837 “IMPROVEMENT IN MANY CHAMBERED CYLINDER FIRE ARMS” 103 colare sulle modalità descrittive, il nome del richiedente e dell’invenzione, pre- sentare la domanda e il gioco era fatto. Il nuovo titolare (al quale di solito non interessava produrre alcunché) vendeva tranquillamente i diritti del suo brevetto a qualcuno intenzionato a sfruttarlo ma ignaro della situazione, che si ritrovava col suo prodotto affiancato da oggetti simili o uguali e doveva intraprendere una costosa azione legale (a volte più d’una, tanto da sperperare un capitale) per proteggere quello che in buona fede credeva fosse esclusivamente di sua proprietà. Va da sé che il primo inventore, al quale era stata rubata l’idea, si trovava a sua volta denunciato, e ciò portava ad un circolo vizioso dal quale gli unici a trarre vantaggio erano gli avvocati. Il senatore Ruggles aveva stimato - non si sa come - in mezzo milione di dollari l’anno questo commercio truffaldi- no. La situazione cambiò in maniera apprezzabile con la legge approvata dal Congresso il 4 luglio 1836 che istituì per la prima volta, ma sempre sotto la giurisdizione del Dipartimento di Stato, un ufficio autonomo (Patent Office) con un proprio fondo (Patent Fund), gestito però attraverso il Ministero del Tesoro, oltre alla carica di Commissioner of Patents (3000 dollari l’anno di stipendio). La possibilità, da parte dell’Ufficio, di opporre un rifiuto al rilascio, fu compensata con la creazione di una Board of Examiners, composta da tre persone estranee ed imparziali nominate dal Secretary of State, la quale doveva anche occuparsi di risolvere i problemi dovuti a brevetti in contrasto tra loro. Naturalmente prima del rilascio. Alle dipendenze del Commissario c’era un impiegato capo (Chief Clerk) cui spettava l’effettivo controllo dei documenti registrati, dei prototipi e del sigillo ufficiale; un impiegato con funzioni di esaminatore (Examining Clerk); altri tre impiegati di grado inferiore (uno dei quali esperto disegnatore tecnico); un meccanico e un messo.7 I brevetti non vennero più firmati dal Presidente e da due ministri (prassi che allungava i tempi di rilascio in modo ormai insostenibi- le per i cittadini) ma dal solo Secretary of State e controfirmati dal Commissio- ner. Questi ultimi, assieme all’avvocato rappresentante il Ministero del Tesoro (Solicitor of the Treasury), formavano ora una commissione (abolita poi con la Patent Act del 1848) che tra le altre funzioni aveva il compito di concedere le extensions dietro pagamento di un’imposta uguale alla tassa di rilascio. Questa tassa rimase a 30 dollari per i cittadini americani e per chi risiedeva negli Stati Uniti da almeno un anno (o due, non è chiaro), ma lievitò a ben 500 dollari per i sudditi di Sua Maestà britannica e a 300 per i francesi e per tutti gli altri (cifre equiparabili a quelle che i cittadini americani pagavano per il rilascio di brevetti in quei paesi). Ai documenti venne assegnata da allora una matricola progressi- va a partire dal numero 1 (brevetto del 13 luglio 1836 del già visto senatore Ruggles, spesso considerato erroneamente il primo brevetto americano), siste- ma di numerazione mai più interrotto che lo U. S. Patent and Trademark Office conserva tuttora per quelli che vengono chiamati “utility patent”. Fino a quella data erano individuati solamente col nome dell’inventore e con una breve de- scrizione dell’invenzione stessa (anche se a volte, per esigenze meramente in- 104 terne, l’Ufficio vi si riferiva con un numero). Sono anche conosciuti come bre- vetti “name & date”. Il primo ad assumere la carica di Commissioner con la legge del 1836 era stato Henry Leavitt Ellsworth, già Sovrintendente dall’anno prima, proveniente da una famiglia molto blasonata. Il padre fu infatti alla Corte Suprema come Chief Justice e il gemello Governatore del Connecticut.

Brevetto del 28 agosto 1849 n° 6669 di Edwin Wesson “METHOD OF CONNECTING THE HAMMER WITH THE CYLINDER OF A REVOLVING FIRE ARM”. Nel particolare la coppia conica che comandava la sola rotazione del tamburo. L’ingranaggio più gran- de ruotava sullo stesso asse del cane, quello più piccolo su quello del tamburo 105

I brevetti americani duravano in quel periodo 14 anni ma grazie ad alcune clausole - non presenti nella legge del 1790 - vi era la possibilità di ottenere un nuovo rilascio (reissue) o un’estensione temporanea (extension). Naturalmente quest’ultima doveva avvenire in prossimità della data di scadenza. Se il titolare dimostrava di non essere riuscito a realizzare in modo soddisfacente i guadagni che teoricamente quella scoperta gli poteva assicurare (per esempio se aveva perso tempo nell’allestire la produzione di un determinato prodotto prima di poterlo vendere con profitto oppure non l’aveva commercializzato per niente), poteva chiedere un’estensione che durava sette anni a partire dalla scadenza naturale. L’articolo recitava: “[…] An inventor who had lost the benefit of his invention during the continuance of the first term might have an extension”. Questa pratica ebbe inizio già dal 1807 e durò per parecchi anni. Diversamente, se riteneva di non aver descritto compiutamente qualche ca- ratteristica importante della sua invenzione, aveva l’opportunità di presentare un nuovo documento maggiormente particolareggiato e chiedere un nuovo rila- scio. “[…] An inventor who by reason of neglect or ignorance had not suffi-

Un particolare del brevetto n° 7802 del 26 Novembre 1850 di Joshua Stevens che ri- guardava il sistema di blocco della canna sull’asse del tamburo, presente sul revolver Wesson & Leavitt. Il titolo del documento era: “IMPROVEMENT IN THE LOCKING AP- PARATUS OF REPEATING FIRE ARMS” 106 ciently described his inventing might surrender his patent and obtain a new one sufficiently describing it”. Con la Patent Act del 1861 la durata massima di tutti i nuovi brevetti fu por- tata a 17 anni senza più possibilità di proroga, tuttavia per un breve periodo dopo l’entrata in vigore della legge del 1836, la durata dei brevetti industriali (design patent) poteva essere rispettivamente di tre anni e mezzo, sette anni o quattordici anni a scelta dal richiedente e con tasse corrispondenti. Già a partire dall’agosto del 1836 vi fu una netta diminuzione del numero dei rilasci frutto dei nuovi regolamenti introdotti a luglio, principalmente per l’estrema cura con la quale ogni domanda veniva valutata. Nel 1837, anno in cui entrò a regime la legge, ci furono 435 rilasci a fronte dei 757 del 1835. Nei mesi compresi tra l’agosto e il dicembre del 1836, più dei due terzi delle domande presentate ven- nero respinte. Tenendo conto del fatto che le petizioni erano in costante e pro- gressivo aumento, si deve dedurne che il giro di vite fu sensibile. Colt, con l’abile assistenza dei suoi avvocati, sfruttò entrambe queste possi- bilità con successi alterni. In concomitanza con l’apertura della sua fabbrica in Pearl Street ad Hartford, chiese una reissue dell’originario brevetto del 1836, concessa il 24 ottobre 1848 col n° 124 e il 10 marzo dell’anno dopo gli venne concessa una extension fino al 1857, anche in virtù del fatto che la produzione delle sue armi si era fermata nel 1842 e non era ripresa fino alla primavera del 1847. Nel 1854 però i tempi erano ormai maturi perché l’idea venisse conside- rata di interesse nazionale e gli venne per questo motivo negata un’ulteriore estensione di altri sette anni. Il suo brevetto durò quindi 21 anni, fino al 25 feb- braio 1857 e gli dette un vantaggio formidabile sui concorrenti. Fatto interessante; la registrazione originale del primo brevetto di Colt andò a fuoco, assieme a tutte quelle raccolte a partire dal 31 luglio del 1790, durante l’incendio che la notte del 15 dicembre 1836 devastò l’hotel Blodgett nella E street di Washington. Si trattava di una costruzione risalente al 1793 (per qual- che tempo era stato anche il primo teatro della capitale) diventata la sede dell’Ufficio Brevetti degli Stati Uniti dal 1810. In quello stesso periodo lo sta- bile era condiviso con l’ufficio postale della capitale e con il General Post Office, chiamato anche Post Office Department, anch’essi completamente di- strutti. Dei circa 10.000 brevetti andati persi (la cifra approssimativa viene fornita dall’attuale U. S. Patent and Trademark Office) solo 2845 vennero in seguito nuovamente registrati grazie alle copie che gli inventori avevano conservato o a nuove dichiarazioni che si rifacevano più o meno fedelmente ai precedenti do- cumenti. In anni recenti qualche casuale ritrovamento ha messo in evidenza come alcune delle ricostruzioni d’ufficio, successive al rogo, fossero state acco- modate con buona approssimazione rispetto dall’idea di base, in mancanza del documento originale, creduto perso (o tenuto nascosto dal titolare). Gli altri non vennero mai più ricuperati e il patrimonio perduto fu davvero notevole. Assie- me a quasi tutti i documenti andarono ridotti in cenere i preziosi prototipi im- magazzinati, circa 7000 pezzi, inclusi quelli depositati da Colt nel 1836 (una 107 pistola e un fucile costruitigli nel 1834 dall’armaiolo John Pearson di Baltimo- ra) e l’intera biblioteca tecnica in dotazione di circa 300 volumi. L’unica cosa che si salvò dal rogo fu un volume che uno degli impiegati si era portato a casa violando il regolamento. Si trattava di W. T. Steiger che con la benevola com- prensione del suo capo disegnava per conto terzi sfruttando l’esperienza acqui- sita all’Ufficio. Va ricordato ancora che diversi documenti, risalenti al periodo iniziale, an- darono persi o distrutti durante il raid inglese su Washington nell’agosto del 1814, avvenuto nel corso della guerra contro gli Stati Uniti del 1812-14, anche se, durante il saccheggio, l’unico edificio pubblico a salvarsi dagli incendi fu proprio il palazzo dove erano allora stipati i libri coi brevetti registrati e i mo- delli depositati. A questo proposito la leggenda vorrebbe che, davanti ad un Maggiore inglese che con la sua Compagnia aveva puntato un pezzo d’artiglieria sul palazzo per demolirlo, William Thornton, allora in carica come Director of Patents, gli si fosse piazzato di fronte dicendo con occhi fiammeg- gianti: “Siete inglesi o solo dei vandali? Questo è l’Ufficio Brevetti, depositario dell’inventiva e del genio americano, dove l’intero mondo civilizzato è rappre- sentato. Volete distruggerlo? Ebbene se è così dovrete sparare attraverso il

Il gruppo di scatto e di blocco del tamburo concepito da Colt. Era protetto dal brevetto del 25 febbraio 1836 108 mio corpo”.8 Limitatamente al periodo precedente il processo del luglio 1851 e che qui interessa, il sistema di valutazione e concessione cambiò alcune volte. Per e- sempio, il preambolo del suo primo brevetto (legge del 1793) portava ancora la firma del Presidente (allora Andrew Jackson), e di due Ministri (John Forsyte, Secretary of State e Benjamin F. Butler, U. S. Attorney General). Per le exten- sions il compito spettava ad un’apposita commissione - formata dal Secretary of State, dal Commissioner of Patents e dal Solicitor of the Treasury - che pote- va sentire il parere (non vincolante) di un’altra commissione composta da De- putati della Camera dei Rappresentanti (pratica iniziata già nel 1807 anche se attraverso organismi differenti). Nel caso l’oggetto del brevetto potesse costitu- ire materiale d’armamento era necessario l’assenso del Ministero della Guerra. Nel 1849 tuttavia, quando Colt ottenne l’estensione che allungò la durata fino al 1857, la responsabilità ricadeva sul solo Commissioner (Patent Act del 1848) che si avvaleva di una relazione stilata dal Chief Clerk esaminatore addetto ad un determinato settore (legge del 1836). Per una maggiore comodità si era deci- so infatti di dividere i brevetti per classi - e sotto classi - di appartenenza, a se- conda del soggetto trattato. A partire dal 1849 l’Ufficio fu sotto la giurisdizione del Ministero degli Interni, creato in quell’anno anche, e soprattutto, per una più attenta gestione politica ed amministrativa delle Riserve Indiane.9 I brevetti rilasciati nel periodo compreso tra la prima Patent Act del 10 apri- le 1790 e l’approvazione della legge del 4 luglio 1836, sono ora archiviati e contraddistinti da una X (limitatamente a quelli ricuperati). Diversamente, quel- li depositati a partire dal n° 1 del 13 luglio 1836 fino al 15 dicembre dello stes- so anno, giorno dell’incendio, vennero tutti ricuperati e conservano tuttora la numerazione inizialmente assegnata. L’originario brevetto del 25 febbraio 1836, individuato anche col n° 138, è registrato attualmente col n° 9430-X. Di quelle gloriose invenzioni, ormai considerate alla stregua di reperti archeologi- ci, rimane naturalmente pochissimo, anche se all’epoca qualche soluzione fu davvero rivoluzionaria. Basti pensare alla sgranatrice di cotone di E. Whitney Senior (la famosa cotton gin copiata poi un po’ da tutti sebbene fosse brevettata dal 14 marzo 1794) e all’importanza che essa ebbe nello sviluppo dell’economia degli Stati del sud. Nonostante i brevetti fossero rilasciati dal Governo federale, che si limitava a schedarli e a garantirne, tramite la legge, lo sfruttamento esclusivo al titolare o ai suoi eredi o assegnatari se regolarmente registrati, rimanevano a tutti gli effetti dei documenti commerciali, quindi privati. (E come avrebbe potuto esse- re diversamente in quella che già allora era la patria del liberismo?) Fino a quando non intervenne il Secretary of State in persona (nel 1825), anche su parere dello U.S. Attorney General, i funzionari governativi non fornivano co- pie dei brevetti, nemmeno su specifica richiesta, neppure pagando i canonici 20 centesimi di dollaro per cento parole (solo nel caso in cui, nel corso di un pro- cesso, ve ne fosse stato bisogno, o su permesso scritto del titolare o se fossero scaduti). Nel periodo tra il 1790 e il 1793 invece - quando vi era Thomas Jeffer- 109 son a sovrintendere il rilascio - si fornivano copie dei documenti a pagamento e c’era la possibilità di studiare i prototipi (in verità ancora pochi). Naturalmente, durante i processi di quel primo periodo, era pressoché im- possibile conservare qualsiasi tipo di segreto e tutto diventava di dominio pub- blico. Proprio l’iniziale pratica di tenere segreti i brevetti (ciò avvenne con la legge del 1793) fu una delle cause che portò a doppioni di vario tipo dato che chi presentava una domanda (o semplicemente chi costruiva e vendeva qualco- sa senza preoccuparsi di brevettarla) non poteva avere cognizione di ciò che era già depositato e quindi protetto. Non aveva nemmeno la certezza matematica di essere avvisato nel caso egli stesso presentasse una domanda. Col tempo l’ufficio adottò una pratica (poi diventata legge) chiamata caveat system, attra- verso la quale si poteva depositare un’idea ancora in abbozzo, (pagando 20 dollari) che rimaneva segreta fin tanto che si metteva a punto e si presentava il

In questo particolare del brevetto di Colt n° 1304 del 29 agosto 1839 “IMPROVEMENT IN FIRE ARMS AND IN THE APPARATUS USED THEREWITH”, la meccanica è sem- plificata rispetto al primo brevetto 110 progetto vero e proprio seguito dalla domanda di rilascio. Se entro un anno (ma il caveat era rinnovabile) qualcuno presentava una richiesta per qualcosa di simile, il primo richiedente veniva avvisato ed aveva la precedenza - nel caso avesse presentato la domanda definitiva entro tre mesi. Ma non sembrò servire a molto. Solo all’inizio del decennio 1840 l’Ufficio cominciò pian piano ad adottare una politica ispirata alla totale trasparenza collaborando col pubblico e con va- rie istituzioni tecniche, oltre che attraverso la diffusione di una pubblicazione periodicamente aggiornata in modo che qualsiasi cittadino potesse in ogni mo- mento sapere ciò che era protetto da diritti e ciò che non lo era.

IL PROCESSO In questa situazione di estrema litigiosità (già nel decennio 1830 vi erano mediamente un centinaio di cause pendenti ogni anno su meno di 10.000 docu- menti rilasciati in totale), il 30 giugno 1851 si aprì a Boston, presso la Corte Circoscrizionale Federale (U. S. Circuit Court - District of Massachusetts) una causa civile che fece parecchio rumore negli ambienti armieri del New En- gland, non solo per il caso in sé (la sentenza sembrò al momento chiudere in modo univoco la questione di grande interesse sollevata dalla parte civile), ma soprattutto per le personalità coinvolte. La durata del dibattimento (la sentenza è del 5 agosto), il numero dei testimoni, l’importanza e il nome degli attori con- venuti, ne fecero un avvenimento la cui eco si sparse in tutto il pese. Il querelante (plaintiff) era Samuel Colt di Hartford, nel Connecticut, difeso da un collegio di tre avvocati; Gorge T. Curtis e Charles L. Woodbury di Bo- ston oltre a Edward N. Dickerson del New Jersey. Quest’ultimo, figlio di Phile- mon Dickerson, già Governatore dello Stato del New Jersey, cominciò a colla- borare assiduamente col suo cliente dall’inizio del 1849, dopo di ché seguì per- sonalmente per Colt tutte le questioni legate alle violazioni di brevetto. Le cro- nache dell’epoca lo descrivono come uno dei più esperti ed agguerriti Patent Attorney del . Malgrado nella loro corrispondenza si notasse una diversità di vedute nel modo di gestire il problema degli indennizzi chiesti ai costruttori concorrenti che violavano il brevetto, i due mantennero un ottimo rapporto ed ebbero una collaborazione proficua per diversi anni. Tuttavia alla prima richiesta di Colt, Dickerson mostrò una certo imbarazzo nell’accettare il caso, quasi certamente perché non era affatto sicuro che la violazione potesse essere provata facilmen- te davanti ad una giuria (questo la dice lunga sulla sempre sbandierata unicità del brevetto di Colt). Poi cedette, a patto che il suo cliente facesse un’unica e stringata dichiarazione su suo preciso suggerimento, dopo di che avrebbe dovu- to andarsene fuori città per non essere più citato. Evidentemente l’avvocato non si fidava di quello che avrebbe potuto dire in aula tanto che alla fine la di- chiarazione di Colt non vi fu per niente. Egli infatti non fu mai presente durante il processo. 111

Il querelato (defendant) era la Massachusetts Arms Company situata a Chi- copee Falls, poco a nord di Springfield, nel Massachusetts, rappresentata allora da Frank e Daniel B. Wesson, fratelli ed eredi del loro primogenito Edwin, fon- datore dell’originaria azienda, deceduto due anni prima.10 Il collegio di difesa degli imputati non aveva nulla da invidiare a quello della parte avversa e schie- rava il meglio in fatto di Procuratori Legali. Era composto da Rufus Choate del Foro di Boston, l’avvocato più in vista della città in quel periodo che all’epoca di questo processo era già stato membro sia del Congresso del Massachusetts che del Senato Federale; da R. A. Chapman, un oratore formidabile, (colui che in realtà condusse il processo in aula nelle fasi più critiche, anche per la malatti- a che ad un certo punto colpi Choate e gli impedì di essere presente) e dall’Onorevole Gorge Ashmun, entrambi di Springfield. A presiedere la Corte vi era Levi Woodbury (Associate Justice), Giudice Aggiunto della Corte Supre- ma degli Stati Uniti e padre di Charles Levi Woodbury del collegio difensivo di Colt. La materia del contendere era contenuta nel brevetto rilasciato a Colt il 25 febbraio 1836 per un’arma a ripetizione - con alcune particolarità che vedremo - la cui intestazione era “Improvement in Fire Arms”,11 integrato poi col nuovo rilascio dell’ottobre del 1848 (col titolo “Improvement in Revolving Fire Arms”), la cui validità arrivava fino al 1857 grazie alla già citata estensione del

