UN GRANDE SANTO

BABA JAIMAL

SINGH

La sua Vita e i suoi Insegnamenti

KIRPAL SINGH

Per informazioni: Unity of Man Italy [email protected] www.unityofman.it

Pubblicato e Stampato da: Unity of Man, Verein zur Verbesserung der menschlichen Steinklüftstrasse 34 A-5340 St. Gilgen, Austria www.unity-of-man.org Prima edizione 2015

UN GRANDE SANTO

BABA JAIMAL

SINGH

La sua Vita e i suoi Insegnamenti

KIRPAL SINGH

Questa musica si riversa da un piano trascendente interiore ed è catturata da un soldato Santo.

Canto 9, Sar Bachan

Sant Kirpal Singh Ji (1894-1974)

Dedicato a Dio Onnipotente che ha operato attraverso tutti i Maestri che sono venuti ed a Baba Maharaj ai cui piedi di loto l’autore ha assorbito il dolce elisir del Santo Naam – il Verbo.

SULL’AUTORE

Nella storia umana troviamo solo poche indicazioni di vite che si differenziano dalla maggioranza. L’ideale e la eventualità di un Dio-uomo (colui che è divenuto uno con Dio ed è ‘perfetto come il Padre Suo nei cieli’) si trova in tutte le tradizioni religiose; e molte religioni derivano dalla vita e dall’insegnamento di uno o più di queste eccezionali personalità, il cui impegno in vita consiste nel dimostrarci che anche noi abbiamo la capacità di diventare come loro.

Ma mai fu intenzione di quei grandi insegnanti di creare un religione. Essi ebbero una vivida conoscenza della vera natura dell’uomo, il cui scopo è ritornare alla sua sorgente – Dio -, e dal loro insegnamento ogni individuo, anche il più emarginato, può riguadagnare i sui propri valori e dignità. Sant Kirpal Singh non ha portato una nuova fede. Egli ha ravvivato questa originale conoscenza che deve essere trovata nel nucleo di tutte le religioni, e la Sua Vita era l’incarnazione del Suo insegnamento. Sant Kirpal Singh nacque il 6 Febbraio 1894 in Sayyad Kasran in una parte del Punjab, che adesso appartiene al Pakistan.

Dopo una carriera da servitore civile nel governo indiano, si trasferì a Delhi nel 1948, in accordo alle istruzioni del Suo Maestro Baba Sawan Singh. Presto ebbe discepoli in tutto il mondo. I suoi libri sono stati tradotti in diverse lingue.

Durante tre tour mondiali nel 1955, 1963, e 1972 Egli visitò le maggiori città del mondo occidentale, dove incontrò i leader religiosi, politici e personalità della società. Ovunque egli ha condiviso l’importanza della conoscenza di sé e della conoscenza di Dio ed ha sottolineato il bisogno di servizio altruistico. I Suoi sforzi di creare comprensione tra uomo e uomo, per la pace nel mondo e per la tolleranza tra le religioni, hanno ricevuto gli onori da molti.

Durante quattordici anni Egli fu ripetutamente eletto presidente dell’ Alleanza Mondiale delle Religioni e grazie alla sua visione universale, ha potuto creare mutua comprensione tra diverse fedi.

I suoi sforzi hanno raggiunto l’apice, quando nel 1974 Sant Kirpal Singh promosse la prima Conferenza Mondiale di Unity of Man, che prese posto in Delhi dal 3 al 6 Febbraio 1974. Leader religiosi, politici e sociali da tutta l’India e delegati da circa 30 nazioni parteciparono alla conferenza. Questa conferenza mondiale fu l’inizio di Unity of Man.

Su invito del governo a tenere un discorso al Parlamento Indiano, Sant Kirpal Singh parlò ai membri del Lokh Sabha nel primo agosto 1974.

Prima della Sua dipartita dal piano fisico il 21 Agosto 1974, Sant Kirpal Singh commissionò al Suo discepolo Dr. Harbhajan Singh il proseguimento del Suo lavoro: UNITY OF MAN. Insieme a sua moglie, Surinder Kaur, Dr. Harbhajan Singh coordina il progetto Kirpal Sagar.

Era l’ultimo desiderio di Sant Kirpal Singh consegnare il Suo lavoro nelle mani di persone consapevoli per porre fine a tutti gli ‘ismi’ e sette. Come tutti i competenti Maestri del passato Egli ha insegnato che esiste solo un ‘doer’, un solo artefice – quel Potere che sostiene tutto, ossia il Potere di Dio, il Potere di Cristo o Potere del Maestro. Coloro che vedono questo Potere al lavoro non creano mai nessuno gruppo o formazione ma portano la profonda comprensione che tutti noi siamo Uno, e rendono l’uomo capace di innalzarsi al di sopra delle anguste catene che lui stesso ha creato.

Sant Kirpal Singh Ji (1894-1974)

INTRODUZIONE

Sant Kirpal Singh, l’autore di questo libro, non ha bisogno di introduzione. Nell’ultima decade e oltre egli ha risieduto al Sawan Ashram, in Delhi, e per tutta la lunghezza e larghezza del paese e all’estero, ha portato alta la torcia della spiritualità per l’elevazione dell’umanità. La chiamata arriva a molti; ma pochi optano di essere scelti. Tutti noi siamo così assorbiti nel soddisfare le domande della esistenza mondana sul piano fisico e mentale che abbiamo poco tempo e pensiero lasciati per le elevate questioni dello spirito. Parlare della realizzazione del Sé e di quella di Dio più spesso suona come pura vuota verbosità senza contenuto e sostanza razionale. Il mondo è troppo appiccicato a noi.

Un libro come questo può essere veramente d’aiuto nel risvegliare in noi il desiderio per percorrere il cammino che porta alla illuminazione e alla liberazione dal ciclo della nascita e della morte. Non è meramente la storia di un grande uomo, ma di un Dio-uomo la cui impeccabile purezza, profonda umiltà e inarrestabile devozione al Sentiero di Dio sotto la guida di un grande Maestro che lo ha elevato a inviolate vette spirituali, possono servire come un esempio ispirante per innumerevoli anime affannate e afflitte dalla fatica della vita, e desiderose di essere liberate dalla schiavitù di mente e corpo.

Un vero grande uomo non ha bisogno di altri tributi oltre a quelli attribuiti dalla sua vita e lavoro. Uno sforzo è stato fatto per raccogliere in questo volume i principali eventi della storia di vita di Baba Ji e un riassunto dei suoi insegnamenti come essi sono stati registrati nelle sue lettere in versioni, pubblicate e non, lasciate dai suoi discepoli e ammiratori, primi tra tutti Maharaji Sawan Singh, il suo erede spirituale, e Baba Surain Singh, Gyani Partap Singh etc. E’ una storia contraddistinta da una incredibile intensità e da uno spasmodico desiderio spirituale nel suo primo svolgersi, e una altrettanto sorprendente dedizione e unidirezionale attenzione verso il prossimo, ed una non meno rimarcabile umiltà e disinteresse uniti alla suprema esaltazione spirituale nella sua ultima e conclusiva fase. L’autore caratterizza il , praticato e predicato da Baba Jaimal Singh Ji come una Scienza, e a ragion veduta, poiché egli stesso è un contraddistinto esponente di questa, ed è stato iniziato alla sua mistica ai piedi di un grande Santo; e la cui maestria è vastamente riconosciuta e acclamata, come dimostrato dalla sua elezione a Presidente della Alleanza Mondiale delle Religioni sull’onda di una universale ovazione e plauso nel quale i saggi, scolari e sapienti di diverse parti del mondo si sono devotamente uniti. Il libro è un tentativo di presentare, per la prima volta in inglese, la biografia di uno dei più rappresentativi Santi dei nostri tempi, che merita di essere meglio conosciuto di quanto lo sia. La storia è di quelle memorabili, ed è di valore permanente negli annali della storia spirituale dell’uomo. Merita di essere letto da ogni ricercatore di Dio. Ho fiducia che coloro che leggeranno questo libro non falliranno nell’essere ispirati ed elevati, e inizieranno a vedere che la spiritualità non è quello che generalmente è supposta essere ma una Scienza i cui Maestri sono apparsi in tutti i tempi e luoghi, e che può essere imparata ai piedi di un adepto ovunque egli possa essere trovato, indipendentemente da sette e gaddis (luoghi sacri); essendo la finale pietra di paragone della sua competenza, la sua abilità di dare una esperienza interiore al suo discepolo qui e ora, e non in qualche vita futura.

New Delhi RADHA KRISHNA KHANNA 8 Agosto 1960

INDICE PARTE PRIMA LA GRANDE TRADIZIONE

La Via di Dio 1 La Ricca Eredità 2 Riscoprendo lidi perduti 6

PARTE SECONDA BABA JI – UNA BREVE BIOGRAFIA

Primi Anni 11 La Grande Ricerca 15 Il Compimento 24 Il Soldato Santo 32 Il Latore della Torcia 41

PARTE TERZA BABA JI E LA SCIENZA DELLA SPIRITUALITA’

La Creazione 63 Il sentiero della liberazione 64 Il Maestro Perfetto 67 Fede, Amore e Abbandono di sé 71 La vita esteriore 73 La vita interiore 75 Una scienza antica 82 Il 90 Il o il Vero Maestro 90 Il Gurmukh o l’Autentico Discepolo 90 L’esterno e l’interno 91

NOTE 94

Baba Sawan Singh Maharaji (1858–1948) PARTE PRIMA LA GRANDE TRADIZIONE

La Via di Dio

La via di ritorno a Dio non è opera dell’uomo ma di Dio, ed è libera da artifici e artificiosità. Dio riporta l’uomo a Sé attraverso il Suo scelto eletto (Il Dio-uomo) a cui il segreto del Sentiero (la Via di Dio) è rivelata direttamente o resa manifesta da qualche Sant Satguru per il bene della gente.

I Maestri, i Messia, gli insegnanti e i profeti di tutto il mondo, cadono in due categorie con una separata missione assegnata ad ognuno. Ci sono, da una parte, quelli il cui unico scopo è di fare andare il mondo armoniosamente, e dall’altra parte ci sono quelli a cui è stato commissionato di ricondurre indietro le anime che sono mature per il ritorno a casa, e desiderano un pronto ritorno alla Sorgente Spirituale dalla quale sono partite molto tempo fa scendendo in basso nei piani materiali. Nella prima categoria cadono tutti i riformatori, e nella seconda tali Santi e Sadhus che sono competenti nel rivelare la conoscenza di Dio e nel rendere manifesto il potere di Dio nell’uomo.

Il processo di risalire alla Sorgente è proprio l’inverso di quello di discendere al piano materiale, e quindi uno deve reintegrare se stesso, rimettendo insieme tutto il suo stupefacente ingegno nell’immobile sede dell’anima – in mezzo e al di là degli occhi – dove il tempo e il Senza Tempo si intersecano, prima che lo spirito raggiunga se stesso e si lanci al di là del Mare della Vita nel viaggio interiore verso casa. Questo, infatti, è stato il solo argomento di tutti i saggi e sapienti di ogni dove. Nessuno di essi, comunque, ha voluto creare un nuovo credo o religione istituzionale. Mentre riferendosi all’esistenza di così tante religioni e credo nel mondo, brulicanti di stupefacenti teorie e dogmi contrastanti, Hasur Baba Sawan Singh Ji Maharaj era solito osservare, “Ci sono già così tanti pozzi ovunque, perché dovremmo mai scavare altri trabocchetti e fare la confusione ancor più confusa?”

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Dio ha fatto l’uomo a Sua propria immagine; e l’uomo ha fatto le religioni, ognuna a sua immagine, e il suo zelo ha fatto feticci di tutte loro. La vera religione al principio è fresca e semplice, come un bebè appena nato traboccante di vivace vitalità, ma nel corso del tempo, come ogni altra cosa, si sviluppa in una istituzione; e con questo inizia a deteriorare, tende a perdere a sua originale vitale elasticità nata dal tocco vivente dello spirito Maestro, e gradualmente arriva ad acquisire un aspetto socioeconomico. Invece di servire il serico legame d’amore tra uomo e uomo, diventa una sorgente di litigio, rancore e ammalata volontà, separando classe da classe, nazione da nazione e paese da paese.

Quando la coppa della miseria umana è colma sino all’orlo, allora arriva il Salvatore con il messaggio di speranza, redenzione e realizzazione per la dilaniata umanità. Egli tenta di curare le dolorose ferite sociali e predica unità e uguaglianza all’uomo in modo da ristabilire equilibrio nella scala dei valori umani. Insieme a ciò, il suo principale obbiettivo è di salvare le anime umane per uno scopo superiore: una vera vita nello spirito in quanto separata da quella della carne. Questo infatti è stata la meta di grandi Maestri come Zoroastro, Mahavira, Buddha, Cristo, Maometto, Kabir e Nanak, ognuno nel proprio tempo, in accordo con le prevalenti condizioni di allora e le aspettative delle genti; poiché essi tentano sempre di guidarle seguendo la linea di minor resistenza, e fanno loro appello semplicemente condividendo la fondamentale bontà e integrandosi al loro costume mentale, per favorire un passo più in alto nel processo di evoluzione o di sviluppo dello spirito. Questo è ciò che i Santi fanno per la collettiva corsa del genere umano traendo ispirazione dal grande serbatoio interiore dello spirito, che è uguale per tutti.

