i s e a P e d i t t e p s A i l l e D elli Aspetti de Paesi Vecchi e nuovi Media per l’Immagine del Paesaggio Old and New Media for the Image of the Landscape

Tomo primo Costruzione, descrizione, identità storica Construction, Description, Historical Identity

a cura di Annunziata Berrino, Alfredo Buccaro

CIRICE

Delli Aspetti de Paesi Vecchi e nuovi Media per l’Immagine del Paesaggio Old and New Media for the Image of the Landscape

TOMO PRIMO Costruzione, descrizione, identità storica Construction, Description, Historical Identity

a cura di Annunziata Berrino e Alfredo Buccaro

CIRICE e-book edito da CIRICE - Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Iconografia della Città Europea Università degli Studi di Napoli Federico II 80134 - Napoli, via Monteoliveto 3 www.iconografiacittaeuropea.unina.it - [email protected]

Collana Storia e iconografia dell’architettura, delle città e dei siti europei, 1 Direttore Alfredo BUCCARO

Comitato scientifico internazionale Aldo AVETA Brigitte MARIN Gemma BELLI Bianca Gioia MARINO Annunziata BERRINO Juan Manuel MONTERROSO MONTERO Gilles BERTRAND Roberto PARISI Alfredo BUCCARO Maria Ines PASCARIELLO Francesca CAPANO Valentina RUSSO Alessandro CASTAGNARO Daniela STROFFOLINO Salvatore DI LIELLO Carlo TOSCO Antonella DI LUGGO Carlo Maria TRAVAGLINI Leonardo DI MAURO Carlo VECCE Michael JAKOB Massimo VISONE Paolo MACRY Ornella ZERLENGA Andrea MAGLIO Guido ZUCCONI Fabio MANGONE

Delli Aspetti de Paesi Vecchi e nuovi Media per l’Immagine del Paesaggio / Old and New Media for the Image of the Landscape Tomo I - Costruzione, descrizione, identità storica / Construction, Description, Historical Identity a cura di Annunziata BERRINO e Alfredo BUCCARO

© 2016 by CIRICE ISBN 978-88-99930-00-4

Si ringraziano Università degli Studi di Napoli Federico II - Dipartimento di Architettura, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale, Dipartimento di Studi Umanistici, Scuola di Specializzazione per i Beni Architettonici e del Paesaggio, Institut Universitaire de France, Seconda Università degli Studi di Napoli, Università degli Studi del Molise, Consiglio Nazionale delle Ricerche - Ist. Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo, Ist. Tecnologie della Costruzione, Fondazione Ordine Ingegneri Napoli, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Napoli, Associazione Italiana Ingegneri e Architetti Italiani, Associazione eikonocity, Unione Italiana Disegno. Si ringraziano inoltre Marco de Napoli e Nunzia Iannone.

Contributi e saggi pubblicati in questo volume sono stati valutati preventivamente secondo il criterio internazionale della Double-blind Peer Review. I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. L’editore è a disposizione degli aventi diritto per eventuali riproduzioni tratte da fonti non identificate. Indice

TOMO PRIMO Costruzione, descrizione, identità storica Construction, Description, Historical Identity

a cura di Annunziata Berrino e Alfredo Buccaro

Introduzione Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione History and Media of Landascape Iconography: some reflections Alfredo Buccaro

Parte I / Part 1 La costruzione storica dell’immagine del paesaggio urbano e rurale tra architettura, città e natura The historical construction of the image of urban and rural landscapes among architecture, city and nature

Il paesaggio come memoria di viaggio. Gli architetti scandinavi e il mito del paesaggio italiano nel primo Novecento The landscape as a travel memory. Scandinavian architects and the myth of the Italian landscape in the early twentieth century Fabio Mangone

Città e paesaggi dell’Antico Cities and landscapes of the Ancient theme

Paesaggi dell’Antico in età medievale e moderna: l’exemplum flegreo Antique landscapes in the Middle and Modern Age: the phlegraean exemplum Salvatore Di Liello

Segni di Roma antica per le scelte di regime a Napoli. Le scoperte archeologiche alla Mostra d’Oltremare Signs of ancient Rome for the regime choices in Naples. The archaeological discoveries in the Mostra d’Oltremare Francesca Capano

Contributi / Papers

Cuma, polis insulare Cuma, insular polis Lilia Pagano

Attualità dell’antico: una stanza archeologica per lo stretto di Messina The actuality of the ancient: an archeological room for the strait of Messina Giovanna Falzone

Lettura del sistema storico-ambientale della campagna romana: la struttura della forma fisica e il simbolismo interpretativo Reading historical and environmental systems of the Roman countryside: the structure of the physical shape and the interpretive symbolism Maria Grazia Cianci, Sara Colaceci

Il rudere e la città contemporanea. Comprensione, tutela e valorizzazione delle aree archeologiche urbane: il caso romano The ruin and the contemporary city: understanding, protection and promotion of urban archaeological sites - the case of Rome Anna Rutiloni

Archeologia e paesaggio nella Villa del Casale di Piazza Armerina. La costruzione di un’identità territoriale Archaeology and landscape in the Roman Villa at Casale, near Piazza Armerina, Sicily: the construction of a territorial identity Maria Rosaria Vitale, Fausto Carmelo Nigrelli, Giulia Di Dio Balsamo

La formazione dei villaggi rurali in Libia (1933-1940). Aspetti architettonici e urbanistici dei centri urbani fra preesistenze classiche ed orientamenti moderni The formation of rural villages in Libya (1933-1940): architectural and planning aspects of urban centers, from classic pre-existence to modern guidelines Marco de Napoli

Una storia nascosta: il paesaggio di Iasos A hidden history: the landscape of Iasos Lucia Cianciulli, Paola Orlando, Raffaella Pierobon Benoit

Siracusa nelle descrizioni dei viaggiatori tra il XVIII e il XIX secolo Syracuse in the descriptions of 18th and 19th century travellers Giancarlo Germanà Bozza

I porti del Mediterraneo nel diario di viaggio di Konrad Grünenberg (1487) Mediterranean ports in Konrad Grünenberg’s travel’s diary (1487) Danila Jacazzi

Da Akrágas a Girgenti. Architettura e paesaggio nelle descrizioni e nell’iconografia della “città dei templi” fra Settecento e Ottocento From Akrágas to Girgenti: architecture and landscape in descriptions and drawings of the “città dei templi” in the 18th and 19th centuries Maria Sofia Di Fede

Vetus adversus novum: la antigüedad clásica como piedra angular de la iconografía de las ciudades gallegas Vetus adversus novum: classical antiquity as an essential element in the iconography of Galician cities Ana E. Goy Diz

La tomba di Terone ad Agrigento nei disegni degli allievi dell’École des Beaux-Arts The tomb of Theron in Agrigento in the drawings of the students of the École des Beaux-Arts Giuseppe Antista, Vincenza Garofalo

Il racconto di Pompei nel ‘Monitore’ The Pompeii story in the ‘Monitore’ Giovanna Formisano

La percezione dell’architettura antica di Roma nell’opera italiana di Jean-Baptiste-Camille Corot The experience of ancient Roman architecture in Jean-Baptiste Camille Corot’s Italian works Anna Ciotta

La collezione dei disegni romani di James Gibbs: spazialità e temporalità dell’antico nelle rappresentazioni di alcuni artisti del Settecento James Gibbs’ Roman drawing collection: spatiality and temporality of antiquity in illustrations by 18th century artists Barbara Tetti

Roma nel diario di viaggio di Alessandro Galilei Rome in the travel diary of Alessandro Galilei Rosa Maria Giusto

José de Hermosilla y Sandoval (1715-1776). Lo studio dell’antico e la costruzione della Madrid borbonica al tempo di Carlo III: il progetto del paseo del Prado José de Hermosilla y Sandoval (1715-1776): the study of the ancient and the development of Bourbon Madrid in the time of Charles III - the design of the Paseo del Prado Andrea Giovannini

Vedute e piante come fonte per lo studio della topografia della città antica: il caso di Velletri Views and plans as a source for the study of urban ancient topography: the case of Velletri Cristiano Mengarelli

Il tema dell’antico nell’opera di Alessandro Baratta e la ritrovata Cavalcata del 1632 The theme of the ancient in the work of Alessandro Baratta, and the discovery of the Cavalcata of 1632 Paola Carla Verde

Ritratti di fabbriche. Il paesaggio della produzione nell'iconografia urbana dell’Europa moderna e contemporanea Factory Portraits. Production landscapes and urban iconography in modern and contemporary Europe

Iconografia e paesaggi del lavoro. Riflessioni e prospettive di ricerca Iconography and landscapes of the Work. Reflections and research perspectives Roberto Parisi

Fonti di ricerca per la storia del paesaggio in Italia alle soglie dell’età contemporanea Research sources for the Landscape history in the early Contemporary Italy Massimo Visone

Contributi / Papers

Fonti iconografiche per il Real Sito di San Leucio Iconographic sources for the Royal Site of San Leucio Riccardo Serraglio

La terra dei mulini: riscoperta della macina nell’Alta Padovana The land of watermills: rediscovery of the mill in Alta Padovana Ivan Buonanno

Le cartiere del Liri The paper-mills of the Liri Stefano Manlio Mancini

La trasformazione del paesaggio da rurale a minerario: il caso del comune di Narcao nella Sardegna sud- occidentale The transformation from rural to mining landscape: the case of the Municipality of Narcao in south-western Sardinia Annalisa Carta

Rappresentare il sottosuolo: il fondo fotografico della miniera di Monteponi Representing the subsurface: the photographic archive of the Monteponi mine site Eleonora Todde

Pescara tra Ottocento e Novecento: da paesaggio agrario a paesaggio antropizzato Pescara from the 1800’s to 1900’s: from agricultural to man-made landscape Adele Fiadino La costruzione del paesaggio delle strade ferrate: uno strumento di conoscenza del Piemonte negli anni pre e postunitari The construction of the railway landscape: an instrument for knowledge of Piedmont in the second half of the 19th century Beatrice Maria Fracchia

L’arte della fabbrica tra idealità e pragmatismo nell’opera grafica di Guido Balsamo Stella The art of the factory: between idealism and pragmatism in the graphic work of Guido Balsamo Stella Francesca Castanò

Un grande collage: fotografie del paesaggio urbano milanese e della cultura politecnica nei primi decenni del XX secolo A great mosaic: photos of Milan’s urban landscape and technical culture in the early decades of the twentieth century Maria Antonietta Breda

La collina di Posillipo tra il 1950 e il 1965 nel fondo Lavori Pubblici Calcoli di cemento armato dell’Archivio di Stato di Napoli The hill of Posillipo between 1950 and 1965, in the font of “Public Works reinforced concrete calculations” of the State Archives of Naples Alessandra Veropalumbo

La rappresentazione come scenario di progetto. Il caso di Li Han Representation for new scenarios: the work of Li Han Paola Galante

“Animals”. La trasformazione di spazi post-industriali “Animals”: the transformation of post-industrial spaces Massimo Triches, Stefano Tornieri

Sources for the study of the iconography of the Cathedral of : an international project Miguel Taín Guzmán

Santiago de Compostela beyond its shrine: the images of its monasteries and convents in the Spanish illustrated press of the 19th century Paula Pita-Galán

Il racconto del paesaggio europeo nella fotografia del Novecento A depiction of European landscape through the 20th century photography

Fotografia e paesaggio: un campo d’indagine Photography and Landscape: a field of investigation Andrea Maglio

Il racconto del paesaggio europeo nella fotografia del Novecento: temi e luoghi The description of the European Landscape in the Twentieth century Photography: topics and places Gemma Belli

Contributi / Papers

Grabado en la memoria. Fotografia, paisaje y prensa, instrumentos para la construcción de la identidad de una comunidad de emigrantes Printed in memory. Photography, landscape and press, instruments for the construction of the identity of an emigrant comunity Juan Manuel Monterroso Montero

Incanto del mare in tempesta e di rocce curiose: reminiscenze del sublime nel paesaggio naturalistico europeo nelle cartoline di inizio Novecento The fascination of stormy seas and curious rocks: the revival of the “sublime” in European natural landscapes, in postcards of the early 20th century Ewa Kawamura Funciones e iconografia urbana: Baiona, de ciudad histórica a destino turístico. Fuentes para la consolidación de una imagen Functions and urban iconography: Baiona from historic villa to tourist destination – sources for the consolidation of an image Begoña Fernández Rodríguez

Gli occhi dell’architetto. Il viaggio al Nord tra primo e secondo dopoguerra Architects’ eyes. Travel to North between First and Second post World War periods Saverio Sturm

La fotografia di paesaggio tra Germania e Italia dal 1925 al 1945 nell’opera di Albert Renger-Patzsch e Roberto Pane The landscape photography between Germany and Italy from 1925 to 1945 in the work of Alber Renger-Patzsch and Roberto Pane Florian Castiglione

Dall’“albero della Cuccagna” all’“albero della Vita”: un’icona e le sue rappresentazioni nel paesaggio delle città storiche. L’effimero e il permanente nel panorama delle grandi esposizioni universali tra XIX e XXI secolo From “Tree of Abundance” to “Tree of Life”: an icon and its representations in the landscape of historical cities - the ephemeral and the permanent in the panorama of the great universal exhibitions between 19th and 21st centuries Nunzia Iannone

Iconografia urbana e fotografia tridimensionale: l’archivio di Pier Luigi Pretti (1868-1934) Urban iconography and three-dimensional photography: the Pier Luigi Pretti archive (1868-1934) Gaia Salvatori

La conquista della realtà: fotografia e urbanistica in Italia tra ricostruzione e crisi energetiche (1945-1979) The conquest of reality: photography and urban planning in Italy between post-war reconstruction and energy crises (1945-1979) Gerardo Doti

Fotografia, urbanistica e (re-)invenzione del paesaggio “ordinario” nell’Italia del secondo dopoguerra Photography, City Planning, and the (Re-)Invention of “Ordinary” Landscapes in Post-War Italy Antonello Frongia

La costruzione del paesaggio umbro The construction of the Umbrian landscape Fabio Bianconi

La rappresentazione fotografica delle tradizioni costruttive della Murgia dei trulli The photographic representation of the building traditions of the Murgia dei trulli Angelo Maggi

La trasformazione del panorama urbano di Chieti alla fine del XIX secolo: il palazzo Mezzanotte The transformation of the urban landscape of Chieti in the late nineteenth century: the Mezzanotte palace Claudio Mazzanti

Il mutamento nell’obiettivo Changing of perspective Alessia Maiolatesi

Paolo Monti e l’architettura contemporanea: “Scatti d’autore in Campania” Paolo Monti and contemporary architecture: “signature shoots in Campania” Barbara Bertoli

Un altro sguardo: Federico Patellani (1911-1977) e la Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare Another view: Federico Patellani (1911-1977) and the Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare Gemma Belli

Lo sviluppo urbanistico della città di Napoli attraverso le immagini del Secondo dopoguerra The urban development of the city in the post-war images of Naples Sandra Sangermano Da utopia a inferno. Scampia attraverso la fotografia contemporanea From utopia to hell: Scampia, through contemporary photography Chiara Ingrosso

Napoli nel Novecento, retrospettiva sul corso Vittorio Emanuele Naples: a retrospective view of Corso Vittorio Emanuele Marco Carusone

Architettura del paesaggio: la Villa Comunale di Napoli tra mutamenti e conservazione Landscape architecture: the Villa Comunale in Naples - between change and conservation Roberto Vigliotti

Il contributo dell’archivio De Rienzo per l’analisi dell’evoluzione del paesaggio beneventano The contribution of the De Rienzo archive to analysis of the evolution of the Benevento landscape Carlo De Cristofaro

Il paesaggio nella cinematografia documentaria, amatoriale e d’autore The landscape in the documentary, amateur and art cinematography

Architettura e Paesaggio. Nuovi strumenti di lettura per la storiografia: la cinematografia The landscape in amateur and author documentary Alessandro Castagnaro

Contributi / Papers

Spazio urbano e cinematografia. Quando lo sfondo scenografico diventa soggetto protagonista Urban space and cinematography: when scenography becomes protagonist Francesco Zecchino

Il paesaggio rurale dal ventennio fascista al secondo dopoguerra. Cortometraggi, pellicole e cine-ambulanti The rural landscape from the Fascist period to the second post-war: Short films, films and itinerant cinemas Maria Rossana Caniglia

L'armonia perduta di Napoli città di mare nel racconto cinematografico tra le due Guerre Mondiali The “lost harmony” of Naples as a seaside town in the cinematographic narrative between the world wars Massimo Clemente

La propaganda del regime a Trento The propaganda of regime in Trento Marco Della Rocca

Dal cinema all’architettura: il paesaggio urbano e rurale nel cinema e nel documentario italiano del dopoguerra From movies to architecture: urban and rural landscape in Italian post-war feature films and documentaries Andrea Maglio

Paesaggi urbani e rurali nel cinema di Francesco Rosi Urban and rural landscapes in the cinema of Francesco Rosi Andrea Pane

Gela antica e nuova. Parole e immagini per un paesaggio industriale “Gela antica e nuova”: words and pictures for an industrial landscape Paola Barbera

Nuovi orizzonti. Costruzione e rappresentazione del paesaggio costruito nella Iugoslavia del secondo dopoguerra Zagreb and its horizons: construction and representation of urban landscape between the 1950s and 1970s Ines Tolic Dal «critofilm» all’«ambiente»: il cinema di Carlo Ludovico Ragghianti e Roberto Pane come strumento di lettura e tutela dell’architettura e del paesaggio From «critofilm» to «environment»: Carlo Ludovico Ragghianti and Roberto Pane’s cinema as a mean of interpreting and protecting architecture and landscape Giovanna Russo Krauss

L’iconografia del paesaggio agrario: uno strumento di conoscenza e tutela del territorio attraverso i secoli The iconography of the agricultural landscape: an instrument to know and preserve the territory throughout the centuries

Dal paesaggio agrario all’agricoltura paesaggistica: uno strumento di conoscenza e tutela del territorio attraverso i secoli From the agricultural landscape to the architecture landscape: a knowledge tool and protection of the territory over the centuries Daniela Stroffolino

Contributi / Papers

Il paesaggio agrario secondo Emilio Sereni The agricultural landscape according to Emilio Sereni Gabriella Bonini

Le “Illustrazioni di storia agraria” della Biblioteca Archivio Emilio Sereni di Gattatico: l’immagine come espressione storica del paesaggio “Illustrations of agrarian history", in the Emilio Sereni Library Archives: the image as historical expression of landscape Margherita Parrilli

L’immagine del paesaggio agrario italiano nelle mostre d’arte e architettura vernacolari del primo Novecento: modelli narrativi a confronto per il racconto di una nuova modernità Italian agricultural landscape image in early 1900s vernacular art and architecture exhibitions: different narrative models to communicate a new idea of modernity Ilaria Pontillo

La Sicilia rurale del Ventennio: un racconto in bianco e nero Rural Sicily of the Fascist period: a story in black and white Enza Emanuela Esposito, Marilena Di Prima

La riforma fondiaria e le modificazioni territoriali attraverso le fonti visive: il caso Metapontino Land Reform and territorial changes as seen through audiovisual sources: the case of Metapontino, Italy Eleonora Cesareo

La bassa valle del Tronto tra XIX e XX secolo: le trasformazioni al contesto rurale nei documenti d’archivio e nelle fotografie del Consorzio di Bonifica The lower Tronto river valley in the 19th and 20th centuries: rural environmental transformations as depicted in archival documents and the photography of Consorzio di Bonifica Enrica Petrucci, Francesco Di Lorenzo

Il canale Cavour e le risaie: iconografia del paesaggio risicolo piemontese in trasformazione The Cavour canal and paddies: the iconography of the Piedmont rice landscape during its transformation Marta Banino, Francesca Matrone

L’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme e il paesaggio agrario The Order of Saint John of Jerusalem and the agricultural landscape Valentina Burgassi

La memoria del paesaggio attraverso uno strumento di misura e stima: i cabrei dell’Ordine Mauriziano The memory of an agrarian landscape through a specific survey document: the “cabrei” of the Ordine Mauriziano Chiara Devoti, Cristina Scalon La Nouvelle Maison Rustique: un manuale di agronomia riccamente illustrato “La Nouvelle Maison Rustique”: a richly illustrated manual of agronomy Marianna Castaldo

“Un magnifico parco tutto coltivo, della massima e più squisita fruttificazione”. Efficienza produttiva e qualità estetica nella costruzione del paesaggio lombardo all’inizio dell’Ottocento: il caso di Velate in Lombardia “A magnificent park all cultivated, of the highest and most exquisite fruiting." Farm production efficiency and aesthetic value in landscape design at the beginning of Nineteenth century: the case study of Velate in Lombardia Marica Forni

Il paesaggio agrario del Vallo di Diano in età moderna The rural landscape of the Diano Valley, seen in the modern era Rosa Carafa

Il paesaggio agrario di Montella attraverso l’iconografia del XVIII secolo The agricultural landscape of Montella in 18th century iconography Fiorentino Alaia, Sabina Porfido, Efisio Spiga

La sostenibilità del paesaggio agrario tra immagine e recupero The agricultural landscape: sustainability between image and revival Marina Fumo, Gigliola Ausiello, Roberto Castelluccio, Mariangela Buanne

APURLEC. Un paesaggio agricolo pre-incaico modellato per il controllo della distribuzione idrica nella Costa Nord del Perù APURLEC: A pre-Inca agricultural landscape in the Peruvian North Coast, modelled for management of water distribution Maria Ilaria Pannaccione Apa, Maria Rosaria Santovito, Giulia Pica, Carlos Wester La Torre, Marco Antonio Fernandez Manayalle, Francesco Longo, Claudia Facchinetti, Roberto Formaro, Ilaria Catapano, Gianfranco Fornaro, Riccardo Lanari, Francesco Soldovieri

Parte II / Part 2 Descrivere, narrare e comunicare il paesaggio Describing, narrating and communicating the landscape

Descrivere, narrare e comunicare il paesaggio in età moderna Describing, narrating and communicating the landscape in the modern Age

Contributi / Papers

Alla ricerca del medioevo lombardo: il viaggio-studio di Walter Leopold in Sicilia orientale In search of the Lombard Medieval: the study trip of Walter Leopold in eastern Sicily Francesca Passalacqua

“Voi che legette non vedete cosa alcuna”: il paesaggio nel diario di viaggio di Giovanni da San Foca (1536) “You, dear reader, can see nothing”: landscape in the travel diary of Giovanni da San Foca (1536) Elena Svalduz

L’iter neapolitanum di Hieronymus Turler. Un viaggio tra mito e modernità The iter neapolitanum of Hieronymus Turler. A journey between myth and modernity Silvia Gaiga