Vista destra di un revolver Wesson & Leavitt (Casa d’aste Greg Martin) 112 marzo 1849. La proroga era stata concessa regolarmente dallo U. S. Patent Office ma venne messa in discussione senza fortuna dai querelati nel corso del processo. Choate e Chapman infatti, probabilmente sapendo di non avere molte speranze, cercarono più volte di distrarre la giuria con lunghe digressioni sulla presunta irregolarità del rilascio, evidenziando la poca chiarezza del procedi- mento e ipotizzando perfino strani rapporti tra Colt e il Commissioner of Pa- tents.12 Con le stesse intenzioni i due sollevarono dubbi sulle procedure adottate nell’assegnazione del brevetto fatta da Colt alla Patent Arms Manufacturing Co. nel 1836 e alla successiva ri-assegnazione a Colt nel 1849. A ciò seguivano le repliche a volte aggressive altre volte lungamente argomentate degli avvocati Curtis e Dickerson, i quali sostenevano che se non c’era una precisa denuncia in merito a comportamenti illeciti non aveva senso perdere tempo.13 Il giudice Woodbury registrò puntualmente le obiezioni della difesa (citando casi simili) ma bloccò quasi sempre la discussione, che spesso degenerava, sostenendo che la regolarità, o qualsiasi altra questione attinente l’estensione del brevetto, non era materia di quel processo. In quell’aula si sarebbe deciso solo se l’arma della Massachusetts Arms aveva violato il brevetto del querelante. L’accusa della parte civile (depositata il 28 settembre 1850) era naturalmen- te di aver violato la privativa nelle sue caratteristiche più importanti, alla quale seguiva la richiesta di bloccare la vendita del revolver (attualmente conosciuto dai collezionisti col nome di Wesson & Leavitt), messo in commercio già a par- tire dal 1849.14 Secondo gli avvocati di Colt il brevetto del loro cliente proteg- geva qualsiasi sistema meccanico di rotazione e blocco del cilindro (quindi il principio in sé, come ripeterono instancabilmente durante tutto il processo) mentre i legali della Mass. Arms sostenevano che solo il sistema lever and ra- tchet (la ruota dentata fissata al tamburo mossa da una leva fulcrata al cane) era in realtà brevettato. La linea di condotta che l’avvocato Dickerson seguì durante il dibattimento, manifestata nella sua prolusione iniziale (venti pagine fitte di relazione), si fon- dò su alcuni punti fermi irrinunciabili, la cui sintesi era questa: 1 - l’apparato di rotazione e blocco del tamburo e la sistemazione dei luminelli in appositi reces- si era un’invenzione del suo cliente (a questo proposito pur definendo il Sig. Colt come l’inventore della armi da fuoco a ripetizione, tenne a precisare: “[…] voglio parlare di presunto inventore unicamente per rispetto verso la contro- parte”.); 2 - la scoperta era registrata a norma di legge; 3 - l’estensione che ne aveva allungato la validità era a norma di legge; 4 - l’arma del querelato era del tutto simile a quella della parte civile e violava il brevetto. La sua fu una presentazione del caso che lascia tuttora sbalorditi, nonostante siano passati 150 anni. Vi inserì di tutto senza che nessuno lo interrompesse (tra le molte esternazioni ad effetto definì Samuel Colt ‘un poeta del legno e dell’acciaio’), dalla storia delle armi da fuoco all’eccezionale gradimento riser- vato alla sua invenzione, fino alle lodi smisurate per il suo cliente, che all’inizio della sua avventura era un giovane ingenuo e senza mezzi per far fruttare la sua scoperta, per chiudere con le tremende traversie dei titolari di un brevetto, con 113 vari esempi di inventori magnanimi verso i loro contemporanei, ai quali aveva- no donato scoperte sensazionali “[…] Voi tutti conoscete la storia di Goodye- ar!”, costretti poi a gettare al vento le loro fortune per difendersi da individui aggressivi e senza scrupoli. Si permise perfino di ironizzare sulla linea difensiva della controparte che affermava di conoscere fin troppo bene per averla vista all’opera molte volte: “[…] I°, L’accusato non ha violato alcun brevetto; II°, se lo ha fatto, il quere- lante non è l’inventore; III°, è lui stesso l’inventore.” Molto appropriata si rivelò la scelta di non chiedere i danni materiali relativi alle armi già prodotte (pur non escludendola a priori), mettendo quindi in se- condo piano l’elemento denaro. L’intenzione di Dickerson di puntare solamen- te alla questione di principio, cioè alla paternità dell’idea contenuta nel brevet- to, era chiara; far leva sulla sensibilità della giuria popolare evitando di presen- tarsi in aula chiedendo pubblicamente soldi. Infondo sembrava molto più op- portuna una transazione privata, discreta ma sostanziosa, successiva ad una netta vittoria sul piano processuale. Dickerson sapeva benissimo che battersi unicamente sulla paternità dell’idea era un azzardo, ma il rischio era certamente calcolato e un successo su questo terreno sarebbe servito da monito bloccando per qualche prezioso anno gli altri costruttori. L’avvocato di Colt entrò nei particolari già nell’introduzione e parlando delle armi a rotazione del suo cliente disse alla giuria: “[…] Richiamerò ora la vostra attenzione su cosa sia effettivamente l’arma del signor Colt. […] Un’arma che col minor peso possibile, con la minor complessità, produca il più grande effetto, è la più desiderabile e preziosa. […] Un moschetto è prefe- ribile ad un’arma a miccia, un’arma a ripetizione è preferibile ad una a colpo singolo e un meccanismo a ripetizione che si attivi con l’armamento del cane è preferibile a qualsiasi altra cosa!!.” Leggendo poi alcuni passi direttamente dal brevetto: “[…] La mia invenzione è relativa a quella classe di armi da fuoco nelle quali una serie di camere parallele per il contenimento delle cariche, è costituita da una culatta rotante posta in connessione con la canna, e la rota- zione di tale culatta presenta in successione le cariche in linea con la canna per lo sparo.” Era la descrizione di apertura che Colt aveva inserito nella se- conda versione del suo originario brevetto del 1836, cioè quella rilasciatagli come reissue n° 124 nel 1848, seguita poi da una precisa puntualizzazione sulle particolarità che distinguevano la sua pistola da quelle conosciute fino ad allora e sulle quali si imperniava gran parte della battaglia dei suoi avvocati: “[…] Il principio o il modo di funzionamento che distingue la mia invenzione da tutte quelle finora conosciute consiste, primo, nella combinazione tra la culatta ro- tante e il suo blocco in maniera tale che con l’azione dell’armamento del cane, la culatta ruoterà portando una dopo l’altra le cariche in linea con la canna per lo scoppio; secondo, nella combinazione tra la culatta rotante e il suo bloc- co a mezzo di un gancio, o suoi equivalenti, in maniera tale che con l’azione dell’armamento del cane, detta culatta rotante sarà sganciata da detto blocco e libera di girare, e quando ruoterà riattiverà il blocco tenendo una particolare 114 camera in posizione per lo scoppio; terzo, nella combinazione tra la culatta rotante e una serie di luminelli, uno per ogni camera e in asse con esse, atti a ricevere le capsule che una volta inserite proteggeranno i singoli foconi dal fuoco laterale e quando ciò sarà combinato col posizionamento dei luminelli stessi in appositi recessi, i foconi saranno ulteriormente protetti dall’effetto del fuoco laterale a mezzo di tali scomparti; quarto, nella connessione della canna con lo scudo di rinculo, situato dietro la camera rotante, per mezzo di un per- no, o asse, sul quale la culatta ruota, e un cuneo di chiusura, o suo equivalente, che permetterà senza difficoltà lo smontaggio e il rimontaggio delle parti; in quinto luogo infine, nella connessione della canna con lo scudo di rinculo tra- mite la piastra di scatto (lock plate) posta sotto la culatta rotante.” (Anche se di norma il termine lock plate è riferito alle armi con meccanismo side lock, in questo caso vi si faceva riferimento per quella parte di fusto sotto il tamburo dov’erano contenuti e imperniati i leveraggi di scatto.) La descrizione presente nel reissue del 1848 delle parti meccaniche, delle caratteristiche funzionali come pure del principio stesso era più completa e det- tagliata rispetto al primo brevetto del 25 febbraio 1836 e lasciava intravedere una mano esperta. Non erano descritti solamente i particolari meccanici e la loro funzione, ma si esprimevano ipotesi di modifiche immaginando forse le

Il nome del fabbricante rullato sulla parte superiore del telaio (Casa d’aste Greg Martin) 115 future probabili violazioni. Nel presentare una richiesta di brevetto, chi non aveva mezzi si faceva spesso aiutare per descrivere la scoperta dagli impiegati dell’ufficio, ma rischiava di venire sorpassato da chi aveva per le mani qualco- sa di simile però meglio descritto. Al contrario, chi se lo poteva permettere, assumeva i cosiddetti Patent Agent o Solicitor of Patent, esperti nel settore e abilissimi nello schivare i tranelli tipici delle complicate descrizioni tecniche. Nello specifico caso di Colt, l’abilità si può riscontrare in più punti, quando si nomina prima un particolare, per esempio il gancio (chiamato spesso catch o lifter e attualmente hand) che impegna i denti della stella di rotazione (ratchet wheel) e la fa girare assieme al tamburo, e subito dopo aggiungere “o suoi equi- valenti”. E lo stesso riguardo alla zeppa di fissaggio tipica dei revolver di Colt: “wedge key or its equivalent”. O ancora, verso la fine delle specifiche, si può

Oltre al chiavistello di serraggio e al tenone che evitava movimenti laterali della canna, si può notare la singolare raggiatura della faccia anteriore del tamburo. Tale caratteristi- ca, coperta dal brevetto n° 182 di D. Leavitt, serviva (o avrebbe dovuto servire) per scongiurare l’accensione delle camere contigue a quella allineata alla canna. Il fenomeno era descritto nelle specifiche in questo modo: “[…] The portion of the ignited charge which may escape will in this case fly off in a tangent to the spherical end of the cylinder, and cannot possibly come into contact with a lateral-charged chamber.” La culatta della canna, fatto salvo l’immancabile gap necessario alla rotazione, era sago- mata sulla sfericità della volata del tamburo e ciò avrebbe dovuto indirizzare i gas di sparo per la tangente!! (Casa d’aste Greg Martin) 116 leggere: “[…] E’ ovvio, come descritto in precedenza, che le parti della mia invenzione potranno essere variamente modificate. Per esempio, invece di co- struire la ruota dentata, con la quale si fa ruotare la culatta a più camere, in un pezzo separato e fissarla sulla culatta con un anello, la ruota dentata, o l’equivalente di ciò, potrà essere costruita come una proiezione della culatta, o in una cavità all’interno di essa, o in qualsiasi parte connessa con la culatta, come la convenienza potrà consigliare. - Oppure - […] Invece di vincolare la leva, che ruota la culatta a più camere, direttamente all’armamento del cane, essa può essere connessa tramite un’altra leva, o più leve intermedie, o da una articolazione intermedia, e questa leva secondaria può essere usata per azio- nare il cane, e invece di far ruotare la culatta a più camere da un movimento della leva verso l’alto, ciò può essere compiuto a rovescio.” E via elencando ipotesi, similitudini o equivalenze. Alla fine si può ancora leggere: “[…] Sebbe- ne io abbia descritto il cane (chiamato cock ndr) come azionato da una spor- genza diretta di esso, quando applicato a una pistola, e da una leva seconda- ria, quando applicato a un fucile (qui il riferimento era ai ring lever rifle sui quali l’armamento del cane avveniva tramite una leva ad anello ndr), non voglio limitarmi a questa disposizione delle parti […] E sebbene io abbia illustrato i

Il sistema di scatto e percussione delle Wesson & Leavitt non era all’altezza di quelli delle armi di Colt, certamente più innovative. Il cane laterale e la piastra di scatto non permettevano la compattezza tipica dei revolver concorrenti. La linea era mutuata dalle pistole monocolpo degli anni 1830-40 117 principi della mia invenzione come suscettibili di alcune modifiche, qui elenca- te, non voglio limitarmi a queste, essendo possibili altre modifiche.” E’ probabile che, al giorno d’oggi, nessun patent examiner accetterebbe specifiche così descritte. Sarebbe inaccettabile, del resto, con l’attuale legisla- zione statunitense, attraverso la quale è possibile - con gli opportuni paletti - far convivere due principi simili, brevettati entrambi, ai quali si sia arrivati con modalità differenti, proporre descrizioni imprecise e generiche al punto da inge- nerare dubbi interpretativi così pesanti da dover essere fugati da una giuria. Ma come dimenticare che da queste descrizioni è passato più di un secolo e mez- zo!? E’ evidente l’obbligatorietà di una simile prassi descrittiva nel caso si voles- se brevettare non solamente il pezzo, o i pezzi che lavoravano assieme con la loro funzione e scopo, ma l’intero sistema che derivava dalla loro interazione, con qualsiasi altro pezzo, o pezzi, o in qualsiasi altro modo, essa fosse stata

Entrambe le concorrenti erano dotate di telaio aperto. Tra i due sistemi di smontaggio tuttavia, l’arma della Massachusetts Arms guadagnava qualche punto in quanto a solidi- tà su quella di Colt. Nei revolver di Hartford era facile perdere la zeppa di fissaggio e inoltre la sua sede, ricavata sul perno del tamburo, prendeva facilmente giochi. In que- sta foto si notano i luminelli ben incassati e divisi da una solida parete di metallo. Pecca- to che questa particolarità fosse già ben specificata nel brevetto di Colt del 1836. 118 compiuta. In poche parole si voleva bloccare a chiunque la strada per arrivare a quel determinato principio. Ed è oltremodo chiaro perché in quegli anni risul- tasse pressoché impossibile costruire un’arma simile senza incappare in una violazione di brevetto. Fu proprio quello che successe alla Massachusetts Arms col suo revolver e con la coppia conica (bevel gear) che comandava la rotazio- ne e il blocco sotto sparo del tamburo (blocco che in questo caso avveniva tra- mite un perno agente in orizzontale), considerata alla fine del processo simile al meccanismo di Colt. Naturalmente noi ci chiediamo ora: come poteva un orga- no non tecnico, com’era una giuria popolare, decidere in merito alla similitudi- ne di due sistemi, brevettati entrambi? E come mai i titolari di due distinti bre- vetti, per i quali il Governo, col suo Sigillo, si era fatto garante della novità, dell’unicità, dell’utilità, erano costretti a battersi in tribunale per difendere il proprio lavoro? Fin troppo facile dare una risposta a più di 150 anni di distanza; la legge non era perfetta!

Sul retro del tamburo si notano lo scasso per la rotazione, i punti di fermo e la rullatura della data del brevetto di Leavitt. Il sistema che comandava il movimento del tamburo, regolato dalla coppia conica (bevel gear), era stato brevettato da Edwin Wesson il 28 agosto del 1849. Su tale marchingegno i difensori della Mass. Arms si dannarono contro interrogando in modo martellante tutti i testimoni dell’accusa, (e anche i propri, inciam- pando in qualche autogol) nel tentativo di sostenere che questa diversità dal meccani- smo di Colt ne faceva un’altra cosa. Inutilmente! (Casa d’aste Greg Martin) 119

Chapman, che aprì il caso per il querelato, si uniformò subito all’idea di Dickerson relativa al rimborso simbolico di un dollaro (in caso di buon esito per il querelante) adeguandosi ad una richiesta dei danni da formulare in un processo successivo. Che non vi fu, almeno per ciò che riguardava la richiesta di un indennizzo.15 A questo proposito, Dickerson dichiarò parlando diretta- mente alla giuria popolare: “[…] Siamo qui davanti a voi per una questione di diritto, per ribadire la proprietà di un titolo, e vogliamo rinunciare alla richie- sta dei danni. Considerato che ho visto spesso giurie in grande difficoltà al momento di stabilire l’entità del risarcimento, voglio subito rassicurarvi. L’unico punto sul quale la vostra attenzione dovrà concentrarsi è questo: il diritto di proprietà. […] Questo è un processo che riguarda un brevetto (patent suit ndr) e non è diverso dagli altri processi simili che hanno avuto e che hanno luogo in tutte le Corti degli Stati Uniti.” La presentazione di Chapman fu aggressiva quanto quella dell’avversario. Dopo una lunghissima esposizione sulle invenzioni e sulle scoperte, sulla loro continua evoluzione, sul fatto che niente nasce perfetto e che nel corso della storia tutto è stato migliorato, tutto si può migliorare, dichiarò: “[…] Questo vale anche per il moschetto. Nessuno lo ha inventato come lo vediamo ora ma migliaia di teste hanno speso la loro abilità per renderlo com’è adesso! L’intero sistema si affina senza sosta, si perfeziona continuamente e non è mai stato migliorato tanto come negli ultimi dieci anni. Chiunque sia appena infor- mato su come funzionano le cose in Arsenale a Springfield, sa che un moschet- to di cinque anni fa non passerebbe un’ispezione. […] Che un moschetto di quindici anni fa sembra una cosa da barbari.” Quando si dice, prenderla alla larga! […] E’ così anche per il Sig. Colt. Egli non ha inventato il revolver né ha avuto per primo l’idea del cilindro rotante per mezzo del movimento del cane, o del suo blocco al momento dello sparo. Non è stato nemmeno il primo ad

Come si può notare, l’abitudine di confezionare pistole incise in cassette di legno non era certo una prerogativa di Samuel Colt 120 avere l’idea del cilindro. Queste invenzioni, come vi mostrerò, hanno avuto un percorso tortuoso attraverso altre menti. Sono arrivate da uomini attenti e competenti più di quello che il Sig. Colt era.” E poi: “[…] Io non chiedo favori per il mio cliente, chiedo giustizia e non credo che il querelante sia titolare di qualcosa.” (Durante tutto il processo gli avvocati della Mass. Arms agirono di fatto come se l’estensione concessa a Colt non fosse valida e quindi il suo bre- vetto fosse già scaduto). “[…] Questi imputati stanno usando un regolare bre- vetto che è stato rilasciato all’amministratore dell’inventore (il brevetto n° 6669 era stato rilasciato il 28 agosto del 1849 a nome di Edwin G. Ripley, am- ministratore di Edwin Wesson, morto in gennaio ndr) e i loro guadagni dipen- dono e dipenderanno dalla validità di ciò.” Ora le accuse: “[…] Il Sig. Colt è arrivato qui dicendo di poter spendere 50.000 dollari contro di noi, e se lo batteremo in questa causa minaccia di ab- bassare il prezzo delle sue armi e buttarci fuori dal mercato.” L’avvocato Cur- tis lo interruppe: “[…] Abbiamo fatto queste minacce? Io non sentito niente del genere in questo processo.” E Chapman: “In realtà è così.” Dickerson tagliò corto: “Non c’è niente agli atti.” Infine di nuovo Chapman: “Egli (Colt ndr) ha certo il diritto di venire qui ma noi chiediamo solo giustizia. Nessuno di questi casi nasce per compassione, sappiamo tutti perché ci sono questi processi.