La Ricca Eredità

Nel pensiero religioso dell’India moderna, il periodo dalla metà del quattordicesimo alla metà del quindicesimo secolo è di eccezionale importanza. E’ un’era nella quale venne fatto un tentativo per riorientare la religione e presentarla nella sua forma più semplice: una forma di vera fede, amore universale e ferma devozione, come opposta al ritualismo e al fanatismo sacerdotale che conduce all’intolleranza e al bigottismo.

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Tra i grandi insegnanti del tempo, abbiamo figure come Ramananda con i principali discepoli attirati da diversi cammini della vita (Raja Pipa, Ravidas il calzolaio, Saina il barbiere, Kabir il tessitore, Dhanna il soldato jat, Harhari, Sukha Padmavati, Sursura e sua moglie, etc.); Vallabhacharya, il famoso esponente del culto di Krishna; Chaitanya Mahaprabhu di Nadia nel Bengal con la sua caratteristica insistenza sull’Hari bole (il canto dei nomi del Signore); , lo stampatore di tessuti di Maharashtra; il grande Kabir e Nanak nel nord. Nessuno di loro mise troppo accento sul culto degli idoli e sull’osservanza di simboli e forme religiose. L’auto-purificazione, l’amore e la nostalgia interiore erano i loro temi costanti.

Namdev disse:

L’Amore per Colui che ricolma il mio cuore non sarà mai disperso; Nama ha consacrato il suo cuore al Vero Nome. Come l’Amore tra un bambino e sua madre, Così la mia anima è imbevuta in Dio

Kabir allo stesso modo disse:

E’ superfluo chiedere di un Santo A quale casta egli appartenga; Il barbiere ha scoperto Dio, il lavandaio e il carpentiere; Anche Ravidas era un seguace di Dio Il Rishi Swapacha era un conciatore per casta. Hindu e Mussulmani similmente hanno raggiunto quella Fine, dove non rimane nessun segno di distinzione.

Ancora egli proclama:

Non è attraverso il digiuno, la preghiera e il professare la fede Che si va in paradiso Il velo interiore della Mecca È nel cuore dell’uomo, se la Verità è conosciuta.

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Così parlò Nanak:

Abitate nel puro tra l’impurità del mondo; Così troverete la via alla religione.

Questo movimento, comunque, conseguì la sua più alta grandezza nelle mani di Kabir (1398-1518) e del suo più giovane contemporaneo, Nanak (1469-1539), entrambi i quali vissero quasi allo stesso tempo, poiché i due furono contemporanei per un periodo piuttosto lungo. Entrambi emersero al di sopra delle catene del mondo e trascesero barriere religiose e così vennero acclamati allo stesso modo da induisti e mussulmani. I loro insegnamenti erano incentrati principalmente su Dio e l’uomo e la relazione tra i due. Entrambi erano esponenti del Surat Shabd Yoga (lo Yoga della Corrente del Suono o comunione con il santo Verbo), e nei loro scritti esaltarono questo come la ‘corona della vita’. Se studiamo il nucleo essenziale di ogni insegnamento religioso nella sua originaria purezza e verità come è apparsa nei primi pensieri dei Maestri - ciò che loro stessi praticavano e ciò che loro davano ai loro discepoli scelti, i Gurmukhs (discepoli perfetti) o apostoli – non possiamo fallire nel formarci un’idea della realtà che essi rappresentavano, in quanto devoti, in una forma o nell’altra, del sentire e vedere trascendente, non importa a quale livello; sebbene al profano dettero il loro sottile pensiero solo sotto forma di parabola, poiché altrimenti non avrebbe ascoltato e tantomeno capito i loro insegnamenti. Tali insegnanti del mondo servono da faro nel tempestoso mare della vita e tentano di salvare l’umanità dalla stagnazione nelle sabbie mobili del tempo. Figli della luce come essi sono, vengono per disperdere l’oscurità dell’anima e sono naturalmente chiamati Guru, i dissipatori di oscurità – oscurità nata dall’ignoranza dei veri valori della vita. Hanno immenso amore per tutte le religioni e i capi religiosi e hanno uguale rispetto per tutte le scritture. Il loro è un corpo universale che contiene, in una grande distesa, l’intera umanità con tutti i loro variegati modelli e colori, e li immergono allo stesso modo nell’amore di Dio.

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In questo contesto Kabir ci dice: tutti i nostri saggi sono degni di venerazione, Ma la mia devozione è per Colui che conosce bene il Verbo.

Egli di seguito ci dice che, con il Suo messaggio divino, si incarnò di era in era per il beneficio delle genti. Egli apparve in tutte le quattro Yuga o cicli del tempo: prima come Satsukrat, poi come Karunamae, ancora come Munindar, e alla fine come Kabir nel Kali Yuga, la fase attuale del tempo.

Anche ci racconta incessantemente della grande importanza ed efficacia suprema del metodo del Surat Shabd Yoga come mezzo di salvezza.

Come il loto sta’ sospeso fuori dal melmoso stagno, o Come il cigno reale vola alto e indifferente all’acqua Così chi è in comunione con il Verbo attraversa illeso lo spaventoso mare della vita.

Questo in breve è il grande messaggio che discende a noi dall’alba della creazione, cadenzando il sentiero verso Dio. Tutti i Santi indiani e molti mistici Cristiani praticarono la scienza interiore e contattarono anime tramite l’ancora di salvezza interiore1. Più e più volte, siccome la gente dimentica la realtà, la grazia di Dio si è materializzata in un corpo umano, chiamato Santo, per guidare l’errante umanità secondo l’antica eterna usanza. E’ un privilegio e una prerogativa che l’Onnipotente conferisce, e questa autorità è tramandata in accordo al Suo comando. “ Il vento soffia dove è ascoltato” e nessuno può pontificare o predire alcuna regola, luogo o tempo di successione. Questa ricca eredità va da occhi a occhi e rifiuta di essere legata a un tradizionale gaddis (i cosiddetti posti santificati o luoghi sacri), e nemmeno dipende da permessi umani di carattere temporale o clericale. Guru Nanak, con il suo posto a Kartarpur, passò la sua eredità spirituale a Bhai Lehna, che , come Guru Angad, la passò a Khadur Sahib; mentre il suo successore Guru Amar Das fu obbligato a trasferire la sua sede Goindwal. Con Guru Amar Das, la città di Amritsar nacque, e più tardi divenne il quartiere generale di Guru Arjan. Quindi possiamo vedere che non c’è niente di speciale circa i posti come tali. Essi devono la loro santità alla beatificante influenza dei Santi che spesero il loro tempo in un posto o

5 in un altro. Non ci sono luoghi che graziano gli uomini, ma gli uomini i luoghi.

Riscoprendo lidi perduti

Il ruscello della vita scorre senza sosta nell’interminabile corso del tempo; il potere del Senza-tempo appare e scompare nel regno della relatività.

Prima di procedere con il racconto della vita di Baba Jaimal Singh Ji, varrebbe la pena dare uno sguardo al background che fece di lui ciò che fu. Fu infatti il potere di Soami Ji che fluì interiormente ed in ogni cosa che fece e ovunque egli operò, poiché egli era pienamente devoto e consacrato al Divino che era in lui.

Nell’intento di capire le cose nella loro propria prospettiva e collegare la storia della nostra eredità spirituale, dovremmo ritornare a Guru Gobind Singh (1666-1708), l’ultimo dei dieci Guru nella linea di successione a Guru Nanak.

La Rani (Regina) di un certo Ratnagar Rao Peshwa, accompagnata da Bhai Nand Lal, si recò ai piedi di Guru Gobind Singh per ricercare rifugio2 .

Guru Gobind Singh viaggiò molto, penetrando l’Himalaya a nord e andando a Deccan a sud. Durante i sui lunghi viaggi incontrò e visse con la famiglia regnante dei Peshwa e iniziò alcuni dei suoi membri alla Scienza interiore. E’ detto che Ratnagar Rao della famiglia Peshwa era iniziato e autorizzato da Guru Gobind Singh a continuare il lavoro. Ham Rao Peshwa, il fratello maggiore di Baji Rao Peshwa, già allora regnante in capo, che doveva aver contattato Ratnagar Rao, mostrò una notevole attitudine per la via spirituale e fece rapidi progressi. Nel corso del tempo, questo giovane rampollo della famiglia reale si stabilì in Hatras, una città a trentatré miglia da , nell’Uttar Pradesh, e venne conosciuto come Tulsi Sahib (1763-1843), il famoso autore di Ghat Ramayana, la Scienza del principio vitale interiore che pervade allo stesso modo l’uomo e la natura. La vita lampada3 della Spiritualità venne passata da Tulsi Sahib a Soami Shiv Dayal Singh Ji (1818-1878).

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Il legame tra Tulsi Sahib di Hathras e Soami Ji di Agra è probabilmente scontato, ma ci può essere qualche dubbio in merito. Dal resoconto manoscritto di Baba Surain Singh, Il Jivan Charitar Swamiji Maharaj di Chacha Partap Singh, e dal libro intitolato ‘Corrispondenza con alcuni Americani’ di Shri S. D. Maheshwari, noi impariamo che i genitori di Soami Ji erano discepoli del Santo di Hathras e lo visitavano frequentemente nella sua casa per riceverne la benedizione e ne ascoltavano i discorsi ogni volta che egli si recava ad Agra. Era lui che dette il nome ai figli di Lala Dilwali Singh Seth; che sono Shiv Dayal Singh (Soami Ji), Brindaban e Partap Singh. Prima della nascita del primogenito profetizzò che un grande santo era prossimo a manifestarsi nella loro casa, e dopo la sua nascita egli disse ai genitori che essi non avevano più bisogno di venire ad Hathras poiché l’Onnipotente Signore era venuto fra loro4.

Il Santo di Hathras prese un profondo e vivo interesse nell’imprimere la vita di Soami Ji nel suo proprio stampo. Iniziò il giovane bambino nella primissima età e Soami Ji, nell’ultimo giorno della sua vita, disse ad un suo discepolo che aveva iniziato a praticare la Scienza interiore all’età di sei anni5.

La venerazione di Soami Ji per il Santo di Hathras è abbondantemente evidente dalla sua vita. Egli ebbe grande rispetto dei discepoli di Tulsi Shaib, onorando tra essi specialmente Sadhu Girdhari Das, che assisté durante i suoi ultimi anni. Una volta che il Sadhu cadde malato a Lucknow, Soami Ji si precipitò là da Agra prima della sua morte6 e lo aiutò a contattare la Corrente del Suono interiore, con la quale egli aveva perso contatto, presumibilmente a causa di qualche passato karma.

Ancora, Soami Ji molto spesso diede ai suoi seguaci esempi tratti dalla vita del suo grande predecessore, per insegnare loro l’importanza di virtù come la pazienza, la tolleranza, il perdono e la devozione7.

Prima della sua dipartita nel 1843, Tulsi Sahib tramandò la sua eredità spirituale a Soami Ji. Per sei mesi Tulsi Sahib giacque in uno stato di samadhi (trance spirituale) perso in Divina consapevolezza. Fu solo dopo che Soami Ji gli fece visita che Tulsi Sahib lasciò la sua forma mortale.

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Baba Garib Das, uno dei primi discepoli di Tulsi Sahib confermò che il mantello spirituale era stato affidato dal suo Maestro a Munshi Ji (come Soami Ji era allora conosciuto per il suo grande studio del Persiano)8. Soami Ji spese quindici anni della sua vita in pressoché incessante abhyasa ( pratica spirituale) in un piccolo studio.

Dopo il trapasso di Tulsi Sahib, Soami Ji continuò a visitare Hathras per onorare la memoria del suo precettore. In una di questi occasioni, ci viene raccontato, quando Soami Ji andò a Hathras, il caldo era cosi intenso che i suoi discepoli Rai Saligram e Baba Jiwan Lal dovettero trasportarlo loro stessi lungo l’ultima parte del viaggio dove non era disponibile alcun trasporto e il terreno era molto sconnesso9.

Il grande rispetto che Soami Ji manifestò per il Granth Sahib che dava corpo agli insegnamenti di Guru Nanak e dei suoi successori sembra alla fine essere derivato dalla tradizione famigliare. La recitazione delle scritture sikh era una questione di fede nella famiglia. Suo padre, Lala Dilwali (un Sahejdhari Khatri Sikh, appartenente all’ordine di Nanak Panthis), era devotamente legato al Jap Ji, Raho Ras e Sukhmani (scritture Sikh), che egli lesse di giorno in giorno con grande fervore religioso e profonda reverenza. Una copia di Sukhmani in scrittura Persiana in possesso del nonno di Soami Ji, Seth Maluk Chand, un tempo Diwan dello stato di Dholpur, è ancora conservato negli archivi di Soamibagh10. L’essenza del Sant Mat quindi arrivò a permeare l’intima natura di Soami Ji. Negli anni dopo, almeno in una occasione, mentre discuteva del Jap Ji nella sua casa di Puni Gali, Soami Ji chiaramente riconobbe il suo debito spirituale al Punjab, riferendosi a Nanak e ai suoi successori come la sorgente della spiritualità e Paltu Sahib e Tulsi Sahib come esponenti successivi della Scienza interiore. Avremo a che fare con questa vicenda tracciando la vita di Baba Jaimal Singh Ji nel prossimo capitolo.