Rappresentazione del paesaggio in Gherardo Cibo, tra intuizioni leonardesche e fiamminghe e riproducibilità scientifica Landscape representation in Gherardo Cibo: from the intitution of Leonardo and the Flemish, to scientific reproducibility Micaela Mander

Da Norcia a Cassino: viaggio e permanenza di san Benedetto negli affreschi napoletani dello Zingaro From Norcia to Cassino: the journey and stopping points of St. Benedict, in the Neapolitan Frescoes of Lo Zingaro Giuliana Ricciardi La geografia antropica delle tre province pugliesi nelle Descrizioni del Regno di Napoli (dal XVI al XVIII secolo) Antrhopogeography of the three apulian provinces by the Descrizioni of the Reign of Naples (16th-18th century) Oronzo Brunetti

La rappresentazione delle città come espressione di comunità civica e l’importanza di un territorio costiero. Catania e Cadice attraverso il “Civitates Orbis Terrarum” The representation of cities as an expression of a civic community, and the importance of coastal settlements: Catania and Cadiz through the “Civitates Orbis Terrarum” Marina Camino Carrasco

“Plan et veue de Mazzara”. Un modello descrittivo per la rappresentazione del paesaggio tra misura e percezione “Plan et veue de Mazzara”: a descriptive model for the representation of landscape, between measurement and perception Giuseppe Scuderi

Iconografie dei viaggi cognitivi nei (para)testi del Settecento The iconography of cognitive journeys in the (para)texts of the 1700s Persida Lazarević Di Giacomo

Chinese Cultural Landscapes Diaspora in Modern Era in Europe: a Brief History Yapeng Ou

Quei diavolacci di Appennini… Dal Giogo al passo della Futa tra impervi paesaggi e luoghi malfamati Those hellish Apennines...: from Giogo to the Futa Pass - between a rock and a hard landscape Fabiana Susini

La descrizione di una provincia del Regno di Napoli, la Calabria Ultra, in una relazione di fine settecento The description of Calabria Ultra, a province of the Kingdom of Naples, in a report of late eighteenth century Ciro Romano

Conoscere, descrivere e studiare il paesaggio napoletano: il viaggio come esperienza cognitiva nei taccuini dell’architetto Rodolfo Vantini Know, describe and study the Neapolitan landscape: journey as cognitive experience through Rodolfo Vantini notebooks Elisa Sala

La ricezione di Firenze in Romola di George Eliot The perception of Florence in “Romola” by George Eliot Miriam Sette

Il viaggio di Ghiannis Ritsos in Italia tra antichità e modernità, tra bellezza e sensualità Yannis Ritsos’ journey to Italy: between ancient and modern, beauty and sensuality Amanda Skamagka

Il giardino sulla lava The “garden on lava” Eugenio Magnano di San Lio

Tra sublime e pittoresco: Vesuvio, icona del golfo di Napoli From sublime to picturesque: Vesuvius, icon of Naples Alessandra Cirafici, Manuela Piscitelli

Descrivere, narrare e comunicare il paesaggio in età contemporanea Describing, narrating and communicating the landscape in the contemporary Age

Descrivere, narrare e comunicare il paesaggio in età contemporanea Describing, narrating and communicating the landscape in the contemporary Age Annunziata Berrino

Contributi / Papers

Giuseppe Simelli e la sua dissertazione sull’utilità di una scuola di disegno nelle città secondarie (1813) Giuseppe Simelli and his dissertation on the usefulness of a school of drawing in the secondary towns (1813) Simonetta Ciranna

La cartografia creativa come rappresentazione e narrazione della memoria e dei cambiamenti del territorio e del paesaggio contemporaneo Creative cartography as representation and narration of memory, of territorial changes and contemporary landscape Marco Muscogiuri

Il fondo iconografico della Biblioteca comunale di Trento tra passato e futuro The iconographic collection of the Public Library of Trento from the past to the future Milena Bassoli

Città e paesaggi nuovi del Regno delle Due Sicilie nelle pagine del «Poliorama pittoresco»(1836-1860) Cities and new landscapes of the Kingdom of the Two Sicilies from the pages of Poliorama pittoresco (1836-1860) Giuseppe Pignatelli

La narrazione dei paesaggi nell’Italia post-unitaria: Sonzogno divulgatore Narration of the post-unitary Italian landscape: Sonzogno popularizer Martino Pavignano, Ursula Zich

Paesaggi e viaggi organizzati in Sicilia nelle riviste del Touring club italiano dal 1894 al secondo dopoguerra Landscapes and organized excursions in the pages of the Touring Club Italiano Magazine, from 1894 to the post- war period Isabella Frescura

Dispositivi narrativi e caratteri metastorici: per una riflessione sul paesaggio della nazione nel Regno d'Italia Narration and meta-history: a reflection on the landscape of “nation” in the Kingdom of Italy Giovanni Lombardi

Le strade alpine e la narrazione del paesaggio: i valichi dello Spluga e dello Stelvio in Lombardia nella prima metà dell’Ottocento Narration and meta-history: a reflection on the landscape of “nation” in the Kingdom of Italy Ornella Selvafolta

Ricognizioni topografico-militari dell’arco alpino negli anni della Grande Guerra Recovery of landscape: military reconnaissance surveying in the Alps, during the Great War Sara Isgrò

Mosca negli anni ‘30: da autonarrazione a soggetto narrato Moscow in the Thirties: from self-representation to narrativity Giulia Baselica

Ragionamenti e metodi per le ricostruzioni di Varsavia dopo il secondo conflitto mondiale Rationales and methods for the two reconstructions of post-war Warsaw Piotr Podemski Le politiche di sviluppo del secondo Novecento nel Mezzogiorno: programmazione economica e pianificazione territoriale in Molise Thematic maps for landscapes “in creation”: the narration of a future Molise in the mid-twentieth century Maddalena Chimisso

La réclame enologica e l’immagine del paesaggio italiano tra Ottocento e Novecento The wine label and the image of Italian landscape from the 19th to 20th centuries Manuel Vaquero Piñeiro

Sguardi su Capri. Moda e rappresentazioni di un’icona dell’immaginario contemporaneo Capri in the gaze of the viewer: fashion and the representation of an icon of contemporary imaginary Alessandra Cirafici, Ornella Cirillo

Il branding vesuviano: antropologia di un'estetica pop The “Vesuvius logo”: anthropology of a pop aesthetic Giovanni Gugg

Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento The “first viewing”: Galician landscape narrated by British travellers of the 19th century María Rivo Vázquez

Vittore Grubicy de Dragon e il paesaggio della Lombardia tra pittura, fotografia e impegno sociale Vittore Grubicy de Dragon and the Lombard landscape - painting, photography and social commitment Gianpaolo Angelini

Il paesaggio delle periferie di Milano nei romanzi italiani del secondo dopoguerra Landscape images of the outskirts of Milan in Italian novels set during World War II Augusto Ciuffetti

Torino. Borgo Po: le architetture, il fiume e la collina Turin: Borgo Po - the architecture, the river and the hill Annalisa Dameri, Alice Pozzati

Comunicare il paesaggio attraverso le carte internazionali. Dalla Word Heritage Convention Unesco alla Convenzione di Faro Communicating the landscape through international charters: from UNESCO Word Heritage Convention to the Faro Convention Cecilia Sodano

Il paesaggio culturale della laguna sipontina al Museo archeologico della Daunia The cultural landscape of sipontina lagoon to the National Archeological Museum Anita Guarnieri, Marisa Corrente

Representing the Invisible. Scenarios of the Underground Spaces Stefano Tornieri

Dov'è la Soft City ora? Where is the Soft City now? Niccolò Suraci

L’interazione digitale tra l’uomo e la sua città The digital interaction between man and his city Guglielmo Sandri Giachino

TOMO SECONDO Rappresentazione, memoria, conservazione Representation, Memory, Preservation

a cura di Francesca Capano, Maria Ines Pascariello e Massimo Visone

Brevi riflessioni sul paesaggio. Memoria, rappresentazione, conservazione Short thoughts on Landscape. Memory, representation, preservation Francesca Capano, Maria Ines Pascariello, Massimo Visone

Parte I / Part 1 Rappresentazione e comunicazione del paesaggio tra tradizione e innovazione The representation and the communication of the landscape between tradition and innovation

Rappresentazione e comunicazione del paesaggio tra tradizione e innovazione The representation and the communication of the landscape between tradition and innovation Antonella Di Luggo, Ornella Zerlenga, Maria Ines Pascariello

Punti di vista geometrici e culturali per il rilievo e la rappresentazione del paesaggio urbano Geometrical and cultural viewpoints for the urban landscape survey and representation

Contributi / Papers

Overlook Overlook Renata Guadalupi, Luigi Maisto

“Il teatro dal finestrino”. Letture percettive della città diffusa dal treno “Theatre from the window”: perceptive readings of urban sprawl from the train Fabio Colonnese

Forma, rappresentazione e luogo. Il racconto dell'immaginario urbano di Perugia fra figurazione e tendenziosità narrativa Form, representation and place: the story of the urban imaginary of Perugia between figuration and narrative bias Marco Filippucci

Modelli rappresentativi di città in “Il Regno di Napoli in Prospettiva” di Gio. Battista Pacichelli Representative models of cities in the Gio. Battista Pacichelli’s “Il Regno di Napoli in Prospettiva” Vincenzo Cirillo

Visioni di paesaggi fortificati: il Piemonte nella scena europea Visions of fortified landscapes: Piedmont in the European scene Anna Marotta Disegnare la città in “veduta”. Il manoscritto illustrato di Conrat Grünemberg Draw the city into “view”. Konrad Grünemberg’s illustrated manuscript Ornella Zerlenga

Il territorio e la città: uno studio sulle trasformazioni della geomorfologia dello spazio urbano Territory and city: transformations in the geomorphology of the urban space Laura Carlevaris, Vittorio Di Stefano, Giovanni Intra Sidola

Gli HGIS catastali strumenti di rappresentazione aumentata del paesaggio urbano. Il caso di Parma fra XVIII e XX secolo Cadastral HGIS tools for augmented representation of the urban landscape: 18th to 20th century Parma Andrea Zerbi

Castrum, quod Casinum dicitur, in excelsi montis latera situm est Michela Cigola, Arturo Gallozzi, Rodolfo Maria Strollo

Il rilievo integrato per la rappresentazione dei caratteri del paesaggio urbano. Il caso di Navelli e Civitaretenga (AQ) Integrated survey for the representation of urban landscape features: the case of Navelli and Civitaretenga (Aquila) Chiara Vernizzi

L'immagine della memoria: la rappresentazione di un frammento di paesaggio urbano sommerso Image and memory: representation of a fragment of “submerged” urban landscape Rita Valenti, Emanuela Paternò

Il rilievo meccatronico per i centri storici minori Mechatronic survey and recording for small historic towns Assunta Pelliccio, Erika Ottaviano, Pierluigi Rea

Rilevamento architettonico e urbano per documentare l’identità di un centro storico Urban and Architectural surveying for documentation of the identity of a historic town Pasquale Tunzi

Rilievo, modellazione e recupero dei borghi abbandonati Survey, modelling and recovery of abandoned villages Raffaele Catuogno, Daniela Palomba, Rosaria Palomba

Qualità visuali della città barocca salentina Visual qualities of the baroque town in Salento Gabriele Rossi

La rifondazione novecentesca della chiesa di San Giorgio a Bitonto. Una storia urbana The 20th century rebuilding of the Church of San Giorgio in Bitonto: an urban history Valentina Castagnolo, Maria Franchini

Il portale-campanile del monastero benedettino di Conversano. Un esempio di quinta scenica urbana The campanile-portal of the Benedictine Monastery of Conversano: an example of urban scenography Paolo Perfido

Rappresentazione e modellazione del territorio naturale e artefatto: piattaforme tecnologiche per la lettura e la comunicazione dei sistemi complessi Representing and shaping natural and artificial landscapes: technological platforms for the interpretation and the communication of complex systems

Contributi / Papers

Sistemi innovativi per la rappresentazione delle trasformazioni del costruito storico: la facciata del Duomo di Napoli Innovative systems for representation of transformation in the built heritage: the Cathedral of Naples façade Antonella di Luggo, Gabriella Di Dato Frontiere del rilievo urbano: i 3D city models, strumenti di rappresentazione e analisi della città Frontiers of urban survey: “3D city models”, tools for urban analysis and representation Donatella Bontempi

Un catalogo semantico per la conoscenza e la ricostruzione del paesaggio incompiuto. Il caso di San Leucio A semantic catalogue for knowledge and reconstruction of an unfinished landscape: a case study of San Leucio Massimiliano Campi, Valeria Cera, Elisa Mariarosaria Farella, Domenico Iovane

Acquisire e comunicare attraverso la fotografia Acquiring and communicating information through photography Margherita Pulcrano, Simona Scandurra

Da Canova a McCurry. La costruzione ideologica del paesaggio umbro From Canova to McCurry: the ideological construction of the Umbrian landscape Paolo Belardi

Le rappresentazioni del paesaggio tra immagini storiche e letture contemporanee Representations of the landscape: historical pictures and contemporary readings Caterina Palestini

Osservare, misurare e tradurre la complessità del territorio To observe, measure and translate the complexity of the territory Fatima Melis

Multimedialità e multimodalità nella rappresentazione del paesaggio Multimediality and multimodality in landscape representation Stefano Chiarenza

“Alpinescapes”: a Landscape Communication Experience Rossella Salerno, Daniele Villa

Metodi e linguaggi grafici per leggere, sistematizzare e comunicare sistemi complessi. Esperienze di lettura di complessi rurali Graphic methods and languages for the reading, organization and communication of complex systems: experiences in rural complexes Ivana Passamani

Architetture rurali sparse in Valsugana: una geografia umana tra tradizione e innovazione Rural buildings in the Valsugana: a human geography between tradition and innovation Giovanna A. Massari, Cristina Pellegatta, Fabio Luce

Trasformazioni del paesaggio dell’Alta Val Tanaro e gestione dati su piattaforma GIS Landscapes transformations of Upper Val Tanaro and data processing using a GIS platform Valentina Quitadamo

Dal rilievo alla divulgazione: metodologie integrate per la fruizione virtuale del territorio From survey to dissemination: integrated methodologies for the virtual use of the territory Mariangela Liuzzo, Sebastiano Giuliano

La città ricostruita: lo spazio virtuale a servizio della lettura dei tessuti urbani non più esistenti The city “reconstructed”: virtual space in the reading of vanished urban fabric Daniele Calisi, Maria Grazia Cianci, Francesca Geremia

Le fonti della storia e le nuove tecnologie: il Catasto Rabbini nell’ era delle ICT Historic sources and the new technologies: the "Catasto Rabbini" in the digital era Marilena Di Prima Parte II / Part 2 Temporalità dei paesaggi tra memoria e immagine Temporality of landscapes between memory and image

“Paesi” in mutamento. Interpretare le dinamiche di trasformazione per conservare il paesaggio “Paesi” in transformation. Interpreting changing dynamics to preserve the landscape

“Paesi” in mutamento. Interpretare le dinamiche di trasformazione per conservare il paesaggio “Paesi” in transformation. Interpreting changing dynamics to preserve the landscape Valentina Russo

Contributi / Papers

Restaurare il Paesaggio storico. Fonti, Memoria e Identità come strumento di ri-significazione nei contesti in via di abbandono. Alcuni casi in Campania Restoring the historic landscape: sources, memory and identity as a tool of re-signification for abandoned contexts - cases in Campania Renata Picone

Le miniere di zolfo in Irpinia. Riflessioni sulle trasformazioni di un paesaggio The sulphur mines of Irpinia: considerations on landscape transformation Serena Borea

Il territorio del Casalese e le sue trasformazioni The Casale Monferrato territory and its transformations Manuela Mattone

Un viaggio tra immagini e realtà: il paesaggio ferroviario della Torino-Ceres A journey of images and reality: the Torino-Ceres rail line and landscape Michela Benente, Cristina Boido

Catastrofe come lento mutamento. Il terremoto del 1805 e le dinamiche di trasformazione del paesaggio e dell’architettura molisana Catastrophe as slow transformation: the 1805 earthquake and the dynamics of transformation in the landscape and architecture of Molise Lia Romano

L’Alba senza tramonto. Alba Fucens, un “palinsesto” storico-architettonico e paesaggistico Dawn without sunset: ancient, medieval and modern Alba Fucens − an architectural-historical and landscape palimpsest Patrizia Montuori

Prima che si perda la memoria: viaggio iconografico in Irpinia tra dissesti e terremoti Before memory is gone: an iconographic journey among the landslides and earthquakes of Irpinia, Italy Sabina Porfido, Efisio Spiga

Beirut, paesaggi in trasformazione tra globalizzazione e identità storica Beirut, changing landscapes between globalization and historical identity Alessandra Terenzi

Inter-pretare per condividere la conoscenza “Interpretation” for the sharing of knowledge Nicola Flora, Francesca Iarrusso

L'eruzione del 1669 dell’Etna e la trasformazione del paesaggio: lo sguardo dei disegnatori The 1669 Mount Etna eruption and landscape transformation: the view of the draughtsmen Tiziana Abate, Stefano Branca

La strada della ricostruzione a Catania: tra immagine e rilievo il sistema dei conventi in via dei Crociferi Catania and the road to reconstruction: from the “image” to the survey recording of the monastery system in Via dei Crociferi Giuseppe Di Gregorio La strada di Capodimonte. Percorsi interpretativi nell’iconografia della città Via di Capodimonte: interpretive paths in the iconography of the city Valeria Pagnini

Paesaggi del pellegrinaggio a Montevergine: la percezione del territorio dalle mulattiere alla strada rotabile Landscapes of the pilgrimages to Montevergine: perceptions of territory, from mule paths to carriage road Consuelo Isabel Astrella

Il territorio del litorale romano tra storia e interventi di tutela. Dati conoscitivi e dinamiche di trasformazione The Rome coastal area: history and interventions for protection – knowledge foundations and dynamics of transformation Maria Grazia Turco

Il ‘sistema’ del verde nel litorale romano: strumento di recupero e strategie di valorizzazione per un territorio in ‘mutamento’ The green “system” of the Rome coastal zone: instrument of revitalization and enhancement for a territory in evolution Sonia Gallico, Maria Piera Sette

Il paesaggio frammentario della banlieue di Parigi: formazione, riconoscimento e valorizzazione The fragmented landscape of the Paris banlieue: formation, recognition and enhancement Franca Malservisi

Brianza, ‘paese’ in mutamento tra ‘luci’ e ‘derivate ombre’ Brianza: a 'countryside in transition between 'lights' and 'derived shadows' Maria Antonietta Crippa

Costruzioni di ville e organizzazione del paesaggio. Su un disegno settecentesco per la sistemazione di Villa Morosini a Fiesso Umbertiano Construction of villas and organisation of landscape: an 18th century plan for the systemisation of Villa Morosini in Fiesso Umbertiano Stefano Zaggia

Il paesaggio amiternino, dai verdi pascoli ottocenteschi alla caotica espansione urbana The landscape of Amiternum, the green pastures of the 1800s to chaotic urban sprawl Francesca Geminiani

Le trasformazioni del paesaggio murgiano. I caratteri del tessuto rurale attraverso il tempo, tra conservazione e nuove forme di valorizzazione nel rapporto città-contado The landscape transformations in the Murgia. The shape of the rural areas through time, between conservation and new forms of enhancement between city and countryside Giacomo Martines

Innovazione, permanenza e distruzione del patrimonio rurale vesuviano: il contesto pompeiano Innovation, continuity and destruction of rural Vesuvian heritage: the Pompeian context Marina D’Aprile

Il paesaggio archeologico tra memoria e immagine: il caso di Baia Memory and image of archaeological landscapes: the case of Baia Luigi Veronese

From Apollonia ad Rhyndacum to Gölyazı: Some Iconographic and Material Sources for the Analysis and Conservation of the Urban Stratigraphy Güven Gümgüm, Luigi Oliva

Iconografia del vissuto e dell’imperfezione. Media e interpretazione dei paesaggi storici per la conservazione del patrimonio e la comunicazione della memoria Iconography of experience and imperfections. Media and interpretation of the historical landscapes for the heritage conservation and the memory communication

Iconografia del vissuto e dell’imperfezione. Media e interpretazione dei paesaggi storici per la conservazione del patrimonio e la comunicazione della memoria Iconography of experience and imperfections. Media and interpretation of the historical landscapes for the heritage conservation and the memory communication Bianca Gioia Marino

Contributi / Papers

L’immagine di Castel del Monte negli archivi dell’Istituto Luce The image of Castel del Monte in the archives of Istituto LUCE Raffaele Amore

Aspetti del paesaggio nel golfo di Napoli: architettura ed immagine alla Gaiola Landscape aspects of Gulf of Naples: Gaiola’s architecture and image Matteo Borriello

Dal ‘Real Passeggio’ di Chiaia al waterfront contemporaneo. Memorie e immagini per un recupero dell’identità urbana del sito di Mergellina From the 'Real Passeggio' of Chiaia to the contemporary waterfront. Memories and images for a recovery of urban identity of the Mergellina site Viviana Del Naja

Piazza Pitti a Firenze. Esordi settecenteschi e definizione del rondò meridionale nell’iconografia e nella realizzazione delle varianti Piazza Pitti in Florence. The eighteenth century beginnings and completion of the southern ‘rondò’ in the iconography and in the construction variants Pietro Matracchi, Gabriele Nannetti, Elena Scotto

Infrastrutture nel territorio capuano: origine e stratificazione storica del Ponte Annibale sul Volturno Infrastructure in the territory of Capua: origin and historical stratification of the Hannibal Bridge over the Volturno River Alessio Mazza

Da cittadella a spazio pubblico urbano: l’area di Castelnuovo, tra memoria, dibattiti e progetti, 1860-1939 From citadel to public urban space: the area of Castelnuovo, among memory, debates and projects, 1860-1939 Andrea Pane, Damiana Treccozzi

Identità in ‘differita’. Immagini del paesaggio storico d’Abruzzo tra sedimentazione e trasformazione ‘Deferred’ identities. Images of the historical landscape of Abruzzo between sedimentation and transformation Stefania Pollone

Un “brano di città” tra antico e contemporaneo. Immagini a Napoli: da largo delle Corregge a via Medina A “piece of city” between old and contemporary age. Images in Naples: then largo Corregge and now via Medina Pasquale Rossi

Trasformazioni e/o conservazione di un’immagine storica? Il caso del borgo di Castelnuovo di Porto Transformations and/or preservation of historic image? The case of Castelnuovo di Porto Sabrina Coppola

Documentare l’assenza: la distruzione del quartiere dei Pantani a Roma Documenting absence: the destruction of the Pantani district in Rome Maria Grazia Ercolino

