BELLEZZA, ARMONIA, COMPLESSITÀ. Per Un’Interpretazione Di Carlo Michelstaedter

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BELLEZZA, ARMONIA, COMPLESSITÀ. Per Un’Interpretazione Di Carlo Michelstaedter UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI DOTTORATO DI RICERCA IN: ITALIANISTICA. LA LETTERATURA TRA AMBITI STORICO- GEOGRAFICI E INTERFERENZE DISCIPLINARI (XII CICLO) Coordinatore: Ch.mo Prof.re SEBASTIANO MARTELLI BELLEZZA, ARMONIA, COMPLESSITÀ. Per un’interpretazione di Carlo Michelstaedter Tutor: Dottoranda: Ch.ma Prof.ssa LAURA PAOLINO VALENTINA MASCIA Co-tutor: Prof.ssa DANIELA CALABRÒ ANNO ACCADEMICO 2012-2013 INDICE PREMESSA p. 5 CAPITOLO PRIMO L’ECO DEL PERSUASO: TRA ATTUALITÀ E INATTUALITÀ 1. Intrecci estetici: Carlo Michelstaedter e gli intellettuali del tempo p. 11 2. Carlo Michelstaedter e il crocevia classico-avanguardista p. 42 3. Consonanze. Beethoven e Wagner: l’elogio della persuasione p. 65 CAPITOLO SECONDO BELLEZZA 1. «Visione» e «meraviglia» p. 84 2. Neikos e philia: la rivoluzione michelstaedteriana del “quotidiano” p. 105 3. «…e l’infinita vanità del tutto». Michelstaedter e Leopardi p. 115 4. Virtù eroiche e «necessità coreutica»: tra Ibsen e Sofocle p. 136 CAPITOLO TERZO ARMONIA 1. Mito e logos p. 155 2. La costituzione «Uno-Tutto» p. 182 3. Sapienza, felicità, mistero p. 199 2 4. Specchi armonici: la leggerezza. Un confronto con Italo Calvino p. 212 CAPITOLO QUARTO COMPLESSITÀ 1. Il nesso volontà-potenza ne La persuasione e la rettorica p. 223 2. L’iperbole s-piegata: ‘giustizia’ e ‘sicurezza’ p. 238 3. La costante della rettorica: la violenza p. 249 APPENDICE ICONOGRAFICA p. 259 BIBLIOGRAFIA p. 281 3 Si ringraziano il Direttore della Biblioteca Statale Isontina, Dottor Marco Menato e la Responsabile del Fondo Carlo Michelstaedter della medesima Biblioteca, Dottoressa Antonella Gallarotti, per la squisita disponibilità dimostratami in occasione delle mie ricerche svolte nel corso della stesura di questa tesi di dottorato e per avermi consentito la riproduzione delle tele e dei disegni michelstaedteriani presenti nell’Appendice iconografica di questo lavoro. 4 Premessa Il fine che ci siamo proposti in questa tesi è stato quello di effettuare un’analisi ermeneutica degli scritti michelstaedteriani, a partire da tre grandi nuclei teorici che, a nostro avviso, costituiscono l’impianto del suo pensiero: bellezza, armonia, complessità. Come metteremo in luce nel corso dell’elaborazione di questo lavoro, i tre plessi tematici poc’anzi richiamati si articolano, simultaneamente, in una pars destruens e in una pars costruens. Nella pars destruens, Carlo Michelstaedter problematizza le categorie attorno a cui ruotano, in particolare, i concetti di “bellezza” e di “armonia”, dimostrando che alla base di essi non vi è un sistema concettuale classico, ma un dinamismo teoretico non lineare. Ecco perché nella pars costruens, Michelstaedter farà in modo che la filosofia della “persuasione”, da lui elaborata tra il 1909 e il 1910, non resti una pura teoresi, ma trovi una giusta collocazione all’interno della praxis e, in particolar modo, nell’idea che la dimensione del quotidiano si annoda carsicamente con la dimensione artistica, senza mai separarsene. Se volessimo fornire un quadro sinottico del lavoro, dovremmo senz’altro partire da una parola-chiave, da cui nasce e si sviluppa l’intero organico: intrecci. Ecco allora la presenza intrecciata di “due Michelstaedter”: l’uno che si rivela, attraverso l’Epistolario e i Taccuini, nella sua straordinaria sensibilità e quotidianità e l’altro, invece, che si annuncia come profeta e lottatore del suo Zeitgeist, come si evince da La persuasione e la rettorica e Il dialogo della salute. Ovviamente, l’obiettivo di questo lavoro non mira alla ricostruzione della vita e dell’opera del Goriziano in una prospettiva logico-cronologica unificatrice dei “due” Michelstaedter; ciò che piuttosto preme affermare e tematizzare è invece una sorta di “movimento” 5 oscillatorio in cui, come già accennato poc’anzi, “quotidianità” e “opera” non sono mai distinte, ma sempre fortemente interconnesse. Sin dal primo capitolo, abbiamo cercato di rispondere all’esigenza storica del vasto orizzonte culturale mitteleuropeo di fine Ottocento, in cui è vissuto Carlo Michelstaedter; ciò ci consente di delineare al meglio la figura del giovane Carlo che si fa via via sempre più complessa e frastagliata, soprattutto quando, da Gorizia, nel 1905, egli giunge a Firenze. A contatto con l’Italia e con gli italiani, in Michelstaedter emergono due spinte contrapposte: l’amore (philia) per la bellezza – ravvisata nei paesaggi e nella cultura italiani – e l’acredine (neikos) – sempre più accentuata nei confronti degli intellettuali in voga del momento, come ad esempio Benedetto Croce. L’ostilità che Michelstaedter nutre per gli intellettuali nasce proprio in relazione all’amore e alla fiducia che Egli