Il fratello più giovane, Rai Brindaban Singh, direttore di un ufficio postale in Ajodhia, era un vicino discepolo di Baba Madhodas di Mahant Dera Rano Pali in Ajodhia. Egli, come il suo fratello più vecchio Shiv Dayal Singh (Soami Ji), aveva una ferma fede e un grande riguardo per il Gurbani. Egli era continuamente impegnato nel dolce ricordo del Signore (Bishambar) le cui preghiere egli cantò con un meraviglioso ritornello,

8 come evidenziato dalla sua composizione denominata Wah-e-Guru Nama nel libro in Urdu Bahar-i-Brindaban:11

O Brindaban! Lascia da parte tutto il resto e fai Il Japa (ripetizione) del grande nome Wha-e-Guru Non purificherà solo il tuo corpo, la mente e l’anima, Ma in aggiunta ti darà salvezza, pace e felicità

Ancora noi apprendiamo che quando la fine di Lala Dilwali Singh si avvicinò, suo figlio Shiv Dayal Singh (Soami Ji), seduto vicino al suo letto, iniziò a recitare il Gurbani, come per tenere l’attenzione stabilmente ferma là in quel momento cruciale.

Giani Partab Singh, basandosi sul Radhasoami Ma Darpan di Baba Bhola Singh, ci dice nei suoi studi sulle religioni del mondo12 come Soami Ji divenne nel tempo un assiduo frequentatore del santo Santuario di Mai Than a Agra, commemorando la visita del nono Guru, Tegh Bahadur; dove Sant Mauj Parkash, originariamente conosciuto come Didar Singh dell’ordine del Nirmala e grande scolaro di Sanscrito, usava dare lucide esposizioni del Gurbani o delle scritture Sikh. Era a causa della sua vicina relazione con Sant Mauj Parkash che Soami Ji conobbe il Gurbani e il suo significato nel Surat Shabd Yoga (lo yoga del Verbo), e iniziò ad usare proprio questo tempio per i suoi discorsi sul Gurbani. Cacha Partap Singh nel suo racconto di vita ha dato in calorosi termini una vivida descrizione di uno di tali discorsi:

“Erano circa le otto del mattino quando un giorno il Maharaji (Sant Mauj) andò al Gurudwara a Mai Than . Dopo avere recitato uno shabd o due dal Granth Sahib, egli iniziò ad espandere il soggetto. Con una ricca e sonora voce, il sublime pensiero sembrò fluire da lui come un’onda senza fine proveniente da un inesauribile serbatoio interiore. Ero così catturato dalla maestosità delle sue parole che ad un tratto mi sentii sollevato al di sopra del corpo e al di sopra dei mondi fisici, lontano da tutto ciò che era del mondo. Da quel giorno ero un uomo cambiato, con un intensa nostalgia per il Divino, pienamente convinto della grandezza di Soami Ji e della sua sacra missione.”13

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Dopo qualche tempo Soami Ji spostò la sede del suo insegnamento al suo appartamento trovato in Punni Gali e continuò i suoi discorsi dal Granth Sahib (la copia che usava era stata portata da Hazur Sawan Singh Ji di Agra e ancora conservata negli archivi di Dera Baba Jaimal Singh a Beas in Punjab). Questo sistema di organizzare private riunioni nella sua casa continuò per molto tempo; ma nel giorno del Basant Panchami nel 1861, le dighe del Surat Shabd Yoga (lo Yoga del Verbo) come ravvivate nella sua epoca da Kabir e dal suo contemporaneo Guru Nanak, e fermamente radicate dai suoi successori nel Gurbani, erano ora spalancate da Soami Ji al comune pubblico.

Se ci fosse ancora qualche dubbio nella mente degli scettici, Soami Ji che sino all’ultimo continuò ad iniziare gente al segreto della tradizionale Melodia dalle cinque armonie (Panch Shabd Dhunkar Dhun), in maniera significativa nell’ultimo giorno della sua partenza da questo piano terreno, chiarì la sua posizione oltre ogni minima ombra di dubbio dichiarando:

Il mio sentiero era il sentiero del Sat Naam ( Verbo Eterno) La fede Radhasoami è stata preparata nella città di Saligram Ma lasciate anche che essa continui. E lasciate che il Satsang fiorisca e prosperi

Tra i fidati e devoti discepoli di Soami Ji c’era Rai Saligram Sahib Bahadur, comunemente conosciuto più tardi come Hazur Maharaji, dopo che arrivò ad occupare la guida spirituale. Mentre Hazur Maharaji, dopo la dipartita di Soami Ji, continuò i suoi discorsi al Pipal Mandi nel cuore della città di Agra, Partap Singh, il fratello più giovane di Soami Ji, genericamente chiamato Chacha Singh (rispettabile zio), continuò il lavoro nel Radhasoami Garden, tre miglia distante da Agra. Un altro discepolo, Baba Jaimal Singh Ji, uno dei primi e spiritualmente più evoluti discepoli di Soami Ji, come ordinato dal grande Maestro stesso, si stabilì a Beas nel Punjab per rivitalizzare il lavoro della Spiritualità e per ripagare in qualche misura il tributo che il mondo doveva a Guru Nanak. Ora noi esamineremo in qualche dettaglio la vita e il lavoro di questo distinto figlio spirituale di Soami Ji.

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PARTE SECONDA

BABA JI – UNA BREVE BIOGRAFIA

Primi Anni

Era nel 1838 che Baba Jaimal Singh nacque nel villaggio di Ghuman, nel distretto Gurdaspur del Punjab, in una famiglia di pii contadini Sikh. Ghuman era come ogni altro villaggio nella regione. Se doveva essere caratterizzato in qualche modo, lo era grazie ad un santuario conosciuto come “Dera Baba Nam Dev” in memoria del grande saggio Nam Dev, che diversi secoli prima aveva trascorso i suoi ultimi giorni là. La leggenda dice che quando il Santo arrivò e desiderò pregare all’interno del tempio gli venne rifiutato l’ingresso poiché era un ‘senza casta’. Imperterrito, andò a sedersi dietro il muro posteriore e fu assorto subito nel samadhi. Il Signore, amareggiato per l’insulto sùbito dal Suo discepolo, girò la facciata del tempio verso il posto dove Nam Dev sedeva; e tutti i preti e i Bramini caddero ai suoi piedi chiedendo perdono. Si dice che da quel giorno il villaggio locale prese il nome di Ghuman, una parola Punjabi che significa ‘girato’. La gente del villaggio visitava il santuario per atto di devozione, e molti sadhu erranti venivano a offrire il loro omaggio al grande saggio. Bhaio Jodh Singh e Bibi Daya Kaur, i genitori di Jaimal, erano frequenti visitatori e quest’ultima, mentre si trovava là, pregò spesso per un figlio santo. Grandi anime raramente arrivano non annunciate, e una notte Bibi Daya Kaur fu visitata in sogno dal grande Nam Dev, che le disse che le sue preghiere erano state esaudite. Dieci mesi dopo, tra festeggiamenti e rallegramenti domestici nacque Jaimal.

La storia di un Santo è la storia del pellegrinaggio di un anima. E’ una storia, che per essere spiritualmente completa, copre innumerevoli anni e infinite vite. La finale illuminazione può sembrare improvvisa, ma le sue fasi di preparazione sono lunghe e ardue. Come Buddha e Gesù, Jaimal mostrò una rimarchevole precocità spirituale dalla primissima età. Quando visitava il santuario di Baba Nam Dev con i suoi genitori, diversamente dagli altri bambini della stessa età, sedeva calmo e attento e, sebbene avesse solo tre anni, poteva ripetere molti dei versi che aveva sentito nei discorsi

11 spirituali. I compaesani erano stupiti dai suoi prodigi. Venne presto soprannominato “Bal-Sadhu”, ossia bambino-santo, e i suoi ammiratori locali insistettero con i suoi genitori per dargli l’opportunità di una istruzione.

Così quando Jaimal ebbe cinque anni, venne messo in carico a Bhai Kehm Das, un dotto Vedanta che viveva lì vicino. Ai quei tempi in India l’educazione non era volta allo sviluppo di una vocazione. Era preminentemente una disciplina mentale e spirituale basata sullo studio delle scritture. Il giovane ragazzo manifestò una entusiastica attitudine, perciò ebbe presto padronanza degli scritti Gurmukhi. In un anno, egli aveva già letto accuratamente il Punji Granchi o le sei fondamentali scritture Sikh, incluso, tra gli altri, il Jap Ji, il Sukhmani Sahib, e il Raho Ras. In altri sei mesi, egli conobbe a fondo i passaggi chiave di questi tesori spirituali; e all’età di sette anni era diventato un eccellente Pathi ossia qualcuno che può recitare le scritture in un modo melodioso con maestria professionale. L’anno seguente lo spese a studiare il Dasam Granth – le scritture compilate dall’ultimo dei Guru Sikh.

Jaimal mostrò un grande rispetto per il suo insegnante, che era compiaciuto per il rapido progresso e la scrupolosità del ragazzo. I due passarono lunghe ore insieme e il ragazzo ascoltava Bahi Khem Das con grande attenzione. La sua fame di conoscenza era insaziabile, e la lettura delle scritture accese ancora di più la sua immaginazione. Un giorno, scegliendo dal Jap Ji, iniziò a recitare la ventesima ‘stanza’, e dopo aver finito la recitazione, si volse al suo maestro e chiese: “ Signore, quale è il significato di Naam, del quale Nanak ha detto, Quando la mente di qualcuno è macchiata dal peccato, può essere ripulita solo dalla comunione con Naam, e del quale tutti gli altri Grandi avevano cantato tali lodi nel resto del Granth Sahib?” Kehm Das era toccato dallo spirito di interrogazione e di discriminazione dell’allievo, ma era incapace di illuminarlo sul soggetto, siccome non gli era familiare il mistero del Naam.

Un giorno, Bahi Jodh Singh vedendo che il proprio figlio, adesso all’età di otto anni, era cresciuto abbastanza per aiutarlo, andò dal suo Guru con una offerta di una rupia d’argento e di jaggery (dolci) nello stile tradizionale. Dopo averla adagiata a suoi piedi, espresse il desiderio di avere Jaimal

12 sgravato dai suoi studi in modo che egli si potesse curare del gregge di pecore. Khem Das non sollevò obiezioni: ”Lui è tuo figlio, e puoi disporre di lui come ritieni meglio.” Ma il suo giovane assistito non poteva dargli l’addio così facilmente. “Signore”, egli gli assicurò, “ lavorerò per mio padre tutto il giorno, ma alla sera verrò da te e continuerò gli studi”.

Jaimal mantenne fede alla sua parola e conservò integra la sua unione con l’istruito maestro. Fiero della sua perseveranza e della sua pietà, Khem Das lo iniziò presto alla Japa di “Sohang”, che egli stesso praticava. Il ragazzo si alzava molto prima dello spuntare del giorno, prendeva il suo bagno, leggeva le scritture, e si sedeva per la meditazione. Quindi conduceva le sue capre nei campi. I suoi giovani amici presto osservarono che mentre le capre brucavano sui prati, egli non gironzolava, guardando oziosamente, ma continuava a leggere e recitare testi sacri, e spesso si sedeva a gambe incrociate per meditare. Al tramonto, egli ritornava con il suo gregge, prendeva un po’ di latte e cibo, e quindi proseguiva dal suo guru. Là sedeva attentamente, imparando come leggere e interpretare le scritture. Dopo che ebbe padronanza del Granth Sahib, egli iniziò all’età di nove lo studio dell’ hindi e i testi indù. Finiti gli studi, visitava il santuario di Nam Dev e ritornava tardi la notte. Spesso, mentre era lontano nella notte, si sedeva e si perdeva in meditazione, così profondamente che una volta rimase via l’intera notte mentre i suoi genitori lo cercarono freneticamente invano in ogni parte del villaggio. Questa intensa dedizione non rimase negletta, e il ragazzo disse una volta al suo insegnante che poteva vedere le Stelle e la Luna all’interno e bagliori di Luce interiore - la prima esperienza spirituale dell’anima mistica.

Bahi Jodh Singh era lontano dal sentirsi soddisfatto degli orientamenti poco mondani del figlio più vecchio. Per quanto religiosamente orientato un uomo possa essere, raramente è felice nel vedere il proprio figlio votato alla rinuncia. Jaimal cresceva ma invece di dimostrare interesse per gli affari della famiglia, egli si dirigeva nella direzione opposta. Non solo passava una grande quantità del suo tempo leggendo scritture, praticando sadhans (esercizi) spirituali e visitando il suo insegnante, Bahi Khem Das, ma iniziò anche a passare lunghe ore in compagnia di sadhus e uomini santi che venivano al villaggio per rendere omaggio al santuario di Nam Dev.

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Desideroso di calmare l’inclinazione religiosa del figlio, suo padre pensò che il meglio fosse mandarlo via da Ghuman e dal suo pellegrinaggio di sadhu. Così, all’età di undici anni e otto mesi, Jaimal venne mandato con il suo gregge a casa di una delle due sorelle, Bibi Tabo, che viveva nel villaggio di Sathyala.

Dalla sorella, Jaimal continuò il suo vecchio schema di pratiche religiose e pascolo di capre. Molti mesi passarono in questo modo. Poi un giorno mentre seguiva sua sorella incontrò uno yogi che era appena arrivato al villaggio. Felice di trovare la compagnia del santo egli si inchinò in reverenza, diede latte alle sue capre e offri allo yogi una bevanda di latte. L’uomo in zafferano era toccato dalla pietà del ragazzo e iniziò a fargli domande. Jaimal gli disse delle scritture che aveva letto e dell’intenso desiderio di illuminazione che esse avevano accesso in lui. Il Sadhu era molto compiaciuto del preambolo e gli offrì di addestrarlo. Gli disse francamente che in riferimento alla mistica di Naam lui conosceva poco, ma qualsiasi cosa egli praticava l’avrebbe liberamente impartita. Così la mattina seguente come ordinato, Jaimal procedette, senza avere mangiato niente, alla sua neo-scoperta guida per l’iniziazione. Lo Yogi era un adepto di pranayama e introdusse il suo giovane discepolo ai suoi segreti.