Un’altra vista del chiavistello che bloccava il gruppo canna-top strap. In queste armi le lavorazioni erano molto accurate 121

I TESTIMONI DI SAMUEL COLT Prima di chiamare i suoi testimoni, Dickerson volle ricordare una volta di più alla giuria come le armi del suo cliente fossero state usate con molto gradi- mento dai militari. Naturalmente, nel dipingere un ambiente entusiasta, si di- menticò di citare le pesanti critiche incontrate all’inizio dal Colonnello, in più di un’occasione.16 A proposito della guerra in Florida, egli disse: “[…] Voi vi ricordate quanto fu difficile e fastidiosa la guerra contro i Seminole. Vi ricor- date di come i selvaggi approfittassero per colpire nel momento in cui si cari- cavano le armi e si ritirassero poi in quelle tremende paludi. Ebbene quando i nostri soldati ebbero tra le mani le armi a ripetizione del mio cliente (in tutto 50 fucili dei quali probabilmente la metà mai arrivati in prima linea ndr) e pote- rono sparare tutti quei colpi senza doverle ricaricare, allora gli indiani si arre- sero o furono uccisi e la guerra finì immediatamente. Il mio cliente aveva co- struito delle armi così efficaci tanto da distruggere con le proprie mani il mer- cato per esse.” Certamente, all’epoca del processo le armi di Colt non erano più così costo- se e complicate come i modelli costruiti nella fabbrica di Paterson, derivanti direttamente dai suoi brevetti del 1836 e del 1839 (n° 1304 del 29 agosto 1839). Erano ormai revolver conosciuti ed apprezzati dai militari di cavalleria (allora

Nello studio delle armi a rotazione, andrebbero annoverati tra i contemporanei di Colt anche i fratelli Barton e Benjamin Darling. Alcuni americani sono dell’idea che la loro pepperbox (probabilmente una delle prime costruite negli Stati Uniti) abbia preceduto la rivoltella di Colt, nonostante quest’ultimo avesse cominciato a farsi costruire i primi rudi- mentali prototipi già dal 1831 e l’anno dopo avesse depositato all’Ufficio Brevetti alcuni disegni e un modello (ottenendo un caveat). Il congegno di scatto ad azione semplice - qui illustrato in un particolare ricavato dal brevetto del 13 aprile 1836 - è simile a quello di Colt ma fu brevettato qualche settimana dopo. La leva comandata dal cane faceva ruotare un fascio di sei canne 122 chiamati anche U. S. Dragoons). A partire da quelli costruitigli da Eli Whitney jr. nella sua fabbrica a Whitneyville, nei pressi di New Haven, nel Connecticut, (noti come U. S. Army Pistol Model of 1847 o Whitneyville Walker model) e in seguito da lui stesso nel primo stabilimento di Hartford (chiamati U. S. Army Pistol Model of 1848 o Dragoon model o ancora Whitneyville Hartford model), il Colonnello aveva fatto enormi progressi e le armi erano semplici e solide, oltre che parecchio potenti grazie ai sei colpi in calibro .44.17 Dal 1850 inoltre, erano già entrati in produzione i modelli Pocket in calibro .31 e Navy in cali- bro .36, due armi di enorme successo. Le dichiarazioni dei testimoni chiamati dall’accusa (ottimamente indirizzati da Dickerson) si focalizzarono su tre linee ben definite: l’ottima reputazione conquistata dalle armi di Colt (vennero chiamati un ufficiale di cavalleria e un ufficiale dello Ordnance Department); la primogenitura dell’idea di Colt (furono sentiti ingegneri, meccanici, armaioli, ex dipendenti dell’Ufficio Bre- vetti che avevano costruito, visto costruire, provato, visto i disegni dei primi prototipi di Colt); l’assoluta similarità del meccanismo progettato da Edwin Wesson (ingegneri, meccanici, dipendenti di Colt che a vario titolo avevano esaminato entrambe le armi). Per una migliore comprensione del quadro generale vogliamo proporre una sintesi di alcuni interventi che per motivi di spazio sarà necessariamente strin- gata. Nella traduzione dei dialoghi abbiamo creduto opportuno rendere moderni alcuni dei termini usati allora - soprattutto per evitare confusione - dato che la terminologia statunitense della metà dell’800 riguardante la meccanica applica- ta, era infinitamente meno specifica di adesso. Tanto per fare un esempio, il tamburo veniva spesso chiamato barrel. Ciò vale anche per le descrizioni dei brevetti.

William Thornton, all’epoca del processo Maggiore dell’Ordnance Depar- tment, parlò del suo lavoro nella Commissione che valutava le armi. “[…] Co- nosco le armi del Sig. Colt da molto tempo, da prima di cominciare il mio la- voro di ispettore per l’Esercito dieci anni fa, forse dal 1836, quand’ero all’arsenale di Watervliet, ma ho cominciato ad esaminarle nel 1841. […] Co- me membro della Board of Ordnance per le armi da fuoco, lo scorso novembre venni chiamato a Washington e, assieme ad altri Ufficiali, esaminai alcune armi. Tra queste quelle del Sig. Colt e della Mass. Arms. Non ricordo quante centinaia di colpi sparammo. La Commissione adottò per il servizio quella del Sig. Colt.” Parlando poi delle ispezioni disse tra le altre cose: “[…] Tutti i tipi di armi da fuoco per il Governo passano sotto il mio controllo. […] Non so dire in che percentuale i fucili esplodano durante le prove ma indubbiamente è molto alta. Per esempio, di recente, su 500 carabine ne sono state eliminate 53.” Riferendosi poi ai revolver di Colt: “ […] Gli esperimenti a Washington ci hanno mostrato che con una pistola di questo tipo si possono caricare e spara- re sei colpi a piena carica in un minuto. Come precisione e penetrazione essa va ben oltre ciò che è necessario in una pistola. Personalmente non vorrei es- 123 sere ad un centinaio di yards da essa. Un cavalleggero la può usare mentre nell’altra mano tiene le briglie. […] Quando le ispezionai per la prima volta ebbi da obbiettare sul loro terribile peso ma ora sono state accorciate nella canna e nel telaio e rese più leggere. […] So che i Dragoni ne sono già in pos- sesso. Credo anche le altre truppe montate. […] Personalmente considero que- sta pistola, quando è nella mani di uomini che sappiano usarla, l’arma più terribile che possa usare chi si difende come chi attacca. Essa è molto migliore di un’arma ordinaria perché ha sei cariche invece di una.” L’avvocato Chapman gli chiese: “E’ questo il vantaggio delle pistole a rotazio- ne?” Thornton rispose: “Certo, di tutte le armi di questo tipo.” Poi accennò alle ispezioni da lui fatte sulle armi di Colt nel 1841 e nel 1847. Domanda di Chapman: “Queste ultime erano costruite a New Haven?” Risposta: “Si signore, dal Sig. Whitney, c’era il Sig. Warner (Thomas, ndr) allo- ra che seguiva i lavori col controllo diretto del Sig. Colt. Quelle armi erano molto pesanti e ingombranti ma funzionavano come quelle attuali.” D: “Erano già state modificate?” R: “No, non credo. Il grosso delle modifiche avvenne dopo, nel 1848, nel 1849 e nel 1850. Prima erano molto pesanti.” D: “Criticabili?” R: “Indubbiamente.” Forse a Chapman non pareva vera un’ammissione del genere. D: “Queste pistole erano criticabili?” R: “Mi spiego meglio. Erano criticabili in relazione al loro peso, non per pro- blemi costruttivi; erano efficienti come lo sono quelle attuali.” D: “Quindi un’arma può essere efficiente e malgrado tutto criticabile?” R: “Si signore.” D: “Queste armi sono migliori di quelle costruite a Springfield?” R: “Non lo so, non ho ispezionato le armi di Springfield.” D; “Chi era l’agente della Massachusetts Arms al tempo delle prove?” R: “Non lo ricordo. Forse fu il Sig. Ames che presentò le armi alla Commissio- ne. Se era lui fece una relazione per presentarle.” Il Capitano Charles A. May del 2° Rgt. Dragoni degli Stati Uniti, affermò che il suo squadrone ne era armato durante la Guerra col Messico (si trattava naturalmente del modello Whitneyville Walker in calibro .44 del primo contrat- to). Dichiarò l’ufficiale: “[…] Non ho esitazione nel dire che dieci uomini con le pistole di Colt alla cintura, a patto che ne conoscano l’uso, possono andare dappertutto e tenere a bada qualsiasi forza. Io stesso non esiterei, assieme a dieci uomini armati con queste pistole, ad andare ovunque attraverso le pianu- re.” E ancora: “[…] Esse possono essere usate mentre si è a cavallo a tutta velocità con grande precisione.” Ira Leonard, un operaio specializzato che aveva lavorato anche alla Patent Arms Mfg. Co., descrisse i meccanismi della due armi considerandoli sostan- zialmente simili: “[…] Ho esaminato le due armi e il brevetto di Colt del 1848. Mi pare che in entrambe sia usato lo stesso movimento per azionare il tambu- 124 ro, la differenza sta solo nei due ingranaggi conici della Mass. Arms che tra- smettono solamente il moto. Nella pistola di Colt il movimento del cilindro è dato da una ruota dentata agganciata da una leva comandata dall’arretramento del cane. Nell’arma della difesa il movimento del cane muo- ve un dispositivo che si aggancia ad un ingranaggio conico, questo fa girare un altro ingranaggio conico sistemato ad angolo retto che con una leva aggancia l’ingranaggio che fa ruotare il cilindro. […] Mi sembra che l’arma della Mass. Arms arrivi allo stesso effetto con un’operazione più rozza. Inoltre mi sembra che il meccanismo di Colt sia molto meno soggetto a essere riparato. […] En- trambe le armi hanno i luminelli protetti da un divisorio. L’unica differenza è nella loro inclinazione.” L’avvocato di Colt incalzò il suo testimone che non sembrava essere molto svelto con le parole: “[…] Se il Sig. Colt ha brevettato questa combinazione

Questo particolare, tratto dal brevetto di David G. Colburn del 29 giugno 1833, dimostra la tenacia con la quale gli americani si applicavano sulle armi a ripetizione. Anche prima di Colt. Nel documento, intitolato “IMPROVEMENT IN GUNS”, l’inventore dichiarava tra le altre cose: “[…] Il miglioramento è fatto per sparare da tre a dodici colpi alla volta, caricati per mezzo di un cilindro o magazzino che ruota su un asse”. Alla fine delle specifiche, come di rito, riassumeva in poche righe le linee essenziali del principio per il quale chiedeva la patente: “[...] What I claim as my own invention is - All of the locks, and cocking and turning the magazine and priming at the same time by pulling the trig- ger.” Tradotto in termini comprensibili significa che Colburn voleva brevettare - oltre a tutti i meccanismi decritti - la combinazione dell’armamento, della rotazione del cilindro e dell’innescamento con la trazione del grilletto. Non siamo molto lontani dal sistema che Colt brevettò tre anni dopo 125 della culatta rotante col meccanismo in maniera tale che con l’arretramento del cane essa ruoti e si blocchi e si allinei alla canna per lo sparo, è o non è l’arma degli accusati sostanzialmente la stessa cosa?” Risposta: “[…] E’ prodotto lo stesso effetto ma con un maggiore numero di pezzi. In entrambe il movimento è dato da un ingranaggio e da un dente di ag- gancio.” Chapman, che lo contro interrogò, volle sapere quanto fosse abile nel suo lavoro e quanto ne capisse di meccanica: “[…] Sono operaio specializzato da circa vent’anni. Lavoro il ferro e l’ottone, principalmente, e ho lavorato su ogni tipo di macchinario; anche per il cotone, per la lana ecc. Per fabbriche, un po’ dappertutto. Sono stato sei mesi alla Patent Arms Mfg. dove costruivo soprattutto leve e attrezzature per la costruzione di vari pezzi. […] Ho lavorato anche per Allen & Falls a Springfield nel 1836 sulle armi a rotazione di Co- chran. Mi pare che ruotassero con l’operazione di armamento. Ma non ne sono sicuro, sono stato lì solo due o tre mesi.” Poi lo bersagliò con una serie di quesiti specifici: “Supponiamo che uno faccia ruotare il suo tamburo applicandogli una leva e un altro una ruota e un asse. Sarebbe la stessa cosa?” Risposta: “Se fossero usate assieme credo di si.” D: “Ma supponiamo che uno usi una leva solo e un altro una ruota e un asse, senza una leva?” R: “Credo sarebbe lo stesso.” D: “Ma allora tutti i principi di rotazione sono la stessa cosa?” R: “Mi pare che il Sig. Colt abbia dichiarato nel suo brevetto, a proposito di questo congegno, … ″o suoi equivalenti″ - ″la leva che lavora sulla ruota den- tata o suoi equivalenti″.” D: “Ma questo non risponde alla domanda. Dobbiamo assumere che il princi- pio stesso copra tutti i modi per arrivarci? Che qualsiasi meccanismo che ruoti e blocchi un cilindro sia uguale all’altro?” R: “Sarebbe la stessa cosa se il cilindro fosse mosso da una leva e una ruota dentata, o suoi equivalenti.” D: “Supponiamo che invece di armare il cane con la mano vi sia una leva ap- plicata ad esso, un qualsiasi altro meccanismo che generi il movimento, questo altererebbe il principio?” Risposta: “Credo di no.” D: “Per esempio; voi conoscete le carabine di Colt? Sapete come ruotano?” R: “Le ho viste un po’ di tempo fa. Mi pare che ruotino tramite una leva.” D: “Allora, considerando che anche col movimento di questa leva si può ruota- re il cilindro, ciò entrerebbe nel principio?” R: “Io credo di si.” Dopo un insistente batti e ribatti sulle diversità e sulle similarità dei meccani- smi, il teste dichiarò: “[…] Se il cilindro fosse mosso a mano, ciò non entrereb- be nel principio generale perché nessun meccanismo creerebbe il moto. Se il cilindro fosse mosso da un qualsiasi meccanismo, una leva, una serie di leve, 126 un ingranaggio, allora questo entrerebbe nel principio generale come è de- scritto nel brevetto di Colt.”

L’ingegnere James J. Mapes, che sembrava sapere il fatto suo, dopo aver spiegato in maniera dettagliatissima perché riteneva simili i meccanismi dei due sistemi disse; “[…] Non tutti i sistemi meccanici, i meccanismi, richiedono un’invenzione quando sono applicati. Per la maggior parte dei casi basta un adattamento a sistemi già ben conosciuti. […] Il Sig. Colt, significativamente, usa nel suo brevetto la parola ″equivalente″, ″ tale congegno o suoi equivalenti″. Ebbene, nell’arma della Mass. Arms vi sono ″i suoi equivalenti″.” Chapman, dopo qualche innocua domanda, preferì non insistere.

L’ingegnere William A. Bryant, con le sue dichiarazioni, riuscì a mettere in difficoltà Chapman. L’avvocato lo investì con una serie incredibile di domande formulate su questo tono: “[…] Se il meccanismo per la rotazione fosse diver- so, farebbe qualche differenza?” Bryant rispondeva così: “[…] Non capisco quale meccanismo. Dovreste dirmi quale meccanismo intendete.” Allora Cha-

Questi tre pezzi di legno, conservati ora allo Wadsworth Athenaeum di Hartford, furono intagliati da Colt nel 1831 e, assieme ad alcuni disegni, furono la base di partenza per i primi prototipi costruiti dall'armaiolo Anson Chase (Grant) 127 pman insisteva: “[…] Se il movimento del tamburo fosse dato per esempio dall’arretramento del grilletto invece che da quello del cane, farebbe qualche differenza?” Oppure: “[…] Se il blocco del tamburo agisse sulla periferia inve- ce che sul retro, farebbe qualche differenza?” E ancora: “[…] Farebbe qualche differenza se il cilindro fosse mosso a mano?” Bryant si difese molto bene non rispondendo quando le obiezioni erano troppo generiche. Alla fine disse che la coppia conica di Wesson (il cui principio fu al centro della discussione per buo- na parte del processo) non era un’invenzione ma solo una modifica di ciò che Colt aveva inventato. Secondo lui infatti le armi erano del tutto simili e funzio- navano secondo lo stesso principio tranne per il fatto che Wesson aveva com- plicato le cose aumentando il numero dei pezzi necessari per trasferire il movi- mento del cane al tamburo e al suo blocco. Egli disse: “[…] La coppia conica, spesso usata per invertire il moto di un meccanismo, non dà il movimento, non lo crea, ma lo trasmette solamente e quindi non modifica il principio. Il princi- pio è “lo sblocco, la rotazione e il blocco del tamburo per mezzo dell’arretramento del cane”. Il modo differente col quale l’arma della parte avversa ci arriva non muta il principio perché fa parte di esso. Io non voglio dire che il meccanismo di Wesson sia inutile, anzi. Forse piazzare la chiusura in un altro posto può essere stato un vantaggio ma ciò non cambia il principio dell’arma di Colt nella quale il meccanismo è più diretto, più semplice. L’arma della Massachusetts è simile all’arma del Sig. Colt, solo più complicata.”

La testimonianza dell’ingegnere William P. Elliot si incentrò sugli anni 1832-33 quando lavorava all’Ufficio Brevetti, il periodo nel quale Colt aveva fatto il primo tentativo di brevettare la sua arma a ripetizione. “[…] Sono inge- gnere civile, architetto e Solicitor for patents. Nel 1832 e 1833 lavoravo all’Ufficio Brevetti degli Stati Uniti, quando lo guidava il Dr. John Craig. Il mio compito era allora di ricopiare brevetti, disegni, etc. Preparavo anche specifiche e disegni per gli inventori. […] Il Sig. Colt, allora un giovanotto, venne da me, non ricordo esattamente quando. Sicuramente prima del 1834, nel 1832 o forse nel 1833. Venne nella mia stanza indirizzato da qualcuno con un modello e con dei disegni che riguardavano alcune modifiche su un’arma da fuoco. Mi chiese di esaminarli per vedere se l’invenzione era nuova. Io co- noscevo bene tutte le armi depositate lì in ufficio. […] Quando vidi il modello gli dissi che non era nuovo, credo. Pensavo fosse solamente un’arma a culatta rotante. Avevo già visto questo tipo di armi e ne avevo una o due depositate in ufficio. Ero dell’idea che non ci fosse niente di nuovo in quel modello, finché egli non mi spiegò esattamente di cosa si trattava. Aprì il rotolo di fogli e io capii subito …” Chapman lo interruppe: “Come si può testimoniare in questo modo se poi non si possono esibire i documenti?” Dickerson replicò: “Avevo solo chiesto al testimone di descrivere ciò che il Sig. Colt gli aveva mostrato.” Elliot continuò: “[…] Il Sig. Colt mi disse che non si trattava solo di una culatta rotante ma dell’invenzione del suo movimento attraverso l’armamento 128 del cane, e mi descrisse questa meravigliosa invenzione. […] Allora mi accorsi della differenza tra la sua invenzione e quelle che conoscevo. […] Mi chiese di preparargli i documenti per il brevetto. […] Gli suggerii di brevettarla prima in Inghilterra perché le invenzioni, una volta brevettate da noi, non sarebbe stato più possibile brevettarle lì e lo consigliai di fare nel frattempo un ‘caveat’ e di tenerlo segreto fino a che non avesse ottenuto il brevetto inglese. Gli scris- si due righe e allegai un disegno anche se la legge di allora non prevedeva ancora la registrazione dei caveat. Era un’abitudine che esisteva dai tempi in cui Thornton dirigeva l’Ufficio. Thornton pensava che ci dovesse essere una legge su questa cosa. […] Tutti quei documenti andarono distrutti nell’incendio. Tutto quello che poteva bruciare, bruciò. Mi pare che dopo l’incendio trovammo tra la cenere il tamburo di una delle pistole di Colt. […] La caratteristica più importante che scrissi sul caveat era la rotazione della

Samuel Colt fotografato da Mathew Brady nel 1861. Molti ritengono che il forte stress psicofisico cui fu sottoposto nell’ultimo periodo sia stato la causa dell’emorragia cere- brale che lo portò alla morte (Grant) 129 culatta con l’armamento del cane. Non credo di essere entrato nei particolari, di aver fatto una descrizione particolare. Nei disegni che mi portò Colt questa operazione poteva essere fatta in vari modi. […] Era generalmente il modo col quale scrivevo i caveat - non limitare gli inventori. Era un idea di Thornton, praticamente il padre dell’Ufficio Brevetti […] I ricordi non sono chiari ma questo era quello che appariva nei disegni.” Chapman gli chiese: “[…] Siete sicuro che il disegno che avete in mano ora sia uno di quelli che Colt vi portò allora?” R: ”[…] Sembrerebbe identico, i colori sembrano quelli di allora. Posso dire che è sostanzialmente identico anche se non potrei affermare che è lo stesso.” D: “ […] C’era una ruota dentata attaccata al cilindro o era separata?” R: “ […] C’era un congegno che si poteva staccare sul quale agiva un braccet- to per far ruotare il cilindro. C’erano una varietà di modi per fare ciò. Non saprei dire se c’erano dei perni o dei denti sul retro del cilindro. La ruota den- tata era nel disegno, ma Colt mi portò una mezza dozzina di fogli. […] Forse Colt mi diede qualcosa per avergli registrato il caveat. Presumo che mi abbia pagato qualcosa, ma non molto. Adesso c’è una legge su questo.”