La Belgique illustrée: artisti in movimento per la memoria di un patrimonio storico - paesaggistico in trasformazione La Belgique illustrée: artists moving to the memory of a transforming historical heritage and landscape Maria Chiara Rapalo Ex ruinis perceptione. L’iconografia della trasformazione per una lettura del patrimonio archeologico finalizzata alla sua conservazione e valorizzazione Ex ruinis perceptione. The iconography of transformation, for a reading of archaeological heritage aimed to its conservation and valorization Emanuele Romeo

Tra ricerca e divulgazione: le antichità della Valle d’Aosta nelle pubblicazioni tra XIX e XX secolo Research and divulgation: the antiquities of Valle d'Aosta in publications of the 19th and 20th centuries Riccardo Rudiero

L’area del Granatello nelle fonti iconografiche tra trasformazione e degrado del paesaggio storico The Granatello area in iconographic sources: transformation and decay in historic landscapes Giuseppina Pugliano

“Un paesaggio distopico”. Rappresentazione, comunicazione e conservazione della memoria in dissolvenza del paesaggio di guerra “A Dystopian War-scape”. Representation, Communication and Preservation of the Fading Memory of War Landscape Maria Rosaria Vitale

Art Nouveau restitué: il mezzo filmico come strumento di conservazione di un patrimonio a rischio Art Nouveau restitué: the filmic means as conservation tool of an heritage at risk Francesca Giusti

I luoghi dell'Antico: l'immagine dei fondaci napoletani tra scoperte archeologiche e testimonianze fotografiche Places of the Antique: images of the Neapolitan fondacos - archaeological discoveries and evidence Maria Luce Aroldo

Procida nelle fonti iconografiche tra trasformazione e degrado del paesaggio storico Procida in iconographic sources: transformation and degradation of the historical landscape Claudia Aveta

Un inedito paesaggio storico-culturale: le edicole votive tra tradizione, reinvenzione e rifunzionalizzazione territoriale An unusual historical and cultural landscape: the little shrines among tradition, reinvention and territorial refunctionalization Domenica Borriello

‘Paesaggi sotto la Cupola’. Il globo di neve come espressione dell’esperienza turistica “Landscapes under glass”: the snow globe as expression of tourism experience Fabio Colonnese

La posizione delle immagini. Restauration fidèle fotografia cinema nell’opera architettonica di Le Corbusier About images position. Restauration fidèle photography cinema in Le Corbusier works Susanna Caccia Gherardini

Percezione e conservazione dei paesaggi urbani: riflessioni sul contributo della fotografia Perception and conservation of urban landscape: reflection about contribution of the photography Marida Salvatori

L’efficacia di nuove tecnologie nella valorizzazione del paesaggio della Brianza The new technologies ability for landscape’s enhancement of the Brianza Ferdinando Zanzottera

Raccontare una valle alpina: la riscoperta di un paesaggio identitario attraverso vecchi e nuovi media Telling about an alpine valley: the rediscovery of a landscape identity through old and new media Francesca Perlo, Caterina Lucarini

La novella di Andreuccio tra erudizione, critica d’arte e cinema The story of Andreuccio amidst erudition, art critic and cinema Rossano De Laurentiis

Le pellicole del Neorealismo come fonte documentaria per la conoscenza e valorizzazione dei contesti urbani e paesaggistici: il caso di Roma Neorealism films as source for the knowledge and enhancement of urban landscape: the case of Rome Emanuele Morezzi

Deriving cultural heritage values: the use of social media L’uso dei social media per l’individuazione dei valori del patrimonio culturale Manal Ginzarly, Jacques Teller

“Che i ricordi abbiano inizio” (Kodak anni ottanta) “Let the memories begin” (Kodak, 1980s) Silvia Gron, Giulia La Delfa

L’inventario dei beni storico-artistici e naturali di Angerio Filangieri. Un recupero della memoria attraverso la piattaforma WEB Topotheque Angerio Filangieri’s inventory of historical, artistic and natural heritage. The retrieval of memory through the Topotheque Web platform Antonello Migliozzi, Maria Rosaria Falcone

Isolated buildings in representation and design of the sublime Alpine landscapes Riccardo Giacomelli

Wandering through the time of the city. Real and virtual Milanese itineraries Girovagando per il tempo della città. Itinerari milanesi reali e virtuali Maria Pompeiana Iarossi, Sara Conte, Matilde Rossini

«Cos’è rimasto?»: la rovina come espressione del paesaggio calabrese. Film e documentari dagli anni cinquanta a oggi «What is left?»: the ruin as expression of the Calabrian landscape. Films and documentaries from the 50’s to today Nino Sulfaro

Delli Aspetti de Paesi

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Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione History and Media of Landscape Iconography:some reflections

ALFREDO BUCCARO Università degli Studi di Napoli Federico II CIRICE - Centro Interdipartimentale di Ricerca sull‟Iconografia della Città Europea

Abstract Starting from the notion of landscape in modern and contemporary history, the current work discusses issues concerning the evolution of its meaning, up to that most recently acquired, with particular reference to historic urban contexts. The lessons to be drawn from Leonardo's first studies on the perception of natural and cultural landscape, the travel guides and notebooks of the 16th and 17th centuries, up to the works of artists and travelers in the 18th and 19th centuries and the more recent photographic or cinematographic repertoire, concern the important role that the historic image of landscape now takes on as a tool in understanding the identity of a territory; an image now largely severed from simple perceptual and holographic content and increasingly linked to human, historical and social factors – summed up as “cultural” factors - to be read and translated into that image. In effect, the issue becomes to recognize the shared cultural values of a site or a community through the “perceptible” characters of the landscape, meaning through the instruments of its history and iconography. In this sense, the experience of CIRICE 2016 Conference will mark a new step to purpose a more conscious recognition of these shared values, through study of the media adopted in the description of the historic landscape, as well as a further step in actions for protection, transmission and enhancement of such memories of places.

Parole chiave paesaggio storico, rappresentazione storica del paesaggio, iconografia urbana, tutela del paesaggio storico historic landscape, historic image of landscape, urban iconography, protection of historic landscape

Introduzione Partendo dalla nozione di paesaggio nella storia moderna e contemporanea, nel testo si affrontano le problematiche concernenti l‟evoluzione del suo significato fino al dibattito sulle diverse accezioni recentemente acquisite, con particolare riferimento ai contesti storici urbani. La lezione che si trae dai primi studi di Leonardo sulla percezione del paesaggio naturale e antropizzato, dalle guide e taccuini di viaggio del Cinque e Seicento, fino alla produzione di artisti e viaggiatori tra Sette e Ottocento e al più recente repertorio fotografico o cinematografico, mostra l‟importante ruolo da attribuirsi oggi all‟immagine storica del paesaggio quale strumento per l‟individuazione dell‟identità di un territorio, ormai in buona parte scevra da meri contenuti percettivi e oleografici, e sempre più legata ai fattori umani, storici e sociali, in una parola „culturali‟, che nell‟immagine vanno letti e tradotti.

Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione

ALFREDO BUCCARO

Si tratta in effetti di riconoscere nei caratteri „percettibili‟ di un paesaggio, attraverso gli strumenti della storia della città e dell‟iconografia storica, i valori culturali condivisi di un sito o di un insediamento: in tal senso l‟esperienza del Convegno CIRICE 2016 potrà segnare un nuovo passo non solo ai fini di un più consapevole riconoscimento di tali valori attraverso lo studio dei media adottati nella descrizione del paesaggio storico, ma verso un‟azione di tutela volta alla trasmissione e valorizzazione della memoria di quei luoghi.

1. Dalla lezione di Leonardo ai contributi del Novecento Nel contesto dei nostri studi sull‟iconografia del paesaggio e sui suoi media nella storia, ci pare opportuno ripercorrere in sintesi le origini del termine all‟alba dell‟età moderna [Buccaro 2015], con particolare attenzione alla prevalente connotazione estetica che esso assume sin da principio in Italia, assente nei più „fisici‟ sinonimi stranieri. In primis è il termine paese a diffondersi nella penisola, traendo all‟inizio il significato etimologico dall‟aggettivo pagense, ossia del pagus, cioè quanto attiene a un luogo fatto di natura e di case, insomma a un territorio antropizzato. Dunque il paesaggio, derivato dal francese paysage ritrovabile a partire dalla metà del „500, si riferirebbe – anche in considerazione del suffisso -aggio e della radice indoeuropea – all‟uso pacifico e „consensuale‟ del pagense da parte della comunità [Devoto 1969]. Ma proprio nella Francia di Francesco I era presente chi avrebbe gettato le basi per quella nozione di paesaggio destinata a diffondersi nell‟Europa moderna, dai contenuti prevalentemente percettivi e iconografici. Leonardo, infatti, già sul volgere del Quattrocento parla di «paesi» con riferimento alla percezione visiva e conseguente rappresentazione degli ambienti naturali e antropizzati: «Delli Aspetti de Paesi», «Modo di formar paesi», «Li paesi fatti nella figuration del Verno», «Ritrar siti e paesi» [Buccaro 2011], sono diversi modi di indicare le tecniche della nuova pittura „di paesaggio‟ da parte di chi la inaugurò nel 1473 con la famosa veduta di Valdarno presa da Monte Albano verso il padule di Fucecchio e conservata agli Uffizi: in essa il genio toscano esaltò i caratteri legati alla visione del territorio attraverso il filtro dei fattori naturali della vegetazione, della luce, dell‟atmosfera, della lontananza, ma anche dei segni della presenza dell‟uomo e del costruito. Come nota Pedretti la veduta, da noi non a caso adottata quale copertina del presente volume, si può considerare il primo paesaggio nella storia dell‟arte italiana [Libro di Pittura 1995, 15]: la rappresentazione si avvale di una resa „impressionistica‟ di probabile derivazione fiamminga, molto simile a quella ritrovabile nella coeva veduta di Firenze detta „della catena‟ di Francesco Rosselli (1472). Si sa, del resto, che Leonardo raccomandava la pratica della ripresa dal vero, da eseguirsi anche con l‟uso del prospettografo, concepito come una vera e propria macchina fotografica. Alcuni significativi precetti del Trattato della Pittura, tratti dai testi originali di Leonardo [Trattato della Pittura 1651] e rinvenibili anche in un apografo da me fatto recentemente acquisire dall‟Ateneo Federiciano1, riguardano fenomeni di percezione del paesaggio urbano in relazione alla posizione e distanza dell‟osservatore e le conseguenti scelte in materia di rappresentazione. A volte in questi scritti l‟artista-scienziato giunge davvero a „dipingere con la penna‟, rivelando tutte le proprie doti in materia di estetica del paesaggio:

«Li Paesi fatti nella figuration del Verno, non debbon dimostrar le sue montagne azzurre, come far si vede alle Montagne dell‟Estate […]. Infra le Montagne vedute in lunga distanza quella si dimostrerà di color più azzurro, la qual sia di color più oscuro […].»2

Delli Aspetti de Paesi

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Fig. 1: Leonardo, Veduta di Valdarno da Monte Albano verso il padule di Fucecchio (1473). Firenze, Uffizi. Gabinetto Disegni e Stampe, n. 1 (8 Pr)

Proprio trattando «Delli Aspetti de Paesi», il nostro osservatore dimostra la massima acutezza e quella capacità unica di notare a occhio nudo ciò che, ancora oggi, è in molti casi visibile solo con l‟aiuto di sofisticati strumenti3. Risultano pure preziosi alcuni precetti del Libro di Pittura – composto sui testi vinciani dall‟allievo Melzi [Libro di Pittura 1995] –, del Codice Arundel e dell‟Atlantico in materia di percezione del costruito e del paesaggio urbano:

«Dell‟altezze delli edifici visti nelle nebbie. Quella parte del vicino edificio si mostra più confuso, il quale è più remoto da terra; e questo nasce perché più nebbia è infra l‟occhio e la cima dell‟edificio, che non è dall‟occhio alla sua basa. La torre parallela veduta in lunga distanzia infra la nebbia si dimostrerà tanto più sottile, quanto ella fia più vicina alla sua basa. Questo nasce per la passata [proposizione], che dice: La nebbia si dimostra tanto più bianca e più spessa, quanto ella è più vicina alla terra, e per la 2a di questo, che dice: La cosa oscura parrà di tanta minor figura quanto ella fia veduta in campo più di potente bianchezza. Adunque, essendo più bianca la nebbia da piedi e da capo, gli è necessario che la oscurità di tale torre si dimostri più stretta da piedi che da capo» [Libro di Pittura 1995, 326]. «Della veduta d‟una Città in aria grossa. L‟occhio, che sotto di se vede la città in aria grossa, vede le sommità degli edifizi più oscuri, e più noti, che il loro nascimento, e vede le dette

Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione

ALFREDO BUCCARO

sommità in campo chiaro, perche vede nell‟aria bassa, e grossa […]» [Libro di Pittura 1995, 322]. «Li edifici veduti in lunga distanzia di sera o mattina in nebbia o aria grossa, solo si dimostra la chiarezza delle lor parti aluminate dal sole, che si trova inverso l‟orizzonte, e le parti delli detti edifici che non son vedute dal sole restano quasi del colore di mediocre oscurità di nebbia» [Libro di Pittura 1995, 326]. «Quella parte del vicino edificio si mostra più confuso, il quale è più remoto da terra; e questo nasce perché più nebbia è infra l‟occhio e la cima dell‟edificio, che non è dall‟occhio alla sua basa. La torre parallela veduta in lunga distanza infra la nebbia si dimostrerà tanto più sottile, quanto ella sia più vicina alla sua basa». «Bello spettacolo fa il sole quando è in ponente, il quale alumina tutti li alti edifici delle città e castella, e gli alti alberi delle campagne, e li tinge del suo colore; e tutt‟il resto da lì in giù rimane di poco rilievo, perché, essendo solamente aluminato dall‟aria, essi hanno poca differenzia dalle loro ombre ai loro lumi, e per questo non ispiccano troppo […]» [Libro di Pittura 1995, 333]. «Quando il sole è all‟oriente, e l‟occhio sta sopra il mezzo di una città, esso occhio vederà la parte meridionale d‟essa città aver li tecti mezzi ombrosi e mezzi luminosi, e così la settentrionale; e la orientale fia tutta ombrosa, e la occidentale fia tutta luminosa» [Libro di Pittura 1995, 451; Valerio 20051, 119-121; Valerio 20052, 11-41]. «Li edifizi inver ponente, sol si dimostra la lor parte luminosa, poi che „l sol si scopre; e „l resto le nebbie lo occultano. […] Quanto più l‟aria sarà grossa, li edifizi delle città e li alberi delle campagne parranno più rari, perché sol si mostreranno e più eminenti e grossi»4. «Perché le torri e campanili in lunga distanzia, essendo di grossezza parallela, paian piramidali, di piramide sottosopra. Questo nasce perché l‟aria che più s‟abbassa, essendo grossa e nebbiosa, più occupa; e quell‟obbietto che più è occupato, più cela la notizia de‟ sua stremi; onde la notizia dell‟obbietto resta inverso la sua linia centrale»5.

Fig. 2: Ignoto sec. XVI, Codice apografo del Trattato della Pittura di Leonardo, f. 31v. Napoli, Biblioteca Area Umanistica Università di Napoli Federico II.

Dalle parole di Leonardo si comprende quanto gli «Aspetti de Paesi» fossero nient‟altro che le immagini dei siti, risultanti dal processo con cui, partendo dalla visione, si passa alla rappresentazione dei contesti urbani e naturali: il concetto di paesaggio come insieme di

Delli Aspetti de Paesi

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quanto si percepisce e, poi, si rappresenta di un sito si rafforzerà nel corso del XVI e del XVII secolo, diffondendosi in Europa specie in ragione dell‟uso politico dell‟iconografia e della cartografia urbana e territoriale. Basti pensare a come, ad esempio, il „ritratto di città‟ [de Seta 2011] diventi in breve tempo strumento della propaganda da parte di casate e regnanti, fondata sulla diffusione dell‟immagine dei propri domini. La rappresentazione moderna del paesaggio evolve così insieme con i propri media, sia in forma grafica sia descrittiva, specie a corredo dei testi di apodemica, la nuova scienza del viaggio d‟istruzione in Italia di marca tedesca e fiamminga: la visita dei luoghi mitici dell‟area flegrea, del golfo di Napoli e di altri siti costieri mediterranei rappresenta ormai un punto fermo [Gaiga 2014, 14-29]. Viene allora da ripensare proprio al comune suffisso - aggio che si ritrova, tra gli altri termini, anche nel viaggio con allusione all‟insieme delle esperienze legate alla „via‟, all‟itinerario. Vedute, ritratti di luoghi e città prolifereranno negli atlanti e nelle guide fino e oltre la nascita del Grand Tour [de Seta 1995]. Una decisa svolta sarà segnata sul principio dell‟Ottocento da Goethe, che amplierà il significato di paesaggio considerandolo quale «dato culturale organizzato in funzione di un sapere preesistente» [Vitta 2005, 205-206]: dunque, a partire dal grande studioso tedesco e attraverso l‟esperienza del Viaggio in Italia, all‟originario carattere prevalentemente percettivo e pittorico del paesaggio mediterraneo si aggiungerà quello di „metadato‟ dalle più profonde e ampie implicazioni culturali e antropologiche. In tal senso, specie con il diffondersi delle scienze sociali alla fine del XIX secolo, insieme con la nascita di nuove tecniche di rappresentazione, all‟immagine pittorica o grafica colta dal viaggiatore e dall‟artista, evocatrice ancora nell‟Europa neoclassica di memorie e di emozioni, si aggiunge l‟aspirazione a rappresentare il dato reale, garanzia di conoscenza della natura e delle città: con la fotografia risulterà acquisita l‟accezione „scientifica‟ che il paesaggio affianca a quella tradizionale, artistica e letteraria. Humboldt, pioniere della geografia moderna, esprimerà al meglio il contenuto „doppio‟ di quel concetto, atto ad indicare da un lato la cosa reale, dall‟altro l‟immagine della cosa stessa [Farinelli 1990, 11]. Ma per un riscatto dei più ampi contenuti culturali su quelli meramente visivi il cammino sarà lungo, tanto più all‟interno della solida tradizione oleografica di marca mediterranea. Quella, ad esempio, che ancora nel 1939 ispirerà Giuseppe Bottai nella redazione del testo della legge n. 1497 sulla tutela delle bellezze paesistiche in Italia, intese alla maniera crociana come „bei panorami‟ o „quadri‟. Non prima del 1961, quindi, con Lucio Gambi, verranno richiamati ufficialmente gli aspetti „non visivi‟ del paesaggio, ossia quelli socio- economici, politici, storici; ma se, nell‟epoca dei grandi cambiamenti e delle trasformazioni territoriali conseguenti al secondo conflitto mondiale, sul piano teorico il Bel Paese, con i tanti chilometri di coste e di paesaggi esaltati e immortalati da secoli, negherà ai nuovi interventi la possibilità di semplici „cosmesi formali‟ con lo scopo di cogliere i caratteri profondi dell‟identità del territorio, in realtà per alcuni decenni consentirà che vengano perpetrati sul proprio suolo autentici scempi. Sul principio degli anni ‟80 giungono le meditate definizioni di Rosario Assunto [Assunto 1980, 49-51], riferite a un territorio inteso in senso quantitativo e spaziale, indipendente dalla vita sociale, e ad un ambiente dal doppio significato bio-ecologico e storico-culturale, che includa il territorio aggiungendovi i fattori umani: il paesaggio dunque, quale forma percepibile che l‟ambiente conferisce alla „materia‟ territorio, comprenderebbe entrambi. Proprio questo valore di „insieme‟ del paesaggio, percepito e poi rappresentato, va riconosciuto attraverso il repertorio iconografico storico ai fini della tutela dell‟immagine e dell‟identità urbana e ambientale, scongiurandosi in tal modo quanto denunciato dal Turri:

Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione

ALFREDO BUCCARO

se immaginiamo il paesaggio contemporaneo come un teatro, in cui gli individui sono attori ma anche spettatori che guardano gli effetti del loro agire rispecchiandosi in esso [Turri 2010, 13], la sua crisi va attribuita al fatto che l‟uomo ha progressivamente indebolito il proprio ruolo di spettatore, non preoccupandosi di fermarsi a esaminare le conseguenze delle proprie azioni [Il paesaggio nell’era della globalizzazione, 2010]. Appare allora assai stimolante, sotto il profilo del possibile ruolo dell‟iconografia nella programmazione degli interventi sulla città storica, una lettura del paesaggio come «riferente visivo fondamentale ai fini della costruzione territoriale» [Turri 2004, 15]. Quale testimonianza migliore, dunque, dell‟immagine storica nella „decostruzione‟ dell‟identità del paesaggio urbano, e quale migliore strumento nella progettazione del suo recupero?