Avendo trovato una guida spirituale, Jaimal era ancora una volta lontano dal mondo. La sua vecchia indifferenza ai doveri familiari e agli affari mondani ritornò, con raddoppiata intensità. Egli spesso si sedeva per tre ore di seguito in meditazione. Lo yogi, compiaciuto dalla sua devozione, rimase al villaggio e Jaimal lo si trovava più spesso che mai in sua compagnia. Questi sviluppi causarono molta preoccupazione e ansietà alla sorella e alla fine la portarono a scrivere al padre di prendere via il ragazzo. Bhai Jodh Singh arrivò presto sulla scena e ordinò a suo figlio di tornare a casa. I due si diressero verso casa presto in mattino seguente, ma mentre erano sul punto di lascare il villaggio, Jaimal, con i suoi occhi bagnati dalle lacrime, pregò il padre di permettergli di vedere il yogi per l’ultima volta e chiedergli congedo. Suo padre acconsentì e il ragazzo, con un’offerta di latte fresco, si affrettò dal suo precettore. Tristemente gli raccontò come il padre fosse arrivato e della loro partenza decisa per quel giorno. Lo yogi sorrise, lo benedì e lo invitò ad essere allegro. “Continua i tuoi sadhans (esercizi) a

14 casa come prima, “ egli disse, “e tutto andrà bene. Io stesso ti incontrerò là qualche giorno.”

A Ghuman Jaimal rinnovò il suo legame con Bhai Khem Das e continuò a far visita ai sadhus di un tempo. Era nel suo quattordicesimo anno e continuava con assoluto zelo la pratica dei sadhans che aveva imparato. Ma presto iniziò ad avere desiderio di qualcosa di più. Le pratiche yogiche che padroneggiava fallirono nel soddisfarlo, e nel leggere il Granth Sahib si convinse di una più alta realtà, che poteva essere raggiunta in modi diversi. Nel progredire sul cammino, divenne progressivamente più distaccato dal mondo. Notò tutti gli accenni e i riferimenti esoterici alle cinque parole del Verbo, il Panch Shabd (Via del Verbo), che si trovava nelle scritture Sikh, e continuò a riflettere su questi, chiedendo ad ogni nuovo yogi o sadhu che incontrava se glieli poteva spiegare, ma tutto era vano.

In questa fase della sua ricerca, lui e la sua famiglia soffrirono di un triste lutto. Non era ancora quattordicenne quando suo padre cadde malato e morì. La famiglia era affranta ma la disciplina spirituale di Jaimal lavorò come uno scudo protettivo. Citando le scritture, confortò la madre e i due fratelli più giovani e scoraggiò ogni pianto e lamento. Se l’anima era immortale e se tutto era in accordo alla Volontà di Dio, allora che ragione aveva ogni cordoglio?

La Grande Ricerca

Se l’interesse di Jaimal nella Spiritualità fosse stato un seme gettato sulla roccia o nella sabbia o un alberello ancora tenero nella fibra, se non fosse stato niente di più che mera curiosità o la spontanea pietà di un semplice ragazzo di villaggio, il trapasso del padre avrebbe segnato il rintocco funebre della sua ricerca. Come maschio più vecchio della famiglia, il peso delle responsabilità domestiche cadde sulle sue spalle; e forse più anime sono sottratte al Cielo dal senso di dovere alla terra che da veri e propri peccati e malvagità. Ma la brama di Jaimal era una pianta dalle dure radici e di più forte fibra. Risoluto e impassibile, egli divise i doveri esterni tra i suoi fratelli. Mantenne la sua vecchia esigente routine, e in sei mesi padroneggiò

15 lo Yoga Vashishta e il Vichar Sangreh (due lavori standard della teologia Indù).

Arrivò nel villaggio, circa nello stesso periodo, un sadhu della setta Udasi. Come al suo solito, Jaimal andò a incontrarlo e gli chiese il significato dei passaggi che aveva annotato dal Granth Sahib. Il Sadhu spiegò che poteva iniziarlo almeno nel mistero del Ghor Anhad, ossia il profondo riverberante suono a cui si riferivano le scritture Sikh, ma non in quello del Panch Shabd (Il Verbo). Jaimal, desideroso di apprendere qualsiasi cosa potesse, si offrì come discepolo. Ma la festività Diwali era prossima, e il suo nuovo insegnante voleva trascorrerla nella città di Amritsar. Riluttante a perder questa opportunità, Jaimal andò dalla madre e supplicò di permettergli di unirsi al sadhu e di proseguire nella sua ricerca di Verità. Ma Bibi Daya si doveva occupare del benessere della famiglia e non avrebbe voluto sentire parlare della partenza del figlio maggiore. Ella gli ricordò i suoi doveri: “Tuo padre non c’è più,” disse “ e tu devi portare avanti questo posto. Se tu vai, che ne sarà di noi?”.

“Non sono insensibile a quanto dici, cara madre” rispose il figlio “ma il Signore è sopra di noi. E Colui che sostiene le sue creature, anche sulle rocce e nei mari, non ci abbandonerà nelle nostre necessità. Il principale dovere dell’uomo è di cercare il suo Creatore, e tutti gli altri doveri sono secondari. Non avere paura ma sii di buon umore, e lasciami proseguire con la tua benedizione.”

Bibi Daya, profondamente religiosa, era toccata da ciò che Jaimal disse con tale convinzione. Vedendo al sua determinazione ed essendo troppo orgogliosa di lui per spezzare il suo cuore, alla fine cedette “Lo so che non posso fermarti. E Nemmeno desidero farlo. Ma se devi andare, promettimi di tornare a casa quando la tua ricerca è finita”.

Dando la sua parola d’onore, Jaimal partì, e sua madre e i suoi fratelli lo salutarono con un toccante addio. Era appena entrato nei suoi quindici anni, ed era già imbarcato in una ricerca che stava per portarlo attraverso molte città e che lo stava coinvolgendo in un grande lavoro e travaglio. Era il tempo in cui la ferrovia era ancora sconosciuta in India (1853), senza parlare delle moderne strade e linee aree. I ricchi potevano, naturalmente,

16 andare a cavallo ma il più umile popolo doveva dipendere dal vigore dei suoi stessi piedi. Viaggiare era difficile e arduo. Gli Inglesi avevano solo recentemente conquistato il Punjub, e la stabilità doveva ancora realizzarsi. Il Grande Mutino (rivolta dei Cipay o dei Sepoy, 1857-1858) era solo lontano mezza decade, ma la gente stava crescendo irrequieta e nel paese stava iniziando a ribollire il malcontento.

Era in tale situazione che Jaimal si avviò ad Amritsar. Tre giorni dopo essere giunto là, fu iniziato, in un giardino locale, dal sadhu Udasi alla Scienza del Ghor Anhad. Come il suo contemporaneo, Shri Ramakrishna (1836-1886), Jaimal era destinato a sedersi ai piedi di molti maestri intermedi prima di incontrare il suo Vero Maestro. Come lui, era destinato a imparare molti sadhan (esercizi, discipline) e a fare rapidi progressi in ognuno. Come lui, era destinato a non essere legato, come nel caso di altri yogi, a nessuno di essi, ma a tendere sempre oltre verso una sempre più alta meta. La iniziale padronanza del Granth Sahib gli ritornò utile. Lavorò come un infallibile pietra di paragone con cui testare ogni nuovo risultato e per verificare che il reale scopo si trovava ancora ulteriormente avanti.

Avendo praticato japa e pranayama, e avendo approfondito l’estasi del Ghor Anhad la ricerca dei cinque nomi del Verbo divenne la prevalente passione di Jaimal. Mentre era in Amritsar, non mancò di contattare altri yogi e sadhus, domandando loro degli indizi di ciò che stava cercando. Mentre era ad Amritsar, non mancò di contattare altri yogi e sadhus, interrogandoli per avere indizi su ciò che stava cercando. Qualcuno suggerì che egli poteva scoprire l’oggetto della sua ricerca ai piedi di Baba Gulab Das, allora residente nel villaggio di Chatyala. Il ragazzo non aveva bisogno di altri suggerimenti e non tanto dopo stava chiedendo permesso ai discepoli di Guru Das di vedere il loro Maestro. La richiesta fu esaudita ed egli comparve davanti al riverito sadhu. Seguì una vivace discussione che, a causa della giovane età del nuovo venuto, irritò alcuni dei discepoli più vecchi che stavano intorno. Ma Gulab Das li assicurò che Jaimal, giovane negli anni, era maturo nella mente ed era un vero ricercatore di Dio. Egli provò a soddisfare il ragazzo al meglio che poteva, spiegando che Naam non era altro che il suono che vibrava nei pranas, iniziandolo ancora oltre nei segreti del pranva o lo yoga pranico. Jaimal, sebbene pronto ad imparare qualsiasi cosa potesse, non era convinto della interpretazione del sadhu che,

17 come egli gli precisò, sbagliò nello spiegare (a) il numero “cinque” usato più volte nel Granth Sahib in connessione con lo Shabd interiore; e (b) il fatto che i Guru Sikh ripetutamente affermarono che il sentiero del Naam era distinto dalle altre forme yogiche che non potevano dare la liberazione più alta.

Da Chatyala, la ricerca di Jaimal lo portò a Lahore. La c’erano sadhu Indù e fachiri Mussulmani di tutti i generi. Il giovane ragazzo Sikh ricercava la loro compagnia a tutte le ore e li frequentava assiduamente. Ma pur tentando tutto il possibile non trovava indizi. Trovandosi in una grande città, essendosi trascinato per molte miglia, senza soldi in tasca, sempre insicuro del prossimo pasto, non era per niente sconfortato dalla sua difficile situazione. Egli viveva nella speranza di risolvere il segreto che nessuno poteva svelare per lui. Affaticato nei piedi e appesantito nel cuore. Egli partì per Nankana Sahib, il luogo di nascita di Guru Nanak e un posto di pellegrinaggio santo per i Sikhs.

Ma a Nankana Sahib Jaimal fallì ancora nel trovare ciò che voleva. Le vie della Provvidenza sono misteriose. La via di un ricercatore può essere piena di innumerevoli ostacoli che sembrano quasi rompere il suo cuore. Tuttavia nell’esatto momento quando lo spirito è sul punto di collassare, sussurra una parola di incoraggiamento e emana un raggio di speranza, salvandolo dalla grande disperazione e mettendolo sulla strada verso la nuova Gerusalemme. E così il ragazzo, adesso quindicenne, incontrò a Nankana Sahib Bhai Jodha Singh della setta Namdhari che lo indirizzò a Baba Balak Singh di Hazro, un villaggio dietro Attock in quella che più tardi fu conosciuta come la provincia della frontiera nord ovest. Con determinata risoluzione, Jaimal partì per il lungo viaggio. Egli prima si fermò a Aminabad da cui procedette per Shah Daulah. Da Shah Daulah il suo viaggio lo portò attraverso il fiume Jhelum a Tila Balnath, e quindi a Rawalpindi. Egli spese alcuni giorni in ognuna di quelle città e mai mancò di essere in contatto con fachiri e sadhu che si trovavano là. Essendo non troppo lontano da Panja Sahib, il famoso santuario che ricordava uno dei più memorabili miracoli di Guru Nanak14, egli procedette là anche se ciò interrompeva la sua strada. Là egli soggiornò per un po’, godendo lo scenario naturale e l’acqua chiara che scaturiva dalla sacra fonte. Egli viaggiò da lì verso Attock e alla fine arrivò a Hazro, la sua destinazione.

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Era molto felice di incontrare il venerabile Babab Balak Singh che fu stupefatto dalla acutezza mentale e dalla intensità dell’ardore spirituale del giovane visitatore. Passarono qualche incantevole giorno insieme leggendo, recitando e discutendo il Granth Sahib. Balak Singh era un uomo di grande saggezza e pietà, ma per quel che concerneva la Spiritualità, come Gulab Das, egli aveva esperienza della meditazione (japa) solo attraverso il prana, e conosceva poco del Panch Shbadi Naam nominato da Kabir e dai grandi Guru Sikh. Comunque diede al suo giovane amico speranza e lo diresse a Chikker da un capofamiglia Sikh di grande spirituale eminenza.

Jaimal arrivò da Hazro nel villaggio di Chikker e cominciò a chiedere dell’uomo che cercava. Sembrava non trovarne traccia sino a che trovò un vecchio Sikh che chiese al giovane straniero se potesse aiutarlo in qualche modo. Jaimal raccontò da dove era venuto e dell’oggetto della sua ricerca, e chiese di essere guidato al santo del luogo. Il vecchio uomo, che era egli stesso l’uomo che stava cercando, rispose gentilmente che, per quanto ne sapeva, un tale santo non viveva in quel villaggio, ma gli offrì di fare per lui quel poco che era in suo potere.