Le testimonianze di H. Belden, A. Goodwin e H. D. Meech si incentrarono sulle date di fabbricazione dei prototipi usciti dalla bottega di Anson Chase, un armaiolo di Hartford al quale Colt si era rivolto per primo con l’intenzione di farsi costruire l’arma che aveva in mente allora, sulla base di un modellino in legno e alcuni disegni. Belden era assolutamente digiuno di armi. Lui stesso ammise; “[…] Capi- sco di meccanismi quanto ne capisce la gente che normalmente usa armi da fuoco. Io le uso da quando avevo 12 anni. Le uso frequentemente tanto quanto la gente in genere. Non pretendo di essere un meccanico.” Non sapendo di ar- mi, di meccanica né avendo visto il prototipo o i prototipi, ma come lui disse: “[…] Vidi il lavoro che stava facendo (Chase ndr); vidi ‘a round cylinder’; vidi il Sig. Colt lì.” si concentrò unicamente sulle date. Secondo Dickerson era mol- to importante che i Giurati sapessero quando Colt aveva concepito il suo revol- ver. Belden espose quindi una sfilza impressionante di personaggi, luoghi, cose, situazioni, ricordi, spiegando perché riusciva a collocarli in quel preciso perio- do. Il tutto per confermare che aveva visto Colt nella bottega di Chase in quegli anni.

A. Goodwin placcava oggetti (anche per Colt) mentre intorno al 1830-32 riparava orologi. “[…] Non conoscevo il Sig. Colt all’epoca ma conoscevo bene Anson Chase. Avevo la mia bottega in Main Street ad Hartford, giusto davanti a quella del Sig. Chase. Egli l’aveva affittata dal padre del Sig. Belden che ha testimoniato qui. Andavo spesso nella sua bottega nel 1830-31 e lui veniva nel- la mia. Mi pare che sia andato via da lì alla fine del 1832. Fu nel 1831 che vidi Chase e Rowe (un meccanico che aiutava Chase ndr) lavorare su un’arma a rotazione. Era una pistola a rotazione, aveva un’unica canna e alcune camere 130

William Thornton, ufficiale dello U.S. Army Ordnance Department, fu chiamato a depor- re da Dickerson perché conosceva molto bene i revolver di Colt (Serven) 131 che contenevano le cariche. C’erano due o tre sistemi per farla ruotare. Non molti sapevano di quell’arma. Avevo l’impressione che volessero tenerla segre- ta.”

H. D. Meech gestiva da molti anni il museo di Albany (150 km da Hartford) e si ricordava di Colt nel 1833. “[…] Egli allora faceva delle dimostrazioni pubbliche col gas esilarante e aveva con lui una pistola a rotazione. Era il 1833. Me lo ricordo perché tengo un diario di tutte le manifestazioni del muse- o. Mi ricordo di quell’anno perché nello stesso periodo c’era un certo Sig. Ellis che mostrava la sua arma in pubblico e io confrontai le due armi. Per questo motivo mi ricordo bene di quella del Sig. Colt. Allora si faceva chiamare Dot- tor Colt. […] Forse ho visto Colt usare la sua arma ma non ne sono sicuro. Non potrei dire dove l’ho visto sparare. So solo che l’ho esaminata per un con- fronto con quella di Ellis.” Dickerson gli chiese: “[…] Avete detto qualcosa circa una domanda che Colt vi disse avrebbe fatto per un brevetto?” R: “[…] Forse Colt mi disse qualcosa del genere ma non posso essere molto preciso su questa cosa.” Chapman intervenne riferendosi ad una domanda pre- cedente: “[…] Quello che avevo chiesto al teste era se gli risultava che il Sig. Ellis avesse fatto una domanda per un brevetto e mi era stato risposto che forse anche il Sig. Colt l’aveva fatta.” Il Presidente li interruppe: “[…] Non potete provare dei fatti in questo modo. Dovete portare dei documenti.” Dickerson: “[…] Purtroppo l’Ufficio Brevetti ha preso fuoco, ma proveremo questa cosa con un altro testimone.”

Anche Anson Chase testimoniò per Colt (benché nel 1833-34 avesse dovuto faticare per farsi pagare i lavori che gli aveva fatto). Nelle sue dichiarazioni vi è probabilmente la migliore e più interessante descrizione dei primi revolver di Colt che sia arrivata fino a noi: “[...] Ho conosciuto il Sig. Colt nel 1831 poco dopo essere arrivato ad Hartford, in primavera o all’inizio dell’estate. […] Venne da me per un lavoro. Aveva una specie di modellino e stava tentando di mettere a punto un’arma a ripetizione. […] Venne molte volte e voleva da me alcuni pezzi per perfezionarne il movimento.” E’ quasi certo che l’idea di bloc- care e sbloccare il tamburo col movimento del cane, gli venne in corso d’opera, mentre Chase stava lavorando sui primi prototipi. E’ più che probabile inoltre che Chase gli avesse dato dei suggerimenti, vista la scarsa conoscenza meccani- ca del giovanotto (Colt era nato nel 1814). Dalla sua testimonianza, e dalle po- che lettere rimaste, si deduce che l’armaiolo non aveva mai avuto a che fare con armi a rotazione, o a ripetizione in genere, prima di allora (comunque rarissime negli anni 1830-32). “ […] Lavorai per lui fino alla fine di quell’anno, credo. E anche nel 1832. Veniva molto spesso da me, anche due o tre volte in un giorno. […] Nel 1832 il primo prototipo era a posto. Io non ero presente quando sparò per la prima volta, lo vidi solo caricare. Mi pare che il primo o secondo proto- tipo, non ricordo quale, scoppiò e ci mettemmo a lavorare su un altro prototi- po.” Dickerson gli diede un disegno e la carcassa di un revolver: “[…] Questo 132 l’ho fatto io. L’ho tenuto in uno scatolone fino al maggio scorso quando venne da me il Sig. Tuller (incaricato da Dickerson oltre che Ispettore nella fabbrica di Colt nel 1851 ndr) e mi chiese del mio lavoro di allora per Colt e cosa mi ricor- dassi. Doveva essere un fucile ma non è stato ultimato. […] Trovammo che il movimento con la ruota dentata era preferibile alla coppia conica.” Riferendo- si poi al disegno: “[…] Questo è stato in mio possesso fino al 24 maggio scor- so. Lo tenevo arrotolato assieme all’arma. L’ha fatto il Sig. Colt e credo sia molto simile all’arma. […] Io lavorai su quel disegno e alla fine furono pronti una pistola e un fucile. Preferimmo la ruota dentata alla coppia conica. […] Il Sig. Colt prese quelle armi e credo sia andato a Washington.” Dickerson gli chiese; “Sapete che cosa andò a fare?” Chapman si oppose alla domanda che venne ritirata. “[…] Questi pezzi li avete fatti voi?” gli chiese Dickerson mostrandogli alcune molle, leve, viti ecc. R: “[…] Si, erano per quelle armi. Li conservavo assieme all’arma e al disegno in una scatola. Quattro o cinque anni fa spostai quella roba in un’altra scatola ed ebbi modo di vederla dopo anni. […] Poi ho dato tutto al Sig. Tuller nel maggio scorso. Nella mia bottega non c’erano macchine. Si faceva tutto a ma- no.”

Vista destra del revolver a pietra del bostoniano Elisha H. Collier - poi costruito anche a percussione - brevettato in Inghilterra il 24 novembre 1818. Gli avvocati della Mass. Arms chiamarono l’inventore come testimone per dimostrare alla giuria che l’arma di Colt non era una novità neanche nel 1836, anche se la sua deposizione finì per favorire più l’accusa che la difesa. Contro interrogato da Dickerson, Collier ammise infatti che il suo meccanismo di rotazione e blocco del cilindro tramite il movimento del cane, pur se previsto nel brevetto, dovette essere abbandonato quasi subito per la sua estrema de- bolezza in favore della rotazione manuale. L’arma della foto d’altra parte, non era mai stata brevettata negli Stati Uniti, nonostante il progetto di base di Collier ricalcasse gran- demente il brevetto americano del 10 giugno 1818 di Artemus Wheeler - vero ideatore del sistema (Casa d’aste James D. Julia) 133

Chapman: “[…] Come mai avete conservato queste cose e il disegno con così tanta cura per così tanto tempo?” R: “[…] Erano state fatte nella mia bottega. Pensavo fossero le prime armi a ripetizione mai costruite, questo è il motivo. Forse non avevano un gran valore ma credevo di essere stato il primo a costruire una cosa simile e volevo tenerla. Non avevo altro motivo. […] Non ricordo quanto mi pagò Il Sig. Colt per quel lavoro. Il Sig. Rowe lavorava per un dollaro e un quarto al giorno, credo. Io mettevo in conto due dollari al giorno.”

William H. Rowe aveva abitato per qualche anno ad Hartford e conobbe Colt nel 1831. Lavorò per Chase un paio d’anni e fu il meccanico che material- mente costruì la maggior parte dei meccanismi - se non tutti - montati sui primi prototipi. “[…] Ho visto quel grande disegno (che Dickerson aveva portato in aula ndr) nella bottega di Chase. Non ne ho visti altri così. Il Sig. Colt aveva altri disegni ma erano più piccoli. Raffiguravano i particolari di una pistola. La prima arma ad essere costruita fu una pistola. Io lavorai sul disegno più grande. Avevamo disegni che mostravano i particolari e come andavano con- nessi tra loro per funzionare.” Chapman gli mostrò un cilindro di revolver che Colt produceva allora, forse un modello Dragoon: “[…] La ruota dentata era sul retro del tamburo come questa?” Rowe: “[…] Era la stessa cosa ma sul lato mi pare.” D: “[…] Il braccetto che provocava la rotazione era come questo?” R: “[…] Funzionava nello stesso modo.” D: “[…] Voi dite che l’arma ruotava per mezzo di una leva attaccata qui?” R: “[…] Era attaccata al cane. Non so quanto lunga fosse, non so se andava anche dietro al cane. L’ho costruita molti anni fa. Penso fossa attaccata nella parte posteriore del cane. Era attaccata nella parte inferiore, sicuramente. Era costruita per far ruotare il cilindro. Era costruita più o meno come questa leva (del modello Dragoon ndr). Era formata esattamente per lo scopo cui era stata pensata, per far ruotare il cilindro. […] Potrebbe non essere stata proprio co- me questa ma faceva il suo lavoro.” D: “[…] In che modo era differente da quella di quest’arma?” R: “[…] Ma non ha molta importanza, faceva il suo lavoro.”

Nel contratto di Colt con l’Esercito del gennaio 1847, oltre ai 1000 revolver Walker, era- no compresi una serie di accessori, tra i quali i blocchetti fondipalle. Nella foto ne vedia- mo uno a sei cavità - dei 20 forniti in questo formato. Alla fusione ne risultava una palla di circa 220 grains senza solchi di ingrassaggio che i soldati spesso caricavano a rove- scio (Serven) 134

D: “[…] Deciderò io se è importante quando mi parlerete dei fatti.” R: “[…] Aveva più o meno questa forma. L’estremità era tagliente per aggan- ciarsi ai denti dell’ingranaggio. […] Quel gran disegno è quello che avevamo in bottega all’epoca, me lo ricordo bene perché vi lavorai molto e qualche vol- ta ci perdevo la pazienza.”

I TESTIMONI DELLA MASSACHUSETTS ARMS CO. Chauncey Snell, meccanico e armaiolo, parlò in maniera abbastanza confusa di un modello in legno di arma a rotazione che il padre Elijah - morto verso la fine del 1834 - costruì nella sua bottega ad Auburn (Massachusetts) per David Colburn nel 1833. All’epoca aveva anche sentito dire che quest’ultimo aveva un brevetto. Egli stesso disse di aver contribuito, nell’autunno del 1833, alla costruzione di un esemplare di quest’arma - in metallo - nella quale il tamburo ruotava con la pressione di un grilletto, e lo sparo avveniva per mezzo di un secondo grilletto. Però non la vide mai sparare. Quell’arma era del tutto simile a quella che gli stavano mostrando in aula.

Argulus Taylor, armaiolo, aveva lavorato negli anni 1833-34 nella bottega di Elijah Snell. Fu il periodo nel quale Colburn andò a Washington per il bre- vetto. Egli sapeva del brevetto, del viaggio a Washington e lavorò sull’arma.

Isaac A. Bennet, operaio, fu il terzo teste a parlare del revolver di Colburn. Egli affermò: “[…] Sono a conoscenza di un modello in legno dell’arma di Colburn, lo vidi quando ero nella bottega del Sig. Downer perché me lo mostrò il figlio del Sig. Snell. Sono sicuro di aver costruito un tamburo per quell’arma - forse più di uno - il perno, forai le camere. Non nel 1833, quando vidi il mo- dello in legno, ma nel 1834 o 1835” Chapman aveva in aula un modello dell’arma di Colburn in metallo che faceva vedere ai meccanici, nel tentativo naturalmente di dimostrare alla giuria che vi erano armi a rotazione simili a quella di Colt già prima del 1836, ma sia Snell che Taylor e Bennet non sem- bravano del tutto sicuri che fosse esattamente la stessa arma che affermavano di aver visto più di quindici anni prima nella bottega di Snell padre. Dickerson ne approfittò per contro interrogarli. A Bennet chiese: “[…] Voi avete detto che si tratta della stessa arma di allora. Cos’è che vi rende così sicuro?” Risposta: “C’era un pezzo rotto, staccato, e ora lo vedo saldato.” D: “Allora riconoscete l’arma per via di questa saldatura?” R: “Si, l’arma era rotta e il cilindro è quello che ho fatto io.” D: “Siete assolutamente sicuro che il cilindro sia quello che avete costruito voi? Dopo 16 anni?” R: “ Credo di essere sicuro di questo.” D: “C’è qualche marchio, qualcosa di particolare che distingue questo cilindro da quelli costruiti in quel periodo?” R. “Non c’è niente di particolare ma non mi ricordo di averne costruiti altri di questo tipo. Solo questo. Lavoravo a giornata da Downer che fece questo lavo- 135 ro per il Sig. Snell. Il cilindro era per un’arma da caccia. Gli altri avevano una foratura diversa, da 3/8 di pollice.” Il brevetto di Colburn del 1833 prevedeva tra l’altro anche il montaggio di due canne lisce.

Il meccanico John Vanderheyden aveva lavorato nella bottega di Snell fin dal 1818-20 disse: “[…] Conoscevo il Sig. Snell perché imparai il mestiere da lui e conoscevo anche il Sig. Colburn, sapevo che a un certo punto stavano trafficando su un’arma. La vidi costruire e aveva lo stesso cilindro di questa che vedo qui in aula. La esaminai spesso all’epoca - anche se non ci lavorai – perché ero interessato alle armi da fuoco, era il mio passatempo. […] Mi pare di averne viste due, una a due canne da caccia, alla quale non feci molta atten- zione, e una carabina a una canna.” Questi primi testimoni, pur ricordando in maniera approssimativa le caratte- ristiche e il funzionamento dell’arma di allora, vollero confermare che era del tutto simile a quella che gli avvocati della Mass. Arms avevano portato in aula. Soprattutto ribadirono che vi era il blocco del tamburo sotto sparo comandato da uno dei due grilletti. Pian piano però, a forza di contro interrogarli, Dicker- son mise in evidenza ciò che non quadrava. Nessuno sembrava aver più visto, o avuto a che fare, con quell’oggetto dal 1835, se non ché nelle ultime settimane - come d’incanto - era riapparso nelle mani di Thomas W. Carter (azionista ed agente della Massachusetts Arms Co.) il quale aveva fatto tornare loro a mente l’arma, il funzionamento, le caratteristiche. Un altro signore, di nome Babbitt, era stato incaricato di trovare armi a rotazione costruite prima di quella di Colt e di contattare gli inventori o chiunque avesse avuto a che fare con le invenzio- ni. Dickerson naturalmente li bersagliò di domande per far capire alla Giuria che l’arma di allora non funzionava esattamente come quella che Chapman aveva portato in aula. Non solo; voleva che i Giurati potessero avere più di un dubbio sulla buona fede dei testi e sul fatto che si ricordassero com’era l’arma primitiva solo perché qualcuno aveva loro rinfrescato la memoria qualche setti- mana prima del processo. A Vanderheyden chiese: “[…] Allora voi dite che l’arma aveva questo tipo di chiusura perché l’avete vista adesso? O perché ve la ricordate com’era allora?” Risposta: “[…] Entrambe le cose. Quello che so è che c’era questo strumento attaccato al grilletto che agiva sul cilindro e lo fermava. In quale preciso modo fosse attaccato non saprei dirlo esattamente, ma dopo aver visto quest’arma, adesso, so che era la stessa cosa perché l’avevo vista molte volte allora.”

Anche Morgan L. Olmsted, meccanico e costruttore, parlò dell’esistenza dell’arma; “[…] Vidi per la prima volta l’arma di Colburn nell’autunno del 1834. Era stata rotta nella parte superiore e poi aggiustata. La comprai dopo la morte di Snell dal suo amministratore, forse nel gennaio 1835.” Pressato dalle domande di Dickerson, Olmsted ammise che il pezzo che bloccava il tam- buro non c’era quando comprò l’arma 16 anni prima, mentre in quella presente in aula si. T. W. Carter era andato da lui qualche mese prima chiedendogli di 136 sistemare il meccanismo: “[…] I am a gun maker.” Sembrò scusarsi Olmsted. “[…] Carter non era presente quando ordinai il lavoro. Nessuno mi disse come farlo. Feci costruire il pezzo e la sua molla a memoria.” Dickerson: “Voi dite che questa è l’arma che compraste subito dopo la morte di Snell, nel 1835. Ma è esattamente nelle stesse condizioni di allora?” Risposta: “No Signore, è stato aggiunto il meccanismo di chiusura e la sua molla.” D: “L’avevate perso voi il pezzo?” R: “No, non saprei chi lo perse. Io non ho mai sparato con l’arma. L’ho fatto costruire esattamente come me lo ricordavo.” D: “Avete mai visto qualche altra pistola a rotazione a parte quelle della Mass. Arms e del Sig. Colt?” R: “Ne ho visti vari tipi. Quella di Allen, quella di Colt, quella della Mass. Arms. Non ricordo di altre.” D: “Ma ne avete viste altre, a parte queste che avete detto?” R: “Posso averne viste altre ma adesso non ricordo. Ho una memoria discreta- mente buona.” D: “Vi ricordate di quello che è successo un mese fa?” R: “Credo di si.” D: “Conoscete un uomo che si chiama Scrivener?” R: “Si, è un armaiolo.” D: “Non è lui che nei tre mesi scorsi mise il pezzo per voi sull’arma che ora avete in mano?” R: “Lo fece su mia indicazione.” D: “Non è a lui che chiedeste di arrugginire il pezzo in modo che sembrasse più vecchio?” R: “Gli chiesi di costruire il pezzo.” D: “Non gli diceste che il Sig. Colt aveva denunciato qualcuno per la violazio-

Quest’arma a rotazione, costruita in Inghilterra verso la fine del XVII secolo, è una di quelle che Samuel Colt potrebbe aver visto a Londra già nel 1831. Il revolver supera le 6 libbre di peso, ha la canna e il tamburo in ottone e un meccanismo che fa ruotare il cilindro con l’armamento del cane (J. G. Rosa) 137 ne del suo brevetto e che voi - e i vostri soci - dovevate mostrare che quest’arma era stata costruita molto prima di quella di Colt?” R: “Forse posso avergli detto qualcosa di un processo imminente.” Dickerson gli rifece la domanda e Olmsted disse: “No Signore, non gli dissi queste cose.” Il Presidente della Corte chiese al teste: “Che cosa doveva fare questo Signore per far sembrare l’arma più vecchia di quella brevettata da Colt?” R; “Non doveva fare niente.” Dickerson: “Non gli diceste che quell’oggetto sarebbe entrato in un’aula di tribunale e avrebbe dovuto sembrare vecchio per dare l’impressione alla Giu- ria che fosse stato fatto prima del revolver di Colt? Non gli diceste che il lavo- ro andava fatto a regola d’arte perché quella cosa sarebbe andata tra le mani di una vecchia volpe?” R; “No Signore, non gli dissi nessuna di queste parole.” Dickerson sapeva per- fettamente quanto fossero efficaci queste punzecchiature. Non era importante che il testimone negasse ma che tra i Giurati si insinuasse il dubbio. Le doman- de dell’avvocato di Colt d’altronde, dimostravano come egli conoscesse molto bene le macchinazioni messe in atto da alcuni personaggi nei mesi precedenti il processo attorno ai prototipi che gli avvocati della parte avversa avevano rispol- verato dopo anni di oblio. Non basta; sembrava perfino sapere cosa si dicevano i testimoni tra di loro (in privato?) visto che ad un certo punto, contro interro- gando Avery Babbitt sulle operazioni intorno a questi prototipi e sulle sue ri- chieste di modifica fatte ad un meccanico, chiese: “[…] Al Pavillion Hotel, ieri o l’altro ieri, non avete esplicitamente dichiarato una cosa di questo genere alla persona con la quale stavate conversando?” Al testimone non restava che negare!