2. Il dibattito e le problematiche attuali in materia di paesaggio storico urbano A seguito del VI Convegno Internazionale di Iconografia Urbana CIRICE 2014 su “Città mediterranee in trasformazione. Identità e immagine del paesaggio urbano tra Sette e Novecento” e del particolare fermento di idee innescatosi in altre recenti occasioni di dibattito in materia di storia urbana – ci riferiamo, in particolare, ai Congressi EAUH Praga 2012 e Lisbona 2014, ad AISU Catania 2013 e Padova 2015, e ai Convegni su “Cultural Heritage” di Roma 2014 e 2015 – risulta oggi evidente l‟interesse per la città storica e per i temi inerenti la sua identità, struttura e rappresentazione: ciò ci ha indotto a una recente riflessione [Buccaro 2015] sull‟esito di tali esperienze nell‟ambito specifico dell‟iconografia del paesaggio storico urbano. A fronte della maturazione, negli ultimi anni, di una sempre maggiore coscienza della tutela del bene paesaggio nelle sue più ampie accezioni – si vedano la Convenzione Europea del Paesaggio (2000), il Codice dei beni culturali e del paesaggio (2004) e i suoi successivi aggiornamenti – e, in particolare, dell‟attenta definizione contenuta nella Raccomandazione Unesco del 2011, poco è stato scritto sui metodi d‟indagine concernenti i caratteri identitari del paesaggio storico e, segnatamente, sul ruolo dell‟iconografia urbana. Ma prima di affrontare questo tema sarà opportuna ancora qualche considerazione sugli elementi che concorrono al paesaggio storico urbano, tenendo conto di quanto recentemente espresso da studiosi come Tosco e Jakob [Tosco 2007; Tosco 2009; Jakob 2009], entrambi al nostro fianco anche in occasione del presente Convegno. Innanzitutto, se in generale risulta condivisibile l‟estensione della nozione di paesaggio a norma delle citate risoluzioni assunte in ambito italiano ed europeo, va sempre scongiurato l‟insito pericolo di un «onnipaesaggio», paventato proprio da Jakob [Jakob 2009, 34]: infatti un‟azione di tutela indifferenziata (si veda il proliferare delle „aree protette‟, di cui alla citata Convenzione) può compromettere, sul piano etico ed economico, quella rivolta al bene culturale autentico. Ciò vale, quindi, anche per i contesti insediativi storici per i quali si richieda, in tutto o in parte, l‟applicazione del valore di „paesaggio storico urbano‟. Dobbiamo purtroppo constatare come sinora, sull‟onda di posizioni teoriche basate ancora su un‟accezione prevalentemente percettiva e sincronica [Ritter 1994, 58], non si sia dato adeguato peso, nell‟individuazione di quel valore, all‟indagine sulla storia urbana e sull‟iconografia storica: da storici della città e della sua rappresentazione, sottolineiamo l‟esigenza di affiancare sempre agli aspetti meramente percettivi quelli diacronici e culturali [Tosco 2007, 22] che, già ben evidenziati nella Raccomandazione, risultano intangibili se

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non perseguiti attraverso un attento lavoro storiografico. Peraltro quest‟ultimo appare imprescindibile anche nell‟intento di escludere dal paesaggio storico urbano le parti „avulse‟ del territorio insediativo, prive cioè, per dirla ancora con Turri [Turri 2004, 99], del ruolo di iconemi della memoria stratificata e collettiva, ossia non storicizzate né storicizzabili per evidente incompatibilità materiale, ambientale e sociale con l‟identità e riconoscibilità condivisa, propria dei topoi urbani. Non si tratta, in effetti, di passare da una nozione estesa ad una ristretta, ma di riconoscere, con gli strumenti della storia della città e dell‟iconografia storica, nei caratteri „percettibili‟ di un paesaggio urbano i riflessi dei valori culturali condivisi, ossia la traduzione in segni estetici delle culture che vi si sono avvicendate, distinguendone i simboli acquisiti da quanto è estraneo e tale resterà irrimediabilmente. Riteniamo che tale posizione si possa rafforzare se applicata al paesaggio mediterraneo, la cui identità, lungi dal derivare dalla pura contemplazione „emozionale‟ trasmessa da un certo vedutismo artistico, va riconosciuta nei segni della natura e della storia. Nelle città del Mediterraneo, per il loro particolare carattere paesaggistico, anche più che in altri contesti si verificano i casi opposti di armonia o di contrasto tra i caratteri naturali e l‟azione antropica a seconda che quest‟ultima venga attuata con segni compatibili o suscettibili di „rigetto‟ da parte dell‟ambiente. Ai fini, quindi, della ricerca delle forme distintive del paesaggio, svolgeremo un‟operazione scientifica rigorosa partendo, induttivamente, dallo studio delle testimonianze storico- documentarie, grafiche, materiali e persino orali [Muratori 1959; Tosco 2007, 96-97]. Ma per scrivere una vera storia del paesaggio e non una semplice analisi storico-territoriale occorrerà trarre da quei dati la „percezione culturale‟ dei luoghi [Estetica e paesaggio 2009, 8; Baldeschi 2011, 100]. Se infatti il paesaggio è «risultato artificiale, non naturale di una cultura che ridefinisce perpetuamente la sua relazione con la natura» [Jakob 2009, 27], quello urbano, da sempre teatro della comunità che costruisce i propri spazi, offrendocene poi l‟immagine, sarà il risultato di una complessità sedimentata, di una creazione e trasformazione collettiva di lunga durata, progetto della comunità stessa [Bonesio 2002, 11]. Tra i tanti strumenti utili a decifrare questo complesso palinsesto, quello iconografico ci consente di riconoscere la memoria „percepita‟, sia dal punto di vista dei riferimenti materiali e visivi dei luoghi, sia dell‟immagine complessiva di quella comunità, condivisa e tramandata nel tempo.

3. Contributi e finalità del Convegno CIRICE 2016 Sulla scia del descritto dibattito, proviamo ora a tratteggiare le linee principali di ricerca e gli obiettivi dell‟attuale edizione del Convegno. La rassegna ha voluto tentare, come si diceva, una sorta di „de-costruzione‟ dell‟immagine storica del paesaggio urbano e rurale, da condursi attraverso lo studio dei media che, nel corso della storia fino allo scenario attuale, l‟hanno generata, nonché mediante l‟analisi degli elementi che concorrono alla sua formazione, a partire dalla scala del territorio fino a quella del costruito. Proprio in relazione all‟attuale definizione di „paesaggio storico‟ e agli aspetti culturali e diacronici da aggiungere a quelli percettivi della sua fruizione, siamo dunque partiti dai „paesaggi dell‟Antico‟ che, alimentati dall‟Umanesimo archeologico, dal XVI secolo in poi vedono un‟ampia diffusione attraverso la letteratura di viaggio nordeuropea e la conseguente produzione di atlanti e di guide: in molti casi si assiste alla costruzione di

Storia e media dell’iconografia del paesaggio: spunti di riflessione

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nuovi modelli culturali, atti addirittura a riscrivere l‟immagine dei luoghi al di fuori della realtà, onde favorire la formazione del mito. Giunti alle soglie dell‟età contemporanea assistiamo, a seguito della diffusione dei nuovi processi produttivi fondati sulla meccanizzazione e grazie all‟introduzione delle riforme amministrative culminate nel periodo napoleonico, non solo all‟adozione di nuovi strumenti di rilievo e rappresentazione, ma alla trasformazione degli stereotipi narrativi del paesaggio urbano e rurale, dettata nel secondo Ottocento dal consolidarsi del modello industriale e borghese. In tale contesto è preminente il ruolo della fotografia quale mezzo iconografico innovativo, in principio certamente legato alla tradizione delle vedute pittoriche, ma poi sempre più autonomo nel „taglio‟ dell‟immagine, nello scorcio e nel dettaglio dei luoghi, specie nella sua funzione a corredo di testi turistici o divulgativi, ma anche per finalità già decisamente artistiche. Tra primo e secondo dopoguerra, poi, l‟ingresso della cinematografia documentaria e d‟autore aggiungerà un altro prezioso strumento di indagine sulla città e sul suo territorio: che sia essa animata dalla propaganda di regime, da scopi artistici o di documentazione, le immagini che possono trarsene, anche come semplici sfondi della narrazione, risultano in molti casi di enorme interesse nell‟analisi dell‟evoluzione urbana e dei contesti ambientali. In proposito è appena il caso di sottolineare l‟importanza della rappresentazione storica del territorio agrario quale mezzo utile alla generale definizione dei paesaggi culturali, dal momento che l‟agricoltura ha per secoli connotato i territori antropizzati, conformandoli e dando vita a immagini dei generi più vari, preziose sia per le indagini conoscitive delle morfologie e delle biodiversità, sia per gli aspetti architettonici delle presenze rurali. Anche la semplice narrazione o descrizione testuale dei paesaggi è da tenersi in attenta considerazione, in quanto strumento per la conoscenza del territorio spesso ancor più significativo di quello grafico, in quanto derivante dall‟elaborazione e trasposizione del paesaggio in forma letteraria. Basti pensare, come abbiamo già sottolineato, a quanto prodotto dalla pratica del viaggio in età moderna e contemporanea nella mitteleuropa cinque-seicentesca, fino alla produzione di testi, guide, taccuini, diari legata alla pratica del Grand Tour e a quella del turismo tra Otto e Novecento. Abbiamo inoltre voluto indagare specificamente le tecniche di rappresentazione del paesaggio, non solo quelle del passato, ma anche il ricco repertorio di metodi e strumenti che gli attuali programmi informatici mettono a disposizione dello storico della città e dell‟architettura. Oltre, quindi, allo studio delle pratiche grafiche tradizionali, finalizzate, nel corso dei secoli, alla raffigurazione e al rilievo urbano e territoriale, particolare interesse suscitano oggi quelle digitali, ossia le piattaforme tecnologiche più avanzate per la lettura e la comunicazione dei sistemi storico-territoriali complessi: si tratta di metodologie che sempre più si impongono ai fini della conoscenza dei tessuti storici, della catalogazione e modellazione dei loro contesti e delle singole parti, ma soprattutto nella programmazione del loro recupero.

Conclusioni Lo studio dell‟immagine storica del paesaggio non può fermarsi alla mera speculazione critica o all‟analisi dell‟evoluzione delle tecniche ma, più che mai nello scenario attuale, deve essere volto verso indifferibili azioni finalizzate alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio storico-paesaggistico, evidenziando tutte le potenzialità dei media, vecchi e nuovi, utili a tali azioni: sarà così possibile riconoscere le cause delle secolari trasformazioni dei paesaggi urbani e rurali, per poi porre in atto i codici di pratica

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indispensabili alla loro tutela. In tal senso si è voluto tenere in attenta considerazione la necessità di una „trasmissione della memoria‟ fondata sulla rappresentazione del „vissuto‟ e della „temporalità‟ dei paesaggi, quali caratteri intrinseci del palinsesto della loro fisicità e pregnanza socio-culturale.

Bibliografia ASSUNTO R. (1980). Paesaggio, ambiente, territorio: un tentativo di precisazione concettuale, in «Rassegna di architettura e urbanistica», a. XVI (ago.-dic.), 49-51. BALDESCHI P. (2011). Il Paesaggio e il territorio. Firenze: Le Lettere. BONESIO L. (2002). Oltre il paesaggio: i luoghi tra estetica e geofilosofia. Casalecchio: Arianna Editrice. BUCCARO A. (2011). Leonardo da Vinci. Il Codice Corazza nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Poggio a Caiano/Napoli: CB Edizioni/Ediz. Scientifiche Italiane. BUCCARO A. (2015). L’immagine storica del paesaggio della città mediterranea e il ruolo dell’iconografia urbana. In «Città e Storia», n. 1, 71-87. Città mediterraneee in trasformazione. Identità e immagine del paesaggio urbano tra Sette e Novecento (2014). A cura di A. Buccaro, C. de Seta. Napoli: Ediz. Scientifiche Italiane. DE SETA C. (1995). L'Italia del Grand Tour da Montaigne a Goethe. Napoli: Electa. DE SETA C. (2011). Ritratti di città. Dal Rinascimento al secolo XVIII. Torino: Einaudi. DEVOTO G. (1969). Avviamento all’etimologia italiana. Dizionario etimologico. Firenze: Le Monnier. Estetica e paesaggio, (2009). A cura di P. D‟Angelo. Milano: Il Mulino. FARINELLI F. (1990). L’arguzia del paesaggio, in «Casabella», nn. 575-576. GAIGA S. (2014). La Descrittione di tutta Italia di Leandro Alberti e il Theatrum Orbis Terrarum di Abraham Il paesaggio nell’era della globalizzazione (2010). PhD disser. (dr. Vecchio G.V., XXIII ciclo/2007-2010, Università di Catania, tutor prof. N. Famoso). JAKOB M. (2009). Il paesaggio. Bologna: Il Mulino. Libro di pittura: Codice urbinate lat. 1270 nella Biblioteca apostolica Vaticana. Leonardo da Vinci (1996). A cura di C. Pedretti, trascriz. critica di C. Vecce. Firenze: Giunti. MURATORI S. (1959). Studi per un’operante storia urbana di Venezia, in «Palladio», nn. 3-4. Ortelius, in «Incontri. Rivista Europea di Studi Italiani», vol. 29, n. 1, 14-29. RITTER J. (1994). Paesaggio. Uomo e natura nell’età moderna. Milano: Guerini e Associati. TOSCO C. (2007). Il paesaggio come storia, Bologna: Il Mulino. TOSCO C. (2009). Il paesaggio storico. Le fonti e i metodi di ricerca. Roma-Bari: Editori Laterza. Trattato della pittura di Lionardo da Vinci novamente dato in luce con la vita dell’istesso autore scritta da Raffaele Du Fresne (1651). Parigi: G. Langlois. TURRI E. (2004). Il paesaggio e il silenzio, Venezia, Marsilio. TURRI E. (2010). Il Paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato. Venezia: Marsilio Editore. Estetica e paesaggio (2009). A cura di P. D‟Angelo. Milano: Il Mulino. 1 VALERIO V. (2005 ), Leonardo, Leopardi e i loro «orizzonti», in Leonardo, genio e visione in terra marchigiana, catalogo della mostra (Ancona 2005), a cura di C. Pedretti. Foligno: Cartei e Bianchi Editori, 119-121. 2 VALERIO V. (2005 ). L’Orizzonte e l’Infinito in Leonardo, in Ikhnos. Analisi grafica e storia della rappresentazione. Lombardi: Siracusa, 11-40. VITTA M. (2005). Il paesaggio. Una storia fra natura e architettura, Torino: Einaudi.

Note 1 Napoli, Biblioteca Area Umanistica dell‟Università di Napoli Federico II. 2 Napoli, Biblioteca Nazionale, Manoscritti e Rari, XII.D.79, Codice Corazza, foll. 4-5. 3 Ivi, fol. 27. 4 London, British Library, Codice Arundel 263, fol. 169r. 5 Milano, Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico, fol. 130v-b.

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Funciones e iconografia urbana: Baiona, de ciudad histórica a destino turístico. Fuentes para la consolidación de una imagen Functions and urban iconography: Baiona from historic villa to tourist destination – sources for the consolidation of an image

BEGOÑA FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ Universidade de Santiago de Compostela

Abstract Baiona, a village in the south of the province of Pontevedra, , is recorded in substantial series of photographs dating to the late 19 th century and especially the first half of the 20 th century. This makes it an exemplary illustration of the transformations experienced by a community in the case of new activities deriving from the role of a seaside resort, involving both politics and personalities of Madrid high society, and constituting an engine of development and leitmotif of the population. Still today, Baiona maintains a primary role as a seaside tourism destination. The graphic evidence consists primarily of photographs and postcards from the late 19 th and early 20 th centuries. These materials range from the works of Ruth Matilda Anderson, on behalf of the Hispanic Society of America in the 1920s, to commercial postcards and scenes produced by local photographers (notably the Pacheco Archives). The objective of the study is to examine the use of this material in reflecting both the cultural identity of the city and the and transformation of its image.

Parole chiave Baiona, tarjetas postales, fotografías, Ruth M. Anderson, turismo Baiona, postcards, photographies, Ruth M Anderson, tourism

Introducción Baiona, pequeño enclave costero del sur de la provincia de Pontevedra, posee unas características diferenciadas del resto de los emplazamientos de sus inmediaciones. Así esta villa, de importante pasado histórico, se ha transformado desde finales del siglo XIX en un importante destino turístico [Santiago & Nogueira 1902; Ramos 1925; Fernández Rodríguez 2014], cuyo éxito se basa en las características naturales del lugar y “en las teorías higienistas decimonónicas que redescubren el mundo natural como fuente de pl acer” [Novo Malvarez 2001, 75]. Es esta condición de importante estación balnearia [Santiago & Nogueira 1902, 278], de lugar escogido por los veraneantes para pasar las largas temporadas estivales, la que genera un elevado número de fuentes gráficas de este emplazamiento, entre las que destacan no solo los mapas o planos, en parte relacionados con su estratégica posición geográfica como enclave militar, sino también las vistas generales, fotografías y tarjetas postales [Imaxes 2003; Baiona 2004; Fernández de la Cigoña 1999; Fernández de la Cigoña 2004] que, aunque tradicionalmente valoradas como de menor importancia, se convierten en fuentes significativas para el análisis de este conjunto y de su riqueza patrimonial.

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La diversidad de estas fuentes es la que propicia que se produzca una importante significación de las imágenes conservadas, fotografías entre las que destaca, aunque no de manera exclusiva, debido a la presencia que alcanza tanto en el plano de lo local como en el de lo turístico, la Fortaleza de Monterreal, no solo para los residentes en la población sino para aquellos que acuden a ella por vez primera, ya que estaba considerado como “de lo que más puede interesar al viajero en Bayona” [Mondariz 1912, 111]. Son estos principios básicos lo que convierten a estas fuentes gráficas, tanto las realizadas y conservadas como imágenes fotográficas como a las inmortalizadas y reproducidas en series de tarjetas postales, en una fuente inestimable para el análisis de esta población en los años finales del siglo XIX y primera mitad del siglo XX. Es su carácter como destino turístico el que lleva a que de esta población se edite un importante número de tarjetas postales, que tienen su punto de partida en las imágenes tomadas por los diferentes fotógrafos. En concreto, para esta villa se conservan veinticinco series cartófilas diferentes [Fernández de la Ciguña 2008: 23-35], y entre todas ocupará un papel destacado la conocida como Serie General de Hauser y Menet [Carrasco 1992, 227-228], por su carácter pionero y por las múltiples repeticiones de las que fue objeto. En esta serie cartófila aparecen, a partir de 1904, diecinueve postales que tienen como protagonista a esta población costera gallega (Figura 1). Junto con esta serie, y con las derivadas de ella, también dentro del material fotográfico conservado que tiene como temática central a Baiona hay que tener en cuenta la actividad desarrollada por los llamados fotógrafos viajeros que, aunque no tan numeroso como el materializado en otras zonas de la península, también recogen de forma sistemática la riqueza patrimonial y el progreso de las infraestructuras de las tierras gallegas [Cabo Villaverde 1998; Fontanella 1997]. Entre todos estos profesionales que realizaron este tipo de actividad en , y más en concreto que fotografió instantáneas de nuestra población conviene mencionar la labor de Ruth Matilda Anderson, fotógrafa que trabajo desde la segunda década del siglo XX para la Hispanic Society of America, institución fundada en 1904 por el hispanista Archer Milton Huntington como “biblioteca, museo e institución docente gratuita” [Almarcha & Lenaghan 2012: 314, Lenaghan 2009], actividad que cambia radicalmente su vida y de la que hoy se desprende un legado, difícilmente olvidable.

1. Ruth Matilda Anderson y su actividad en Baiona La llegada de esta fotógrafa americana acompañada de su padre al puerto de Vigo se produce el 17 de agosto de 1924, acontecimiento que, tal y como se recoge en la prensa de la época, convulsiona la vida social de la pequeña ciudad gallega, al indicar «Hemos tenido el gusto de saludar en esta Redacción a mister Alfred Theodore Anderson, de Nueva York y á su encantadora hija, los que vinieron a Galicia con objeto de admirar sus bellezas» [Estevez 2004: 146]. Esta visita será el primer contacto de la artista con las tierras a las que realizará dos viajes y en las que, siguiendo los postulados marcados por el fundador de la Hispanic Society, centró su actividad en la búsqueda de «la España verdadera (…) en aquellas zonas apartadas (…), en las tierras peladas que antaño estuvieron cubiertas por grandes bosques y ahora están habitadas por una población dispersa y cargada de tradiciones» [Almarcha & Lenaghan 2012, 315], reproduciendo, acorde a los criterios marcados por la institución, temas que hasta entonces, resultaban prácticamente inéditos en Galicia y en

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Fig. 1: Postal de Baiona de la serie general de Hauser y Menet (Fernández De La Cigoña Y Fraga 2008).

una buena parte de España. Anderson, partiendo de los postulados establecidos por la institución americana para la que trabajaba, desarrollará una amplia labor documental durante el tiempo que permanecerá en las diferentes pobleciones, con especial atención al análisis de las costumbres locales y no únicamente a los monumentos como era tradicional. Así, para el caso concreto de Baiona, la artista realiza tres estancias en las que visita la antigua ciudad de realengo gallega. A pesar de estas tres visitas, en la última solo está de paso y realiza un breve encuentro con los conocidos de la población, en el que se le informa de la visita del monarca Alfonso XIII a la villa, quien acude a la población, previa invitación del alcalde, el 27 de septiembre de 1927, acontecimiento que, al igual que otras ilustres visitan alteran la tranquilidad de la población, tal y como se atestigua por la prensa de la época [Notas, 1934] (Figura 2). Por ello lo relevante de su viaje, para el caso que nos ocupa, son los dos primeras recorridos que la americana realiza por la población. Su primera estancia, que dura solamente un día, se produce en su primer viaje, realizado entre 1924-25, periplo en el que estuvo acompañada por su padre Alfred T. Anderson, también fotógrafo, que actuaba como su asistente. La segunda de sus estancias, ya no la realiza en compañía de su progenitor, sino que viajaba asistida por otra fotógrafa también de la Hispanic Society of America, Frances Spalding, estancia que se produce en el transcurso del segundo de los viejas, el materializado entre los meses de noviembre de 1925 y mayo de 1926 [Lenaghan 2009, 25].

