Arcadia, architettura della

Definizione – Etimologia

L’Accademia dell’Arcadia, sorta nel 1690 a Roma, fondatori Gian Vincenzo Gravina e

Giovanni Mario Crescimbeni, fu avviata da 14 letterati riuniti attorno alla regina

Cristina di Svezia; le dissertazioni poetico-letterarie riaffermavano la “purità, gravità e maestà della lingua toscana” e criticavano lo stile ampolloso e ridondante dell’età barocca, in cui il comporre letterario si svolgeva attraverso l’uso di metafore e artifici linguistico-compositivi. I letterati arcadici abbandonarono i grandi temi dell’enfatica letteratura barocca a favore di uno stile chiaro, semplice, immediato, naturale, che desse risalto ai sentimenti e agli affetti più intimi, più liricamente personali. Il genere scelto per raggiungere questi obiettivi fu quello pastorale, elegiaco, proprio della poesia bucolica di Virgilio e di quella petrarchesca: il nome Arcadia deriva dalla regione greca del Peloponneso in cui i poeti avevano immaginato di ambientare le opere.

Tale senso del semplice, comprensibile, ragionevole si diffuse anche tra le fila degli architetti, che queste istanze innestarono e fusero con la ripresa di temi propri dell’antichità classica e con un ritorno a modalità compositive che semplificavano le forme e riecheggiavano temi rinascimentali. L’architettura dell’Arcadia si sviluppò in seno a questa esperienza culturale.

Generalità

L’accezione critica di architettura dell’Arcadia viene messa a fuoco fin dal 1971 analizzando testi, opere e storiografia del periodo compreso tra gli ultimi due decenni del XVII secolo e il 1750 a Roma. L’architettura, vista come una delle “arti che perfezionano l’Universo” (così definita nel 1711 nell’orazione di Nicolò

Forteguerri – esponente dell’Arcadia letteraria – alla premiazione dei progetti di architettura del Concorso Clementino, bandito dall’), che abbelliscono e rendono comodo il mondo, sposta l’accento dall’estetica dello stupore e della meraviglia barocca all’efficienza edilizia del manufatto, al razionale, al funzionale, alla risposta efficace alle necessità. Nel proemio del II libro delle

Vite di Lione Pascoli (1730) viene esplicitato un apprezzamento per l’architettura utile e comoda del suo tempo circa la razionale distribuzione degli spazi interni:

“Non avevano gli architetti (antichi) l’arte moderna di fare le scale […] per cui oggi comodamente si sale dallo stesso sito ad appartamenti diversi, senza che l’un dei saglienti o veder possa mai l’altro se elle serrate saranno […] non si sa se sapessero bene e proporzionatamente spartire cogl’agiati comodi e colla dovuta comunicazione”. La composizione architettonica viene impostata su criteri chiari, deve creare organismi comprensibili immediatamente, utilizzando forme e geometrie semplici per gli impianti tipologici. Contestualmente il “bello” è ricercato nello studio dell’antico, nelle opere classiche e nella loro imitazione (in proposito si menzionano le esercitazioni degli allievi delle Accademie Francese e di S. Luca, ai quali si facevano ridisegnare dal vero le statue antiche e rilevare elementi architettonici cinquecenteschi), perché viste come scrigno di armonia e perfezione formale.

Tra i principali committenti di architettura nella Roma del primo trentennio del

Settecento, in cui si afferma e si diffonde tale nuova estetica formativa, si ricorda il cardinale Neri Corsini, massima autorità amministrativa e politica dopo lo zio, il pontefice Clemente XII; insieme a lui, altri colti eruditi come Orsi,

Lami e Bottari favoriscono la maturazione di una linea rigorista e severa, in continuità con una tradizione cinquecentesca, che influì anche nelle realizzazioni architettoniche di quel periodo. Tra gli altri insigni committenti si può ricordare il cardinale Renato Imperiali (1651-1737), attivo nell’intero Stato pontificio, come testimonia l’Album dei numerosi disegni di opere d’architettura, prevalentemente a carattere pubblico (magazzini per il sale, torri, ponti, bagni, acquedotti, fontane, porto e canale ecc.), previste e realizzate in numerosi centri dello Stato pontificio (Civitavecchia, Fano, Nocera Umbra, Comacchio, Ferrara, Velletri,

Vetralla, Nepi).