Neanche la testimonianza di David G. Colburn, titolare del brevetto datato 29 giugno 1833 per un fucile a rotazione sul cui meccanismo si discusse in au- la, fu molto convincente. Anch’egli, pur descrivendo l’arma e il relativo funzio- namento, sembrava essere a corto di memoria visto che la sua deposizione si fondò su una serie incredibile di: mi sembra che … credo che … non ricordo perfettamente … L’unica cosa di cui sembrava essere assolutamente certo era che l’arma aveva due grilletti, entrambi necessari per il funzionamento. Col- burn non era un meccanico né un armiere e alla fine della sua testimonianza dovette ammettere: “ […] Personalmente non ho mai costruito un’arma da fuoco.” I Giurati ascoltavano!

Adam Humbarger, non presente, fu rappresentato dall’avvocato John M. Taylor che portò una deposizione giurata del suo cliente e due revolver da lui costruiti nel 1833. Chapman, nella prolusione iniziale, durante il lungo elencare di scopritori sfortunati arrivati prima di Colt, aveva parlato a lungo di questo povero ma geniale inventore - originario della Pennsylvania - per il quale Wa- shington era troppo lontana dall’Ohio, dove abitava allora. Inoltre non aveva i 30 $ necessari per il brevetto né poteva pagarsi qualcuno per le pratiche. “[…] 138

Infondo gli Yankee non sono gli unici inventori del mondo - disse l’avvocato riferendosi ai ricchi abitanti degli stati del New England - ma egli non aveva mezzi, non poteva contare sull’aiuto del Governo come il Sig. Colt e, data la complessità del progetto, non gli riuscì di trovare degli investitori disposti a rischiare il loro denaro.”

James Warner, sovrintendente della Springfield Arms Co., quando testimo- niò possedeva già un brevetto intitolato “IMPROVED MEANS FOR REVOL- VING THE BREECHES OF REPEATING FIRE ARMS”, un altro lo ottenne nei giorni del processo - 15 luglio 1851 - e altri due nel giugno 1856 e luglio 1857. E’ possibile che avesse lavorato per un breve periodo anche alla Mass. Arms Co. I revolver nati dai primi suoi due brevetti misero in allarme Colt che diffidò la Springfield Arms dal proseguirne la vendita. All’inizio del 1847, Warner ebbe un ruolo marginale nella costruzione in sub appalto per Eli Whitney jr dei tamburi che vennero poi montati sulle Colt Walker Whitneyville, ciò nondimeno di fronte a Dickerson affermò di non sapere come funzionassero quelle armi. Nel 1848 aveva rifiutato un’offerta di lavoro di Colt. Al processo portò in aula un revolver (da lui comprato due anni prima) costruito nel 1831 da un certo Franklin Smith, poi morto nel 1844, sul quale erano stati manomessi dei pezzi (a sentire qualche altro teste contro interrogato da Dickerson). J. Warner ad una precisa domanda dell’avvocato di Colt negò di averci messo le mani: “[ …] Ho comprato l’arma circa due anni fa da Chester Smith perché mi interessava ed era esattamente com’è ora.” Dickerson: “Voi dite che compraste l’arma perché vi interessava. Non è che la compraste per portare una prova contro Colt in questo processo?” E’ ragione- vole pensare che le domande di Dickerson avessero un secondo fine. All’epoca del processo infatti, J. Warner era già sotto osservazione da parte dell’avvocato di Colt per le armi prodotte dalla Springfield Arms. E’ molto probabile quindi che approfittasse dell’occasione per mandargli dei messaggi sotto traccia. Warner: “Era una cosa vecchia e volevo averla solo perché sapevo che c’era, Smith era anche mio amico. Avevo varie ragioni per comprarla ma non quella che suggerite voi.” D: “Una delle ragioni non era per caso quella di produrre una prova contro Colt se egli avesse intrapreso un’azione legale per la violazione del suo brevet- to?” R: “Non potevo sapere che ci sarebbe stato un processo. Io non sono in alcuna maniera interessato all’esito di questo processo. Sono stato convocato come semplice testimone.”

Sull’esistenza e sulla costruzione di quell’arma vennero a testimoniare an- che Samuel Smith (contadino, ex meccanico) e Chester Smith (meccanico). Rispettivamente fratello e padre dell’inventore. Entrambi poterono dire solo di aver visto l’arma in qualche occasione e di essere sicuri che il cilindro ruotava con l’arretramento del cane. 139

Venne sentito inoltre un signore di nome Devenport Lazelle. Questo tale asseriva di aver visto l’arma senza canna e senza calcio direttamente tra le mani di Franklin Smith. Si ricordava perfettamente di avere agito più volte sul cane, all’epoca, e che il tamburo ruotava tramite l’armamento del cane stesso, anche se non l’aveva mai vista sparare. “[…] Ho rivisto quest’arma l’altro venerdì e senza che nessuno mi suggerisse nulla l’ho riconosciuta. Non l’avevo più vista da allora.” Dickerson gli chiese: “[…] Allora voi dite senz’altro, e senza il minimo dubbio o esitazione, che l’arma sul tavolo davanti a voi è la stessa che vedeste allo- ra?” R: “Dico che è quella, oppure è simile a quella, e funziona allo stesso modo.” Lazelle, come d’altra parte numerosi testimoni della difesa, sentì l’esigenza di ribadire la sua estraneità nella questione: “ […] Vivo a Chicopee Falls ma non sono in nessun modo interessato come azionista nella costruzione di armi da fuoco. Il mio lavoro è quello di meccanico. Lavoro a giornata in una fabbrica di pistole. Lavoro per un uomo che lavora per gli accusati.”

Con alcuni dei suoi testimoni Chapman rischiò grosso. Probabilmente li aveva istruiti male o semplicemente sopravvalutati. Proviamo a immaginare cosa pensò la Giuria sentendo tale Erastus Taylor, un falegname che ne sapeva di armi e di meccanica quanto poteva e che non ricordava praticamente nulla. Egli dichiarò di conoscere Franklin Smith e di aver visto l’arma “[…] o una come quella.” nella primavera del 1833. “[…] Nella sua bottega (Smith ndr) costruiva bottoni e preparava qualche arma. La vidi ruotare col movimento del cane, provai io stesso qualche volta. Non so dire quante. Il cilindro ruotava con l’armamento del cane, io provai più volte e vidi anche lui provare. Il cane era nella parte superiore, credo. […] Abito a South Hadley e faccio il falegna- me. Non ho nulla a che fare con la Massachusetts Arms. Non ho mai lavorato per loro.” La sua testimonianza non durò che pochi minuti ma evidentemente qualcuno sentì il bisogno di fargli rettificare quel poco che aveva detto al punto da farlo tornare in aula qualche giorno dopo, peggiorando la situazione: “[…] Non avevo visto l’arma per 16, 17, forse 18 anni e non mi ricordavo molto be- ne dei particolari. Mi si chiese se il cane era nella parte superiore e io dissi di si, non avendola vista per un bel numero di anni. Ma immediatamente dopo mi resi conto dell’errore. Senza che nessuno mi suggerisse nulla. Il cane era infat- ti nella parte inferiore.” Dickerson gli chiese: “[…] Siete assolutamente certo del fatto che il cane fosse nella parte inferiore per averlo visto 16 o 17 anni fa?” R: “[…] Si signore. Me lo sono ricordato subito dopo aver risposto.” Dickerson gli mostrò un’arma simile (con dei pezzi mancanti): “[…] Guardate il foro su questa piastra di scatto (lock plate ndr). Siete certo che il cane non fosse in quel foro?” R: “[…] Non c’era il cane qui, c’era qualcosa qui sotto, non posso dire cosa fosse, non sono molto pratico con quest’arma. Sono sicuro che c’era qualcosa 140 qui sotto che io premevo. Mi pare che il cilindro ruotasse uno o due volte. Era 16 o 17 anni fa. Non ricordo se c’era qualcosa di questo tipo qui.”

Orison Blunt era un costruttore di armi e di macchine utensili, oltre che im- portatore di armi europee (Blunt & Syms). Egli costruì un’arma anche per Colt, prima che questi si dotasse delle attrezzature per farlo in proprio, ma la data non è sicura. Si trattava di un prototipo (tutt’ora esistente e per molti anni cre- duto un ibrido costruito a Paterson prima del 1841), del quale Blunt fece men- zione durante la sua testimonianza affermando di averlo costruito nel gennaio del 1848 perché Colt lo mostrasse al Capitano Walker (così almeno nella tra- scrizione delle sue dichiarazioni: “[…] La prima pistola di questo modello fu costruita nella mia officina e Colt la mostrò a Walker nel gennaio del 1848.”). E’ possibile che fosse stato il gennaio dell’anno prima ma è difficile sapere se l’errore fu suo o di chi trascrisse le sue parole. Certo è che il Capitano degli U.S. Mounted Rifles morì nell’ottobre del 1847 e nel gennaio del 1848 non po- teva vedere più nulla. Oltre a ciò è probabile che, a quella data, Colt non avesse più bisogno di prototipi dato che il progetto del modello Dragoon era ormai completamente sviluppato per la produzione di serie. In ogni caso Blunt non fu presente e la sua deposizione, certificata dal Massachusetts Commissioner, ven- ne letta in aula da Chapman. La sua testimonianza fu lunghissima, molto particolareggiata e frutto di una invidiabile esperienza meccanica. Indubbiamente un punto a favore della difesa anche se mise in luce differenze tra i due sistemi che probabilmente non erano tali: “[…] C’è una sostanziale differenza meccanica nella regolarità con la quale i due sistemi imprimono la rotazione al cilindro. Nella pistola della Mas- sachusetts Arms, le due ruote coniche (il sistema era chiamato anche “wheel and axle power” ndr) sono sempre agganciate al cilindro rendendo il movimen- to perfettamente regolare e costante. Nella pistola di Colt la leva che agisce sull’ingranaggio fissato sul retro del tamburo, non è sempre connessa. La po- tenza trasferita non è quindi uguale in tutti gli istanti. La leva è propensa a dare uno strattone e rende il movimento del cilindro irregolare. […] Se le due ruote coniche sono di diametro differente, come nel caso della pistola della Massachusetts Arms, il movimento del cane potrà avere una corsa breve. […] Io non so se nella pistola di Colt, con il sistema della leva che agisce diretta- mente sulla ruota dentata sul retro del cilindro con un movimento verso l’alto, sia possibile ruotare il tamburo di mezzo giro o di un terzo di giro come può avvenire benissimo con le due ruote coniche.18 […] Inoltre considero meccani- camente differenti i sistemi di blocco del tamburo nelle due armi. Essi agiscono con due diversi principi: una leva composta nella pistola di Colt e un perno che scorre in orizzontale, parallelo alla canna, in quella della Mass. Arms.” Da quello che si può intuire dalla trascrizione, Blunt parlò ininterrottamente per almeno un ora senza che nessuno lo interrompesse. Non si trattò di una de- posizione ma di un trattato di meccanica applicata. Impossibile riassumere il suo intervento data la lunghezza e la complessità degli elementi trattati. Il tenta- 141 tivo di Dickerson di smontare le teorie del costruttore newyorchese un pezzetti- no alla volta (ma più che teorie erano asserzioni apparentemente infallibili) non riuscì che in minima parte. Troppo professionali gli interventi, troppo dettaglia- te le descrizioni delle differenze tra i due sistemi. E’ molto probabile che il con- testo dove avvenne la deposizione (forse la sua casa di New York) avesse aiuta- to Blunt nel suo lavoro descrittivo, preciso e sistematico. In aula il Presidente della Corte, ad un certo punto, lo avrebbe probabilmente bloccato. Dickerson invece dovette vedersela da solo mettendo in luce tuttavia il suo notevole baga- glio tecnico. Difficile concepire un avvocato che, pur essendo molto esperto in fatto di difesa dei brevetti, conoscesse così bene le armi dell’epoca, il loro fun- zionamento, la meccanica teorica e la sua applicazione pratica, il funzionamen- to delle leve, i sistemi per trasferire il moto eccetera. E’ possibile che il serrato batti e ribatti tra i due possa essere durato per almeno altre due ore mentre Cha- pman e il Massachusetts Commissioner ascoltavano in silenzio. Forse l’avvocato della difesa non sentì la necessità di intervenire. Dalla lettura degli atti dell’intero processo infatti, si evince chiaramente come egli, nonostante le indubbie qualità di procuratore, non fosse certo un esperto di meccanica, alme- no non quanto l’avvocato di Colt. I suoi contro interrogatori non erano mai par- ticolareggiati e l’impressione è addirittura che viaggiasse a rimorchio di Di- ckerson, per lo meno quando entrava nei dettagli tecnici. Evidente quindi la sua scelta di lasciare che Blunt se la vedesse da solo col collega. Il testimone d’altra parte non fu mai in difficoltà. Crediamo che con questa testimonianza i Giurati ebbero davvero l’impressione - almeno per una volta - che i meccanismi delle due armi fossero due cose completamente diverse.

Elisha H. Collier, ingegnere e inventore, era stato detentore di un brevetto inglese (datato 24 novembre 1818) per un revolver con accensione a pietra (poi anche a percussione). Curiosamente, nel periodo in cui Colt ebbe affari in In- ghilterra, all’inizio del decennio 1850, chi seguì i suoi interessi per alcuni anni, soprattutto per quello che riguardava la difesa dei brevetti, fu William E. Newton che tempo prima aveva prodotto revolver su brevetto di Collier con la ditta londinese J & W Newton, diventata poi Newton & Son. Newton aveva rilevato da Collier i diritti di sfruttamento del suo brevetto. In aula parlò della sua arma e del brevetto: “[…] Prima che andassi in In- ghilterra, nell’agosto del 1818, Cornelius Coolidge si era interessato al mio brevetto e andò in Francia per ottenerne uno. […] Le specifiche di quel brevet- to erano una copia di quello inglese che gli fornii io.” Il suo primo modello, costruito insieme ad Artemus Wheeler quando ancora egli era negli Stati Uniti, aveva il movimento del tamburo comandato dall’armamento del cane. “[…] Costruii un centinaio di fucili e pistole con questo meccanismo. […] Feci una prova davanti ad una Commissione all’Arsenale di Woolwich con una di queste armi sparando 105 colpi senza una cilecca.” Dickerson voleva convincere i dodici Giurati che nonostante il brevetto di 142

Collier prevedesse un meccanismo di rotazione azionato dal cane, le armi furo- no costruite con un movimento manuale del tamburo. Per questo motivo aveva portato in aula una scatola piena di revolver e chiese a Collier: “Voi avete mai costruito armi a rotazione di qualche altro tipo oltre le vostre?” R: “No.” D: “Allora, adesso arrivo al punto - mettendogli in mano una delle sue armi pescate dalla scatola - è un’arma che avete costruito voi?” R: “Si. Funziona sul principio descritto sul brevetto eccetto che per un partico- lare. La molla a spirale che provocava la rotazione è stata eliminata. Io lo con- sidero un miglioramento. Questa è l’arma n° 103. Credo sia stata costruita nel 1825.” D: ”Avete costruito le 102 precedenti come questa?” R: “Potevo fare dei miglioramenti e li ho fatti. Consideravo l’eliminazione del- la molla una modifica utile e l’ho eliminata. Quest’arma ruota a mano.” D: “C’è qualche altro processo col quale si può ruotare il cilindro eccetto quel- lo manuale, carica dopo carica?” R: “No signore.” Dickerson gli fece vedere le armi dentro lo scatolone: “Guardi queste armi, girano a mano o meccanicamente?” R: “Ruotano tutte a mano.” D: “Le armi che spediste in India erano come queste?” R: “Le prime ruotavano meccanicamente. Forse le prime 30 o 40. Non so se quelle spedite in India fossero tutte così. Forse no.” Robert H. Eddy, Solicitor of Patents e ingegnere dichiarò che in una pubbli- cazione francese del 1825 (“Brevet d’Inventions” Vol II pag. 42) era citato e descritto un brevetto dell’americano Cornelius Coolidge per un revolver simile a quello di Collier. Il documento era del 5 agosto 1819 e venne portato in aula, insieme ad un’arma, tradotto dal francese. All’inizio l’intervento di Eddy si impantanò sulla validità della traduzione dal francese che fu messa in discussio- ne sia dagli avvocati di Colt che dal Presidente della Corte. Alla fine venne accettata e definita una fair translation, sufficientemente affidabile per discu- terci sopra. Come nel caso di Collier, anche qui l’arma era diversa dalle specifi- che del brevetto francese e non aveva un meccanismo che ruotasse il cilindro tramite l’armamento del cane. A questo riguardo l’avvocato Curtis, in uno dei sui rari interventi disse: “[…] Capisco che il testimone sia chiamato come e- sperto per stabilire se l’arma di Coolidge sia o no come la nostra. Ma io mi chiedo: se la principale caratteristica di quell’arma, che in un certo qual modo la rendeva simile alla nostra, fu abbandonata perché ritenuta inutile, a cosa serve un esperto? A dissertare su un principio che fu eliminato dall’inventore stesso?”

Thomas Warner, fratello di James Warner, aveva il completo controllo sui macchinari della Mass. Arms, oltre che sulla costruzione dei revolver, e vanta- va un’esperienza ultra decennale nel settore. Fu anche nella fabbrica di E. 143

Whitney jr dove diresse la produzione dei 1000 revolver ordinati da Colt nel 1847 (Whitneyville Walker) e lavorò anche per Edwin Wesson. Le sue notevoli capacità gli derivavano dai molti anni di lavoro all’Arsenale di Springfield dove fu ispettore per le armi prodotte dalle aziende sotto contratto all’inizio degli anni ’30 e Master Armorer dal 1837 al 1843. Rispondendo a Chapman che gli chiedeva se c’era qualche vantaggio nella coppia conica rispetto al sistema di Colt ratchet and pall, Warner rispose: “[…] Credo che il movimento sia più regolare, naturale e facile. Per la verità lo con- sidero migliore. E poi ancora, visto che lavorava per la Ditta, non fece econo- mia di lodi: “[…] Le mire della nostra arma sono fisse, sempre allo stesso po- sto. Se si vuole fare un tiro preciso una mira fissa è migliore di quella posizio- nata sul cane. […] So che nel rapporto fatto a Washigton si dice che la nostra arma ha meno penetrazione di quanta ne abbia quella di Colt; ma non vedo come ciò possa succedere se la canna e il cilindro sono della stessa lunghezza e formato. […] Il meccanismo della nostra arma è meno soggetto ad essere sporcato col fumo dello sparo e quand’anche si volesse pulirlo il suo smontag- gio è infinitamente più semplice di quello dell’arma del Sig. Colt. Se invece si vuole pulire il meccanismo di scatto di Colt …” Dickerson lo interruppe: “[…] Questo vuol dire scherzare col nostro tempo. Non vi sono brevetti per la pulizia delle armi.” Il Presidente si intromise: “[…] E’ molto importante sapere se la pistola di Colt può o non può sparare più di una volta senza essere pulita e l’altra può spara- re per un anno.” Warner: “[…] E’ questo che volevo dire.” Presidente: “[…] Avevate detto questo: che la pistola di Colt può sparare anco- ra ma deve essere prima pulita.” Dickerson: “[…] Il rapporto della Board of Ordnance ha mostrato che con la nostra pistola sono stati sparati 1500 colpi senza doverla pulire tanto che alla fine, nel documento, venne dichiarato che non vi era bisogno di ulteriori pro- ve.”