2. El legado de su primera visita Es durante estas estancias y tras superar innumerables dificultades técnicas, tal y como se recoge en los diarios de su padre, quien comenta como en ocasiones tuvieron que improvisar a la hora de efectuar los revelados «Después me las arreglé para hacer unas perchas o unos colgadores con lo que tenía a mano. Compre tres docenas de pinzas ( …),

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Fig. 2: Fotografías de arco de triunfo construido en Baiona con motivo de la visita del monarca Alfonso XIII y de su mujer la reina Victoria Eugenia (Fernández De La Cigoña Y Fraga 2008).

las recorté un poco (…), doble un trozo de alambre para (…) que pudiesen agarrar una película por cada extremo y así poderlas bajar al revelador» [Lenaghan 2009, 25], cuando Anderson realiza una amplia labor documental en Galicia, actividad que se complementa con un importante soporte gráfico, obtenido bien por su propio trabajo como fotógrafa o bien al adquirir, algunas de las instantáneas con la que documenta su actividad a otros colegas, también fotógrafos en España. Con la adquisición de este material que no era propio, entre los que destacan las obras de Domo Ferrer, al que le adquirió 517 imágenes, Saez Mon y Novas, de quien compró 245 o del propio Arxiu Max de [Lenaghan 2009, 25], generaba un sistema de trabajo que le permitiría centrarse con mayor profundidad y productividad en la actividad del trabajo de campo, ya que esta amplia documentación preparatoria le permitía concetrar sus energías en aquellos aspectos que resultaban de su interés tanto a la artista como a la institución que representaba. Todas las fotografías reunidas por la artista, tanto las propias como las adquiridas a otros colegas, fueron remitidas a la Hispanic Society. Su labor y actividad como fotógrafa a lo largo de su recorrido por las tierras gallegas es la base que utilizará, acompañadas de sus comentarios personales para su obra Gallegan provinces of Spain: Pontevedra and La Coruña , publicada en la ciudad de Nueva York en 1939. Se trata de una obra donde Anderson efectúa una crónica de su recorrido por Galicia que, en realidad, presenta un valor que va más allá de una mera publicación, para convertirse en un compendio «un resumen de la Historia y la cultura de Galicia». En esta obra hay un apartado expresamente dedicado a Baiona, ciudad a la que visitan, como se indicó, en tres ocasiones, aunque desde el punto de vista que aquí nos interesan destacan las dos primeras. En la primera de sus estancias, la artista comienza con una descripción de la ciudad: -(…) came presently into a Little town, ranks of Windows panes sparkling back at a small cove, sheltered from the Atlantic by a rocky península which lay like an arm thrust from the cove´s Sandy beach. The bright little town was Bayona, and the dark, defensive peninsula, her Monterreal- [Anderson, 1939], descripción que no deja de

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Figg. 3-4: J Vista de Baiona y Cangas con las Islas Cies (Pereda & Marias 2002); Vista general de Baiona y de Monte Real, Postal Eugenio Kraf Vigo; Public (Baiona nas ondas do tempo 2004).

evocar las tantas veces difundidas y consolidadas vistas de la ciudad, tanto las realizadas en época moderna, como es la Vista de Baiona, Cangas con las Islas Cies del cartógrafo luso Pedro Teixeira [Pereda & Marías, 20002, 333] (Figura 3), como las que se conservan gracias a las postales antiguas, en las que se manifiesta de forma nítida el paisaje cultural de su emplazamiento, como es la que se refleja en la Vista general de la serie de Eugenio Krapt de Vigo [Fernández de la Cigoña 2008: 25] (Figura 4), que sin duda Anderson debió de conocer. La siguiente de las alusiones que la artista americana realiza sobre la población guarda relación con las calles, en concreto, como única alusión hace referencia a la que entonces se consideraba la «más principal de Bayona» [Cuestión 1897: 73-75], la calle Elduayen, (Figura 5) completando la información indicando: «We walked along the Street of Elduayen, bordering de wáter front, then turned into the upper part of the town. Through empty white lanes» [Anderson 1939: 35], siendo este aspecto de callejones estrechos y cerrados por paredes blancas de las construcciones terrenas marineras, uno de los motivos ampliamente difundidos en las fotografías de la población a principios del siglo XX (Figura 6), tal y como lo prueban las numerosas ilustraciones que se conservaron [Fernández de la Cigoña 2008, 130 y 133]. Una vez analizadas las calles, la artista alude a uno de los monumentos principales de esta villa, que guarda relación con la fuerte vocación marinera de esta población, que a pesar de la importancia que adquiere como referente turístico, jamás ha perdido: la Colegiata de Santa María, en la que se alude a su valor dentro del conjunto, en comparación con los otros monumentos que explican la razón de ser de la población y su valor estilístico, lo que nos da idea de su valor histórico «standing on a terrace above a park of tall poplar tres and looking out aver red roof to the black pines of Monterreal. After a little while doors opened in the great Romanesque portal» [Anderson 1939, 35-36]. La siguiente de las alusiones que la artista americana realiza sobre la población guarda relación con las calles, en concreto, como única alusión hacer referencia a la que entonces se consideraba la «más principal de Bayona» [Cuestión 1897: 73-75], la calle Elduayen, completando la información indicando: «We walked along the Street of Elduayen, bordering de wáter front, then turned into the upper part of the town. Through

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Fig. 5: Tarjeta postal con el Paseo de Elduayen (Fernández De La Cigoña Y Fraga 2008). Fig. 6: Tarjeta postal de una calle antigua. (Fernández De La Cigoña Y Fraga 2008).

empty white lanes» [Anderson 1939, 35], siendo este aspecto de callejones estrechos y cerrados por paredes blancas de las construcciones terrenas marineras, uno de los motivos ampliamente difundidos en las fotografías de la población a principios del siglo XX, tal y como lo prueban las numerosas ilustraciones que se conservaron [Fernández de la Cigoña 2008, 130 y 133]. Una vez analizadas las calles, la artista alude a uno de los monumentos principales de esta villa, que guarda relación con la fuerte vocación marinera de esta población, que a pesar de la importancia que adquiere como referente turístico, jamás ha perdido: la Colegiata de Santa María, en la que se alude a su valor dentro del conjunto, en comparación con los otros monumentos que explican la razón de ser de la población y su valor estilístico, lo que nos da idea de su valor histórico «standing on a terrace above a park of tall poplar tres and looking out aver red roof to the black pines of Monterreal. After a little while doors opened in the great Romanesque portal» [Anderson 1939, 35-36]. Es la importancia de este espacio que había aglutinado a la población que se dedicaba a las tareas relacionadas con el mundo del mar, y que había servido de excusa para que los habitantes no efectuasen el traslado a la nueva Monterreal, tal y como ordenaban los RR.CC para mejorar la seguridad de la población del enclave costero, lo que lleva probablemente a la inclusión de este hito en el texto de la artista americana. Esta, al igual que sucedía con el ejemplo anterior, no reproduce ninguna imagen de este relevante monumento, aunque si debió de conocer alguna de sus ilustraciones antes de su visita a la población. Ya que estas fotografías circulaban en formato de tarjetas postales, tal y como lo atestiguan las conservadas en el Archivo de la Deputación de Pontevedra, en la que se aprecia el templo en la plataforma a la que alude la artista, o la recogida en la obra de Fernández de la Cigoña [Fernández de la Cigoña 2008, 291-292] o la fototipia de Hauser y Menet que reproducen Santiago y Nogueira. [Santiago & Nogueira 1902, s/p], aunque se cree que no conocería, por el contrario los grabados antiguos conservados, como es el conservado en el Libro de grabados del Ayuntamiento de A Coruña , ya que no hace alusión en su texto al pórtico de entrada que desapareció en la primera mitad del siglo XX y que cobijaba la antigua puerta románica. Su importancia no solo hace referencia al estilo artístico en el que se construye, sino que también su categoría como templo aparece recogida por personajes de la época como el obispo D. Pedro Beltrán, quien consideraba a este templo como «la más principal iglesia que hay en el dicho nuestro obispado después de la nuestra iglesia catedral», aunque la

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artista americana no incluya en su trabajo ninguna de las fotografías de la antigua colegiata si lo hará de la celebración de la festividad de la Virgen de la Anunciada, en el que jugarán un papel fundamental. Otra de las imágenes que ilustran las páginas que la artista dedica a esta villa establece relación, al igual que el propio templo, con la tradición marinera de la población. Así, en el texto se indica: «A dozen or twenty men, dressed in White shirts, red sashes, and White sandals and led by one in White with a red baldric, stepped into the procession carrying wooden swords. In the deep street below the church, the first paso was drawn aside, and a space cleared in front of Anunciada. There, amid a silence of expert and critical attention, the sword bearers went into a dance. Gracefully they formed lines, single and double, wove in and out, clashed swords and crossed them above their heads to make a bridge under which they could file erect, or held them horizontal and ran bending through the low tunnel». Este baile, (Figura 7) que presenta una importante antigüedad, ya que siguiendo a Herminio Ramos se conoce el dato de que el gremio de mareantes lo realizaba ya en el siglo XVI [Ramos 1925, 10-13], y que originariamente nacía, al igual que sucedió en otras regiones costeras del sur de la provincia de Pontevedra, vinculado a la festividad del Corpus Christie [González 2004].

3. El retorno a lo conocido: su segunda estancia La segunda de sus visitas a la villa, se produce tan solo un año después de producida la primera, en este caso la realiza acompañada por su compañera de estudios en la Clarence White Scholl, Frances Spalding [Estévez 2004, 155], y a diferencia de lo que había sucedido en la primera de las estancias, en la que no pernocta en la población, en esta si duermen en el hotel más importante de la población, el Hotel La Palma, del que la artista opina: «Este nuevo tipo de edificios empuja en ofensiva contra los más antiguos, de formas más naturales con balcones salientes, a veces apoyados en firmes columnas». En este segundo viaje la artista centra en primer lugar su atención sobre las actividades marineras y el legado de estos hombres a la cultura inmaterial existente en la población. Así, entre otras alusiones, hace referencia tanto a la salida de las redes del agua como a su secado o reparación por las mujeres «Over the grassy neck a dozen men were walking beside a two-wheeled cart which strained four men to pull. We followed to the west beach where two of them began to draw from the cart a dripping coil of net. A great black tail, they laid it down, one hundred, two hundred, four hundred yards long, while others pulled and spread it to a sheer, fibrous skeleton, wide upon the sand. The meshes were small and equal from side to side; many corks bordered one edge, and weights, the other. Don Jose daid it was a seine for catching sardines and anchovies. When it was completely spread, a lengthwise rent was apparent in the middle, and five women came to mend it. We left them siting under wide straw hats, plying wooden needles full of brown thread» [Anderson 1939, 43]. Estas explicaciones se acompañan de ilustraciones realizadas por la propia autora en las que se aprecian diferentes trabajos marineros, siendo uno de los más difundidos, el de las mujeres reparando las redes en el Paseo de La Palma, en la zona del istmo , que la artista no incorpora en su trabajo publicado (Figura 8). Junto con estos aspectos también incluyó descripciones instantáneas de los principales recursos patrimoniales de la población, como es el Castillo de Monterreal, haciendo alusión a aquellos elementos que considera más destacados, como son la Puerta Real

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Fig. 7: Danza de las espadas. Baiona (Fernández De La Cigoña Y Fraga, S. 2008). Fig. 8: Mujeres cosiendo redes. Paseo de la Palma. Fotografía de Ruth Matilda Anderson.

Fig.9: Puerta real de la fortaleza de Monterreal (Fernández De La Cigoña Y Fraga, S. 2008). Fig. 10: Colegiata de Santa María (Fernández De La Cigoña Y Fraga, S. 2008).

que da acceso a la fortaleza (Figura 10): « Higher on the road we came to a crenelated Wall and pointed archway set with coats of arms; the Wall was frocked with ivy, and clumps of ferns flourished in the chinks» [Anderson 1939: 45], descripción que aunque tampoco ilustra Anderson, que prefiere recurrir a las almenas que recorren en recinto en lugar de a la puerta de acceso al mismo, si evoca la imagen que en tarjetas postales se propagaba de este enclave fortificado [Fernández de la Cigoña 2008, 146]. Igualmente dentro del espacio fortificado también hace alusión, tras narrarnos la historia de la fortificación, desde su creación hasta la época contemporánea, a la vivienda que se encuentra en su interior y que la artista al igual que en otras ocasiones describe, de igual manera que a los principales elementos patrimoniales identitarios que se encuentran en su interior, como son la Torre del Príncipe de la que ya, al contrario de lo que sucede en otros recursos, junto con reseñar su valor, incorpora también su imagen, lo que no es de extrañar, ya que se trata de uno de los elementos patrimoniales que goza de una mayor difusión en grabados, fotografías y tarjetas postales de época, y a través de los que se puede rastrear su evolución en el tiempo desde el estado ruinoso, que presentan las imágenes más antiguas [La ilustración 1879, 12] hasta las reproducidas en las tarjetas postales de la serie Universo [Fernández de la Cigoña 2008, 142].

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Del mismo modo, dentro del espacio de la fortificación, continua con una referencia a la Torre del Reloj de la que apunta: «the square Clock Tower, black with ivy against the blue hills behind Bayona» [Anderson 1939, 45] o la de la Tenaza «we came to the castle dungeon, a thick-walled trough running down to the hexagonal chamber at the very edge of wáter» [Anderson 1939, 45]. En este segundo viaje, y una vez terminada la visita a la fortaleza de Monterreal, en el que los acompañantes, especialmente Herminio Ramos, les proporcionan una valiosa información histórica, visitan nuevamente el templo de la Colegiata, centrando su interés ya no en las festividades que se celebran en su interior, como había sucedido en la primera estancia, sino en los valores del propio templo (Figura 10), y en especial, de aquellos signos gremiales que aluden a la participación de los gremios en el templo baiones, así indica «After lunch our infatigable friends took us to the Collegiate Church, a wide nave and two aísles with clustered columns and pointed arches carrying a vaulted ceiling. Of main interest to us were the siymbols incised on the soffits of the principal arches. Don Herminio halped us make them out: a carpenter square, dividers, pickaxes, cleavers, scissors, fishhooks, sailboats, shoe soles, a glove, plain circles, eight-rayed circles, circles with patriarchal cross attached, crosses botonees, chalices, running animals, and houses or taverns with one tree» [Anderson 1939, 45-46], importancia que remarca con la ilustración que acompaña la descripción de los elementos presentes en el texto. Esta segunda estancia en la población se cerraría con una visita a la Casa Consistorial en el que la artista centra su atención, no en la arquitectura del establecimiento, sino en los bienes muebles que en el se custodiaban, como son: «on a cupboard dated 1679, where the town archives were kept, and also on a aldermanic bench of the same periodo, we saw carved Bayona´s coat of arms. In the escutcheon on the bench, a sixteenh-century ship was quartered with one of the most engaging oxen of taht or any other century», [Anderson 1939, 35-36] bienes a los que la artista proporciona una importante significación, al acompañar igual que ya sucede en otras ocasiones, la breve descripción de fotografías de los bienes.

Conclusiones Las estancias y el trabajo realizado por la artista norteamericana en Baiona (Pontevedra, Galicia), constituye un importante testimonio de la población en la primera mitad del siglo XX, no solo por el estado de sus bienes patrimoniales o de la plasmación de sus diversas costumbres y tradiciones. Su importancia va más allá, y al igual que sucedía en otros casos, la imagen que proyecta su trabajo cuenta con unos antecedentes relacionados con otras ilustraciones de la población que bien se hallaban difundidas por el trabajos de los fotógrafos locales, o bien por medio de su empleo para su reproducción como tarjetas postales. Su trabajo constituye la base de lo que serán las fotografías que después de la estancia de la artista, y de la publicación de su obra, expliquen las ilustraciones de esta población gallega, así como el interés por aquellas tradiciones y valores inmateriales, que tienden a recrear la imagen de Baiona, como una villa marinera, en la que la importancia de su pasado junto con el protagonismo de los hombres de mar, se convirtieron en principales polos de atracción y conllevaron su transformación en importante destino turístico.

Funciones e iconografia urbana: Baiona, de ciudad histórica a destino turístico

BEGOÑA FERNÁNDEZ RODRÍGUEZ

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Vetus adversus novum : la antigüedad clásica como piedra angular de la iconografía de las ciudades gallegas Vetus adversus novum : classical antiquity as an essential element in the iconography of Galician cities

ANA E. GOY DIZ Universidad de Santiago de Compostela

Abstract The process of Romanization of the ancient region of Gallaecia under the produced profound and lasting effects, resulting in part from the conservation of two unique examples of Roman engineering: the Torre de Hércules Lighthouse at Coruña and the “Muralla”, or Roman walls of , both of which are included in the UNESCO List of World Heritage sites. The aim of this communication is to analyze how these ancient sites have developed as defining elements, on which the images of the two related cities have been founded. The first evidence of this effect dates to the 16 th century, however it was above all in the 19 th century, when both towns became their respective provincial capital and their importance in the organization of the State was recognized, that their modern image was formed. Each city was represented by the corresponding magnificent work of Roman engineering, which would in turn come to be seen as the symbol of each city. Both graphic illustrations (engravings and historic photographs) and literary sources show the great importance assumed by the Torre de Hércules and the Muralla de Lugo in the urban iconography of these cities in north-western Spain.

Parole chiave Muralla de Lugo, Torre de Hércules, Galicia, Iconografía urbana Roman Walls of Lugo, , Galicia, Urban iconography

Introducción Todas las ciudades, por muy diferente que sean en su origen, desarrollo e historia funcionan como verdaderos palimpsesto, que ocultan bajo una superficie homogénea las huellas de su pasado. Cada etapa deja su impronta y adentrarnos en esa historia es interpretar un perfil arqueológico en el que, como estractos se reflejan los principales acontecimientos vividos. Partiendo de esta realidad, haremos una aproximación a dos ciudades que se localizan en el noroeste de España: Lugo y A Coruña que han conformado su imagen a partir de dos singulares monumentos que se han convertido en metonimias urbanas que simbolizan perfectamente a la ciudad. Quizás primeramente sea necesario señalar que en tiempos del emperador Augusto, después del final de las Guerras Cántabras (29-19 a.c) este territorio que formaba parte de la Hispania Ulterior Lusitania fue pacificado y profundamente romanizado dentro del programa de expansión del Imperio por el oeste. Prueba de ello es que el propio emperador Octavio Augusto ordenó a su legado Paulo Fabio Maximo, entre el año 15 y 13 a.C., la fundación de la ciudad de Lucus Augusti (Lugo) que se convirtió en una de las

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más importantes del noroeste hispano y que llegó a ser capital del conventus lucensis. Por los mismos años, surgió la ciudad de Brigantium (A Coruña) en torno a una magnífica ensenada natural en la que se ubicó un puerto, en el que recababan las flotas romanas, que procedentes del Mediterráneo, abastecían las provincias de Germania y Britania durante la época de la conquista. De ese pasado romano, nos han quedado importantes testimonios, pero hoy queremos centrar nuestra mirada en dos bienes patrimoniales de especial interés: la muralla de Lugo, que fue construida en tiempos del emperador Aureliano, alrededor del 270 d. C., durante la crisis del imperio del siglo III, y el faro de Brigantium , más conocido como Torre de Hércules, que fue erigido en tiempos de Augusto [Rodríguez Colmenero; Ferrer Sierro 2014, 243]. El hecho de que estas dos magníficas obras de ingeniería civil romana se hayan convertido en los iconos de cada una de estas ciudades nos parece un hecho relevante para analizar en este foro dedicado a la iconografía urbana, pero este proceso se produjo a partir del siglo del siglo XVII, y sobre todo en el XVIII y XIX cuando ambos monumentos fueron reinterpretados y difundidos, pero sin perder esa integridad y autenticidad original, que UNESCO reconoció en el año 2000 en la Muralla Romana de Lugo y en el 2009 en la Torre de Hércules, accediendo a su inscripción en la lista de Patrimonio Mundial.

1. Lucus Augusti, la ciudad más antigua de la Gallaecia Lugo es una ciudad-yacimiento, que se localiza sobre un promontorio natural en la divisioria de los ríos Miño y Rato. Su origen estuvo en un campamento militar que utilizaron las tropas del general romano Caius Antistus Vetus, durante las Guerras Cántabras, para reponerse de la contienda y recuperar a los heridos con las aguas medicinales de los manantiales termales del Miño. Durante los tres primeros siglos de su historia, la ciudad experimentó un importante crecimiento que se materializó en la consolidación de la estructura viaria, en el trazado de la red de abastecimiento y de saneamiento de aguas con el acueducto y las cloacas, así como la definición de los espacios públicos y privados, así como la construcción de las principales edificaciones. La importancia adquirida durante esta época determinó que durante la crisis del Imperio del siglo III se ordenase su fortificación, lo que supuso que la fisonomía urbana cambiara debido a la construcción de una muralla que por razones estratégicas se adaptó a la topografía del terreno, dejando fuera del perímetro amurallado parte de los barrios existentes que fueron sacriticados al no poder asegurar su protección. Así se levantó un muro con un perímetro de 2.266 metros reforzado por 86 torres coronadas con los cuerpos de guardia de dos o tres pisos, que rodeaban una superficie aproximada de 34,4 hectáreas y a la que se accedí a través de cinco puertas: porta Miñá, porta Falsa, porta de San Pedro, porta Nova y porta de Santiago [Rodríguez Colmenero 2007, 46]. En los comienzos del siglo V se inicia la decadencia de la ciudad con la llegada de los pueblos bárbaros, primeros los suevos y más tarde los visigodos la ocuparon y la anexionaron a sus reinos. Para entonces, Lucus había quedado prácticamente desierta, con sus edificios expoliados por los propios habitantes que en su huida al campo, se habían llevado todo aquello que pudiera ser saqueado por los invasores. A comienzos del VIII, los árabes ocuparon la península Ibérica y la ciudad quedó bajo el dominio musulmán, pero fue por poco tiempo, porque el rey cristiano Alfonso I reconquistó el

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territorio y, con ayuda del obispo Odoario, repobló la zona, iniciándose una nueva etapa en la historia de la ciudad.