La lunga e gravosa ricerca di Jaimal incominciava adesso almeno a produrre qualche frutto. La grande anima del capo famiglia nella cui casa egli ora si trovava gli diede il primo definito indizio di quello che cercava e lo mise sul primo piolo della scala spirituale. Subito dopo il suo arrivo il ragazzo intossicato di Dio ricevette l’iniziazione. Le sue prime assunzioni furono confermate e ora sapeva con certezza che il sentiero di Naam aveva poco a che fare con le altre pratiche yogiche. Ma dopo l’iniziazione egli osservò che le scritture parlavano delle ‘cinque parole del Verbo’ e gliene erano state impartite solo due. Nel sentire ciò, il suo ospite e precettore gli riferì la storia della sua propria iniziazione:

“erano molti anni fa che andai a Peshawar. Là incontrai un grande mahatma e desiderai essere iniziato da lui. Egli mi accettò come discepolo e mi dischiuse il segreto dei primi due Shabdas (nomi), ordinandomi di ritornare il più presto possibile. Procedetti al mio villaggio e pensavo di ritornare presto. Ma tali sono le trappole di Maya (la Materia) che, a causa di qualche inatteso impegno, fui incapace di soddisfare il mio desiderio. Due mesi passarono in questo modo, e quando alla fine raggiunsi Peshawar, il mio

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Maestro era trapassato, portando con sé la chiave delle rimanenti fasi del Divino Naam (il Verbo)15.

Jaimal non aveva scelta. Doveva essere contento con ciò che ricevette. Rimase con il saggio Sikh per qualche tempo, godendo della sua ospitalità e della sua illuminante compagnia, coltivando con zelo il regalo che aveva ricevuto. Poi arrivò un giorno in cui diede al suo ultimo insegnante un toccante addio e si avviò per Peshawar per perseguire la sua inappagata ricerca. Aveva avuto la soddisfazione di essere stato messo sulla giusta strada, ma non era l’uomo da riposare, almeno non sino a che avesse raggiunto la sua meta. In questa antica città di frontiera ancora una volta, come un energico cacciatore, egli iniziò a cercare la traccia di qualche uomo che aveva realizzato pienamente Dio. Ma Peshawar non era il luogo dove la sua ricerca doveva essere coronata con successo e la sua sete saziata. Mentre vagabondava tra Pathans (genti afgane) attraverso le molte strade, un Sikh mastana (che ha ridotto i legami con il mondo), perso al quotidiano mondo del comportamento razionale per intossicazione divina, lo fermò e accostò con le parole: ‘Perché spendi le tue fatiche al Nord mentre il tuo giorno è giù all’Est?’ Sebbene egli non poté estrarre niente di più dallo strano consigliere, il suo avviso lo diresse verso casa e poco dopo Jaimal iniziò a ripercorrere i suoi passi verso il Punjab. Raggiungendo Rawalpindi decise di visitare la famosa valle del Kashmir e il popolare centro collinare di Murree. Come amante delle bellezze della natura egli gioì molto del suo viaggio collinare e in Kashmir incontrò molti sadhu. Finito il suo giro turistico, si diresse finalmente verso casa. Con qualche cencio sulle spalle e quasi senza scarpe ai suoi piedi o denaro nella in tasca, egli alla fine raggiunse Ghuman per la grande gioia della sua fiera madre e dei suoi affezionati fratelli.

La famiglia celebrò il ritorno a casa nello stile tradizionale, offrendo ringraziamento all’onnipotente, arrangiando recitazione di scritture e canti di inni, distribuendo dolci tra i vicini e offrendo cibo ai poveri. Jaimal Singh, adesso sedicenne riprese i doveri famigliari ancora una volta e abbandonò egli stesso il consolidamento di quello che aveva imparato nel suo recente viaggio. Presto dopo il suo ritorno, arrivò lo yogi di Sathyala che l’aveva iniziato al Pranayama tre anni prima, fedele alla sua promessa nel partire, cioè di incontrare a Ghuman il suo giovane discepolo. Jaimal

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Singh lo ricevette con reverenza e umiltà e il suo vecchio insegnante gli offrì di istruirlo alle altre discipline dello yoga tradizionale. Ma il giovane non era più un ragazzo. I suoi vasti viaggi e le varie esperienze che li avevano accompagnati gli avevano dato una nuova maturità. Quello che era sembrato desiderabile una volta non sembrava avere ancora molto valore, poiché il suo contatto con molti yogi lo aveva convinto di almeno una cosa: i kriyas dell’ potevano dare strani poteri fisici e occulti, ma non potevano conferire una piena pace e libertà interiore. Ogni nuovo giorno rafforzava la sua vecchia convinzione che la via di completa mukti o emancipazione si trovava altrove, e tutto quello che egli ora desiderava era l’iniziazione alla mistica del Panch Shabd (dei cinque nomi).

Il tempo rullò sulle sue ruote di mercurio, ma Jaimal Singh non era l’uomo da stare seduto pigramente o da essere contento con solo un ripiego. “Svegliati, alzati e non fermarti fino a che lo scopo è raggiunto,” raccomandava un antico testo Vedico, e la sua vita era una incarnazione vivente del suo precetto. Appena sei mesi erano passati dal suo ritorno quando la spinta a riesumare la sua ricerca per il santo Naam divenne troppo potente per essere ignorata, e egli incominciò a pressare la madre per ottenere il permesso di partire una volta ancora.

“Come ti puoi aspettare che io ti lasci andare ancora? Tu eri un bambino allora, ma adesso sei un uomo cresciuto e capisci le tue responsabilità.”

“ Ah, madre, alla mia nascita hai pregato per un figlio santo. Allora perché fermarmi adesso?”

“Come puoi parlare cosi? Ti ho mai controllato nelle tue inclinazioni religiose? Sicuramente puoi portare avanti le tue pratiche devozionali e le discipline spirituali mentre vivi a casa!?”

“Come possono il divino e il mondano andare insieme?”

“Ma hai visto te stesso come altri hanno usurpato le nostre terre dopo la morte di tuo padre. A malapena abbiamo abbastanza da mangiare; e quando tu sei andato, essendo i tuoi fratelli cosi giovani cosa impedirà loro dall’occupare con la forza il resto?”

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“Lascia che loro prendano quello che vogliono. Questo mondo non è nostro e anche se queste terre non ci vengono tolte dovremmo lasciarle qualche giorno quando la durata della vita è terminata. Dobbiamo solo mantenerci. Qual è il problema se tutta la nostra proprietà e perduta? Il Signore ci ha dato braccia muscolose, e con la sua grazia dovremmo guadagnare un rispettabile vivere.”

Lui che niente poteva dissuadere mentre era ancora un bambino non poteva essere frenato ora, e Bibi Daya non aveva scelta se non lasciarlo andare. Quindi all’età di sedici anni e nove mesi Jaimal Singh ancora una volta partì per le sue esplorazioni spirituali. Avendo ben esaurito il vicino Punjab e il Nord-ovest, con le parole del Sikh di Peshawar che ancora riverberavano nelle sue orecchie, volse i suoi passi verso est. I tempi erano insicuri e i Britannici non si erano ancora pienamente radicati nelle loro nuovi insediamenti al nord. I viaggi notturni erano per questo proibiti e i sentieri erano sorvegliati di notte sulle principali direzioni per prevenire ogni vagabondaggio. Ma Jaimal Singh era troppo impaziente per venire limitato da questo. Spendeva la prima parte della notte riposando e dormendo e nella seconda, mentre le sentinelle erano addormentate e assopite, continuava il suo viaggio il più velocemente possibile.

A Vairach, un villaggio sulle sponde di Beas non lontano da casa, incontrò un sadhu nominato Kahan che era impegnato nel raccogliere pietre. “Buon giorno, sant’uomo” disse il giovane. “Cosa ti tiene così occupato?” “Niente, figlio mio, niente: stò solo raccogliendo materiale per una futura abitazione”, sorrise Kahan, e poi ritornò assorbito dal proprio lavoro. Quando altri del villaggio lo interrogavano in maniera analoga, egli rispondeva con la caratteristica brevità, “Qui un giorno sorgerà un Tempio” e ricadeva nel suo usuale silenzio.

Jaimal Singh, non sapendo dove andare, diresse i suoi passi verso Hardwar sulle sponde del sacro Gange, un ritrovo favorito dei santi. Viaggiando di notte e di giorno, egli camminò la distanza con lodevole velocità e in dodici giorni, raggiunse il Gange. Esplorò i luoghi di Hardwar, poi una piccola città quasi interamente abitata da pandits e sadhu, ascoltando yogi istruiti, argomentando e discutendo i suoi problemi con loro. Dalla città principale viaggiò accostando il fiume, visitando tutti i posti sacri nei dintorni. A

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Tappo Ban apprese di un sadhu molto vecchio di circa centocinquanta anni che abitava non lontano nel cuore di una fitta giungla e che possedeva grandi poteri ma che raramente parlava a quelli che venivano a trovarlo.

Non scoraggiato dal risaputo silenzio dello yogi, Jaimal Singh diresse il suo cammino nella foresta e alla fine trovò l’abitazione dell’eremita. Il sadhu era impegnato con le sue pratiche spirituali e non prestava attenzione a quelli che venivano a trovarlo per essere benedetti dalla sua presenza. La sera si avvicinò e il cielo e i rami sopra la testa scoppiarono di vita con il cinguettio degli uccelli del luogo. Tutti i visitatori partirono: la foresta sarebbe presto stata buia e chi poteva dire quale selvaggia creatura potesse andare a caccia nel fitto fogliame aspettando la sua opportunità. Solo Jaimal Singh rimase. La notte scese e ancora lo yogi non lo notò. Alla fine si alzò, camminò ad una altalena appesa ad una vicino ramo, vi salì riposando le braccia sul sedile di legno. Ora dopo ora scorreva ma l’asceta stava immobile, non mostrando alcun segno di fatica. Alla fine la notte iniziò a calare e terminò la sua notturna prova di resistenza. Lasciò l’altalena, sparì nella giungla e ritornò dopo il bagno. Jaimal era rimasto tutta la notte vigile e aveva guardato il comportamento inusuale dello strano uomo davanti a lui. Quando il sadhu ritornò dopo il suo bagno, mostrò qualche segno di essere a conoscenza della presenza del suo visitatore. Gli chiese chi fosse e cosa volesse. Il giovane disse il suo nome, il posto da dove veniva e aggiunse “Sant’uomo! Per tanti anni sono stato alla ricerca di vera illuminazione spirituale. Ho saputo di te e dei tuoi grandi poteri e sono venuto come implorante alla tua porta. Ho guardato con interesse le tue pratiche e se davvero portano a piena liberazione dalla irrequietudine interiore, allora ti prego, introducimi ai loro segreti.”

Il Sadhu non rispose, sedette silenzioso e chiuse gli occhi. Dopo un po’ li aprì e rispose:” Figlio mio, la mia disciplina è difficile e attribuisce molti poteri. Ma in merito alla libertà interiore, temo che non mi abbia assicurato ciò.”

Jaimal Singh desiderava interrogare lo yogi ancora, ma quest’ultimo divenne silenzioso e si ritirò dal mondo della coscienza esterna in quello della meditazione. Il sole ascese al cielo e il giorno passò. Qualche devoto venne a ricevere uno sguardo del famoso yogi, si inchinò con reverenza ai

23 suoi piedi, lasciando un po’ di cibo per Jaimal Singh e qualche offerta per l’asceta, andandosene come il primo giorno. Ancora una volta la notte scese e ancora una volta il giovane di Ghuman si sedette. Lo yogi alla fine si alzò dalla seggiola e spese la seconda notte allo stesso modo della prima. Quando il giorno irruppe, andò al suo bagno, e ritornando chiamò Jaimal da parte. ‘Figlio mio, non ti posso dire molto’ disse. ‘ Ma nella mia meditazione ho visto che il Guru che tu cerchi abita con sua moglie in Agra. Egli è davvero una grande anima e racconta dal Granth Sahib. Egli schiuderà a te il segreto del Panch Shabd (i cinque nomi del Verbo). Procedi là e io ti seguirò appena potrò condividere la sua generosità’. Che peso cadde dalla schiena di Baba Jaimal Singh! Quanti notti spese rigirandosi e pregando, domandandosi se Dio avrebbe mai appagato i suoi desideri! Lo straniero a Peshawar gli aveva dato una speranza, ma le sue parole erano vaghe, e nulla era certo. Adesso alla fine una traccia definita gli era stata data e il successo appariva all’orizzonte. Il Signore era davvero gentile e non aveva ignorato la supplica del suo umile servitore. Rinfrancato nello spirito e fiducioso nella mente, il giovane, con il cuore traboccante di inesprimibile gratitudine, si chinò davanti allo yogi adesso avvolto nel silenzio e umilmente prese congedo.

Il Compimento

Appena dieci giorni erano passati prima che Jaimal Singh, passando attraverso Hapur e la santa città di Mathura, arrivò alle porte di Agra. Una città famosa dai giorni del grande Mogol; e molti turisti da lontano e da vicino, da oltre l’Atlantico e il Pacifico, hanno avuto prova del suo magnifico Taj Mahal e di altri monumenti storici così come del caldo afoso e delle polverose strade. Ma il giovane del Punjab non era venuto per vedere il suo storico splendore; non aveva attitudine per le sue magnificenze e imponenti mausolei, fortezze e palazzi costruiti da Abkar e dai suoi illustri successori. Quello che cercava non era la reminiscenza del tempo ma il rivitalizzante respiro dell’Eterno. Invece di visitare il Taj Mahal egli esplorò i santuari locali e i templi in cerca della benedizione che gli era stata promessa.