J. J. Greenough, ingegnere meccanico, era stato assunto nell’estate del 1848 da Edwin Wesson per presentare la richiesta di brevetto e seguire l’iter della concessione. Era stato anche incaricato dallo stesso Wesson e da Daniel Leavitt di seguire le pratiche di rinnovo ed estensione (si trattava come abbiamo visto di atti pubblici) avviate una dopo l’altra da Colt per il suo brevetto, con l’intento di opporvisi. Greenough affermò in aula di non essere stato minima- mente informato sullo stato della pratica e sulla concessione della extension a Colt (10 marzo 1849), avvenuta ben prima dell’udienza pubblica fissata inizial- mente al primo lunedì di gennaio del 1850. Dopo questa dichiarazione, Choate rincarò la dose parlando apertamente di connivance and procurement nei con- fronti del Commissioner of Patents. Vi fu allora la reazione degli avvocati di Colt che ingaggiarono uno scontro violento (ripreso poi ogni qualvolta il colle- gio della Massachusetts Arms toccava la questione) sulla validità 144 dell’estensione e sull’operato del Patent Office. Curtis disse: “[…] Se il nostro brevetto deve essere attaccato sul terreno della frode, allora abbiamo il diritto di sapere cosa succede. Credo di avere il diritto di sapere cosa succede prima che il testimone venga sentito, se non altro per avere la possibilità di confutar- lo.” Dickerson aggiunse: “[…] Noi non intendiamo nascondere né trascurare nulla di questo caso. Metteremo in evidenza la nostra correttezza con la legge e con i fatti. Non vogliamo apparire come quelli che coprono qualcosa.” Durante la lunga testimonianza di Greenough, Chapman tentò di far mettere agli atti i documenti del Commissioner e del Chief Examiner inerenti il rilascio del brevetto di Wesson. Dickerson naturalmente si oppose fermamente, nono- stante Chapman avesse dichiarato che si trattava solo di capire cos’era l’oggetto in questione. Il Presidente non lo concesse dicendo: “[…] E’ la prima volta che sento una richiesta del genere: mettere agli atti altri documenti per mostrare le ragioni del rilascio di un brevetto.”

LA SENTENZA Lunedì 4 agosto 1851, Rufus Choate - il principe delle tenebre del Foro di Boston, con una carriera di Senatore degli Stati Uniti alle spalle - era a letto malato. Il Presidente gli rese un omaggio formale rinviando al giorno dopo le arringhe. Per la verità Choate era rimasto piuttosto in ombra per tutta la durata del processo, e anche se le cronache non lo riportano, è probabile che non fosse stato troppo bene per tutto il mese di luglio. Sia come sia, Chapman lo sostituì anche nella discussione finale dato che Choate non si alzò dal letto nemmeno il 5 agosto. L’avvocato della Mass. Arms parlò per un paio d’ore e altrettanto fece Cur- tis, al quale toccò la discussione per l’accusa. Alla fine il Presidente Woodbury chiuse il processo con la sua allocuzione alla Giuria, ricapitolando in modo imparziale le fasi principali del dibattimento. Naturalmente rammentò le norme più importanti che regolavano la materia, tratte dalle leggi del 1836 e del 1848, mettendo in particolare evidenza quella che dava la precedenza alla patente più vecchia, quando vi fosse acclarato conflitto tra brevetti simili. “[…] Il caso riguarda i diritti e i privilegi di entrambe le parti ed entrambi hanno il diritto di vedere difesi i propri brevetti.” Va detto ancora una volta che entrambi ave- vano la propria arma brevettata. “[…] Quando questo tipo di diritto entra in conflitto con un altro, il più recente, naturalmente, deve dare spazio al più vec- chio; perché chi brevetta un’invenzione per primo è titolato ad essere protetto da chiunque altro usi quel principio. Ciò è nella natura delle cose, nel senso comune e nella legge.” Più avanti tenne a specificare che il rilascio di un bre- vetto con caratteristiche simili ad uno già concesso, poteva essere avvenuto per un incidente o per un errore, (sottintendendo che proprio a ciò la Giuria doveva rimediare) non volendo evidentemente insistere più di tanto sulle lacune struttu- rali della legge. Intervento d'altronde che non gli competeva e che si sarebbe configurato come un’intromissione in un campo non suo. 145

Dopo essersi ritirati, i Giurati non dovettero metterci molto per accordarsi sul verdetto, dal momento che le cronache parlarono di ‘a short time’. Il loro rappresentante lesse quindi la sentenza: “La Giuria, nel caso di Colt contro la Massachusetts Arms Company, ritiene che nell’arma del querelante vi sia una nuova ed originale combinazione che produce l’effetto descritto nel suo brevet- to, e non ha trovato che ciò sia esistito in nessuna altra arma da fuoco prece- dente la sua invenzione; la Giuria ritiene inoltre che il querelato abbia violato le prime tre specifiche dichiarazioni presenti nel brevetto del querelante, e va- luta i danni nella somma di Un Dollaro, conformemente all’accordo tra le par- ti.”

CONCLUSIONE L’interesse che la lettura di un avvenimento così lontano, apparentemente secondario rispetto alle linee della storiografia principale, può ancora suscitare, va ben oltre l’aspetto legale sollevato dalla denuncia di Colt. Gli atti processua- li,19 indispensabili per calarsi nel contesto, mettono soprattutto in luce un qua- dro multiforme - e quasi completo dobbiamo dire - dei costruttori di armi legge- re all’epoca, tutti operanti in un raggio di pochi chilometri, principalmente negli stati del Connecticut, Massachusetts, Rhode Island, New Jersey e New York. In quel periodo, ben rappresentato nel corso delle udienze, nacque e si sviluppò il revolver, arma che ebbe un ruolo affatto trascurabile negli Stati Uniti di allora. Le deposizioni degli oltre 40 testimoni, a leggerle ora, danno una visione chiara dell’universo gravitante attorno ai fabbricanti, costituito da inventori, operai, meccanici più o meno capaci, ingegneri, avvocati esperti di brevetti, ufficiali dell’Esercito, qualche intrallazzatore. La componente tecnica che accompagnò gran parte del dibattimento, carat- terizzato dalle bellicose discussioni tra avvocati e testimoni sulle particolarità meccaniche delle armi, pur ineliminabile, mise in ombra, tra l’altro, quello che sembrava essere il vero motivo alla base dell’accusa di Colt: la conquista delle commesse governative. In verità mai menzionate da nessuno. Negli anni tra il 1847 e il 1850, il periodo nel quale nacquero e cominciaro- no a fare breccia tra i militari le armi del Colonnello, il mercato civile non era ancora in grado di assorbirne un numero tale da permettere ad un’azienda di prosperare, sia per il loro costo che per il fatto di rappresentare una novità asso- luta. Il bacino dell’utenza commerciale era allora tutto da inventare. Colt ritene- va quindi vitale il piazzamento dei suoi revolver in ambito governativo, per il prestigio certo - oltre che per i soldi - ma soprattutto perché ciò avrebbe potuto dare una grossa spinta al gradimento dei civili. E fu proprio così che avvenne. Per raggiungere questo scopo dimostrò più volte di non voler fare sconti a nes- suno. La minaccia di investire denaro per vendere sotto costo ed eliminare così la concorrenza, cui accennò l’avvocato Chapman, non ebbe seguito. Né vi furono conseguenze nel corso del dibattimento visto che non c’erano elementi sui quali la difesa potesse abbozzare una denuncia. Ma è certamente sintomatica di come 146 il Colonnello si comportasse in queste faccende, usando mezzi legali, come la tenace difesa del brevetto, insieme ad altri poco eleganti (ma non certo illegali) come la concorrenza sleale. Vera o presunta che fosse. L’enorme cifra che avrebbe potuto essere impegnata per un’operazione si- mile, quindi la reale fattibilità della cosa, rimane però tutta da dimostrare, anche perché all’epoca del processo l’azienda di Colt non era ancora un colosso com- merciale e finanziario. Lo sarebbe diventata solo dopo qualche anno. E’ molto probabile che l’avvertimento arrivato alle orecchie di Chapman (chissà come e da chi), facesse parte delle schermaglie extra processuali tipiche di cause come questa - messe in atto per impaurire l’avversario - nelle quali normalmente gli obbiettivi erano due: bloccare la produzione concorrente e incassare più denaro possibile. Verso la fine del processo, prima delle arringhe finali, Dickerson tornò su questo argomento: “[…] Posso solo dirvi questo, che il Sig. Colt sa- rebbe felicissimo se ci fosse una prova di questo, sarebbe al massimo della sua soddisfazione se avesse una montagna di soldi da spendere per uno scopo qual- siasi. Quindi penso che la minaccia non sia stata fatta.” In modo sibillino ag- giunse però: “[…] Ma vi dirò anche questo, per la soddisfazione dei nostri ami- ci della parte avversa, che qualsiasi cosa abbia fatto, 50.000 o 10.000 che sia- no, sarà stato per la dedizione al suo lavoro e per difendere i suoi diritti.” Sebbene nel 1851 le armi di Colt avessero conquistato una notevole fama tra i militari di cavalleria, va tenuto conto che le adozioni dovevano per forza pas- sare al vaglio dello Army Ordnance Department, il quale, si sa, era a Washin- gton a stretto contatto con la politica. Sul fatto poi che i revolver di Colt fossero ottimi da ogni punto di vista (ci riferiamo a quelli prodotti dopo il 1847 natural- mente), non esistono ormai più dubbi, e forse in quegli anni nessuno era ancora in grado di fargli una vera concorrenza (o se non altro di preoccuparlo sul piano commerciale). Tuttavia egli voleva essere sicuro di non avere ostacoli che lo potessero in qualche modo mettere in imbarazzo di fronte alle valutazioni degli ufficiali e delle commissioni parlamentari le quali, in fatto di adozioni, ci met- tevano qualche volta il naso. Evidentemente l’errore della Massachusetts Arms fu proprio quello di azzardarsi a presentare la propria arma all’Ordnance De- partment per le valutazioni. Dipartimento che aveva comunque già scelto il revolver di Colt. Bisogna comunque ammettere che gli avvocati dell’azienda di Chicopee, non avevano fatto di sicuro economia nel difendere il prodotto del loro cliente, anche se i notevoli sforzi per provare che l’arma a rotazione esisteva già prima del brevetto di Colt, ebbero un effetto tutt’altro che positivo sulla Giuria. Come d’altra parte non arrivò a nulla la battaglia - a volte furiosa - sulla regolarità della extension del 1849. Va registrata con curiosità inoltre, la testardaggine con la quale Chapman insistette sull’argomento primogenitura, portando in aula alcuni prototipi di revolver precedenti a quelli di Colt. Il nutrito corollario di testimoni e costruttori, chiamati appositamente per illustrarli, fu spesso bec- cato in contraddizione nei contro interrogatori, e ciò fece emergere una realtà poco confortante sulle manovre un po’ maldestre messe in atto nei mesi prece- 147 denti il processo, per esempio nell’esemplare di Colburn - ma non solo. Mano- vre che non sfuggirono alla volpe Dickerson. Se infatti Chapman chiamò a deporre molte persone coinvolte a vario titolo nella costruzione del prototipo - che tale rimase - Dickerson, dimostrandosi altrettanto scaltro, scovò e portò in aula il meccanico che aveva lavorato sull’arma, con l’ovvio disappunto della difesa e lasciando intravedere una pre- parazione del processo da vero professionista. Questo Sig. Scrivener dovette ammettere di aver costruito oltre alla leva che ruotava e bloccava il tamburo con la relativa molla, anche i perni avvitati sul retro del cilindro che formavano una rudimentale ruota dentata dove una leva si agganciava per la rotazione. Come si seppe dalle testimonianze nel corso dell’udienza, quei pezzi non erano affatto stati persi o levati per divertimento o altro, ma eliminati di proposito da chi aveva comprato l’arma per poter ruotare manualmente il tamburo, dal mo- mento che il meccanismo originario non funzionava. Tra tutti i testimoni nem- meno uno poté dire infatti di aver visto quell’arma sparare. Possiamo immagi- nare cosa pensarono i Giurati quando Scrivener ammise: “[…] Il Sig. Olmsted disse che se qualcuno mi avesse chiesto qualsiasi cosa sul mio lavoro e su quell’arma non avrei dovuto dire niente.” Chapman doveva continuamente opporsi - o tentare di farlo - di fronte alle domande imbarazzanti che Dickerson faceva a questi personaggi. Con un altro dei testi coinvolti nelle manomissioni, un certo Sig. Moses Haight, l’avvocato Curtis chiese: “La mia domanda era questa: sapevate che lo scopo di Olmsted era di nascondere queste modifiche?” Il Presidente accettò l’obiezione di Chapman e la domanda venne ritirata ma i Giurati ascoltavano. Evidentemente le manomissioni operate su prototipi dimenticati da anni - e mai trasformatisi in prodotti di serie - erano ai limiti della legalità. Pur tuttavia Dickerson non volle mai parlare di frode o truffa. Chapman propose anche al- cuni improbabili disegni - non brevettati - accompagnati dagli inventori, i quali, a distanza di anni e tallonati da Dickerson, non riuscivano più a ricordare come funzionasse la loro arma, per altro mai costruita, creando probabilmente più di qualche perplessità nella Giuria. Al contrario, Dickerson non portò molte armi in aula ma solo un paio di prototipi del 1832, conservati fortunosamente da Anson Chase, la cui costruzio- ne era cominciata l’anno prima, i quali provavano che Colt concepì l’idea all’epoca - pur senza tutte le caratteristiche successivamente brevettate. Tra i prototipi conservati da Chase vi era un’arma lunga, senza canna, sempre dello stesso anno, e uno schizzo di Colt del 1832 nel quale il tamburo - cosa molto importante - era bloccato dall’armamento del cane. Nel discorso finale tenuto alla Giuria, il Presidente Woodbury volle ricordare che nel marasma delle di- scussioni, nessuno, avvocati o testimoni, aveva in alcun modo confutato le di- chiarazioni e le prove portate da Chase e Rowe - cosa successa invece con tutti gli altri. Inconsapevolmente Woodbury portò un punto per l’accusa e forse fu l’unico errore all’interno di una condotta per il resto ineccepibile. 148

Da rilevare altresì le continue, incessanti schermaglie, soprattutto tra Di- ckerson e Chapman, sulla qualità delle rispettive armi. Succedeva molto spesso infatti che i testimoni di entrambe le parti, mentre mettevano a confronto le caratteristiche tecniche dei due manufatti, nel tentativo di dimostrare la loro similitudine (l’accusa) o la loro diversità (la difesa), sconfinassero spesso in un’esagerata apologia della loro arma. Gli avvocati esaltavano queste dichiara- zioni, tranne poi accusarsi a vicenda - quando erano i testi della parte avversa a farlo - che ciò aveva poco o nulla a che fare con la violazione del brevetto. Du- rante la deposizione di un teste della difesa, un ingegnere meccanico e disegna- tore di nome William C. Hibbard, il quale imbeccato da Chapman stava mi- schiando da mezz’ora interessanti descrizioni meccaniche con enfatiche dichia- razioni sulla eccezionalità dell’arma, Dickerson si spazientì e disse rivolto al Presidente: “[…] Questo signore (si riferiva a Chapman ndr) si sta dannando per rispondere a una domanda: se l’arma della difesa sia migliore della no- stra. Ma io chiedo al Signor Chapman se egli pensa che il testimone sia compe- tente. Io semplicemente vorrei suggerire alla Corte, anche supponendo che la loro arma sia effettivamente migliore della nostra, che il problema non è que- sto. Il problema è stabilire se la loro arma funziona con lo stesso principio della nostra. Io non ho obiezioni ma mi sembra solo una perdita di tempo.” Il testimone continuò quindi a disquisire sulle qualità e sulla bontà del revolver della Massachusetts Arms. L’avvocato di Colt dal canto suo (come i suoi testi- moni del resto), non si stancò mai di ripetere, durante le udienze, quanto l’arma del suo cliente fosse di qualità superiore e quanto fosse apprezzata dai militari. Nonostante il processo si fosse chiuso senza aver stabilito un rimborso per Colt (per l’avvenuto accordo tra i due collegi legali), un paio d’anni dopo Di- ckerson (sua lettera a Samuel Colt del 30 aprile 1853) riuscì ad accordarsi con la Mass. Arms per una somma di 15.000$. L’Azienda di Springfield preferì pagare una cifra tutto sommato modesta per evitare un nuovo processo, anche perché continuava a produrre revolver il cui tamburo era azionato e bloccato al momento dello sparo dall’armamento del cane. Caratteristica per la quale Colt si considerò assoluto esclusivista fino al febbraio del 1857. Per questo motivo, nell’ottobre del 1852, la Mass. Arms aveva subito un’altra sconfitta da Colt (patrocinato naturalmente da Dickerson, cane da guardia del suo brevetto del 1836), questa volta presso la U. S. Circuit Court di New York. In aula vi furono H. Terry e E. Leavitt, allora rappresentanti la Massachusetts Arms Co. Tanto per non smentire la sua aggressività, e tenendo conto del fatto che i costruttori si facevano sempre più intraprendenti, Dickerson fece pubblicare il 10 novembre 1852 un avviso sullo Arms Trade nel quale intimava a Lor Signo- ri di desistere immediatamente dalla vendita di qualsiasi arma a ripetizione “[…] in which rotation, or locking and releasing, are produced by combining the breech with the lock; or in which the cones are separated by partitions, or set into recess; (come abbiamo visto, le caratteristiche principali del brevetto del 1836 e seguenti modifiche, ndr) except such as are made by Col. Colt in Hartford”. Si leggeva inoltre che: “[…] Tutte le armi a rotazione aventi queste 149 combinazioni costruite da Springfield Arms Co.; da Young & Leavitt; da Allen & Thurber-J.G. Bolen N.Y.; da Blunt & Sims; da Sprague & Marston-The Wa- shington Arms Co.; o da qualsiasi altra persona, sono una evidente violazione del brevetto del Colonnello Colt”. Seguivano le avvertenze di rito con la minac- ciata richiesta dei danni nel caso le vendite non fossero cessate immediatamen- te. Sebbene l’ammonizione avesse lasciato piuttosto freddi i costruttori coin- volti, la compagnia Allen & Thurber, che produceva soprattutto pepperbox, prese contatti con l’avvocato di Colt per tentare un accordo. Dickerson, dimo- stratosi più volte uno specialista in questi accomodamenti, accettò 15.000$. Somma che pareva uno standard fisso e che in ogni caso sembrò bastare per togliere dalla lista nera, ripubblicata poco tempo dopo sullo Arms Trade. In questo caso Colt, che in quel periodo si assentava di frequente per seguire la sua nuova fabbrica a Londra, non fu per nulla soddisfatto e lo fece sapere al suo avvocato. Dickerson d'altronde era solito trattenersi in queste tran- sazioni una cagnotte del 20%.