2. El anillo urbano que configuró la ciudad. La muralla Lugo es una ciudad que ha crecido condicionada por ese anillo de piedra que es su muralla y su configuración obedece al trazado de la misma. En el plano más antiguo que conservamos, que data de 1812 1, podemos identificar todavía las huellas del Burgo Vello , que fue el germen de la ciudad medieval y se localizó en el sector suroccidental del recinto amurallado, en el entorno de la catedral y que se caracterizó por un entramado de calles estrechas y laberínticas. También se identifican los restos del Burgo Novo en las inmediaciones de la porta San Pedro, que fue un nuevo barrio de comerciantes y artesanos que se asentaron en esta zona en el paso del siglo XI al XII y que presentó desde sus inicios por su marcado carácter mercantil. A estos dos asentamientos podemos añadir la aparición a finales del XIII de los conventos mendicantes, franciscanos y los dominicos que fundaron sus casas dentro del recinto intramuros, porque en esos momentos, los límites de Lugo no venían marcados por las murallas romanas, que delimitaban un área que la ciudad medieval nunca llegó a ocupar, sino por una zona mucho más reducida, alrededor del Burgo Vello , en los límites del cual se erigió el convento de San Francisco y junto a él, el de Santo Domingo, mientras que el de Santa María A Nova se localizó en un solar próximo a la rúa de San Pedro. En torno a estos conventos se observan unas zonas de expansión que se fueron consolidando en las centurias siguientes, como la rúa Nova o los ejes trasversales que comunicaban ésta con el barrio del Milreu (hoy plaza de la Soledad), el Carballal, o la vía que unía el Burgo Vello y el Burgo Novo, a través de la plaza Mayor. En el plano también quedan las huellas de los aires reformadores que llegaron a esta urbe promovidos por miembros del clero y de la hidalguía, los cuales impulsaron proyectos orientados a cambiar la fisonomía urbana. Esto se tradujo en la mejora del sistema viario, en la supresión de callejones y ruelas así, como en la pavimentación de las calles, también se reparó el acueducto romano, que permitió a finales del XVI asegurar el abastecimiento de las fuentes públicas [Álvarez Asorey 2003, 50], o la ordenación de nuevas plazas, como la plaza Mayor que se fue gestando sobre el solar que antaño había ocupado el anfiteatro romano, y que a partir de 1576 estuvo presidido por la Casa Consistorial, que en 1738 fue totalmente reformada. Además se acometieron nuevas edificiaciones destinadas a la formación del clero, como el seminario de San Lorenzo, impulsado por el obispo Vellosillo (1567-87) aunque concluido por Otaduy y Avendaño (1591-1611). En esa misma línea, el prelado López Gallo (1612-1624) fundó el hospital de San Bartolomé, que absorvió a todos los pequeños hospitales que estaban diseminados intramuros [Regueiro Burgo, 2016, 37]. También puden identificarse los espacios que ocuparon las nuevas órdenes religiosas que se instalaron en los siglos XVI y XVII con el apoyo de la hidalguía que costeó su construcción. Este fue el caso del convento de las Agustinas, situado al fondo de la plaza Mayor [Fernandez Gasalla 2004, I, 946], la capilla de la Soledad [Goy Diz 2016, 78] y la de San Roque [Vila Jato 1989, 63]. También el Cabildo catedralicio emprendió importantes proyectos, como la supresión de los inmuebles que estaban adosados a la basílica y la modernización de sus principales dependencias como la sacristía, la sala

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capitular, el claustro o la capilla de la Virgen de los Ojos Grandes, patrona de la ciudad [Fernández Gasalla 2003, 261-271]. Fue a mediados del siglo XVIII, cuando se modificó el aspecto de la plaza de Santa María por la construcción del palacio episcopal, en tiempos del prelado Gil Taboada (1735-35) y del nuevo acueducto bajo la prelatura de Izquierdo Tavira (1748-62) que aparece representado en el plano [Álvarez Asoret 2003, 49]. Así mismo se observa como se produjo la expansión de la urbe por espacios intramuros todavía vacíos como el Carballal en el que se erigió el Cuartel de Inhábiles de San Fernando [Regueiro Burgo 2009, 98]. En 1833, Lugo fue designada capital provincial lo cual favoreció la inslación de los edificios administrativos del Estado. A ello debemos sumar la promulgación de las leyes desamortizadoras de los gobiernos liberales que impulsaron la exclaustración de las comunidades religiosas, y la confiscación de sus bienes, lo cual llevó al derribo del convento de las Agustinas Recoletas y a la transformación del resto de los conventos, en edificios estatales en los que se ubicaron oficinas públicas y servicios asistenciales. Estos cambios empiezan a percibirse en el plano de Pedro de Menchaca 2 y sobre todo en el Francisco Coello de 1863 3, donde nos encontramos con la reorganización de la plaza Mayor, a partir de la demolición del convento agustino, y de la plaza de Santo Domingo por la desaparición de la capilla de la Virgen del Rosario que permitió unificar en un solo espacio el Campo de Santo Domingo. Otro cambio importante fue la construcción del baluarte conocido como Reducto María Cristina durante las guerras carlistas (1837) que se erigió sobre los restos del antiguo medieval y la cárcel. También se perciben cambios en la zona de San Marcos, al abrirse una nueva calle y demolerse la capilla antes de iniciarse las obras del hospital de Isabel II que terminó destinandose a palacio de la Diputación [Regueiro Burgo 2012, 22] . En esta época se abrieron nuevas vías como la calle de la Reina, el Progreso, en sustitución del carril das Campás. La segunda mitad del XIX es un momento de expansión extramuros y eso afectó a la propia muralla, cuyo perímetro se rasgó para dar cabida a cinco nuevas puertas. La de San Fernando (1854) para comunicar la ciudad con la carretera de A Coruña, la de la Estación (1876) que favorecía el acceso a la estación del ferrocarril, la de Obispo Izquierdo (1888) que permitía la comunicación con la nueva cárcel, la de Obispo Aguirre (1894) que facilitaba el paso al Seminario y la del Obispo Odoario (1921) que permitía un acceso directo al nuevo hospital de Santa María, aunque para ello hubo que dinamitar un cubo de la muralla. De esa época, conservamos un grabado de las torres de A Mosqueira 4 en el que se aprecian todavía parte de los cuerpos de guardia que originalmente coronaban la fortificación y que aparecen también reproducidos en el plano del pazo de Tor, lo cual nos ha permitido confirmar cual podría ser el aspecto original de las murallas romanas. Desde mediados del siglo XVI, el Ayuntamiento había ido aforando a particulares los tramos entre torres de dicha muralla para construir sus talleres y viviendas y esas edificiaciones se habían ido consolidando y ampliando hasta ocupar todo el espacio disponible, ocultando la muralla. Durante la segunda mitad del XX se impulsó una iniciativas que cambió la imagen de la ciudad. En 1971 se inició el proyecto Muralla Limpia que consistió en demoler todas esas edificaciones que se habían adosado a la muralla por la parte exterior y reconstruir aquellas torres que habían sido desmontadas, lo cual permitió la recuperación de este destacado bien patrimonial. A partir de este momento, la población lucense empezó a ser consciente de la riqueza patrimonial que le había dejado su pasado y las posibilidades de su explotación. En cierta manera, la

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inclusión de la muralla romana de Lugo en la lista del Patrimonio Mundial, en el año 2000, fue el reconocimiento a este legado cultural.

3. A Coruña, la ciudad del Faro El icono de A Coruña es la Torre de Hércules y lo ha sido al menos desde el siglo XVI, cuando se formuló la imagen de la ciudad buscando en el mito un noble pasado que rememorar, porque lo que hoy conocemos como Torre de Hércules, es en realidad el farum Brigantium , es decir, los restos del faro que en tiempos del emperador Octavio Augusto, los romanos erigieron para orientar la navegación de las flotas que, procedentes del Mediterráneo, recorrían el Atlántico para el abastecimiento de Britania y Germania. La razón por la que eligieron este emplazamiento fue estratégica, la costa gallega es especialmente peligrosa en esta zona, porque el mar es muy batido y la climatología adversa, no en vano estamos en el Finis terrae para los romanos, o en las proximidades de la Costa da Morte, sin embargo, el golfo Ártabro, en el que desembocan las rías de Ferrol, Ares y el Burgo conforma una gran ensenada natural que permite el abrigo de las escuadras y el abastecimiento de las naves, antes de reemprender la singladura. Sin duda por esta razón se construyó el faro sobre una pequeña península, de escarpados acantilados de más de 57 m. de altura. Este faro, que sigue funcionando en la actualidad, conserva de época romana el núcleo interno de la construcción original, que es un paralelepípedo de 14 m. de lado y una altura total de 34 m. que se divide en tres alturas y que presenta cada planta compartimentada en cuatro cámaras iguales de 2,70 m de lado, donde todavía se pueden admirar los tipos de paramentos originales romanos como el opus quadratum que de emplearon en los vanos, el opus vittatum de los muros o el opus caementicium de las bóvedas. En el siglo XVIII se restauró, se forraron sus frentes con nuevas fachadas y se construyó una nueva linterna que permitió modernizar el faro para que éste pudiera continuar funcionando y sin grandes cambios, así llegó a nosotros.

4. La historia del faro Durante años se consideró que la referencia documental más antigua de la que se tenía noticia era la que nos había dejado Paulo Orosio (385-420) en su Historiarum adversus Paganos en la que se refería a la Torre en estos términos:

Secundus angulus circium intendit ubi Brigantia Gallaeciae civitas sita altissimum farum, inter pauca memorandi operis, ad specula(m) Britanniae erigit (El segundo ángulo de la península [Ibérica] se halla orientado hacia el cierzo, habiendo sido la ciudad galaica de Brigancia, allí situada, la que erigió en aquel lugar un altísimo faro, digno como pocos de ser admirado, cual atalaya frente a Britania).

Sin embargo un reciente estudio [Rodríguez Colmenero; Ferrer Sierra 2014, 258-264] plantea la hipótesis de que la primera mención esté contenida en un fragmento de la Geografiká de Ptolomeo (100-170), de difícil interpretación, en la que se dice: «Lapatia kórou ákron to kai trileukón» que ha sido traducido como «cabo de Lapatia donde está el joven guerrero y las tres luces» en referencia al propio faro y a la escultura del dios Marte que se dispuso al pie del mismo sobre una inscripción en capitales romanas, que todavía se conserva con el siguiente texto «MARTI/AUG(USTO) “SACR[UM]/

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C(AIUS)SEVIUS/LUPUS/ARCHITECTUS/AEMIENSIS/LUSITANUS EX VO(TO)» (Consagrado a Marte Augusto. Caio Sevio Lupo, arquitecto de Aeminium Lusitano, en cumplimiento de una promesa). A lo largo de la Alta Edad Media continúan las referencias al farum Bregantium o Precantium , al Pharum Gallaeciae o al Castelum, tanto en fuentes cristianas [Goy Diz, 2008, 179-182] como islámicas [Bernal Casasola 2009, 85-106], es más, ya desde el siglo IX, el farum Brecantium es además un término que funciona como un topónimo que designa a los territorios eclesiásticos de la margen izquierda de la ría del Burgo [Baliñas Pérez 1992, 344]. Será a partir del siglo XI cuando comience la formulación del mito a través del cual se intente justificar el origen del faro. Este rico patrimonio inmaterial dejó una huella importante en la formulación iconográfica de la Torre [González Garcia, 1997-1998]. De las leyendas conocidas hay tres especialmente interesantes, la de Breogán, la Hércules y una tercera, el relato de Trecenzonio que podemos considerarla una mezcla de las dos anteriores [Diaz Diaz 1985, 99-115]. De ellas, la que más nos interesa en este estudio es la de Hércules, que vincula el origen del faro al combate a muerte que éste mantuvo con el gigante Gerión a orillas del Atlántico, al cual dio muerte y enterró junto al océano y para conmemorar su victoria, construyó una torre sobre su tumba [Diodoro Sículo IV, 18, 2-3]. El mito pasó al mundo latino a través de Virgilio, Tito Livio, Propercio y Ovidio y la tradición fue heredada por Isidoro de Sevilla [San Isidro, XII, 15,2] de la cual la tomó el rey Alfonso X el Sabio y la incluyó en su Estoria de Espanna (1270). A partir de él, distintos autores como don Juan Manuel [1344, 9-10], Florián Ocampo [1544, 40-41], el licenciado Molina [1550, 29], Castellá Ferrer [1610, 421] o Jerónimo del Hoyo [1612, 228-229] defendieron la veracidad del mito de Hércules mientras que otros entre ellos Pedro de Texeira [Pereda; Marías 2002, 328] o el Padre Flórez [1752, 13] se opusieron a él.

Varios escritores mal empleados, quisieron engrandecerla por su origen, recurriendo a…Hércules o a Hispan a quien hacen autor de un espejo encantado (que otros atribuyen a Hércules) y todos carecen de fundamento…Los que dicen del espejo encantado que Hércules allí puso, fue tan gran desvarío que no puede ser mayor dejando aparte la burla…porque es averiguado que aquella torre no se hizo sino para que de noche pusieran en ella fuego porque los mareantes vista la lumbre r econocieran tener allí puerto…

Esta discusión quedó zanjada a partir de la publicación de la obra de José Cornide Saavedra [1792, 18-21] en la que discierne con nitidez entre el mito y la realidad histórica de manera que la leyenda de Hércules no volvió a ser tomada como una fuente de investigación.

5. Mito y realidad en la iconografía de la Torre de Hércules El peso que el relato mitológico ha tenido en la denominación del faro y en la iconografía del mismo ha sido determinante a partir de la Edad Moderna. Hasta hace un par de años se consideraba que la imagen más antigua de la Torre estaba en el Mapamundi del Beato del Burgo de Osma (1085) y en el Mapa de Hereford (1280), pero recientes investigaciones han demostrado que se trata de la representación del faro romano de la Campa de Torres de Gijón [Rodríguez Colmenero; Ferrer Sierra 2014, 256], por lo que la Torre de Hércules fue reproducida por primera vez 1448 como el escudo de armas de la ciudad 5. Una imagen idealizada de un faro cilíndrico con una única puerta de

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acceso y coronada la construcción por una rotonda cupulada y donde no aparecen las huellas de la rampa exterior que permitía el acceso al farol. A mediados del siglo XVI se introducen algunos cambios en el escudo de la ciudad que encontramos en una ejecutoria del emperador Carlos V del año 1552 6. En ella, aunque se mantiene la idea de una torre de sección circular con remate en cúpula, de la que cuelga un farol y con una rampa exterior a la que se abren los vanos dispuestos aleatoriamente, se introduce un elemento nuevo, que es la cabeza coronada de Gerión bajo los cimientos de la Torre, lo que supone la incorporación del mito a la formulación del icono. Esta imagen con pequeñas matizaciones, será la empleada en los escudos de la ciudad durante el siglo XVI y la primera parte del XVII. En algunos casos la cabeza será sustituida por una calavera y encontraremos diferencias en la forma de representar los restos de la rampa helicoidal. A mayores, se incorporó un nuevo elemento heráldico, las conchas de vieiras que orlan el campo, en alusión a la peregrinación jacobea o como símbolo de las provincias del antiguo Reino de Galicia. Paralelamente al proceso de identificación de la imagen de la ciudad con el faro, se producen cambios en la denominación del mismo. En 1550, el licenciado Molina [1550, 13] se refiere a él como la Torre del Faro, pero unos años más tarde Jerónimo del Hoyo [1607 421-422], recoge ya el cambio de nombre de esa «antiquísima torre que vulgarmente llaman la Torre de Hércules y por otro nombre el Castillo Viejo y algunos le llaman la Torre de Faro y otros de Augusto Cesar». A partir de principios del XVII esta nueva denominación se impondrá al resto, que paulatinamente caerán en el olvido. Por su parte, la imagen sumaria del faro la seguiremos encontramos en la cartografía de la época, como en el plano de Descripción del Real Presidio (1645) 7 o en el Atlas del rey Planta en el que además de una magnífica de vista de pájaro de la ciudad y de los alrededores nos deja una precisa descripción de la topografía del terreno y de la propia Torre, con comentarios críticos sobre su estado [Pereda; Marías 2002, 328]:

…sobre el mar en un alto esta una torre que llaman Torre de Ércules. De forma quadrada tiene de alto más de bente estados y a todos los quatro lado sus ventanas. La fábrica y antigüedad desde torre muestra ser obra de los romanos por ser de cantería çeca y argamaça… Dízese della munchas fábulas y encantos. Y lo siento es que fue echa para guía de los navegantes que de noche, navega ndo por aquel mar, quisiesen venir al puerto… An desecho desta torre toda la escalera que tenía por fuera, que yba asta lo alto dando vueltas, para aprovecharse de la piedra, cosa bien mal mirada deviendo antes procurar la conservaçion de una antigüedad tan grande que servir de adorno, ennobleçido a aquella ciudad.

Sin embargo, avanzada la centuria veremos como las imágenes se van haciendo más precisas. Ese es el caso de la vista paisajista que se conserva en el Archivo de la Catedral de Santiago 8 en la que por primera vez se vincula la inscripción latina a la Torre, a la cual se emplaza en un entorno idealizado. En el dibujo se muestra con mucho detalle el estado del faro antes de la reforma de 1685, que impulsó el Duque de Uceda y que supuso la modificación de la rotonda romana y la construcción de dos torrecillas en las que colocar los faroles que permitirían la navegación de las naves [Goy Diz 2008, 107- 114]. El aspecto renovado del faro lo encontramos tanto en un segundo dibujo que custodia el archivo catedralicio 9, como en el que se conserva en la Biblioteca Nacional de Madrid 10 . En 1726 el rey Fernando VI decidió convertir al cercano puerto de Ferrol en base de la armada española y la Torre de Hércules adquirió indirectamente una extraordinaria

Vetus adversus novum : la antigüedad clásica como piedra angular de la iconografía de las ciudades gallegas

ANA E. GOY DIZ

importancia porque el faro pasó a ser un elemento fundamental para la aproximación de las flotas al puerto de Ferrol. A partir de ese momento, el ministerio de la Guerra impulsó varios proyectos de reforma integral del faro entre los que destacan los de Boysin (1733) y Ricaud (1772), pero ninguno de ellos se materializó y hubo que esperar a 1792 cuando Eustaquio Giannini, en colaboración con el arqueólogo José Cornide plantearon una reconstrucción del faro que permitió asegurar su conservación hasta la actualidad. A mayores, Cornide redactó lo que podríamos considerar una memoria histórica del monumento e ilustró con siete grabados el aspecto que éste pudo tener en las diferentes etapas de su historia, lo que constituye una planimetría de análisis de extraordinario interés. El proyecto de Giannini fue considerado por el gobierno español un modelo de buena praxis ingenieril y por ello fue dado a conocer internacionalmente en la Exposición Universal de París de 1892, para la que se construyó una maqueta explicativa. A partir de ese momento, la Torre de Hércules es presentada como un ejemplo de modernidad y de innovación y se convierte en el elemento identificador de la ciudad. El puerto o la ensenada de Riazor, conocido como el “mar de Orzán” que son las dos vistas más características de A Coruña fueron perdiendo fuerza frente a la Torre que pasa a ser la imagen de los carteles, de los colegios profesionales, de las asociaciones culturales, de los productos que se fabrican en la ciudad. En definitiva la ciudad es la Torre y la Torre es la mejor metonimia de la ciudad.

Conclusiones Lugo y A Coruña pueden ser dos magníficos ejemplos en los que una imagen identifica a una ciudad y se convierte en su icono por encima de cualquier otra realidad, en ese palimpsesto que los investigadores debemos descifrar.

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Notas 1 Centro Geográfico del Ejército. Planos . Plano de la ciudad de Lugo, 1812. 2 Archivo Museo Provincial de Lugo. Plano de Lugo de Pedro de Menchaca y Saturnino Castillo. 3 Archivo del Reino de Galicia. Colección Cartográfica Martínez Barbeito . 000154 MB. 4 Biblioteca Nacional España. Semanario pintoresco español , 6/10/1850, n. 40, p. 1. 5 Archivo Municipal de A Coruña, 22/10/1448, C.210. 6 Archivo Municipal de A Coruña. 1.0.1. Autoridad Real . P.N. 45. Ejecutoria Real de Carlos V por la que se une al Corregimiento de A Coruña el juzgado de Bergantiños. 7 Archivo General de Simancas. MPD , XI-99 G.A., leg. 1485. 8 Archivo de la Catedral de Santiago. MPD, n. 75. 9 Archivo de la Catedral de Santiago. MPD , n. 76. 10 Biblioteca Nacional, Madrid. Sección Bellas Artes. Dibujos . Cat. B./2185.

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Grabado en la memoria. Fotografia, paisaje y prensa, instrumentos para la construcción de la identidad de una comunidad de emigrantes Printed in memory. Photography, landscape and press, instruments for the construction of the identity of an emigrant comunity

JUAN M. MONTERROSO -MONTERO Universidade de Santiago de Compostela

Abstract Galicia has been, since the mid-19th century, a community forced to migrate to other territories, notably Latin America. Argentina will be one of the most recurrent destinations throughout the twentieth century. This migration enabled the emergence of magazines such as El Almanaque Gallego which, during the first quarter of the 20th century, contributed through their articles, but also of their photographic reproductions, to the creation of an awareness specific identity within the Galician community settled in Buenos Aires. This study aims, through the analysis of that publication, decipher the iconographic values that the landscape, both urban and rural, possessed for those emigrants who watched their land from a distance. Aspects such as: the nostalgia, the exaltation of the homeland, progress, the achievements of the present and the glories of the past or the idealized beauty of the country, will be some of the elements to be studied.

Parole chiave Memoria, patrimonio, identidad, fotografia, paisaje Memory, heritage, identity, photography, landscape

Introducción Los conceptos de memoria e identidad están íntimamente ligados a disciplinas científicas como la historia o la historia del arte[Colmeiro 2005, 14-27]. De hecho éstas no dejan de ser la construcción de un relato con vocación universal y objetiva, aunque ni una de la otra se lleguen a materializar de un modo enteramente satisfactorio dentro del relato construido por el historiador [Bermejo Barrera 1999, 12]. Esta valoración positiva del relato histórico por encima del dato objetivo, resistente a toda interpretación, permite vislumbrar un factor común a estos tres conceptos -memoria, identidad e historia-: el sujeto o la comunidad que actúa como agente activo en su construcción [Vilar 2004, 83-96]. Dicho de otro modo, tanto la memoria como la identidad o la historia, precisan de un intérprete que, a un tiempo, puede actuar como emisor y receptor; como parte del proceso generador de valores de memoria o identitarios y como pieza fundamental de la relectura de los mismos. Si aceptamos que la identidad de una comunidad viene determinada por el proceso de reconocimiento de esos valores comunes que, desde un pasado más o menos remoto, son asociados como parte del proceso histórico-temporal del grupo, parece razonable

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pensar que la memoria, ya la expliquemos como memoria colectiva [Bloch 1999, 223- 232], ya la entendamos como memoria compartida, precisa de una serie compleja de instrumentos a través de la que poder referenciarlos: costumbres, hábitos, tradiciones orales, textos escritos o imágenes [Braunstein, 2008, 68-78]. Desde este punto de vista la propuesta metodológica que se plantea en este trabajo busca llamar la atención sobre el valor instrumental que la fotografía de prensa posee a la hora de poder fijar en esa memoria compartida de un colectivo, como la comunidad de emigrantes gallega en Argentina, los valores de un hogar y una patria distantes [Aznar, 2005]. No se trata de una propuesta novedosa, puesto que a la imagen impresa se le ha reconocido desde hace mucho tiempo un valor testimonial como documento visual que servía para ilustrar, ratificar o afirmar aquello que las palabras recogidas en los documentos históricos materializaban como hechos y datos [Freund 1993, 95-98]. Sin embargo, ese reconocimiento testimonial, que con el paso del tiempo se ha ido ampliando a una aceptación de su valor documental, todavía no se ha consolidado como un factor programático semejante al que podrían tener los editoriales o los artículos de esos mismos periódicos y revistas donde se encuadran. Las citas textuales extraídas de la prensa son una constante dentro de los estudios históricos, a través de ellas se puede articular el pensamiento o el ideario de cualquier colectivo [Palacio 2006, 76-78]. Es mucho menos frecuente descubrir como las imágenes, sobre todo si en apariencia no tienen otra pretensión más que la ilustración del texto o, lo que resultaría más frustrante, de la publicación en su conjunto, también pueden establecer vínculos programáticos por sí mismas con esos valores identitarios y de memoria. Se convierten, de este modo, en un nuevo y eficaz vehículo para las mismas ideas que recogen las palabras [Freund 1993, 191-199]. En el caso que a nosotros nos ocupará, del que daremos una explicación más amplia en los próximos apartados de este estudio, se pone en evidencia que las ideas recogidas en las páginas del Almanaque Gallego , en alguno de los editoriales y poemas de su director Manuel Castro López, tiene su correlato en las imágenes que durante tres décadas ilustran esas mismas páginas. Fechado en el 30 de septiembre de 1900, en el volumen IV de esta publicación, se puede leer un poema de Castro López que explica perfectamente ese sentimiento de apego a la madre patria, a la tierra, que hoy identificamos como parte esencial de la Galicia emigrante:

¡Un malhadado augurio / fue aquel infantil sueño, / del ingente castigo / de la ambición que él envolvía pérfido! / Otras tierras conozco, / y las que no, presiento: / mas, de tí separado, / sólo ocupa mi mente tu recuerdo, / sólo por ti suspiro, / ¡sólo por ti me muero! [Castro López 1901, 365]

Ahora bien, estos versos no deben engañarnos ya que, si la "morriña" y la melancolía son parte consustancial de nuestra identidad desde el romanticismo decimonónico, también fueron, en las mismas páginas del anuario, argumento para aspirar a que nuestra "patria chica" saliera de su letargo para ocupar un lugar digno, semejante al que ocupaba en los corazones de aquellos que se encontraban desplazados, lejos de ella:

La patria no hace á los hombres, pero sí los hombre á la patria. Olvidemos un tiempo, los gallegos que escribimos, las rías, los pinares, los prados, los montes de nuestra tierra. Dejemos que otros canten sus primores, y dediquemos tan sólo nuestra ciencia y nuestro ingenio, á contarnos, con

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impertinencia si es preciso, los defectos que tenemos, para que de la impertinencia nazca la preocupación, de la preocupación el estudio, y del estudio la perfección que eleva y dignifica á los pueblos. Menos "morriña", menos palique de gaita y más atención a los campos, á las fábricas, y á los talleres. Sueño con una liga en las cuatro provincias de mi tierra que, con perseverancia, durante un siglo, ó dos, ó tres, tienda á herir de muerte la letra jota. Esa letra es nuestra enemiga. El día que los gallegos no supieran pronunciar la jota, lucirían su natural ingenio sin grotescos aditamentos. La jota (baile) es la alegría de mi patria grande: la jota (letra) es la desgracia de mi patria chica [Basa 1902, 562].