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Ma per quanto tentasse, le sue esplorazioni non sembravano portare da alcuna parte. Non poteva trovare indizi dell’uomo che stava cercando. Le sue speranze erano infondate? Erano la promessa fattagli a Peshawar e confermata nel cuore della foresta sulle rive del sacro Gange solo una beffa e un imbroglio? Forse era in errore? Forse non era ancora pronto per il dono? Molti pensieri affollavano la mente di Jaimal Singh mentre sedeva contemplando le rive del Jamuna una mattina dopo aver fatto il bagno nelle sue acque. Mentre sedeva, due uomini si avvicinarono, discutendo questioni personali. Al principio diede loro poca attenzione perché molti venivano ogni giorno per un bagno nel sacro fiume. Ma poi una parola attraversò le sue orecchie ed egli era tutta attenzione. Si, stavano parlando di ‘Soami Ji’, un grande saggio, che spesso discuteva sulle scritture Sikh a casa sua a un piccolo pubblico. Jaimal era già in piedi. Accostò gli stranieri, chiedendo loro di questo grande uomo di cui essi parlavano e chiese di essere condotto alla sua mensa.

Appena i due devoti finirono il bagno, si incamminarono con Jaimal Singh per Punni Gali dove viveva il grande Soami Ji. Quando i tre raggiunsero la loro destinazione, il Maestro stava parlando del Jap Ji, esponendo il suo profondo significato e scoprendo il tesoro spirituale nascosto nella sua estasi lirica. C’erano solo pochi ascoltatori e Jaimal Singh si mise tranquillamente in un angolo. Ascoltò il discorso con attenzione assorta, bevendo ogni parola che cadeva dalla labbra del Santo.

Quando la riunione mattutina fu finita, Soami Ji accolse il suo nuovo visitatore e gli chiese cosa voleva.

“Sono alla ricerca del dono del ‘Naam’ (il Verbo) e di un Santo che possa estendere la sua benedizione su di me,” rispose Jaimal Singh. “Ho sentito della tua grandezza e mi sono affrettato alla tua porta.”

“Ho paura che non troverai santi qui,” sorrise radiante Soami Ji “Sono solo un mero servitore dei Santi. Anche il grande Nanak si riferì a se stesso come non a un Santo; allora come potrebbe un mero nulla come me essere di qualche importanza?” Diede il benvenuto a Jaimal ancora una volta, assicurandogli che poteva rimanere tanto a lungo quanto avesse piacere,

25 poiché tutti erano liberi di condividere il dono del Sahib, Il Signore dei Cieli.

Più tardi quel giorno Soami Ji parlò con Jaimal Singh ancora. Compiaciuto dalla sua profonda immersione nel Granth Sahib, egli gli chiese di recitare uno dei suoi favoriti inni. Il giovane iniziò melodiosamente a cantare il pezzo iniziale.

Con la grazia di Dio uno può incontrare un Maestro Che lo metta al servizio del Surat Shabd Yoga*

-Rag.Magh M.3

*Yoga dell’Attenzione e del Verbo (ossia della Corrente del Suono e della Luce)

La recitazione proseguiva. Era chiaro che l’oratore aveva sentito con profonda intensità quello che cantava. Quando finì, Soami Ji chiese se aveva capito il pieno significato dei versi che aveva appena pronunciato.

“Oh Sant’Uomo!” rispose, “Se avessi capito il loro vero significato, perché allora dovrei vagare in questo modo? “ E come disse queste parole rievocò il suo lungo viaggio e le molte vicissitudini avute, gli occhi di Jaimal Singh si riempirono di lacrime che silenziosamente traboccarono.

Soami Ji mise la sua mano amorevolmente sulla spalla del giovane e lo rassicurò. “Sii di buon umore” disse, “siamo vecchi camerati e non c’è motivo di preoccuparsi”. Poi riprendendo l’inno che era appena stato recitato, egli espose per esteso il suo significato spirituale, cucendo finemente i fili di impegno personale e grazia Divina essenziali alla salvezza dell’animo umano.

La mattina seguente Soami Ji riassunse il suo discorso sul Jap Ji. Quando fu terminato egli si diresse verso Jaimal Singh e suggerì, “ Se hai qualche dubbio o domanda, perché non chiarirli ora? Manifesta il tuo animo pienamente. Sono solo un umile servitore del Signore, e uno potrebbe dire

26 qualsiasi cosa ad un servitore – qualsiasi cosa – elevata o bassa; non avere paura, ma parla francamente. Sarei solo contento di esserti di qualche aiuto perché considero questo come servizio al mio Guru.”

Più tardi nel pomeriggio Soami Ji ancora una volta chiese a Jaimal di recitare un inno dalle scritture Sikh, e il giovane sikh iniziò a cantare:

Creazione e dissoluzione sono causate dal Verbo e La creazione ancora torna ad esistere con il Verbo

-Rag Magh M.3

La discussione del pomeriggio si incentrò su questo inno, e il Maestro sviluppò estesamente il tema del Verbo o Naam, rispondendo una dopo l’altra alle ancora inespresse domande di Baba Jaimal Singh sul soggetto. Egli mostrò come la Parola (il Verbo) fosse la prima causa sia della creazione come della sua dissoluzione; come fosse allo stesso tempo l’estensione dell’Onnipotente Assoluto e essa stessa l’Assoluto. Senza il suo potere niente era creato, e solo contattandola qualcuno poteva raggiungere di nuovo la sua divina dimora.

Quando tutti se ne andarono e Jaimal Singh fu lasciato solo con Soami Ji, si fece vicino e iniziò a interrogare il Santo sulla via della salvazione. Egli era convinto che il saggio di Agra fosse un vero Maestro, ma il fatto che non fosse un Sikh e che fumasse il narghilè causò in lui qualche disagio. Ma appena Soami Ji sviluppò il tema della salvazione e iniziò a rivelare come il Verbo fosse il solo mezzo di mukti (liberazione), come il suo contatto poteva essere dato solo da un Puran San, un perfetto Maestro, come l’uomo senza di ciò non potesse mai scappare dalla rete di Maya (Mente, Materia), e come la sua pratica e controllo fosse alla portata di tutti a prescindere dalle loro diversità di setta e costume, i dubbi di Jaimal vennero dissipati e pregò di essere iniziato, Soami Ji allora iniziò ad istruirlo nella teoria e pratica del Surat Shabd Yoga (lo yoga del Suono e della Luce), e, quando le istruzioni furono terminate, chiedendo al giovane diciassettenne di sedersi per la meditazione, lasciò la stanza.

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Appena Jaimal Singh sedette in meditazione, si smarrì nel samadhi. La notte arrivò e passò, il giorno irruppe, ma continuò immobile, perso nella beatitudine interiore che aveva scoperto. Un altro giorno si vide inghiottito dalla notte, e la notte si vide sostituita da un altro giorno, e ancora il giovane sedeva assente al mondo circostante. Quando quasi quarantotto ore erano quindi trascorse, Soami Ji chiese ad alcuni discepoli se sapessero dove il visitatore del Punjab era scomparso. “lo abbiamo visto due giorni fa nel Satsang,” dissero, “ma non lo abbiamo visto da allora”. Soami Ji sorrise e si diresse diritto alla piccola stanza dove aveva lasciato il suo ultimo discepolo e nella quale nessuno era entrato per due giorni. Egli mise la sua mano sulla testa di Jaimal Singh e quando l’anima di quest’ultimo ritornò ad una normale coscienza fisica egli aprì gli occhi, vide il suo splendente Guru vicino a lui. “Mio ragazzo, dubiti ancora che il tuo Maestro sia un vero Sikh o no? “ egli chiese con un bagliore nei suoi occhi. Il ragazzo voleva cadere ai suoi piedi ma il lungo incantesimo del samadhi avevano lasciato le sue giunture intorpidite e immobili. Soami Ji suggerì che massaggiasse le sue gambe, e quando Jaimal poté muoversi, lo condusse fuori. Là gli diede con le sue mani del latte da bere, e fissandolo teneramente, disse: ”Anche tu un giorno farai il lavoro che adesso porto avanti. Il nostro cammino non riguarda le forme esteriori e i rituali e ognuno può vivere nella migliore tradizione della comunità in cui il Signore ha avuto il piacere di collocarci.” Egli allora lodando l’insegnamento di Guru Nanak e dei Guru Sikh disse che coloro che li seguivano avevano bisogno di poche istruzioni. “Osservate sempre gli avvisi del Granth Sahib,” continuò. “Astenetevi da carne e alcool. Non dipendete mai per la vostra sopravvivenza da altri ma vivete del lavoro delle vostre mani. Quello che guadagnate dividetelo liberamente con i bisognosi e ricordate di servire i santi e i poveri. E soprattutto non siate mai fieri delle vostre proprie opere oppure critici delle azioni degli altri, ma sappiate di essere in errore, e non uscite mai fuori dalla virtù della umiltà interiore.”

Jaimal Singh ascoltò con reverente attenzione il consiglio del suo Maestro e successivamente provò sempre a forgiare se stesso su questo. Devotamente frequentò il Satsang giornaliero e aiutò in qualsiasi modo fosse alla sua portata. Il suo passato allenamento lo aveva educato bene per il suo sadhan (disciplina) spirituale, ed egli si consacrò infaticabilmente al Bhajian (la pratica di ascoltare la corrente del Suono interiore). Sotto la guida di Soami

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Ji e con il suo fenomenale progresso interiore, nuovi misteri gli furono giornalmente rivelati, i misteri che Nanak, Kabir e Tulsi avevano magnificato così estaticamente.

In quei giorni alla metà degli anni cinquanta (1850), Soami Ji non aveva un grande seguito. Non aveva ancora cominciato a dare discorsi pubblici, e aveva limitato i suoi incontri a piccole udienze private nella sua casa in Punni Gali dopo aver interrotto i suoi discorsi al Mai Than Gurdwara. Sette o otto dei suoi discepoli gli erano specialmente devoti e cercavano costantemente la sua compagnia, c’era grande affetto e armonia. Ogni mattina il Maestro dava un illuminante discorso, esponendo davanti agli occhi dei suoi ascoltatori i tesori spirituali nascosti nel Granth Sahib o negli scritti di Kabir o di altri grandi saggi. Dopo il Satasang mattutino i presenti si sedevano per il pasto. Il cibo era preparato dalla moglie di Soami Ji, Smt. Narain Devi, che venne conseguentemente chiamata Radha Ji come nota di pubblico rispetto e adorazione; mentre Soami Ji personalmente serviva il cibo a tutti con amorevole attenzione per ognuno. Nei pomeriggi e alla sera c’erano spesso dialoghi informali e conversazioni e talvolta discorsi regolari.

Un mese e mezzo passò in questo modo. Jaimal Singh era felice di vivere ai piedi del suo benevolente Maestro. Era l’anno 1856, e il reggimento degli Indiani Sepoy, che contava molti Sikh, era stanziato ad Agra. Su richiesta di Soami Ji, Jaimal Singh si unì come recluta. Partecipava alla parata mattutina e, terminati i doveri, si affrettava alla porta del suo Guru. Là assisteva al Satsang, ascoltava Soami Ji, sedeva per meditazione e alla notte ritornava nei sui quartieri nell’accantonamento. I suoi colleghi d’armi gli chiedevano dove spendeva così tanto del suo tempo. Quando disse loro della grandezza di Soami Ji, alcuni dei suoi amici Sikh desiderarono incontrare l’illustre Santo, e un giorno, accompagnato da sei di loro, si avviò per Punni Gali.

Soami Ji stava discorrendo su qualche inno del Granth Shaib quando il gruppo arrivò dall’accantonamento. Chacha Partap Singh allegramente sottolineò che il Punjab sembrava dominare il Satsang quel giorno. Soami Ji si girò verso di lui e disse: “La gente di quella terra prima di tutti ha diritto alle ricchezze spirituali di cui parlo. Chi può mai rendere giustizia alla gloria del Punjab che diede i natali a un’anima come Nanak? Lui prima di

29 tutti ci insegnò quella libertà che non si trova nella adorazione di idoli o in rituali, e mentre noi da queste parti siamo ancora persi in cerimonie e idolatria, insensibili al messaggio di Kabir e Nanak, le anime del Punjab sono libere da questi demoni e occorre solo una scintilla per dare loro fuoco. Ascoltami bene perché vale la pena ricordarlo: il dono concessomi dal Signore fiorirà un giorno nelle pianure del Punjab.” Poi rivolgendosi ai suoi visitatori, li accolse, li intrattenne meglio che poté, invitò il loro leader Jaimal Singh ad essere regolare nei suoi compiti militari, e quando arrivò il tempo della loro partenza, si accommiatò.

I leggeri impegni militari lasciavano a Jaimal Singh un ampio spazio per la meditazione. Se non aveva doveri notturni si alzava alle 2, prendeva un bagno, e si sedeva per meditare. Durante il giorno, appena la parata e gli altri doveri erano finiti, o si impegnava allo stesso modo o si precipitava a casa di Soami Ji. Era conosciuto per non perdere un singolo momento in passatempi noti tra i suoi colleghi d’armi. Visitava Punni Gali con grande regolarità, e spesso si prestava come pathi o narratore per Soami Ji; e molti dei suoi amici, a causa del suo impatto, divennero discepoli del suo Maestro. La vita era tranquilla e felice e stava portando regolare frutto. Ma arrivò il giorno che al reggimento venne ordinato di spostarsi da Agra. Con il cuore addolorato, Jaimal Singh incontrò il suo Maestro e tristemente riferì la novità. “Oh Signore!” disse “come desidero godere della benedizione del Satsang un po’ più a lungo.” Soami Ji sorrise e rispose, “Bene, aspettiamo e osserviamo la Volontà del Signore.” Il giorno dopo nuovi ordini arrivarono cancellando la partenza del reggimento.