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1 - Nella primavera del 1836, nella cittadina di Paterson nel New Jersey, Colt diede il via, con una buona dose di coraggio, alla sua avventura di industriale delle armi. Aprì in una ex filanda, la Patent Arms Manufacturing Company, poi fallita nel 1841 e liquidata nel 1842. Ciò lo porterà vent’anni dopo a possedere la più grande e moderna fabbrica d’armi privata del mondo e ad essere uno degli uomini più in vista del paese. Alla sua morte, nel gennaio del 1862, la Colt’s Patent Firearms Mfg. Co. (cui era stato dato questo nome nel 1855) aveva un patrimonio stimato in oltre 5 milioni di dollari e un capitale interamente versato di 1,2 milioni. Egli ne era il maggior azionista (88 ½ %) mentre gli altri soci erano E. K. Root; R. W. H. Jarvis; T. J. Fales; H. Harbi- son; H. Lord. Non è del tutto corretto tuttavia considerare quella di Paterson la sua fabbrica dal momento che, pur essendo sicuramente il regista di quell’operazione, non ebbe mai il controllo finanziario della Compagnia. Per aprirla infatti ebbe bisogno di un gruppo di finanziatori del New Jersey e di New York, (33 per l’esattezza, compreso suo padre Christopher, e una lista non proprio corta di parenti), i quali furono i reali proprietari. Il proposed capital dell’Azienda (una Company, quindi una società di capitali) fu di 230.000 dollari, una cifra molto lontana dalle sue possibilità di allora. Tuttavia, stando ad una lettera successiva di Colt riguardante questa sua prima attività, sembrerebbe che il capitale azionario fosse di 150.000 dollari. Egli faceva parte del management, per usare un linguaggio moderno, ma non era nel Consiglio di Amministrazio- ne (i cui presidenti furono Elias B. D. Ogden, dal 5 marzo 1836, e successivamente Thomas A. Emmet), e aveva solo il parziale controllo sulla produzione essendo il suo compito quello di commercializzare il prodotto. E’ molto probabile che l’unico capitale messo nella società da Colt fosse il suo instancabile lavoro di promoter e il suo brevetto, i cui diritti di sfruttamento erano stati ceduti alla Patent Arms. Risulta inoltre, dalla corrispondenza rimasta, come egli fosse stato l’unico fra i 33 azionisti a non aver cacciato un dollaro per le 100 azioni possedute. Poteva in ogni modo contare su un discreto stipendio, con un guadagno su ogni pezzo prodotto, ma non fu mai il proprietario della Compagnia. Già poco dopo la fondazione nacquero grossi problemi di incompatibilità tra lui e suo cugino Dudley Selden (all’inizio il maggior azionista), da Colt stesso chiamato ad amministrare le finanze della Compagnia come Secretary e General Manager (col pieno accordo dei soci), che non condivideva il modo dispendioso col quale Colt tentava di pro- muovere i prodotti tra le gerarchie militari di Washington. Anche la ricerca di nuovi e inediti macchinari non venne capita dalla maggior parte degli azionisti (men che meno da Selden). A questo proposito bisogna ricordare che egli fu uno dei primi ad accorgersi dei profondi muta- 150

menti in atto nel sistema produttivo della nascente industria statunitense, che nel settore delle armi portatili si stava sganciando proprio in quegli anni dal patronato governativo. Nell’ambito dei produttori di armi portatili seppe capire l’importanza dell’intercambiabilità dei pezzi (anche se non fu lui il primo e non la raggiunse mai del tutto) mettendola rapidamente in pratica col conseguente enorme vantaggio dei militari. Naturalmente, all’apertura della Patent Arms, non aveva ancora le capacità per dirigere una fabbrica e infatti il soprintendente alla produzione fu un uomo d’esperienza come Pliny Lawton. Se nell’intero comparto industriale americano della prima metà dell’800 gli small arms maker coprivano mediamente una quota insignificante del fatturato globale, che non superò mai lo 0,8 %, le loro innovazioni nei sistemi di lavoro, nella ricerca e costruzione di nuovi macchinari, e soprattutto nelle misure di precisione, si sparsero a macchia d’olio ed ebbero un’importanza notevole nello sviluppo di tutto il settore manifatturiero. In questo, anche le intuizioni di Samuel Colt, e soprattutto del suo braccio destro Elisha K. Root, ebbero un ruolo affatto marginale. Egli comunque volle intelligentemente conservare la proprietà dell’idea, specificando nell’atto di fondazione che i diritti di sfruttamento del brevetto sarebbero tornati a lui se la ditta avesse smesso di produrre la sua arma o avesse chiuso i battenti, anche se dopo il fallimento il passaggio fu tutt’altro che automatico e avvenne solo nel 1849 grazie al formidabile lavoro del suo avvocato Dickerson. Perse invece completamente il controllo sul materiale rimasto invenduto e su quello assemblato successivamente con le parti di magazzino dopo la chiusura dello stabilimento. Dall’aprile del 1840, il controllo della Patent Arms venne assunto progressivamente da John Ehlers, azionista, già tesoriere, oltre che titolare della New Jersey Arms. Questi, all’asta pubblica del 14 dicembre 1842, gestita dallo sceriffo, comprò per poco più di 6000 dollari i macchinari e le parti di armi rimaste che assemblò e vendette negli anni successivi (la stima è di qualche centinaio di pezzi). Una delle cause della bancarotta del 1842 è da ricercarsi naturalmente nel prezzo molto alto delle armi (eccessivo per dei comuni cittadini in tempo di pace) dovuto alla complessità dei pezzi che in mancanza di macchinari adatti dovevano essere finiti per la maggior parte a mano. Nonostante in una pubblicità del feb- braio 1838 si dichiarasse che questi fucili erano otto volte più efficaci e solo poco più costosi di un normale fucile con finiture simili, erano venduti dagli agenti Dick & Holmes alla bella cifra di 150 dollari l’uno, completi però di tutti gli accessori. Da notare che le prime armi in assoluto prodotte a Paterson non furono dei revolver ma proprio questi fucili ora noti come Paterson Colt First Model Ring Lever Rifle per distinguerli dai primi rarissimi Ring Lever Rifle costruitigli dagli armaioli Anson Chase e William Rowe (dei quali nessuno sopravvisse) e successivamente da John Pearson negli anni 1834-35 e inizio 1836. La mancanza di guerre, quindi di commesse sulle quali puntare, e la situazione di panico finanziario seguito alla crisi del 1837, fecero il resto. Non esiste nessuna prova (indiscrezioni escluse) che possa confermare le voci e le affermazioni successive sulle effettive perdite di Samuel nel fallimento. Il suo avvocato, nella foga del proces- so, parlò di 75.000 $ mentre Colt stesso in una lettera, e in altre occasioni, disse di aver pagato di tasca propria 30.000 $. Denaro a parte, egli restò molto scosso dalla chiusura dell’Azienda, al successo della quale teneva molto e non mancò di dichiarare, negli anni successivi al fallimento, che mai più avrebbe lavorato per qualcun’altro. Vi riuscì in pieno, e sempre di più, a partire dal 1848, quando i primi contratti col Governo degli Stati Uniti gli diedero la liquidità necessaria per poter agire in perfetta autonomia, aprendo una sua ditta ad Hartford, nei dintorni della quale era nato, su cui ebbe il controllo assoluto fino alla morte.

2 - Se non affermò mai di esserne l’inventore, in più di un’occasione ci arrivò molto vicino. Per esempio il 25 novembre del 1851 quando a Londra, leggendo una sua relazione davanti a una titolata platea composta da membri dello Institution of Civil Engineers e da parecchi ufficiali di Sua Maestà, asserì di non aver mai visto nessuna arma a rotazione prima del 1835 (anno del suo primo brevetto inglese). Affermazione che lascia perplessi, nonostante in quell’epoca i revolver non si vedessero certo ad ogni angolo di strada. Del resto, accusare Colt di avere copiato - o peggio, scopiazzato - sarebbe una forzatura, certamente un mancato riconoscimento del suo genio. Ma se vogliamo dare per vera l’asserzione secondo la quale nulla si crea, tutto si miglio- ra, allora dobbiamo ammettere che anche lui modificò qualcosa che già c’era. Il fine di queste dichiarazioni, che non mancarono anche negli anni successivi, era abbastanza evidente; ribadire che i prototipi sui quali lavorò prima del rilascio del suo brevetto (sia inglese che americano) 151

erano esclusivamente opera della sua inventiva e non rimaneggiamenti di studi altrui. E’ difficile ad ogni modo pensare che proprio lui non avesse notato i revolver di Collier (da molti ritenuti i primi della storia ad avere un aspetto credibile) durante la sua sosta a Calcutta del 1830-31 (oltre 17.000 miglia di sola andata con un brigantino di 35 metri per una escursione di 10 giorni), an- che in virtù del profondo interesse per le armi dimostrato fin da ragazzo. A questo proposito si tenga conto che il grosso della produzione di Collier finì proprio nella colonia inglese a partire dalla fine degli anni ’20 dell’800. E risulta altresì improbabile che al ritorno dal suo viaggio in India, via Londra, non avesse almeno intravisto le rudimentali armi a rotazione presenti già allo- ra nel Museo Reale della Torre di Londra. E’ opinione di alcuni suoi biografi che il modellino in legno sul quale lavorò, e che negli anni 1831-33 servì come campione all’armaiolo Anson Chase per la costruzione dei primi prototipi, fosse stato concepito e costruito sulla via del ritorno in America, proprio dopo la visione di alcune armi di questo tipo. Viaggio in India a parte, rimane il dubbio su quanto a fondo conoscesse i costruttori del New England e cosa sapesse dei prototipi che avevano cominciato a girare nell’ambiente nel periodo 1831-1835.

3 - Curiosamente questa legge venne approvata ancor prima che tutte le Colonie ratificassero la Costituzione (ne bastarono nove su tredici per dar vita agli Stati Uniti d’America). Questa fretta fu dovuta in misura tutt’altro che trascurabile al fatto che molti parlamentari erano direttamente interessati al rilascio di brevetti. In assenza comunque di precise indicazioni nella disposizione legislativa, le linee basilari che i primi incaricati al rilascio vollero imporsi, erano state stabilite da T. Jefferson, allora Secretary of State. La domanda doveva riguardare una macchina, un ma- nufatto, lo sfruttamento di un processo chimico ecc, completamente nuovi e non conosciuti fino ad allora, oltre che manifestamente utili; l’invenzione non doveva avere un doppio uso né poteva esserci rilascio per un semplice cambio di forma o di materiale di ciò che già esisteva. Come si vide successivamente queste primordiali enunciazioni non bastarono, anche se probabilmente erano quanto di meglio si potesse pretendere all’epoca.

4 - Dietro la volontà di garantire i diritti degli autori di scritti e scoperte, vi era naturalmente uno dei principi fondamentali inseriti dai Padri Fondatori nella Costituzione redatta durante l’estate del 1787 e da loro sottoscritta il 17 settembre. A ben guardare, anche su questo genere di regole semplici e chiare, si basava l’enorme differenza che gli Stati Uniti misero da subito in evidenza rispetto ai vecchi regimi europei. Tra le attribuzioni proprie del Congresso, sancite dal dettato costituzionale, nel 1° articolo, VIII sezione, punto 8, si può tuttora leggere: “[...] Promuovere il progresso della scienza e di arti utili, garantendo per periodi limitati agli autori e agli inventori il diritto esclusivo sui loro scritti e sulle loro scoperte”.

5 - Per tentare di dare una spiegazione a questa paura apparentemente stravagante e per rendersi conto di come il Congresso interpretasse le funzioni e il ruolo dell’Amministrazione Federale di allora, crediamo sia più che mai opportuno affidarsi alle parole di un illustre uomo di legge e pensatore europeo che viaggiò negli Stati Uniti all’inizio del XIX secolo, Alexis de Tocqueville, e al suo La democrazia in America del 1835-40. Va infatti tenuto conto che l’istituto della Presi- denza nei primi decenni di vita della nazione americana era ben poca cosa rispetto ad ora. A paragone degli attuali 15 Ministeri e delle potentissime Agenzie sotto diretto controllo del Presi- dente, la Casa Bianca era infondo un piccolo ufficio che rappresentava poco più che simbolica- mente l’unità della nazione e non interveniva quasi mai negli affari economici e sociali. Lo stes- so Presidente era a capo di una ristrettissima burocrazia, aveva scarsi poteri ed anche i suoi com- piti politici erano ridotti al minimo. Dopo che nel marzo-aprile 1789 a New York si erano inse- diate le due Camere ed era stato eletto il primo Presidente, furono creati tre Ministeri; degli Esteri, della Guerra, del Tesoro. Si dovrà arrivare al 1849 perché il Congresso ne istituisca un altro, quello degli Interni, e al 1862 per veder nascere quello dell’Agricoltura. Il Ministro della Giustizia (U.S. Attorney General), la cui carica fu istituita nel 1789, avrà un suo proprio Dicaste- ro solo nel 1870.

6 - La legge del 1793 aveva istituito una commissione (Board of Arbitration) con la funzione di valutare le domande che per la comunanza di alcune caratteristiche potevano interferire tra loro. I 152

membri erano nominati con un accordo tra i due richiedenti coinvolti e il Secretary of State ma poteva succedere che gli interessati rifiutassero di andare all’arbitrato o non riconoscessero il parere finale della Commissione. In questo caso il brevetto veniva rilasciato a chi aveva fatto la richiesta per primo. Ciò innescava spesso la reazione dell’escluso che ricorreva ad un tribunale con il risultato che si può immaginare: i richiedenti si ritrovavano dopo qualche mese per risolve- re definitivamente la questione davanti ad una giuria. Ciò non fu più possibile con la legge del 1836. Con quest’ultima infatti, anche se in linea teorica si poteva impugnare un rifiuto dell’Ufficio Brevetti fin davanti ad una commissione parlamentare e addirittura di fronte alla Corte Suprema (con costi insostenibili), chi aveva l’ultima parola erano comunque i tecnici esa- minatori e il loro superiore. Naturalmente la Patent Act del 1836 era ben lungi dal risolvere tutti i problemi di incompatibilità, come dimostra il processo di cui ci occupiamo.

7 - Nel settembre del 1837 tuttavia, si contavano già 25 impiegati in forza all’Ufficio, assunti in gran fretta soprattutto per la riorganizzazione seguita all’incendio del dicembre 1836. Sotto l’azione della legge del luglio 1836 furono rilasciati 98.460 brevetti, fino a quando fu approvata dal Congresso una nuova importante legge di riordino, 8 luglio 1870. In quell’anno vennero rilasciati 13.333 brevetti su 19.171 istanze e l’ufficio era decisamente più affollato visto che comprendeva una squadra di addetti alla lettura formata da tre Chief-Examiners, ventidue Princi- pal-Examiners, ventuno Assistant-Examiners e altrettanti Second-Examiners.

8 - Anche se effettivamente i soldati avevano l’ordine di distruggere tutti i beni pubblici della capi- tale, i fatti si svolsero forse in modo leggermente diverso (almeno nella versione riportata dal Director). Gli inglesi non erano in procinto di cannoneggiare l’edificio bensì di bruciarlo e Thor- nton aveva semplicemente pregato il Maggiore Waters di risparmiare i preziosi prototipi stipati nello stabile, probabilmente qualche centinaio, da lui definiti beni privati troppo ingombranti per essere rimossi. L’ufficiale si fece convincere e chiese ordini al suo superiore, il Colonnello Jo- nes, il quale effettivamente risparmiò l’edificio. Thornton comunque si era già premunito di mettere in salvo la quasi totalità dei documenti portandoli a casa sua nei giorni precedenti, poco lontano da Washington, quando ebbe chiara la percezione che nessuno sarebbe più riuscito a fermare l’avanzata delle truppe inglesi su Washington. I documenti di allora riportano però un altro fatto interessante; nel tardo pomeriggio del 25 agosto 1814, la data accreditata come quella del salvataggio del Blodgett’s Hotel dalla furia distruttiva inglese, vi fu una specie di uragano di violenza mai vista fino ad allora che spense gran parte degli incendi e fece desistere gli occupanti da altre azioni. D’altra parte avevano già provocato danni sufficienti.

9 - Il rifiuto del 1854 ebbe un percorso burrascoso e risvolti legali. L’anno prima l’apposita com- missione parlamentare chiamata Committee of Patents, con un documento del 21 dicembre, aveva dato parere favorevole per un’altra estensione di sette anni (consigliando però di riservare al Governo la possibilità di costruire tali armi nei propri arsenali senza pagamento di alcuna royalty). Nel documento vi erano una serie di motivazioni tra le quali non è difficile scorgere l’ottimo lavoro di pubbliche relazioni esercitato da Colt stesso e dal suo avvocato su esponenti della Camera dei Rappresentanti, sensibili ai problemi del costruttore. Complici parecchi giorna- li, che scrissero a sfavore di Colt, ciò non dovette bastare perché anche i concorrenti erano ormai discretamente protetti da un buon numero di Deputati, tanto da risultare il voto alla Camera negativo. Ancora nel 1858, con un altro documento, la Commissione della Camera si espresse nuovamente, ma inutilmente, per l’estensione.

10 - La Massachusetts Arms Co., fondata nel 1849, ebbe tra i suoi proprietari nomi molto conosciu- ti nell’ambiente dei costruttori americani dell’epoca. A partire naturalmente da Frank e Daniel B. Wesson (allora venticinquenne); poi Horace Smith (questi ultimi poi fondatori della Smith & Wesson); J. Stevens (Stevens Arms and Tool Co.); J. T. Ames (Ames Mfg. Co.); T. W. Carter; J. Chase; T. Warner; W. H. Miller. La Compagnia era nata dalle ceneri della società guidata da Edwin Wesson di Hartford (Wesson, Stevens & Miller) dopo la morte del titolare e fondatore nel gennaio del 1849. Il revolver Wesson & Leavitt costruito dalla Mass. Arms (oggetto della causa civile) derivava dallo Holster Pistol (il cui tamburo era ruotato a mano) in calibro .40 con 153

canna da 6” 3/4 costruito ad Hartford da Edwin Wesson su brevetto di Leavitt. Il caratteristico sistema di fissaggio del tamburo e della canna di questo revolver fu disegnato nel 1848 da Wil- liam H. Miller e da Joshua Stevens, quando ancora lavoravano per Colt nella sua prima fabbrica di Hartford in Pearl Street. A Stevens, che nel 1847 aveva lavorato anche con E. Whitney alla costruzione dei revolver poi noti come Whitneyille-Walker-Colt, venne successivamente rila- sciato il brevetto n° 7802 del 26 novembre 1850 relativo proprio al sistema di fissaggio del gruppo canna-top strap al fusto. Miller e Stevens furono licenziati da Colt che li beccò a traffi- care in proprio e, temendo per i suoi contratti col Governo, nel luglio 1848 scrisse al Senatore Rusk, suo amico: “[…] Ho scoperto ieri che due dei miei operai migliori sono impegnati con alcune altre persone ad organizzare la costruzione di una pistola a ripetizione con la speranza di aggirare i miei brevetti e che sono in corrispondenza con lo Ordnance Department, il quale li incoraggia in ogni modo.” L’Azienda, che durante la Guerra Civile produsse anche armi lun- ghe, oltre a revolver su brevetto di Maynard, si dissolse quando la produzione bellica crollò. Dopo essere stata rilevata da T. W. Carter, già sovrintendente dello stabilimento, e gestita per un brevissimo periodo da un ex operaio del National Armory di Springfield, venne ceduta alla Lamb Knitting Machine Co.

11 - Samuel Colt, opportunamente consigliato e molto fiducioso sulle possibilità commerciali della sua idea, volle brevettare il revolver anche in Europa ma dovette limitarsi all’Inghilterra e alla Francia per mancanza di soldi. Le date di rilascio sono significative e da esse si desume che il primo paese dove il brevetto fu valido era stato l’Inghilterra (concessione n° 6909 del 18 dicem- bre 1835, richiesta inoltrata il 22 ottobre 1835), poi gli USA e infine la Francia (concessione n° 6776 del 27 aprile 1836, domanda del 16 novembre 1835). Durante il soggiorno parigino e l’espletamento delle pratiche per la domanda da parte dell’avvocato Perpigna, seppe che, per la legge francese, i brevetti erano validi solo fino a quando non fossero stati presentati in un altro paese. Ciò lo mise in difficoltà dato che stava aspettando la concessione negli USA dove aveva inoltrato la domanda prima di partire per l’Europa nell’agosto del 1835. Da Parigi scrisse quindi immediatamente a Henry L. Ellsworth (ma la posta ci metteva un po’ ad arrivare), vecchio amico di suo padre oltre che direttore dello U.S. Patent Office, chiedendogli se era possibile apporre sul documento di rilascio la data della domanda. Non fu possibile! Sul motivo di questa sua puntata europea si sono fatte varie ipotesi, più o meno credibili. Una delle ragioni potrebbe risiedere per esempio nelle regole stesse della Patent Law britannica che allora non rilasciava privative su idee già brevettate negli USA. Ma è molto probabile che egli, come molti suoi conterranei, guardasse ancora all’Europa come il centro del mondo culturale, scientifico e com- merciale e avesse inoltre preso in considerazione lo scarso interesse dimostrato allora nel suo paese per questo tipo di armi (siamo alla metà degli anni ‘30). Sapeva altresì che E. Collier era emigrato da Boston in Inghilterra per brevettare il suo revolver con accensione a pietra, riscuo- tendo un discreto successo. I soldi per queste operazioni gli erano arrivati in parte da suo padre Christopher (il quale nonostante le proprie traversie economiche lo aiutò spesso) e in parte da suo zio Joseph Selden. Si trattava di 676,50 $ per il brevetto inglese e 341 $ per quello francese, da sommare alle spese del soggiorno per un totale di 1912 $. Una cifra non proibitiva ma certa- mente molto grossa. Tuttavia, nei due anni precedenti, Colt aveva raggranellato un po’ di denaro con le sue funamboliche scorribande attraverso il paese e fino in Canada con un numero nel quale dimostrava gli effetti del gas esilarante (protossido d’azoto). Va ricordato naturalmente che Colt, fino al 1858, ottenne a suo nome dodici brevetti americani; otto inglesi; due austriaci; uno belga e uno francese. Inoltre negli Stati Uniti depositò otto caveat (i cui disegni furono poi sfruttati nei brevetti successivi) e di ulteriori cinque domande, tre gli furono negate e due le ritirò egli stesso. Anche in Inghilterra ebbe tre domande non accettate e quattro brevetti per i quali fu assegnatario.