Estos dos textos, representativos igual que otros muchos del pensamiento galleguista, con un regionalismo tamizado y tolerante, expresan los límites en los que la fotografía debería ilustrar las páginas del Almanaque Gallego : amor a la tierra, a su paisaje, fe en el progreso y orgullo de su historia. Esos podrían ser los tres ejes que nos ocuparán a partir de ahora.

2. Manuel Castro López y el Almanaque Gallego No es ahora el momento de hacer una semblanza de Manuel Castro López editor del Almanaque Gallego entre 1898 y 1927, cuestión en la que otros autores han profundizado a pesar de la dificultad para poder establecer un perfil biográfico amplio y detallado de este intelectual y emigrante, nacido en Lugo en 1860, que en abril de 1892 decide embarcar para América [Barreiro Fernández 2008, 11-34]. Para nuestros intereses baste con señalar que Manuel Castro López tenía profundas convicciones republicanas y anticlericales, tal como demuestra su labor periodística en La República de Madrid, El Resumen , también de la capital; o en medios como El Motín , Las Dominicales del Librepensamiento , Boletín Federal, El Telegrama, o Galicia , todos ellos radicados en A Coruña. Evidentemente su carácter anticlerical obedece a esa vocación republicana pero, en igual medida, a su condición de "orador" y Venerable Maestro de la logia masónica lucense Moreto, en cuya fundación participó y done se le conocía como "Castelo". Sin renunciar a sus convicciones, su llegada a América le permitió revisar su ideología y desarrollar un pensamiento pragmático en el que, sin abandonar un regionalismo militante, lo transformó -en palabras de Barreiro Fernández- en un "imaxinario colectivo capaz de xerar nos galegos valores e sentimentos de pertenza, de autoafirmación, capaz de suerar os complexos de inferioridade, de autoestima". Este aspecto pone de manifiesto cual es la última intención de Castro López con la publicación de su anuario, tal como queda recogido en la presentación del mismo en 1898:

Emprendemos la publicación de este Almanaque, el primero gallego en América, con un fin noble y determinante del progreso: el de ampliar la obra a cuya realización viene aspirando El Eco de Galicia de dar a conocer en las repúblicas del Plata a la pequeña patria, y en la pequeña patria el saber, el ingenio y la honrosa acción de sus hijos, residentes en estos países. El Almanaque aventajará a la revista el ser de un tanto más fácil conservación, siempre alcanza mayor vidad que el periódico, el folleto o el libro. Y una y otra, salvando la inmensidad del océano, llevarán a la madre de las madres, a la Patria, la expresión de nuestros anhelos [Castro López 1898, 41].

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Esta declaración programática permite varias lecturas que se deben conocer para tener una visión completa del alcance del mismo: En primer lugar, la referencia a El Eco de Galicia , que de un modo directo se toma como modelo y acicate del entusiasmo galleguista de Castro López, obedece a que éste se había hecho cargo del mismo por delegación de José María Cao Luaces. En su primer número, fechado el 7 de febrero de 1892, su fundador declara:

Del amor puro y sacrosanto de la Patria ha surgido el pensamiento de fundar este semanario. El Eco de Galicia tan modesto en su factura de hoja impresa como grande en sus aspiraciones y noble en el deseo de los bienes que persigue [...] Galicia [...] he aquí la palabra que brota de nuestros labios resumiendo los ideales más puros y deliciosos del alma. Galicia es nuestro lema y teniendo por divisa el sacrosanto nombre fuente de todas nuestras energías. ¡Vive Dios que no trepidamos en desplegar la bandera! [...] No debemos renegar jamás del nombre glorioso que simboliza el pabellón ibero, pero si estamos dispuesto a sostener que si hubo algún pueblo en la tierra con derecho a ser regionalista, a romper la centralización política y administrativa del Estado, ese pueblo ha sido el gallego [...]. Es tiempo ya de que cesen de una vez para siempre las estúpidas preocupaciones de cierta clase de pueblo que aún no llegó, en su pendantesca ignorancia, a conocer lo que valen los hijos de la antigua Suevia, lo que vale Galicia debido a su propio, a su solo esfuerzo... [Cao Luaces 1892].

En segundo lugar, la referencia a Galicia como pequeña patria es una constante en el anuario; se repetirá en multitud de artículos y proyectará un sentimiento afectivo que permite llegar a hablar de "matria", más que de patria, tal como explica Ambrosio Giz Gómez:

La Patria es también nuestra madre, porque en ella, la que nos llevó en su seno, nos dió á luz; porque, antes que nuestra misma madre, nos besó la brisa de su suelo; porque ese suelo proporcionole la sávia con que nos había de dar vida; porque sin patria no hay madre... [...] Galicia, madre bella y amante, llora la ingratitud de muchos de sus hijos [...] Si algún día pudiera contarme en el número de esos que se hacen dignos de mi Galicia, me consideraría dichoso y recompensado con creces de los dolores que su ausencia me produce [Giz Gómez 1898, 119].

En tercer lugar, bajo esa relación matriarcal de Galicia con sus hijos desplazados a orillas del Plata, desperdigados por la emigración en tierras americanas, existe la profunda convicción de que el camino para construir una "patria grande" a partir de esa "patria chica" -acepciones que tendrán diferentes significados en manos de distintos autores- pasa por la fe en el Progreso, tal como lo explica Francisco Rodríguez del Busto en el anuario:

¡Despierta, virgen! Pon el martillo en el brazo musculoso de tus hijos; abandona la ingénita modestia y la dulce melancolía que te consumen; haz respetar tus derechos y no te intimides ante los fuertes, que los fuertes también tienen miedo; abre tus puertas al comercio universal; horada tus montañas y penetra en tu seno; aplasta el cacicazgo que, cual planta parasitaria, chupa tu sangre; responde con altivez á las imposiciones de los que no tienen derecho á mandarte y menos a consumir tu vida; desata la lengua de tus oradores, levanta una tribuna en cada plaza para que hablen tus economistas y tus demócratas y enseñen á las gentes la vida del siglo y digan á los usureros que encierran el oro en el fondo de sus cofres, cuando hay miseria por falta de trabajo, que es cobardía y es delito de lesa humanidad vivir para sí mismos... [Fernández del Busto 1900, 277].

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Por último, en cuarto lugar, no se puede olvidar ese sentido de dulce melancolía - "morriña"- que impregna las palabras y la mirada de todos estos intelectuales, tal como pone de manifiesto Ángel Anido, como expresión de la ausencia y la distancia:

Allí quedaba la patria; aquel pedazo de tierra que tantos recuerdos evoca y que tantas ansias ocasiona al vernos alejados de ella y más cuando se hizo acreedora al cariño y á la veneración de sus hijos. Y al hablar de la patria, salta á la mente, como primer pensamiento, el recuerdo de la región. Por más que pretendamos ocultarlo ó disimularlo ésta es la realidad. Reconocemos la conveniencia de declararnos hijos de una patria grande, especialmente cuando nos hallamos entre extraños, pero el corazón nos vende; el primer impulso es la patria pequeña [Anido 1898, 53].

Este ideario se materializó en una publicación que bajo la apariencia de un formato anárquico, tanto en la organización de las secciones y los artículos como en la ubicación de las imágenes, consiguió cohesionar a toda la comunidad gallega en Argentina, tal como demuestra el creciente número de propaganda y publicidad que incluía al principio y al final de cada número. Según Barreiro Fernández son varios los motivos de ese éxito que, en nuestro caso, reduciremos a dos: 1.- Mantener un ideario político e ideológico sin llegar a la confrontación gracias a la renuncia al expresar el regionalismo como una formulación política y optar por solución práctica y útil en la que se buscaba la descentralización, al tiempo que se apostaba por Galicia en su cultura, su tradición, en definitiva, su identidad. 2.- La pluralidad ideológica que se podía leer en sus páginas como reflejo de las diferentes formas de sentir Galicia, también se pone de manifiesto en la forma en la que se integran dibujos, grabados y fotografías en sus páginas. De nuevo de forma anárquica, sin un aparente sentido programático pero, a su vez, con una claridad conceptual y práctica semejante a su línea editorial [Barreiro Fernández 2008, 31]. En el número dos del Almanaque se puede leer la correspondencia cruzada entre Gonzalo y Castro López, para entender perfectamente ese carácter dúctil y pragmático del anuario:

Vea V. cómo nos entendemos; amemos la región con toda nuestra alma, procuremos su engrandecimiento, no la hagamos perder un átomo de su esplendor, dediquémosle nuestra constancia y coloquémosla sobre pedestal muy alto; pero todo lo que elevar pueda á la región, sea para majestad de la patria. Venga la patria pequeña, como usted dice, á robustecer la patria grande (Buenos Aires 8 de diciembre de 1897) [Segovia 1899, 143].

"Es verdad que V. se llama unitario; pero esto no importa. El regionalismo, lo afirman sus apóstoles, no tiende á la desmembración de la Patria; [...] El regionalismo da á las naciones el vigor, la robustez, la vida de que carecen las que están corroídas por la aniquiladora centralización que de Francia han llevado á España, deslumbrados por la novedad , españoles olvidados de las saludables tradiciones y de la inapreciable historia de su patria. El regionalismo, como V. me enseña, es lo que otro de mis ilustres amigos ha definido: la variedad en la unidad, y en el todo la armonía ". (9 de diciembre de 1897) [Castro López 1899, 145].

En el almanaque para el año 1904, el número 7, se puede ver un óleo del pintor Vicente Díaz González ilustrativo de este planteamiento donde "patria grande" y "patria chica" se comienzan a identificar dentro de un todo armónico. En la imagen, titulada América, España, Galicia , González Díaz planea un cuadro alegórico con la representación de tres

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matronas que, identificadas a través de diferentes atributos perfectamente reconocibles, se asocian con cada el continente, el país y la región. Si América mantiene todavía connotaciones propias de la iconografía de C. Ripa, en el caso de España, sólo sus sandalias, la espada que luce a la cintura y la corona de laurel, junto con la túnica talar de corte clasicista nos permiten reconocerla como tal. Su posición central y los brazos tendidos hacia las cinturas de sus dos acompañantes se traducen en ese nexo de unión que existía entre Galicia y América. Evidentemente hay un reconocimiento de la españolidad como matriz de la civilización sudamericana que, por estas fechas, estaba perfectamente asumido. Ahora bien, lo más interesante para nosotros es la alegoría de Galicia que, además por el traje tradicional gallego se le reconoce por una rueda dentada, símbolo que sólo puede interpretarse en clave de progreso y empeño industrial.

Fig. 1. Vicente González Díaz. América, España, Galicia. (Almanaque Gallego para el año 1905. Año VII. (Almanaque Gallego por Manuel Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 841).

3. Paisaje, progreso e historia Con todas las premisas expuestas se puede plantear un uso tipológico de la imagen fotográfica durante las tres décadas en las que se publicó el Almanaque Gallego . Dado que no existe una pauta editorial ni criterios de diseño asociados a los contenidos recogidos por escrito, sólo resta atender al género y contenido de la imagen para intentar explicar y justificar la lógica de su utilización. Únicamente en casos puntuales se puede rastrear una relación clara entre el texto y la imagen. Por ese motivo creemos que éstas se deben interpretar desde los siguientes parámetros. En primer lugar, como mero paisaje ilustrativo de la Galicia que cualquier emigrante podría recordar. Esta sencilla clasificación, en apariencia obvia y evidente, encierra una mayor complejidad cuando detallamos y sistematizamos las imágenes que nos ofrece el Almanaque Gallego.

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En el primer caso la utilización de la palabra "paisaje" nos traiciona. Si entendemos éste en términos de género artístico podríamos descubrir multitud de ejemplos en las páginas del anuario pero no son estos los casos que ahora nos interesan. Por otra parte sería fácil caer en otra visión simplificadora al entender paisaje en términos básicos de geografía física: ríos, valles, montes, etc. En el momento en que la pregunta la formulamos desde la perspectiva de una comunidad emigrante, contagiada por la "saudade" o "morriña" cambia radicalmente el valor de la imagen fotográfica [Landeira 1970, 55]. Ese paisaje gallego al que nos referimos es un paisaje femenino, tal como lo describió Unamuno, poco dado a lo sentimental [Landeira 1970, 16]; se trata de un paisaje con una poderosa carga poética que se asienta en la lírica del siglo XIX, siendo su mejor ejemplo Rosalía de Castro, y un referente obligado Eduardo Pondal y su obra O queixume dos pinos de 1886. Ambos aspectos nutren el imaginario del paisaje gallego que, tal como señala Otero Pedrayo, se caracteriza por ser un paisaje "prolijamente humanizado" [Otero Pedrayo 1954, 134-138]. En él la orografía es tan relevante como la historia y la vegetación es consustancial al poblamiento. Esto explica que una de las cuestiones básica para comprender la estructura del poblamiento gallego, tanto en lo rural como en lo incipientemente urbano, sea reconocer que sus elementos fundamentales son la aldea como célula inicial de poblamiento -lugares, casales, barrios-, la parroquia, la villa y, por supuesto, la tendencia a la dispersión y nuclearización. Desde esta perspectiva hablar de fotografías de paisaje es hablar de formas de habitación, de la transformación del medio, de la integración de la naturaleza y el individuo [Sánchez Pardo 2008, 119-132].

Fig. 2: Vista general de Viana del Bollo, Orense. 1906 (Almanaque Gallego para el año 1907. Año IX. (Almanaque Gallego por Manuel Castro López , Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 1435). Fig. 3: Ciudad de Tuy. (Almanaque Gallego para el año 1898. Año I. (Almanaque Gallego por Manuel Castro López , Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 117).

Por ese motivo un gran número de imágenes son vistas de ciudades, villas y aldeas, en las que el núcleo urbano se integra dentro del paisaje, ya sea de montaña, una ría, la orilla de un río o un valle. Estas imágenes tienen el poder evocador del recuerdo, son activadores de la memoria de los lectores del anuario que, en primera instancia, pueden contemplar su "patria grande" - en este caso Galicia- y su "patria chica", aquellos lugares de donde procedía.

Grabado en la memoria. Fotografia, paisaje y prensa

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Estas fotografías, a modo de vistas, nos permiten reconocer la organización urbana de cada una de esas aldeas, villas y pueblos, pero también nos dan una valiosa información sobre su adaptación al medio. El mejor modo de explicar el valor de estas imágenes lo descubrimos en las palabras escritas por Giz Gómez en el volumen I de 1898:

Me reprochas que vena á estos lugares y que abandone á los amigos; pero es porque aquí, mirando esas aguas, á las que no veo fin, me parece más llevadera la vida; creo que aún soy niño, que juego en aquellas campiñas llenas de flores, que recorro aquellos valles llenos de misterioso encanto; me parece respirar el salutífero aroma de los pinos, percibir el murmullo del arroyuelo, el gorgeo de los pájaros, el bramído de las olas, el canto del campesino que regresa á su hogar con la conciencia tranquila, aunque fatigado el cuerpo [Giz Gómez 1900, 289].

Fig. 4: Malpica. La Coruña. (Almanaque Gallego para el año 1901. Año IV. (Almanaque Gallego por Manuel Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 1620). Fig. 5: Castaño secular de Bembibre. Viana del Bollo. Orense. (Almanaque Gallego para el año 1910. Año XII. (Almanaque Gallego por Manuel Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 2035). Fig. 6: Ciudad de Tuy. (Almanaque Gallego para el año 1898. Año I. (Almanaque Gallego por Manuel Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 117).

La segunda categoría de imágenes son aquellas en que se ponen en evidencia los cambios y transformaciones que tuvieron lugar en Galicia tras la partida de muchos de los residentes en América a finales del siglo XIX. El progreso se convierte en una bandera necesaria para el regionalismo que, si bien hundía sus raíces en las señas de identidad históricas, en la tradición y en las costumbres, también entendía que los cambios políticos sólo se podrían producir si iban asociados a profundos cambios económicos, sociales y culturales. La reforma y transformación de Galicia se concebía como un proceso complejo y múltiple, cuyo recorrido debía discurrir a través de la senda del perfeccionamiento continuo. Desde la perspectiva de las comunidades gallegas argentinas, en especial de las élites intelectuales el regionalismo liberal estaba vinculado con la idea de impulsar Galicia lejos de su "postración histórica" a través del progreso y, en especial, gracias al esfuerzo de las colectividades de emigrantes. El camino para poder llevar a cabo este ideario reformista pasaba por una formación moral, material y cultural del ciudadano gallego emigrado, apoyada en la idea de la superación de las diferencias de clases que lo

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había forzado a la emigración, dirigida contra el caciquismo y el funcionamiento de las instituciones públicas españolas [Núñez Seixa 2014, 414]. Desde este punto de vista es fácil comprender que abunden las imágenes que podrían ser síntoma de ese progreso y perfeccionamiento continuo. Por una parte estarían aquellas asociadas con el icono del progreso: el tren. Son numerosas las fotografías de puentes metálicos y viaductos que ilustrarían el imparable avance del progreso. En menor número se pueden ver imágenes de actividades fabriles, siendo mayoritariamente las asociadas con la actividad pesquera. Ahora bien, esas "imágenes síntoma" no se comprenderían sin tener presente que esa mejora se consigue a través de la educación, de ahí que algunas fotos hagan referencia a centros de enseñanza y exposiciones locales y provinciales donde arte e industria convivían, o simplemente a espacios urbanos de convivencia como plazas, cantones, paseos o alamedas. El progreso también se asociaba con la transformación urbana y social de la villas y ciudades gallegas [Monterroso Montero 1996, 103-134].

Fig. 7. Viaducto de Redondela á Pontevedra. (Almanaque Gallego para el año 1900. Año III. (Almanaque Gallego por Manuel Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 303). Fig. 8: Fábrica Azucarera. Padrón. (Almanaque Gallego para el año 1905. Año VIII. (Almanaque Gallego por Manuel Castro López, Santiago de Compostela, Consello da Cultura Galega, 2008: 1121).

Por último, el tercer apartado atiende a aquellas imágenes que recogen en sus monumentos parte de su historia y, con ella, aquellos elementos que, desde un punto de vista patrimonial, se podrían reconocer como singulares de cada una de las provincias gallegas. Es este el capítulo más amplio y, con toda seguridad el que menos explicación precisa. El pensamiento regionalista compuso un conjunto de encendidas referencias a la historia, la tradición y la cultura, como elementos singulares y diferenciadores de Galicia. En este sentido las artes desempeñaban un papel fundamental al concebirse como una constante eterna, expresión de la libertad, independencia e individualidad de un pueblo; también se interpretaban como evidencia de que el distanciamiento de Galicia, decadente y atrasada, frente a otros pueblos culturalmente más avanzados era un proceso que se podía invertir. En este caso la selección de hitos monumentales es muy variada y, si bien es cierto que aquellas glorias más significativas y reconocibles, vinculadas con los grandes estilos históricos dominantes -románico y barroco- son las más numerosas, la selección gráfica

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sorprende por la variedad de elementos seleccionados. Esta se debe explicar por el creciente interés que el arte adquiere en el siglo XIX como testimonio histórico.

Conclusión Como se ha podido comprobar, en el caso de el Almanaque Gallego , lo mismo que en otros muchos semanarios y periódicos vinculados con la emigración gallega, la fotografía desempeñó un papel fundamental. Incluso en casos como el presente, donde podría pensarse en un carácter anecdótico, complementario y servil del texto, se puede constatar que se asume a la perfección el ideario regionalista de sus editores. Al igual que el texto, la imagen se convertía en soporte de unas ideas que siempre tenían presente a Galicia; que, apoyándose en su valor rememorativo y emotivo, permitían a las élites intelectuales emigradas transmitir a sus compatriotas el orgullo de ser gallegos.

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Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento Galician landscape narrated by the British travellers of the 19 th century

MARÍA RIVO VÁZQUEZ Universidade de Santiago de Compostela

Abstract After being systematically excluded from the Grand Tour, in the 19th century Spain became an appealing destination for European travellers. Most of the foreigners were looking for the riveting orientalism of Southern Spain, but the scarcely known regions from the North achieved to hold the attention of a few as well. The goal of this paper is to find, compare and analyse significant examples of descriptions of Galician landscape written by British travellers during the 19th century. A task that will be carried out by using studies on travel literature in Spain such as those of Lucile and Bartolomé Bennassar, Arturo Farinelli, Raymond Foulché-Delbosc, José García Mercadal and Carlos García Romeral; as well as digital libraries such as ‘Europeana’ and ‘Archive’.