prova nei confronti della bellezza dell’esistenza. Se, infatti, la «comunella dei malvagi» mira volontariamente a interrompere il rapporto idilliaco uomo-natura e uomo-arte, riconducendo tutto a categorie e approssimazioni, il Goriziano con forza e con audacia, ma soprattutto con coraggio, dimostra che alla base dell’esistenza vi è la relazione triadica uomo-natura-arte. Tale relazione non è però frutto di una “correlazione valente”, come accade nella rettorica, ma è frutto di un’assoluta libertà, mai assoggettata agli “eventi”. Ecco perché l’azione intellettuale di Michelstaedter è di per sé rivoluzionaria: non solo per la prospettiva nuova e originale che Egli assume rispetto ai tradizionali problemi dell’esistenza di cui si fanno portavoce soprattutto gli intellettuali di inizio Novecento, ma anche perché, da giovane provinciale, ha scelto di obbedire alla Verità naturale delle cose, piuttosto che alla sua propria convenienza, costruita su basi sociali. Questo duro “attacco” allo Zeitgeist è amaramente pagato da Michelstaedter, sia perché in vita Egli è stato escluso dall’ambiente accademico fiorentino, sia perché, nel corso dei decenni – quindi dopo la 6 sua morte – il suo ricordo è stato legato perlopiù alla categoria dei “pensatori inattuali”. L’inattualità di Michelstaedter però, come si vedrà sin dal I capitolo di questa tesi, non corrisponde, alla mancanza di pensiero attuale. Al contrario. Il Goriziano, proprio per eccessiva consapevolezza del proprio periodo storico, decide di andare alla “ricerca” dell’errore che si è “installato” così profondamente nella propria cultura, tanto da intrappolarla nelle maglie della menzogna rettorica. Ecco perché, per riappropriarsi della dimensione dell’«autenticità», il primo passo compiuto da Michelstaedter è stato quello di richiamare a sé letterati (Dante, Petrarca, Eschilo, Sofocle, Ibsen, Mann), musicisti (Wagner e Beethoven), pittori (Leonardo da Vinci, Tintoretto) e filosofi (Eraclito, Parmenide, Empedocle, Platone, Socrate, Schopenhauer), Sulla scia di tutti questi artisti e pensatori, infatti, il Goriziano rafforza sempre di più la propria idea di fondo: la vita e l’arte non possono essere distinte. L’una si carica dell’energia dell’altra. Tuttavia, poiché entrambe poggiano le loro basi esistenziali sull’“opera”, ovvero sulla poiesis, esse sono investite dall’“urto tragico”. L’“urto tragico” è lo scontro che la vita ha con se stessa, nel momento in cui incontra le due dimensioni che, per comodità teoretica, chiameremo apollinea e dionisiaca. È a partire da quest’incontro/scontro che vi è un mutamento radicale dell’esistenza. «Vita» e «opera» si caricano, infatti, ora della loro chiarezza e della loro semplicità; ora della loro oscurità e complessità. Questo è uno dei motivi portanti della “persuasione” michelstaedteriana; motivi che riecheggiano pienamente nella lirica Il canto delle crisalidi dove ciò che emerge è la figura chiasmatica che ricuce l’orditura dell’esistenza nella piena complicità tra “vita” e “morte”. 7 Questa assoluta complicità tra i due lati dell’esistenza – lati che sono stati sempre separati dalla “rettorica”, per non confondere, e quindi mettere insieme, il lato chiaro e cristallino della vita con quello oscuro e confuso della morte – ci porta a svelare il reale motivo per cui, da un certo punto in avanti, Michelstaedter inizia a delegittimare il linguaggio rettorico. Anche il logos, così come l’esistenza, è stato svuotato di senso nel momento in cui esso “ha servito” il sistema. Questo punto è fondamentale perché dimostra che anche il logos, come la “vita” e l’“opera”, poggia le proprie basi sulla totalità; anche nel linguaggio, infatti, c’è una “zona d’ombra” da rischiarare attraverso la “ricerca”. Questa “zona d’ombra” si svela attraverso la realtà mitica. È attraverso il mito, infatti, che l’uomo, riappropriandosi della materia oscura e ineluttabile – che gli è stata sottratta alla consapevolezza nel momento in cui si è asservito al sistema – riesce finalmente a ricongiungersi con la dimensione dell’«autenticità». Così, i continui riferimenti di Michelstaedter ad Orfeo, Antigone, Elettra, Edipo non sono affatto casuali; esattamente come questi eroi, anche l’uomo deve rispondere agli echi che giungono da sotto le viscere della terra. Ma tali echi non “incatenano” affatto alla terra. Al contrario. Questi echi mitici fanno librare l’uomo “in volo” e, come la fiamma eraclitea che purifica dal “peso” del logos, gli permettono di ascendere verso “la leggerezza” essenziale – quel tipo di leggerezza di cui si avvale anche Calvino nelle sue Lezioni americane. Tuttavia – e sta qui il vero lato tragico dell’esistenza – l’incontro con la Verità, dunque, la «permanenza» presso la dimensione della leggerezza, tende a sfumare nel momento stesso in cui l’uomo lega quell’“esperienza divina” al tratto dell’umanità. Nell’atto
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