12 - A questo proposito l’avvocato Curtis, dopo interminabili discussioni, disse rivolto direttamente a Chapman e a Choate: “[…] La dimostrazione che il procedimento del rilascio è regolare è il rilascio stesso, a meno che non vogliate prendervi la responsabilità di dimostrare la frode, a meno che non vogliate prendervi la responsabilità di parlare di collusione tra il Commissioner e il titolare del brevetto. Noi diciamo; il Commissioner agì correttamente, nel rispetto della 154

legge e dei regolamenti. L’unico modo che avete per dimostrare il contrario è quello di denun- ciarlo per frode.” Da parte sua il Presidente della Corte, pur ammettendo che il problema della frode rimaneva aperto, disse che in quella sede non si potevano provare né irregolarità né negli- genze da parte del Commissioner of Patents. D'altronde l’estensione del brevetto di Colt sem- brerebbe essere stata concessa in modo del tutto regolare (e ciò sarebbe dimostrato dal fatto che non venne mai revocata nonostante l’opposizione del Solicitor of Patents ingaggiato prima da Edwin Wesson e poi dalla Mass. Arms). Per come la raccontarono gli avvocati della Mass. Arms tuttavia, emerge un comportamento del Commissioner of Patents - allora Edmund Burke - alquanto singolare e qualche dubbio rimane. Il 15 gennaio 1848 Colt aveva presentato un’istanza di estensione di sette anni per il suo brevetto del 25 febbraio 1836. Al momento della domanda, come già visto, la questione era ancora nelle mani del Governo il quale attraverso il Segretario di Stato, il Commissioner of Patents e il Solicitor of the Treasury, decideva in merito. Dopo qualche rinvio (normalmente c’era bisogno di almeno due o tre discussioni per arrivare ad un qualsiasi risultato), l’udienza pubblica fu fissata al primo lunedì di gennaio del 1850, in attesa di un rapporto del Ministero della Guerra. Il Secretary of War doveva infatti stabilire se, e in che modo, il provvedimento di proroga fosse stato in contrasto con gli interessi del Governo. Nel frattempo tuttavia, il 22 maggio 1848, fu approvata una nuova legge che tolse questa fun- zione alla commissione dei tre - abolita - e la assegnò al solo Commissioner, non cambiando però le procedure. Nel marzo del 1849, dopo un’ulteriore domanda di Colt con carattere di urgenza, il Commissioner, con in mano un affidavit sottoscritto da Colt medesimo, autorizzò d’imperio l’estensione, apparentemente senza aspettare il rapporto del Ministro della Guerra, senza consultare il Chief examiner, senza fissare una pubblica udienza, senza aspettare i 60 giorni minimi necessari per permettere a qualsiasi cittadino di venire a conoscenza del provvedi- mento e potersi opporre, senza il parere della Commissione parlamentare. Questa inconsueta procedura fu oggetto di una aspra battaglia in aula, alla fine vinta dagli avvocati di Colt. A sentire Dickerson, l’urgenza dimostrata da Colt con la domanda del marzo 1849, era del tutto legittima ed era dovuta al fatto che egli era sotto contratto col Governo e la sorte del suo brevet- to era vitale per la programmazione della produzione, per l’acquisto delle attrezzature, del mate- riale, dei macchinari, per la gestione del personale etc. E’ interessante dare un’occhiata alle date: Gennaio 1848 - Colt fece la richiesta per l’estensione (udienza fissata al gennaio 1850). Maggio 1848 - una nuova legge assegnò al solo Commissioner of Patents il potere di rilasciare le estensioni dei brevetti. Agosto 1848 - Edwin Wesson presentò l’istanza per il rilascio del brevetto. Ottobre 1848 - venne concessa la reissue a Colt (la domanda era del mese prima). Marzo 1849 - venne concessa l’extension di sette anni a Colt. Agosto 1849 - venne rilasciato il Brevetto n° 6669 a Edwin Wesson (morto nel gennaio dello stesso anno).

13 - Dickerson sostenne che l’assegnazione dei diritti di sfruttamento del brevetto del 25 febbraio 1836 non si era mai configurata come un atto pubblico registrato all’Ufficio Brevetti ma come un semplice accordo, parte di una scrittura privata (cioè l’atto di fondazione della Patent Arms Mfg. Co.), la cui validità sarebbe cessata col mancato rispetto delle clausole in essa contenute. Quindi, secondo lui, l’assegnazione era decaduta nel momento stesso in cui la Ditta aveva smes- so la produzione delle armi, come specificato nel documento del 5 marzo 1836. Egli affermò infine (nonostante la registrazione all’Ufficio Brevetti ci fosse effettivamente stata, pur senza il sigillo del Governo): “[…] Noi diciamo che non ci fu mai una cessione, vi fu un atto con una clausola risolutiva.” La diatriba sembrò risolversi in un modo apparentemente curioso; gli avvo- cati della Mass.Arms non riuscirono ad aver in aula l’originale di quel documento ma solo la “copia di una copia” (come disse Dickerson) e il Presidente della Corte non la ritenne valida, a meno che non fosse presente chi aveva firmato. (Come si potesse fare la copia di una copia nel 1851 rimane per noi un mistero!) Per la verità la clausola era tutt’altro che “risolutiva”, come l’aveva definita Dickerson, tanto che egli stesso aveva ottenuto la ri-assegnazione a Colt solo due anni prima. Che la questione dei diritti ceduti alla Patent Arms fosse stata in sospeso per alcuni anni, lo dimostrano chiaramente anche alcune lettere. Per esempio, nel dicembre del 1846, quando era ormai sicuro che il Governo gli avrebbe assegnato un contratto per la fornitura di 1000 revolver, Colt cercò di rientrare in possesso dei diritti che aveva ceduto nel 1836. In alcune righe, scritte da John Ehlers nel dicembre 1846, in risposta ad una sua richiesta di poter 155

avere un’arma della Patent Arms Mfg Co. (di cui evidentemente non aveva più nemmeno un esemplare) si legge: “[…] Le armi a cui alludete sono oggetto di disputa tra Voi e la Pat. Arms Mfg Co. e ci vorrà un ordine del Presidente e dei Consiglieri della Compagnia prima che io possa esaudire la vostra richiesta.” Non è ben chiaro cosa esattamente potesse fare il Presidente dal momento che la Patent Arms non esisteva più dal 1842. D’altro canto l’ex Presidente della Pat. Arms, Emmet, fu coinvolto nel problema da Whitney jr che gli chiese spiegazioni. La rispo- sta, girata poi da Whitney a Colt, fu: “[…] Ho ricevuto stamattina la vostra lettera di ieri con la richiesta riguardante il diritto o l’opportunità del Sig. Colt di costruirsi da se le sue armi a ripetizione brevettate. La Compagnia non sta costruendo armi ora, né le ha costruite ultima- mente, tuttavia la questione tra il Sig. Colt e la Compagnia non è risolta e deve essere ancora liquidata. Di conseguenza, siccome i suoi diritti sono tuttora parte di un accordo, ciò potrebbe diventare oggetto di indagine giudiziaria, ed essendo io ancora nominalmente Presidente della Compagnia, non è conveniente che io esprima la mia opinione sulla faccenda. Mi dispiace dunque di non potervi dare una risposta più soddisfacente.” Risulta evidente che la questione andava ormai risolta da un tribunale, non potendoci più essere un rappresentante legale dell’Azienda, fallita, e Whitney non aveva chiesto il permesso di costruire quelle armi - che Emmet non poteva dare - ma solo un parere. Quello che appare chiaro è che Colt non avrebbe ancora potuto costruirsi i suoi revolver nel 1847, ancorché brevettati da lui.

14 - Si trattava di un revolver a percussione con cane laterale (side hammer) e con telaio aperto, costruito nei modelli Dragoon (o Army) e Belt (quest’ultimo chiamato anche Pocket). Il tambu- ro aveva sei camere forate per i calibri .31 .32 .34 (modello Belt) .40 e .41 (modello Dragoon). Le lunghezze di canna andavano da 3”½ a 7” 1/8. Le guancette erano in noce liscio in un unico pezzo e la guardia del grilletto era in ottone. Per la rimozione del tamburo si ruotava un chiavi- stello imperniato sul retro della canna, agganciato sul perno del tamburo con un incastro; quindi il blocco canna-top strap ruotava verso l’alto permettendo la rimozione del cilindro. Sul retro del tamburo era rullata la scritta LEAVITT’ PATENT APRIL 29. 1837 e sul chiavistello di chiu- sura WESSON’ PATENT AUG. 28. 1849 (gli US Patent erano rispettivamente i numeri 182 e 6669). Su alcuni modelli, più spesso sul Dragoon, vi era anche la data del brevetto di Stevens del 26 novembre 1850 (n° 7802). Il lato destro dell’impugnatura era parzialmente occupato dalla piastra dello scatto sulla quale vi era la scritta WESSON’S & LEAVITT’S PATENT su una riga. Sul top strap era inciso su due righe il nome della ditta, MASS. ARMS CO. / CHICOPEE FALLS. Pochissimi esemplari avevano la leva di caricamento sotto la canna. Prima che la sen- tenza sfavorevole ne bloccasse la costruzione e obbligasse la Ditta a produrre solamente revol- ver col tamburo mosso a mano (ma in realtà il fermo della produzione non avvenne che per pochi mesi), furono prodotti circa 1000 Belt Model e 800 Dragoon Model. Era un’arma solida e ben costruita. Un modello in calibro .40, con tamburo lungo 2” 1/4 e con canna da 7” 1/8, pesava 4 libbre e 6 once, 1980 gr, poco meno di una Colt Walker. Pur non vantando doti di impugnabi- lità paragonabili a quelle del Colt Dragoon - diretto concorrente - aveva preoccupato Samuel Colt per le sue qualità ma soprattutto perché era stata proposta per delle prove allo Army Or- dnance assieme alla sua (perdendo il confronto). Ciò era stata considerata come una sfida aper- ta. Il cuore del sistema era più complesso e non aveva la compattezza e la semplicità che caratte- rizzavano le innovative armi del Colonnello. Per la verità il revolver della Mass. Arms aveva assai complicato il meccanismo di scatto, rotazione e blocco (aumentandone il numero dei pez- zi) che Colt era riuscito a semplificare al massimo col suo brevetto del 1839. La causa intentata contro la Massachusetts Arms voleva servire evidentemente come esempio per quei costruttori che si erano resi conto della validità del progetto e avevano cominciato ad immettere sul merca- to rudimentali revolver. Quest’arma è considerata il primo serio tentativo negli Stati Uniti di scardinare l’esclusiva di Colt. Per una veloce panoramica sui brevetti relativi ad armi corte a ripetizione contemporanee a quella di Colt, si veda: “American Handguns Patent, 1802-1924” di J. J. Macewicz. Ed. Museum Restoration Service 1977.

15 - Va ricordato però che Colt sfruttò sapientemente la vittoria in questo processo e il grande clamore suscitato, come mezzo di pressione per trattare successivamente gli indennizzi con altri 156

costruttori (trovatisi con le loro armi nelle stesse condizioni della Massachusetts Arms), senza doverli trascinare in costose azioni legali.

16 - I rapporti commerciali tra il Governo degli Stati Uniti e Samuel Colt ebbero un inizio stentato, anche se proseguirono poi ininterrottamente con la Compagnia che porterà il suo nome fino agli anni ’70 del 1900. Fu nel giugno 1837 che i militari fecero per la prima volta la conoscenza con le sue nuove armi a rotazione. Una commissione di Ufficiali infatti, istituita per lo scopo da una delibera del Senato, provò a fondo quattro fucili costruiti dalla Patent Arms Mfg. Co., definiti, nel rapporto del 19 settembre successivo, non adatti al servizio perché troppo complicati e fragi- li (i documenti parlano di: 1 ; 1 rifle of musket caliber; 1 carbine of musket caliber; 1 small rifle). I fucili a rotazione (offerti a 20,23 $ l’uno per lotti di almeno 5000 pezzi) erano stati valutati a West Point (che a quell’epoca fungeva anche da arsenale) assieme ad altre armi lun- ghe di Cochran, Hall, Hackett. Nella successiva primavera, dopo un intenso lavoro di pubbliche relazioni, Colt riuscì a vendere all’Esercito regolare, al prezzo di 125 $ l’uno compresi gli ac- cessori e senza passare per le procedure ufficiali, 50 Revolving Rifle a otto colpi in vari calibri, leggermente migliorati rispetto a quelli precedentemente provati. Le armi vennero acquistate dal Generale T. S. Jesup, comandante delle truppe impegnate nella guerra contro gli indiani Semi- nole in Florida, dopo alcune brevi prove davanti a qualche Ufficiale del suo comando. A questo proposito va registrata una lettera spedita a Colt nel 1840 dal Sergente Maggiore Henry del 2° Dragoni degli Stati Uniti il quale scriveva: “[…] Sebbene le armi fossero di costruzione bizzar- ra e di un’estrema leggerezza, furono trovate tutto sommato abbastanza solide. Non c’era uomo nell’intero distaccamento che non sentisse la voglia di sparare con quelle armi (repeaters) piuttosto che con le carabine e i moschetti ordinari. […] Essendo in una varietà di calibri tro- vai qualche difficoltà nel caricamento per la scelta problematica delle palle. […] Sparando su tavole di quercia a cento yards, tutte le palle penetravano per due pollici e una gran parte dei colpi erano a due pollici dal centro. […] Ogni uomo aveva due tamburi (receivers) che riusciva a montare sul fucile e a sparare in un minuto.” Nell’aprile del 1839 arrivò alla Patent Arms un ordine di 180 fucili e altrettanti revolver dalla Repubblica del Texas (allora indipendente), che furono consegnati in parte alla Marina da Guerra Texana. Nello stesso periodo vi è notizia di un altro acquisto del Texas di 240 pezzi tra carabine e pistole. Tutte queste armi, o meglio, quelle che sopravvissero a quattro anni di uso pesante, vennero girate ai Texas Rangers volontari nel 1843 e furono successivamente impiegate nella guerra col Messico. Nel 1841 il Governo USA, dopo altre prove, acquistò 100 carabine a sei colpi per i Dragoni e altre 60 per la U. S. Navy, imbarcate poi sulla Fregata United States. Un altro ordine dello Ordnance Department di 100 carabine e 100 revolver, sempre per la Marina da Guerra USA, fu evaso solo parzialmente da John Ehlers nel 1845, tre anni dopo la chiusura della Patent Arms di Paterson, con ciò che gli era rimasto dal fallimento (solo fucili). Anche queste armi, ispezionate dall’allora Capitano W. A. Thornton (presente al processo del 1851 come testimone di Colt), furono usate nella guerra col Messico imbarcate nella flotta navale del Pacifico. Infine la svolta: il 6 gennaio del 1847 il Ministro della guerra W. L. Marcy mise la sua firma su un ordine per l’acquisto di 1000 revol- ver calibro .44, sensibilmente migliorati rispetto alle armi costruite a Paterson, consegnati poi entro l’autunno dopo le ispezioni e i tradizionali tempi morti - giusto in tempo per un secondo contratto. L’Esercito sembrava essersi finalmente reso conto, dopo infinite prove, della superio- rità di quest’arma decidendo di abbandonare definitivamente le pistole monocolpo. Sull’uso che i Dragoni dell’ U.S. Army e i Rangers del Texas fecero in Messico di questi primi revolver di Colt, è interessante rileggere ciò che scrisse l’8 maggio 1848 il Capitano dell’Ordnance J. Wil- liamson al Chief of Ordnance, Colonnello George Talcott: “[…] Delle 280 Colt’s Patent Pistols (si riferiva naturalmente al modello M1847 ndr) fornite a cinque Compagnie meno di un anno fa, solo 191 sono ora restituite mentre le altre sono esplose in mano agli uomini. Alcune sono state perse in combattimento. Delle 191 restituite solo 82 sono da considerare ancora utilizzabili. Tutte le altre sono state più o meno danneggiate durante circa otto mesi di duro servizio. […] In alcuni casi il cilindri sono completamente distrutti e le canne sono irreparabilmente danneg- giate dove si congiungono col cilindro. Altre ancora hanno avuto la volata scoppiata e sono state accorciate tagliandole.”

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17 - L’accordo steso il 4 gennaio 1847 tra Colt e il Capitano Walker (in realtà un memorandum poi tradotto in un documento firmato dal Ministro della Guerra William L. Marcy due giorni dopo), commuove per la semplicità e la concisione delle specifiche (nonostante impegnasse il Governo ad una spesa di oltre 28.000$). Esso prevedeva tra le altre cose: “[…] The barrels to be nine inches long and Rifled made of the best hammered Cast Steel and of a bore suited to carrying round balls, fifty to the pound … […] The cylinders to be made of hammered cast steel with chambers for six charges each, and of a length, size, and strenght, sufficient to be charged with an elongated ball 32 to the pound.” La canna era quindi rigata ed il calibro (come avveniva spesso allora) non era calcolato in pollici ma sulla possibilità di sparare una palla “cinquanta alla libbra”, quindi una sfera di un cinquantesimo di libbra (146 grani circa) dal diametro di 453 -460 millesimi di pollice (diametro di rigatura), che conseguentemente prevedeva un diametro di foratura di .440”-.445” (ne risulterà un proiettile cilindro-conico dal peso di circa 218-220 grani). Se per i moschetti ordinari e le pistole monocolpo i soldati avevano in dotazione le car- tucce di carta regolamentari, per i revolver di Samuel Colt - una novità assoluta - esse non erano ancora disponibili. I cavalleggeri si dovettero perciò arrangiare con le fiaschette (oggetto per altro fornito regolarmente dal Governo alle truppe almeno fino al 1855) e con i fondipalle forniti assieme alle armi. Se caricato liberamente, il tamburo dei revolver Whitneyville Walker - lungo 2” ½ - riusciva a contenere fino a 55-57 grani di polvere per ogni camera, forse addirittura 60, con una conseguente velocità del proiettile che poteva arrivare e superare i 1300 piedi al sec- ondo. Una fucilata! I blocchetti forniti da Colt col primo contratto, furono di due tipi: a due cavità - sferica e cilindro-conica - (uno ogni dieci armi) e a sei cavità cilindro-coniche (uno ogni 50 armi). Per molto tempo nessuna pistola riuscì ad eguagliare le prestazioni balistiche di questo cannoncino che con la sua canna da 9” pesava 4 libbre e 9 once (quasi 2100 grammi). Anche alcuni cavalleggeri che la usarono ammisero che era troppo pesante. Il Capitano Walker scrisse in merito alle prestazioni: “[…] As effective as a common rifle at 100 yards and superior to a musket even at 200.” Le cartucce di carta combustibile o di lino per le armi M1847 ed M1848 vennero prodotte dall’inizio degli anni ’50, quando vi furono un certo numero di revolver dis- tribuiti, ma solo con la guerra si arrivò ad una cartuccia standard per i revolver M1848; 218 grani di palla con 40 grani di musket powder.

18 - Più di un testimone volle ribadire (a ragione) che nella pistola della Mass. Arms sarebbe stato possibile far ruotare il cilindro di un terzo di giro o anche di mezzo giro con un solo movimento semplicemente modificando i diametri degli ingranaggi costituenti la coppia conica. Cosa che nell’arma di Colt avrebbe rappresentato qualche problema. Su questa particolarità Dickerson non mancò di attaccare i testimoni ironizzando: “[…] Non capisco dove sia il vantaggio nell’avere una pistola a ripetizione con un tamburo a tre o addirittura a due colpi quando tutti sappiamo che queste armi sono concepite proprio per averne il più possibile.”

19 - In realtà non si tratta degli atti del processo, arrivati fino a noi per la fedele trascrizione di un impiegato del Tribunale, ma di una registrazione di parte, opera di persone pagate da Colt. Il particolare, come si può intuire, è tutt’altro che secondario. Si tratta purtroppo dell’unica fonte disponibile. Anche se la scrittura avvenne durante il processo, è più che probabile che qualcosa si sia perso per strada e che qualcos’altro sia stato omesso o modificato intenzionalmente.

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