Jaimal Singh stava facendo veloci evoluzioni interiori. Spesso riferiva a Soami Ji delle sue varie esperienze interiori e il suo Guru era compiaciuto dei suoi progressi. Una volta quando gli disse del suo avvenuto accesso a Daswan Dwar (la Decima Porta – il terzo maggiore stadio dell’anima mistica) ma della sua inabilità di penetrare oltre, Soami Ji esclamò: “Ah! Questo è chiaramente comprensibile. Abbiamo lavorato a questa esplorazione spirituale insieme tempo prima, e nella tua vita passata avevi padroneggiato sino al terzo stadio. Da qui la tua facilità nel progredire così lontano e la tua successiva difficoltà.” Rassicurò comunque il suo giovane discepolo e lo incoraggiò a continuare il suo sforzo.

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Quando quest’ultimo raccontò di una più alta ascesa, Soami Ji era molto compiaciuto e dichiarò entusiasticamente: “Continua in questo modo e sarai presto pronto ad aiutare altre anime a salvarsi. Sei nato per aiutare l’umanità, e tra me e te non c’è reale differenza.”

“Non sono degno di un tale onore. Oh, lasciami umilmente ai tuoi piedi, lontano dal fango dell’orgoglio.”

“Non temere, un vero Santo non può mai essere orgoglioso.”

“Oh Signore, tienimi ai tuoi piedi, il servitore dei servitori dei Santi. Questo è tutto quello che chiedo.”

“Tu farai davvero servizio ai Santi: salvare l’umanità, portarla alla verità e alla liberazione spirituale. Cos’è la perdita di un milione di mucche paragonato alla salvezza di una sola anima?”

“Tu puoi fare come ritieni meglio, ma per me so troppo bene le mie debolezze e i miei limiti.”

I sei mesi per cui la partenza del reggimento era stata rimandata erano finiti e Jaimal Singh doveva andare. Prese permesso per gli ultimi tre giorni e li passò in compagnia del suo Maestro. Quando alla fine il tempo per accomiatarsi si avvicinò, Jaimal Singh non poteva sopportarlo oltre.

“Il mio cuore si spezza al pensiero di partire. Se tu vuoi così, posso far cancellare il mio nome dal registro militare”

Ma Soami Ji non voleva sentir parlare di questo: “Costruisci il tuo amore sul Verbo all’interno. Quello è il vero Guru ed è sempre dalla tua parte. Tutto il resto è transitorio e deve essere lasciato indietro. Devi guadagnare da vivere perché se dipendi dal lavoro degli altri, devi pagare per questo con la tua pace mentale, e la tua comprensione sarà annebbiata. Devi lavorare, quindi perché lasciare l’esercito?”

Jaimal Singh non ebbe scelta se non inchinarsi alla superiore saggezza del suo Maestro. Alla partenza, Soami Ji parlò della natura della Santità e della

31 condotta dei Santi. Raccontò aneddoti della loro grande umiltà e, nel congedarsi, disse: “Il tuo reggimento sta ora partendo. Se mai trovi un vero cercatore, mettilo sul sentiero interiore, ma ricordati sempre che tu sei un umile strumento dei Santi.” Le lacrime riempirono gli occhi del giovane soldato appena cadde ai piedi del suo Guru e gli disse addio.

Il Soldato Santo

Da Agra il reggimento mosse a Delhi. Jaimal Singh, privato della compagnia del suo Maestro, iniziò a cercare qualche ricercatore spirituale da frequentare. Presto trovò Baba Karam Singh, anche lui nell’esercito, che era un grande devoto del Signore. Iniziò a visitarlo frequentemente e sedeva al suo accampamento gioendo della compagnia del più anziano. Quando un giorno Baba Karam Singh chiese a Jaimal Singh cosa lo attirava a quel luogo, egli rispose semplicemente, “Vengo qui perché sin dalla mia infanzia ho amato sedermi ai piedi degli amanti del Signore.” Baba Karam Singh era deliziato nel trovare uno spirito amico così giovane d’età, e una animata discussione sulla Spiritualità fece seguito. Divenne chiaro che Baba Karam Singh, come Baba Balak Singh di Hazro, confuse il ritmo pranico con il principio del Naam (il Verbo) cantato nel Granth Sahib. Il giovane soldato, che non aveva ancora raggiunto la maggiore età, iniziò con grande umiltà a correggere il suo errore. Egli citò rilevanti passaggi dalle scritture Sikh per mostrare che il Divino Shabd (Verbo) era la prima Energia scaturente ovunque, anche il prana, ma che non doveva esser identificata con il prana. Egli si dilungò sul fatto che tutti gli esponenti del Sant Mat, o Sentiero dei Maestri, avevano chiaramente e inequivocabilmente dichiarato che il pranayama e altre pratiche simili non potevano portare alla emancipazione interiore. Parlò allora del suo grande insegnante ad Agra e dei suoi ispiranti insegnamenti, e aiutò Baba Karam Singh a mettersi sul giusto sentiero verso Dio.

Dopo la grande Ribellione del 1857, il reggimento nel quale Jaimal Singh era in servizio fu congedato. Non aveva incontrato la sua famiglia per lungo tempo e procedette diritto a casa. La gioia di sua madre nel rivederlo ancora non conobbe limiti. Ma non era destinato a rimanere con lei a lungo. Nel ricevere la notizia che il ventiquattresimo Reggimento Sikh era stato

32 ricomposto in Peshawar, disse addio alla sua famiglia e procedette per raggiungerlo. Dopo qualche tempo nella Provincia della Frontiera di Nord- Ovest il reggimento venne trasferito a Sagar, una città sulle rive di un grande lago nell’India centrale. Ormai i colleghi d’armi di Jaimal Singh si erano abituati alla sua rigorosa disciplina; ma durante i giorni in cui il reggimento doveva marciare, erano sorpresi nel scoprirlo a scavare una piccola diga nella quale poi si sedeva in una posizione reclinata, con la schiena appoggiata al terrapieno di terra, passando la notte intera in meditazione.

Mentre di stanza a Sagar, Jaimal Singh una notte richiese a Soami Ji in meditazione che il reggimento fosse trasferito vicino ad Agra in modo che potesse avere il beneficio di sedere ai sui piedi benedetti. Un uomo che ha realizzato Dio può produrre strani miracoli, essendo uno con la Volontà di Dio; e l’amore di un Guru per un vero discepolo è così grande che non gli nega niente16. La preghiera di Jaimal Singh fu esaudita; e la mattina successiva egli causalmente osservò a Bhagwan Singh, il suo compagno e devoto amico, che semmai il reggimento fosse trasferito allora sarebbe stato dislocato ad Agra. In quella occasione Bhagwan Singh fece una breve nota di quello che disse, ma quando la notizia del successivo stanziamento fu ricevuta, la storia del profetico soldato si diffuse nel reggimento in un baleno.

L’ordine di muovere ad Agra non era ancora stato ricevuto quando Jaimal Singh richiese la licenza annuale. La licenza fu accordata ma quando andò a rapporto prima di partire, il suo superiore lo informò che doveva riunirsi, non a Sagar, ma ad Agra. Il giovane sepoy fu così travolto dalla notizia, che invece di andare a casa andò diretto ad Agra. Soami Ji lo ricevette con grande affetto e Radha Ji preparò specialmente ‘halwa’ (un dolce tradizionale usato nelle cerimonie spirituali) per festeggiare l’occasione. Il grande Guru lo considerava come un puran Gurmukh, un vero discepolo, e gli recitò alcuni dei poemi mistici che aveva composto durante l’assenza di Jaimal Singh da Agra e che furono più tardi raccolti da Rai Saligram Ji, un altro celebre e illustre discepolo, insieme a molte delle sue proprie composizioni, nel volume Sar Bachan. Uno dei versi che lesse si riferivano direttamente al suo discepolo:

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Questa melodia fluttua da un piano trascendente interiore ed è raccolta da un soldato Santo -Sar Bachan, Shabd 9 (p.94)

Jaimal Singh usò al meglio il suo tempo con il Maestro. Seguì il Satsang regolarmente e spesso recitò i versi sui quali Soami Ji in seguito discuteva. Nel mentre il ventiquattresimo Reggimento Sikh si spostò in città, egli continuò a stare in Punni Gali poiché aveva ancora qualche licenza a suo credito. Una notte Soami Ji gli chiese di portare un certo numero di coperte e vestiti e di accompagnarlo in una località povera. Là egli distribuì personalmente ai bisognosi in accordo alle loro volontà i doni che aveva portato per loro. I destinatari erano pieni di gratitudine e ringraziarono con entusiasmo benedicendo il magnanimo straniero. Ma Soami Ji non era uomo che aspirava ad elogi per se stesso anche quando fossero giustamente dovuti. “Oh,” esclamava a quelli che si affollavano intorno a lui, “non mi appesantite così con ringraziamenti. Sono solo un agente del mio generoso Maestro. E’ a lui che tutto il credito è dovuto.”

Quando la missione notturna era terminata, il grande insegnante si rivolse al suo discepolo e disse, “Jaimal, figlio mio, servi sempre i poveri in questo modo, non rivendicare mai niente come dovuto a te.”

Jaimal Singh ritornò in servizio quando la sua licenza annuale finì. Ma si determinò a non perdere nessuna opportunità di visitare il suo Mestro. Arrivava spesso a Punni Gali a mezzogiorno rimanendo sino a tardi alla sera. Un giorno, perso nel Satsang e nel Bhajan, si dimenticò completamente di essere in servizio alla notte. Era mattino presto quando raggiunse il quartiere militare e andò diretto dal suo secondo.

“Hai completato il tuo servizio?” chiese Bhagwan Singh.

“Perché, ero in servizio la scorsa notte?” azzardò Jaimal Singh.

“Pensi di essere divertente? Come se non ti avessi visto uscire abbigliato per il servizio ieri notte!”

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Jaimal Singh non replicò oltre. Stava riflettendo sulla infallibile tutela del suo Maestro e si interrogava su che cosa fosse accaduto esattamente. Se ancora aveva dubbi sul miracolo, questi furono presto dissipati. Anche l’Havildar di grado superiore, nell’incontrarlo subito dopo, disse del suo servizio notturno e che la sua presenza era stata debitamente segnata nel registro notturno. Appena poté allontanarsi, si precipitò a Punni Gali e cadde ai piedi del suo Maestro. “Quanto poco meritiamo noi mortali fallaci la grazia con cui tu ci ricopri!” esclamò, e raccontò gli strani avvenimenti della notte precedente.

“Spero che tu non ne abbia parlato con alcuno dei tuoi compagni d’armi”

“Signore, ero troppo stordito per pronunciare una parola”

“Eccellente! Eccellente ! Ora tienilo per te. E prendi nota se una cosa simile accade in futuro, ricorda di controllarti e di non farne menzione in pubblico.”

Questo miracolo venne ripetuto quando una situazione simile si presentò non molto tempo dopo.

L’anno e mezzo che il 24° Regimento Sikh spese in Agra passò come un sogno felice. Prima che il regimento partì, Jaimal Singh spese tre giorni con Soami Ji. Nell’ultimo giorno quando doveva dire addio, umilmente cadde ai piedi del suo Maestro. Soami Ji lo rialzò dai suoi piedi, lo strinse forte a sé, e osservò, “Non c’è la benché minima differenza tra noi poiché noi siamo ugualmente permeati con il potere di Naam.”

Da Agra il reggimento procedette a Peshawar come consueto nella vita d’armi. Il ventiquattresimo Reggimento Sikh continuò a muoversi da una accantonamento ad un altro ogni due o tre anni. Tra i diversi posti nei quali stazionò, i più importanti erano Rawalpindi, Abbot Abad, Mianmir vicino a Lahore, e Jhansi. Mentre stazionava in quest’ultimo, Jaimal Singh venne promosso al grado di Naik (caporale).

In ottobre, due anni più tardi, era ancora una volta sulla via verso Agra per spendere la sua licenza annuale con il suo Guru. Chi può descrivere la

35 beatitudine provata ai piedi di un Insegnante Divino! Il tempo scivolò via e prima che egli potesse persino realizzarlo, il giorno della partenza di Jaimal Singh arrivò. Egli andò da Soami Ji per la benedizione e per donargli i suoi saluti. “Questo sarà il nostro ultimo incontro” osservò il Maestro. “La mia missione sulla terra è quasi terminata. Ho bisogno di rimarcare che ti ho forgiato con il mio stesso stampo e che tu sei della mia stessa essenza”. Quando Chanda Singh, che in quel tempo era pure a Punni Gali, sentì che Soami Ji intendeva lasciare il mondo a breve, esclamò, “Che ne sarà di noi?” e lo pregò di lasciare qualcuno dopo di lui per proseguire il suo lavoro in Punjab. Soami Ji, sorrise e rispose, “le tue preghiere sono state già esaudite dall’Onnipotente, e Jaimal, a cui io ho già dato l’incarico della Iniziazione, è stato destinato allo scopo.” Poi rivolgendosi ancora a Jaimal, disse: “Metti tutti i ricercatori che vengono a te sul sentiero del Verbo; ma vedi di rimanere scevro da sette e credi. Il nostro sentiero è quello di Nanak e di Kabir. Chiunque arda di fervore spirituale, sia di questa o quella fede, ha diritto a ciò. Continua in tutta umiltà, e qualsiasi cosa tu faccia, falla come servitore dei Santi. “ Egli poi si rivolse a Radha Ji e mettendo la sua mano sulla schiena di Jaimal, dichiarò "Egli è proprio il nostro vero figlio, un Gurmukh” e, prendendo una saropa, un copricapo, lo donò amorevolmente come regalo per la partenza al suo maturo e fedele discepolo. Questo grande amore e onore era troppo per l’umile Gurmukh che, sopraffatto, aveva gli occhi pieni di lacrime. Il suo cuore era appesantito quando partì, pensieroso sulla imminente fine del soggiorno terreno del suo Maestro e al difficile fardello che era stato messo sulle sue spalle.