Esempi e architetti

Tra gli architetti, interpreti significativi dell’architettura dell’Arcadia attivi a

Roma, si possono annoverare: (1638-1714, principe dell’Accademia di

San Luca e membro dell’Accademia dell’Arcadia con il nome di Olmano Falesio),

Antonio Valeri (1648-1736), Carlo Buratti (1651-1734), Filippo Barigioni

(1672-1753), Alessandro Galilei (1691-1737), Ferdinando Fuga (1699-1782), Nicola

Salvi (1697-1751), Luigi Vanvitelli (1700-1773, membro dell’Arcadia con il nome di

Archimede Fidiaco), (1702-1786), Paolo Posi (1708-1776).

Tra le opere più significative che si possono annoverare come esempi di questa poetica architettonica si segnalano: definizione del palazzo di Montecitorio con piazza e obelisco a Roma (C. Fontana, 1694-1697); complesso del San Michele a Ripa,

Roma (C. Fontana, F. Fuga, N. Michetti, 1701-1790); modello per la sagrestia di San

Pietro (A. Valeri, 1715); facciata del duomo di Albano (C. Buratti, 1721); complesso del Bambin Gesù (C. Buratti, 1730); facciata della basilica di San Giovanni in

Laterano (A. Galilei, 1732), il cui concorso romano è significativo soprattutto in relazione al dibattito progettuale svoltosi per l’assegnazione del premio vincitore; palazzo della Consulta a Roma (F. Fuga, 1732-1758); architettura degli interni per l’allestimento del Museo Capitolino a Roma (F. Barigioni, 1732-1734); Albergo dei

Poveri a Napoli (F. Fuga, 1750-1759); palazzi priorali di Velletri (F. Barigioni,

1717-1729) e di Vetralla (F. Barigioni, iniziato nel 1731); complesso dei bagni di

Nocera Umbra (F. Barigioni e , 1717-1729); livellazione delle acque di Benevento (C. Buratti, dopo il 1703).

Tali opere, tendenzialmente pubbliche, mettono a punto i temi architettonici nei quali si esplicita il ricercato, voluto, allontanamento dalla formatività barocca, concretizzando un palese ritorno a forme dalle geometrie semplificate, lineari e comprensibili, atte a mettere a punto organismi necessari, comodi, funzionali, utili, in cui formalmente viene esplicitato un ritorno alle forme cinquecentesche anche attraverso l’uso dell’ordine architettonico, quasi sempre gigante, e utilizzato per lo più come paraste, lesene o addirittura come semplici fasce. Le facciate sono severe – negli edifici religiosi e nei palazzi – scandite da ordinate e semplificate bucature senza aggettivazioni decorative di particolare elaborazione formale. Le planimetrie sono impostate su matrici circolari o quadrate riconosciute più valide rispetto alle forme ovali, denigrate da Fontana come “aborti che tolgono le perfette disposizioni”. Diversamente egli riconoscerà “forme geniali e più proprie, il Quadrato o Parallelogramma, che convengono alla buona dispensazione delle Parti, secondo le vere Regole Architettoniche”. Tali elementi progettuali volgono verso un’estetica semplificatrice in cui il “buon gusto” è raggiunto con la sobrietà delle forme e una maggiore razionalizzazione distributiva e funzionale degli organismi architettonici.

Bibliografia

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1971, pp. 1-17; Binni W., Il Settecento letterario. La letteratura nell’epoca arcadico-razionalista, in Storia della letteratura italiana, VI, Milano, 1968;

Fontana C., Il Tempio Vaticano e sua origine, Roma, 1694; Fontana C., Discorso sopra l’antico Monte Citatorio, Roma, 1694, e riedizione 1708; Gambardella A.,

Architettura e committenza nello Stato Pontificio tra Barocco e rococò. Un

Amministratore illuminato: Giuseppe Renato Imperiali, Napoli, 1979; Venturi F., Gli anni trenta del Settecento, in Miscellanea in onore di Walter Maturi, Torino 1966, pp. 85-153.