Parole chiave Viaggiatori britannici, Galizia, Paesaggio, Ottocento, Letteratura odeporica British travellers, Galicia, Landscape, 19th century, Travel literature

Introduzione Gli itinerari tradizionali del Grand Tour, viaggio formativo in Europa dei giovani britannici aristocratici, a partire dalla fine del Seicento, non avevano mai interessato la Spagna. Infatti le scarse aspettative riguardo i suoi paesaggi e il suo patrimonio e, soprattutto, le pessime condizione di viaggio non avevano attirato i giovani viaggiatori stranieri dalla Penisola Iberica. Tuttavia nel l’Ottocento , grazie al contatto che alcuni avevano avuto con il territorio peninsulare durante la Guerra d ’Indipendenza, grazie al Romanticismo e alle migliorie apportate alle vie di comunicazione, la situazione iniziò a cambiare. Il sud, con il suo passato arabo dal sapore esotico, cominciò ad attrarre, mentre il nord-ovest, dove le difficoltà di viaggio erano maggiori e il paesaggio più simile a quello del resto d’Europa, restò probabilmente la parte meno esplorata [Muñoz Rojas 1981, 13-14]. Ciononostante, a poco a poco gli stranieri iniziarono ad addentrarsi anche in questi territori, in alcuni casi lasciando testimonianze scritte della propria esperienza e con interessanti descrizioni dei paesaggi osservati; testi per la maggior parte lasciati da inglesi e francesi, le nazionalità più presenti tra i viaggiatori [Serrano 1993, 47-79]. Affinché ci sia paesaggio si devono dare due condizioni: territorio e sguardo. Senza la realtà materiale di un territorio non si può parlare di paesaggio, ma è lo sguardo, la sua percezione, che gli conferisce unità e indipendenza conferendogli valore in se stesso. Si tratta, in ultima analisi, di un ’idea estetica, di un costrutto mentale con diverse evoluzioni in ogni cultura e per il cui studio ci si basa su testimonianze molto diverse [López Silvestre 2004, 13-14] tra le quali quella della letteratura di viaggio risulta particolarmente significativa. Infatti, come nota Peter Burke, la letteratura odeporica rispecchia pregiudizi che precedono il viaggio basati su luoghi comuni, formule e convenzioni che la rendono

Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento

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una «delle fonti più eloquenti della storia culturale» [Burke 2000, 127], uno specchio che trascende l’immagine del visitato – il territorio – per restituirci l’immagine del visita nte – lo sguardo. In Galizia, la regione più nordoccidentale della Penisola Iberica, l’idea del paesaggio impiegò tempo a suscitare lo stesso interesse che a partire dall’inizio dell’Età Moderna si era imposto nel resto d’Europa [López Silvestre 2004, 15 -16]. Tuttavia in Gran Bretagna l’evoluzione del giardino e la teorizzazione intorno ai concetti di sublime, bello e pittoresco nel corso del Settecento segnarono profondamente la forma di guardare al territorio a partire da quel momento [Darby 2000, 53; Maderuelo 2004, 7-43]. Il fine di questo lavoro è studiare le descrizioni del paesaggio della Galizia nella letteratura di viaggio inglese del l’Ottocento . A questo scopo dopo aver consultato gli studi di Lucile e Bartolomé Bennassar [1998], Arturo Farinelli [1920], Raymond Foulché-Delbosc [1896], José García Mercadal [1999] e Carlos García Romeral [1999], così come le biblioteche digitali Europeana e Archive , sono stati selezionati i testi dei seguenti viaggiatori: John Milford [1816], Josiah Conder [1826], Henry John George Herbert [1836], Thomas Roscoe [1838], George Borrow [1843], Samuel Widdrington [1844], Richard Ford [1845], George Street [1865], Charles Wood [1883], e John Lomas [1884].

1. Il paesaggio bello In generale si può dire cha la nostra idea di bellezza, ereditata dai greci, si basa su ordine, proporzione e armonia. Ma l’evoluzione del concetto ha generato numerose teo rie e tipi di bellezza: la bellezza romantica è molto diversa da quella classica, la bellezza in senso stretto. Partendo da una concezione intellettuale e razionale, basata sull’imitazione di una natura ideali zzata, durante l’Illuminismo si iniziò a ricercare una bellezza basata anche sull’immaginazione e i sensi e che potesse suscitare emozioni. Così, a partire dal Settecento le categorie estetiche del sublime e del pittoresco hanno completato e addirittura rivaleggiato con quella del bello, una situazione alla quale ha contribuito notevolmente l’opera dell’inglese Joseph Addison, che a principio del secolo stabilì tre tipi di «pi aceri dell’immaginazione » [Maderuelo 2004, 7-20; Marchán Fiz 2007, 22-29; Tatarkiewicz 1987, 120-122, 172-174, 185-191, 219-230]. La bellezza, che autori come Edmund Burke definirono allora come una qualità delle piccole cose, lisce, morbide dai cambiamenti graduali e forme precise ma delicate e ondeggianti, consentì di classificare il paesaggio bucolico e umanizzato che fino a quel momento non era inseribile in nessuna delle due categorie. [Hussey 2013, 89-128; Milani 2007, 140-144]. Non a caso un tratto frequente nei paesaggi che i viaggiatori analizzati sembrano inserire nella categoria del bello sono proprio le coltivazioni. Lungo il tragitto tra Santiago e Vigo, Milford osserva che è «interspersed with vineyards and groves of lemon and orange trees, forming a landscape beautifully romantic» [MILFORD 1816, 69], mentre Pontevedra si presenta «pleasantly situated upon a hill, from whence there is a fine view of the sea on one side, and of the hills covered with luxuriant vineyards on the other. There is a handsome bridge here» [MILFORD 1816, 68]. Dal canto suo, Henry Herbert descrive i dintorni di Vigo e A Coruña come «a pleasant and inclosed country» [HERBERT 1836, 124]. E Roscoe afferma che il territorio intorno a Santiago «presenting the appearance of a small peninsula, formed by the rivers Tambre and Ulla, is rich and fertile, the whole plain and environs being watered by these streams, which give beauty and freshness to every object» [ROSCOE, 95-96].

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Secondo Widdrington, Betanzos si trova in mezzo a «an enormous vineyard, unbroken by any other cultivation» [WIDDRINGTON 1844, 160] , e da lì il cammino verso A Coruña è «one of the very best and most pleasing in Spain. The country is highly diversified, and richly cultivated, producing all sorts of crops in abundance. The views exhibit mountain and water in the greatest perfection, being finely broken and designed» [WIDDRINGTON 1844, 161]. Padrón gli sembra «a large straggling village in a beautiful valley, watered by the Ulla, one of the prettiest rivers I ever saw» [WIDDRINGTON 1844, 205] . Poco dopo aver lasciato Pontevedra, dove aveva elogiato la vista dall’Alameda, descrive il seguente panorama: «distant views of the ria of Vigo and the hills beyond it, that cannot be excelled; there is little in Europe so beautiful or that would better repay a landscape painter for giving a little time to the novel subjects that might be picked out from this lovely region» [WIDDRINGTON 1844, 219]. Per Ford «La Coruña is delighful, as the rich country is well cultivated, and the views, which sweep over mountain and water, superb» [FORD 1845, 651] . Allo stesso modo, vicino Pontevedra la campagna è «rich and fertile», e la città «with its long bridge, rises on a slope overhanging its beautiful ria and the estuary of the Lerez» [FORD 1845, 681] . Successivamente la via verso Redondela «is one continued garden, with charming views of the ria of Vigo », e questo «exquisite scenery continues to Redondela, which is divided by its river, and connected by a bridge. It stands on the charming lake-like ria of Vigo, which now opens to the S. W., and is one of the finest bays in this indented coast» [FORD 1845, 681-682] . La piccola località di Portomarín «is a pretty place, divided by the river, with a good bridge»; nella vallata di Lemos «The country is rich and pastoral» [FORD 1845, 686] ; e Ribadeo «is a sweetly situated town on its beautiful ria or bay, abounding in fruit, vegetables, and excellent fish. The Castillo commands the lovely bay, which is spread out like an indented lake» [FORD 1845, 688] . Secondo Street,

La Coruña is charmingly situated, facing a grand landlocked bay, but on the inner side of a narrow ridge, a short walk across which leads to the open sea, which is here very magnificent. The views of the coast (…) are of unusua l beauty, and it is rarely indeed that one sees a more attractive country [STREET 1865, 136].

E, per concludere, i commenti di Wood sulla Ría de Arousa sembrano coincidere perfettamente con l’ideale di bellezza auspicato da Burke: we suddenly faced the blue waters of the bay. The land stretched round in a circle of wavy hills and undulations. (…) The air was light and ethereal; the sky a blue we dream of in England, but never see. Existence was a pleasure, in such a spot almost a rapture [WOOD 1883, 70]. The whole country undulated and divided into fertile plains, valleys and hills, here barren and rocky, there clothed with soft and soothing verdure [WOOD 1883, 52].

In ogni caso, termini quali «beautiful», «pretty», «charming», «pleasant», «rich», «fertile», «lovely», «delighful», «pastoral», «sweetly», «soft» e «soothing» risaltano la presenza dell’ideale romantico di bellez za in tutti i passi citati.

2. Il paesaggio sublime Il concetto di sublime si originò nell’Antica Roma nell’ambito della retorica, ma solo nel Seicento entrò nel dibattito delle idee estetiche e a partire dal Settecento conquistò

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Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento

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importanza in Gran Bretagna, grazie in particolare all’influente trattato di Edmund Burke che lo contrappose a quello di bello. Sebbene le caratteristiche del sublime cambino da un autore all’a ltro, le più diffuse sono la grandiosità, l’elevazione, l’immensità, l’infinità, l’oscurità, il vuoto, la capacità di spaventare, divertire o affascinare, e tutte quelle proprie delle cose attraenti ma opprimenti e spaventose [Burke 1990; Hussey 2013, 89-128; Milani 2007, 128-135; Tatarkiewicz 1987, 203-206]. Milford è uno degli autori che sembrano più inclini a descrivere il paesaggio contemplato nel suo viaggio in Galizia con la categoria del sublime. È così che narra, ad esempio, la sua prima vista di A Coruña, «a striking view»:

The noble range of Galician mountains, which like dark clouds bound the eastern horizon; the black barren perspective of the surrounding shores, receding in misty distance, washed by the rolling floods of the Bay of Biscay, and the dreary uncultivated appearance of the neighbouring heights; (…) gave me no favourable idea of my destined winter’s residence [MILFORD 1816, 3].

Ma la poetica del sublime si rivela ancora più potente nel suo racconto di un’ escursione nel territorio della piccola località di Xubia, vicino Ferrol: we had arrived in the midst of the mountains, whose extensive woods and bold scenery grave fresh delight to our diversion; when night suddenly overtook us; the clouds lowered, and the approaching storm obliged us to take shelter in a small cabin at the foot of a stupendous precipice, over whose craggy summit roared an impetuous cataract [MILFORD 1816, 44-45].

Sebbene senza raggiungere lo stesso livello di intensità, anche Conder osserva come nella baia tra Ferrol e A Coruña «the sea is almost always tempestuous» [CONDER 1826, 206]. La costa era probabilmente uno dei luoghi più suscettibili di essere visti come sublimi. È quanto accade nella descrizione che Borrow fa della Ría de Vigo: it is defended by steep and sublime hills, save on the part of the west, where is the outlet to the Atlantic; but in the midst of this outlet, up towers a huge rocky wall, or island (…). The waters are dark, still, and deep [BORROW 1843, 215-216].

E in modo ancora più evidente nel racconto del suo viaggio a Fisterra, dal cui capo, dice, «On all sides there was grandeur and sublimity» [BORROW 1843, 257] , osservando una fine del mondo «beyond which there was a wild sea, or abyss, or chaos», proprio come lo aveva immaginato. Con le parole dello stesso Borrow:

I now saw far before me an immense ocean, and below me a long and irregular line of lofty and precipitous coast. (…) There is an air of stern and savage grandeur in every thing around, which strongly captivates the imagination [BORROW 1843, 249-250].

Nel caso di Widdrington, Mondoñedo è una delle zone che lo condusse a evocare con più intensità il sublime: the situation of that place is extremely good, being towards the head of an Alpine valley, with fine character in the landscape, and the remains of the ancient forest still standing in scanty fragments [WIDDRINGTON 1844, 154].

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From the summit of the town there is a long and dreary cuesta or hill of nearly a league (…). All this upper region is wild and almost uncultivated, excepting in scanty patches [WIDDRINGTON 1844, 155].

Ciononostante, arrivando a Betanzos si trattenne «near the summit of the pass, from which is a most extensive and magnificent view over the north of Galicia, and the ocean beyond it» [WIDDRINGTON 1844, 160] . Stando a Ford la posizione e le caratteristiche di Ferrol soddisfacevano i requisiti del sublime, fatto che senza dubbio contribuì al semiabbandono in cui doveva versare l’arsenale durante la sua visita: «the glorious situation of this harbour scooped out by nature is very striking, while art has defended the narrow entrance by the two (…). (…) the immense bay is almost without a sail, the basins and magazines empty» [FORD 1845, 657- 658] . Anche il suo arrivo a Santiago ebbe qualcosa di sublime: dopo nove ore di viaggio «over a desolate country», Ford riporta come the dark granite towers of Santiago first catch the wayworn traveller’s eye, and the deep -mouthed tolling bells salute his ear. It is indeed a grand and impressive sight. To the r. Rises the barren rocky Monte Dalmatico , while the green slope to the l. is crowned with the convent Belvis, and beyond stretch undulating hills and distant mountains [FORD 1845, 660].

Sebbene pare fosse entrato in città da un altro versante, egli concordava con Wood, secondo il quale «The approach to the town is striking» [WOOD 1883, 54]. Lomas, dal canto suo, dovette provare una sensazione simile a A Coruña; infatti nel suo testo osserva che «the place is gloriously situated upon its vast, landlocked bay, and sloping hills» [LOMAS 1884, 406].

3. Il paesaggio pittoresco Originatosi come conseguenza di una serie di idee nate nell’ambito dell’empirismo inglese, l’affermazione del concetto di pittoresco in campo estetico alla f ine del Settecento si deve soprattutto ai testi degli ingleso Uvedal Price, Richard Payne Knight, Humphry Repton e William Gilpin, sebbene ebbero un ruolo importante anche la pittura di artisti come Nicolas Poussin e Claudio de Lorena e lo sviluppo del giardino paesaggistico nel corso del secolo. Si tratta pertanto di un’idea centrale nella cultura britannica, quanto meno a partire dalla metà del Settecento, che, di fatto, è intimamente legata «al gotico, al medievale e al rurale, riassumendo, al britannico» per dirlo con le parole di Javier Maderuelo [Hussey 2013; Maderuelo 2004, 7-43]. Il pittoresco, strettamente vincolato al paesaggio, si basa su valori plastici quali il cromatismo, le consistenze e i giochi di luce e ombra. Queste qualità formali caratterizzano le rovine, capanne, montagne impervie, rocce frastagliate, alberi nodosi, animali selvaggi o dal pelo irsuto e in generale tutti quegli elementi della natura caratterizzati da irregolarità, cambiamenti bruschi, rugosità, ruvidezza o deformità [Hussey 2013; Maderuelo 2004, 7-43; Milani 2007, 121-128]. Elementi che, sebbene costituiscano un ins ieme gradevole, difettano dell’ armonia, della levigatezza e della morbidezza del bello e dell’eroismo e della capacità di provocare turbamento o timore che resta propria del sublime.

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Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento

MARÍA RIVO VÁZQUEZ

Nella sua descrizione dell’entrata in Galicia da O Cebreiro, Conder sembra soffermarsi con particolare compiacimento su ciò che potremmo considerare la componente pittoresca del paesaggio:

From Villa Franca to Castro is one continued ascent up Monte del Cebrero (…) , through one of the wildest, most delightful, and most defensible countries in the world. The road is a royal one, cut with great labour and expense in the side of the mountain, and following all its windings. For some part of the way, it overhangs the river Valcarce, a rapid mountain stream (…). Oaks, alders, poplars, hazels, and chestnuts grow in the bottom and far up the side of the hills; the apple, pear, cherry, and mulberry are wild in this country; the wild olive is also found here; and here are the first vineyards which the traveller sees on his way from Coruña into the heart of Spain. The mountains are cultivated in some parts even to their summits, and trenches are cut along their sides for the purpose of irrigating them [CONDER 1826, 200].

Sebbene in modo più conciso, anche l’uso di determinati aggettivi svela la presenza dell’estetica del pittoresco dietro molti dei commenti di Henry Herbert. Del porto di Vigo, in primo luogo, dice che «rather resembles a great lake, surrounded by high hills, than an inlet of the sea; for its entrance is guarded by rocky islands which break the force of the waves» [HERBERT 1836, 123]; e della via tra Santiago e A Coruña osserva che «Little towns and villas studded the country» [ HERBERT 1836, 131] . A giudicare dalle descrizioni di Roscoe, Widdrington e Street, oltre quella già citata di Conder, quella che è l’odierna provincia di Lugo corrispondeva in modo particolare all’idea di pittoresco dei britannici. Per Roscoe la via dalla città di Lugo a Santiago si svolgeva tra «beautiful avenues of trees, over steep hills, several woods of chestnuts trees, and through a few wild passes in the mountains», al di là dei quali «there are the same productions, the same sort of fields, and numerous flocks and herds» [ROSCOE 1838, 95]. Widdrington racconta come viaggiò «through broken corn lands and other cultivated ground, interspersed with trees» fino a dei «wild and open heaths with hills of gradual elevation, reminding me very much of some part of the country on the borders of Scotland» per poi, dopo aver evidenziato la ricchezza forestale della zona, commentare come «The roads or rather paths were very numerous, each scattered hamlet or single house having its own line» [WIDDRINGTON 1844, 158-159]. Infine Street descrive il suo viaggio da Lugo a Santiago come «pleasant so far as the country is concerned», per quanto «is somewhat like that of the Yorkshire moors, diversified here and there by beautiful valleys, the sides of which are generally clothed with chestnut, but sometimes with walnut, oak, and stone-pines. The heaths were in full flower, (…) and here and there were patches of gorse» [STREET 1865, 140]. Paesaggi, in conclusione, caratterizzati dalla varietà e dalla irregolarità. Ford, uno dei viaggiatori più prolissi, descrive a sua volta il paesaggio osservato nel suo viaggio da Lugo a Santiago con un tono evidentemente pittoresco:

After crossing the Miño by a noble bridge, ascend the chestnut-clad heights, and look back on the grand view of Lugo, with its cathedral and long lines of turreted walls. Hence over swamps, moors, rivers, and detestable roads, to Sobrado, situated on the fine trout-stream the Tambre. The village clusters round a Bernardine convent, once lord of all around. (…) everything is in contrast with the lowly village [FORD 1845, 659-660].

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Una volta a Santiago, la città appare «damp, cold, and gloomy-looking», ma con belle vedute da vari punti elevati grazie alla sua ubicazione, che è «very picturesque» essendo un «uneven, irregular site» [FORD 1845, 668 e 678]. E analogamente potremmo ascrivere alla categoria del pittoresco la sua descrizione di Corcubión – «a poor fishing town placed on a slope on a charming Ria ; the port (…) was once defended by two now dismantled forts» [FORD, 679] –; e Tui – «regularly built and walled round, but now it is decayed and decaying; yet the climate is delicious» [FORD, 684]. Per quanto riguarda Wood bisognerebbe citare le sue prime impressioni della Ría de Arousa:

A long reach of undulating land on each side, alternately barren and cultivated, rocky and fertile. Green slopes rose above the long white stretches of sand upon the shore, in vivid contrast, and rocks grey and desolate took their place. Here a cluster of houses (…) gave some idea of life to the scene: (…) the scenery is sufficiently diversified, the undulations are numerous and varied. Far-off hills tower in the background [WOOD 1883, 44-45].

Tuttavia una delle manifestazioni più evidenti dell’influenza della categoria del pittoresco nell a percezione britannica del paesaggio galiziano è di fatto l’uso del termine «picturesque» e delle sue derivazioni. Ford è stato il primo ad impiegarlo, tra gli autori analizzati in questo saggio. E allo stesso modo Street definisce «picturesque» il paesaggio pieno di «mountain-like ranges» che scorge a ovest dalla compostellana Plaza del Obradoiro [STREET 1865, 148]; Wood descrive come «excessively picturesque» [WOOD 1883, 44] la sua prima impressione della Ría de Arousa e «not unpicturesque» la vicina località di Carril [WOOD 1883, 50.]; e secondo Lomas Ourense è «most picturesquely placed upon the Miño river» [LOMAS 1884, 405].

Conclusioni Come detto in apertura, il paesaggio è il territorio passato attraverso il filtro di uno sguardo che inoltre, se è collettivo, può ripercuotersi nella costituzione del luogo fino a convertirlo in un bene culturale e in un documento storico [Martínez de Pisón 2009, 39-40]. Ma, dato che si esprime con parole o immagini, questa costruzione mentale subisce inevitabilmente una trasformazione che a sua volta è passibile di tante letture tanti quanti sono i suoi destinatari. E in questo gioco infinito di percezione-ricreazione le parole sono particolarmente imprecise ed astratte e per tanto interpretabili dall’immaginazione de l destinatario a partire dai parametri della propria mentalità ed esperienza [Marí 2008]. Nonostante ciò, riteniamo possibile concludere che i britannici che hanno visitato la Galizia nel l’Ottocento lessero il paesaggio tenendo in considerazione le categorie estetiche che la loro cultura aveva costituito a questo scopo nel secolo precedente: il bello, il sublime e il pittoresco. E anche se ciascuna si è rivelata adatta a diverse zone, nei testi studiati il territorio galiziano viene identificato essenzialmente con il bello e il pittoresco, mentre il paesaggio sublime risulta molto più raro. Forse, oltre che per evidenti ragioni geografiche, anche per quella intima relazione tra i suoi abitanti e la sua natura che tanti autori hanno evidenziato [Cabada 2015, 41-50] e che nemmeno ai britannici era passata inosservata. Inoltre, alcune similitudini con il proprio paese, che alcuni paragoni hanno messo in evidenza, hanno favorito il loro atteggiamento ricettivo. Il paesaggio natale, come diceva lo

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Il paesaggio della Galizia narrato dai viaggiatori britannici dell’Ottocento

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scrittore galiziano Vicente Risco, funge da punto di riferimento per valutare tutti gli altri [Cabada 2015, 45]. Secondo Georg Simmel, il sentimento del paesaggio «solo può vivere nel riflesso del sentimento dello spettatore», le sue caratteristiche sono quelle del soggetto che lo contempla, del soggetto che lo costruisce a immagine e somiglianza sua e del suo mondo [Marí 2008, 152; Milani 2007, 51-55]. Ma non vi è dubbio che diverse realtà risvegliano idee e sentimenti diversi [Berque 2009, 17]. E in questo senso persino uno stesso territorio presenta variabili quali la vegetazione, il clima, le condizioni metereologiche, il momento della giornata o dell’anno e, naturalmente quelle che sono frutto della mano dell’uomo. Il paesaggio, inteso come sguardo e territorio, non è mai imparziale.

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Sitografia http://www.europeana.eu/portal/ (consultato 3 maggio 2016) https://archive.org/index.php (consultato 3 maggio 2016)

Note Riferimenti dell ’autore: Contratto predottorale “FPU”, Ministero dell’Istruzione di Spagna. Gruppo di ricerca “Iacobus. Proyectos y estudios sobre patrimonio cultural” (GI -1907). “Programa de Cons olidación e estructuración de ͒Unidades de investigación Competitivas” (GRC2013 -036) e «Programa ͒de Consolidación e estructuración. Redes» (R2014/024), Xunta de Galicia.

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