Da Agra, Jaimal Singh ritornò al suo reggimento a Jhansi. Il resto della sua storia come soldato è detto semplicemente. Non è necessario enumerare i molti posti nei quali il ventiquattresimo Reggimento Sikh stanziò di volta in volta. Qualsiasi cosa accadesse, ovunque egli andò, Jaimal Singh non lasciò che niente interrompesse la routine dei suoi compiti spirituali. Come un amante nella frenesia d’amore, egli era per sempre centrato nella gioia della vita interiore. Persino quando il suo reggimento era in azione nella frontiera di nord-ovest durante la guerra Anglo-Afgana nel 1879, lasciava i suoi alloggi di notte, si recava nella giungla, scavava una fossa e, con il suo fucile infilato sotto le sue ginocchia, si perdeva in meditazione. I cecchini nemici spesso lo scorsero, ma vedendo al sua forma radiante capivano che

36 non era un soldato ordinario ma qualche grande fachiro, e lo lasciavano indisturbato. Alcune volte quando si rialzava dal suo sadhan (disciplina), essi persino si inchinavano in reverenza davanti a lui.

Quando Jaimal Singh, che era appena diciottenne quando entrò nell’esercito la prima volta ad Agra, crebbe diventando un uomo maturo e passò dalla giovinezza alla mezza età, egli lentamente ma stabilmente vinse i cuori di tutti coloro che gli erano intorno. All’inizio alcuni dei suoi compagni potevano averlo liquidato come un ortodosso di una sconosciuta entità che non conosceva l’arte di godere la vita, ma era perso nella lettura di scritture sacre e in noiose pratiche spirituali. Ma quando gli anni passarono, realizzarono che avevano tra loro un non comune mortale. La sua predizione fatta a Bhagwan Singh a Sagar della prossima destinazione del loro reggimento ebbe vasta diffusione e gli procurò molti ammiratori. Mentre si trovava a Jamrud durante la guerra Afgana, il suo compagno Bhagwan Singh, che era andato con un convoglio, improvvisamente cadde ammalato e morì. Nel preciso momento che il suo spirito stava lasciando il suo involucro mortale, Jaimal Singh, molte miglia distante, esclamò improvvisamente, “Wah wah nipat gaye,” ossia “Bene, bene, finalmente è finita.”

Inder Singh, che si era unito al reggimento a Jhansi, che, e aveva sviluppato un intimo attaccamento al suo riverito anziano, diventando il suo primo iniziato, stava sedendo con lui. Non fu poco sorpreso da questa drammatica uscita, e chiese al suo insegnante cosa significasse. “Perché preoccuparsi di ciò che non ti concerne?” disse , ma quando Inder Singh persistette gli disse che Bhagwan Singh era mancato. Il giovane soldato annotò il tempo e la data e quando al notizia della morte del suo collega arrivò, trovò che fosse corretta.

Questi strani avvenimenti non erano infrequenti ovunque Jaimal Singh fosse coinvolto, e con il passare del tempo egli divenne una istituzione nel reggimento. Ognuno lo rispettava, e persino gli ufficiali Inglesi lo tenevano in grande venerazione, chiamandolo ‘Vostra Eminenza”. Tutti quelli inclini alla spiritualità cercavano la sua compagnia, non meno di quelli afflitti da qualche mondano dolore. Quindi, Subedar Kharak Singh che era stato sposato per molti anni senza problemi, pregò che lo benedisse con un

37 bambino. Jaimal Singh osservò che non era destinato ad avere un bambino, ma quando Kharak Singh continuò ad insistere, la sua preghiera fu soddisfatta. Il bambino nacque, ma il felice padre mancò di dare via in beneficenza la somma di 500 Rupie che Jaimal aveva severamente raccomandato di donare. Non tanto dopo, Subedar cadde seriamente ammalato. Jaimal Singh fu chiamato, ma disse che era troppo tardi adesso e che il danno aveva superato ogni possibilità di rimedio. Pochi giorni dopo, Kharak Singh morì.

Era un mero caso o era a causa di Jaimal Singh che i membri del ventiquattresimo Sikh mostravano un interesse straordinario in questioni spirituali? Non è un fenomeno inusuale che veri sant’uomini emanino un’aura di pace ovunque siano, guidando i devoti del Signore verso sé stessi e influenzando quelli intorno. Questo reggimento divenne noto per la sua inclinazione religiosa e molti sadhu vi facevano visita ovunque fosse stazionato. Jaimal Singh era sempre invitato ogni volta che un sadhu faceva visita al centro reggimentale o quando qualsiasi dei suoi membri si recava a incontrarli altrove. Quando alcuni dei giovani Sikh dovevano essere battezzati come adulti nella loro fede, egli era senza esitazione scelto per condurre la cerimonia e dare un discorso illuminante sul significato interiore della cerimonia. La sua recitazione dalle scritture iniziò gradualmente ad essere seguita da più e più persone, e negli ultimi anni Jaimal Singh, che da allora venne popolarmente chiamato “Baba Ji”, “Bhai, Ji” o “Sant Sephai”, spesso discuteva del vero significato delle scritture. La sua magnetica personalità, il suo impeccabile carattere, la sua autorità spirituale e la sua crescente fama gradualmente tracciò intorno a lui un piccolo cerchio di seguaci molto devoti del reggimento, uomini come Inder Singh, Bagga Singh, Bhagwan Singh, etc., che divennero i suoi primi iniziati.

Ma la carriera militare di Baba Jaimal Singh non era nota solo per la sua rigida aderenza a un ideale molto elevato, ma anche per la sua altrettanto notevole prestazione nel campo dei doveri militari. Fedele all’ordine del suo Maestro, Jaimal Singh era estremamente regolare nella sua routine ufficiale. Niente poteva tenerlo lontano dal suo lavoro eccetto, forse, il suo assorbimento nel Divino, in occasione del quale Soami Ji miracolosamente riempiva la lacuna. Era conosciuto per la sua onestà e imparzialità e, sebbene strettamente vegetariano, non esitò a distribuire carne ai suoi

38 compagni come il dovere esigeva quando gli veniva richiesto di fare così. Una volta un ufficiale affermò che il suo vegetarianismo con ogni probabilità diminuiva le sue capacità come soldato e suggerì che doveva assumere cibo non vegetariano per sviluppare più resistenza e muscolo. Jaimal Singh non fu d’accordo e sfidò ogni ‘mangiatore di carne’ a superarlo sul campo. Più tardi gli fu richiesto di spiegare le ragioni della sua astinenza, e diede un pieno discorso all’intero reggimento sviluppando a lungo le ragioni del perché la carne debba essere evitata e distruggendo il mito popolare che il cibo vegetariano sia in qualche modo difettoso di vitalità. Il suo stato di servizio, colmante trentaquattro anni di servizio attivo, provava la verità della sua asserzione. Non registrava nemmeno un giorno di ospedale.

Come il suo grande Guru, Jaimal Singh era inattaccabile sia in swartha che in parmartha, mondanità e devozione. La sua esemplare regolarità, sobrietà e coraggio, la sua prontezza ad assumere responsabilità, e il suo onesto adempimento di tutti i doveri, per tutta la sua calma e discrezione, non vennero ignorati. Nel gennaio 1869 gli venne conferita la medaglia per il rango di Naik (caporale) mentre si trovava a Jhansi. A Mianmar nello stesso giorno, tre anni più tardi, egli divenne Havildar (sergente); e quando il ventiquattresimo Sikhs era a Multan dal 1880 in poi per tre anni, egli ricevette una seconda medaglia per fedele e meritevole servizio. Si ritirò il 15 Agosto, 1889, dopo trentaquattro anni di fedele e onorevole servizio; e quando disse addio al suo reggimento, il cuore di tutti era pesante – subalterni, colleghi e superiori - perché essi persero con lui non solo un costante, laborioso camerata, ma un amico, un insegnante (insegnò Gurmukhi agli ufficiali) e cosa ancor più rara, una infallibile e inspirante guida morale e spirituale.

Le impressioni che Baba Ji lasciò nei suoi colleghi d’armi e altri sono una sola cosa con il resto della sua vita e carattere. Leggendo attraverso di essi impariamo di un uomo che, mentre era assorbito nei misteri divini, non era estraneo ancora al mondo. Un soldato subalterno a cui accadde di essere assegnato sotto di lui mentre era sergente era sorpreso che in tutti e tre gli anni che erano insieme, egli non notò o sentì nemmeno una volta che fosse di malumore. Egli era sempre dolce nel parlare e estraneo a durezza e volgarità. Tutta la sua vita rimase strettamente vegetariano e altrettanto

39 strettamente astemio. E a questo possiamo aggiungere il suo stretto brahmcharya, poiché rimase celibe in tutti questi anni. Sposato alla devozione a Dio, non avvertì mai il bisogno di sposarsi, e resistette fermamente a ogni tentativo di persuasione al matrimonio. Quando il suo più giovane fratello Jiwan Singh entrò anche lui nell’esercito ed espresse il desiderio di sposarsi, Jaimal Singh non obbiettò, ma disse solo “Perché entrare in questo groviglio quando la nostra famiglia non è destinata a continuare?” Jiwan Singh si sposò e un anno dopo nacque un bambino che morì seguito a breve dalla madre. Anche Dan Singh, il secondo fratello, che gestì la fattoria, non ebbe prole, e la predizione di Jaimal fu quindi confermata.

Altre qualità che ponevano Jaimal Singh al di fuori della generale tendenza degli uomini includevano una inesauribile capacità di servizio, carità e generosità. Come Soami Ji, spesso distribuiva vestiti e altri generi necessari ai bisognosi e agli sventurati. Non aveva nemici e considerava tutti come suoi amici. Il suo amore era specialmente diretto ai poveri, e ancora di più ai sadhus e ai devoti del Signore. Mentre altri oziavano o erano impegnati con lo sport, egli ricercava la compagnia di questi devoti, amministrando i loro bisogni o discutendo problemi spirituali. Né nella sua vita d’armi né dopo egli fece distinzione tra un credo e un altro, ma trattò tutti – Mussulmani, Crisiani, Sikhs o Hindu – su un base eguale. Mentre era sempre pronto ad aiutare materialmente e spiritualmente, egli evitò sempre la celebrità. Anche da bambino era conosciuto per la sua modestia; la sua timidezza era talvolta fatta oggetto di ridicolo. Se incontrava sadhus, si accontentava con l’ascoltare quello che dicevano; egli raramente contraddiceva o criticava. Se incontrava un ricercatore genuino, egli era assolutamente pronto a discutere e spiegare, ma attribuiva ogni cosa che conosceva non a una personale virtù, ma alla grazia del suo impareggiabile Maestro.

Il suo vestito e apparenza erano sempre tanto semplici quanto eleganti come lo era l’uomo stesso. Di media altezza, sui 5 piedi e sei pollici, aveva una struttura vigorosa. Aveva una sporgenza nodosa sulla sua fronte sopra l’occhio destro e il segno del loto (padam), simbolo di vera spiritualità, sulla pianta del suo piede destro. Aveva fini lineamenti, carnagione color grano e una raggiante faccia di cui il rosso colorito era esaltato da una barba liberamente fluente che mantenne la sua lucida nerezza sino alla fine,

40 eccetto qualche sparsa traccia di bianco. Quando non era in uniforme militare, egli indossava un turbante bianco nello stile Jat, una bianca kurta (camicia lunga) musulmana, e attillati pigiama dello stesso colore. Mentre era nel suo quartiere con i suoi colleghi, usualmente si avvolgeva intorno un lenzuolo kadhi fermandolo sul lato sinistro, copriva i suoi capelli (che quando sciolti cadevano sulla cintola) con un asciugamano, e si muoveva in Kharaon (sandali di legno) o jooti (scarpe indiane). Egli era semplice nelle abitudini e frugale nei bisogni. Il latte era il suo favorito tipo di cibo ed era particolarmente amante del latte di capra. Spendeva poco per se e i suoi guadagni erano per lo più spesi in beneficenza o nell’inviare aiuti a suo fratello.

Il Latore della Torcia

Baba Jaimal Singh, nel ritirarsi come pensionato statale dall’esercito, decise di visitare la casa del suo incomparabile Maestro. Soami Ji era deceduto nel 1878 come egli stesso predisse, ma Baba Ji era fortemente attaccato alla sua famiglia e ai suoi discepoli. Così, nel 1890, egli prese il treno per la vecchia capitale del Mughal, e raggiungendola procedette direttamente a Punni Gali. Radha Ji era contentissima di vedere l’amato discepolo di Soami Ji ancora una volta mentre Chacha Partap Singh, il fratello più giovane di Soami Ji, era entusiasta e gli diede un cordiale benvenuto.

La notizia venne data a Baba Gharib Das, allora apparentato ad Agra, che si affrettò ad incontrare la grande anima del Punjab.

Chi può descrivere la profonda gioia che avevano quando si salutarono e si abbracciarono l’un l’altro e ricordarono il grande Maestro che, non più nel mondo fisico, era ancora spiritualmente con loro? Chi può capire i sentimenti di tali spiriti Maestri? I vecchi camerati spirituali radiarono amore appena si salutarono e il vederli incontrarsi era di per sé una lezione della verità che Dio è amore. Radha Ji tirò fuori un turbante rosso e un aasan o tappeto di preghiera che Soami Ji lasciò con lei prima della sua dipartita come regalo al suo discepolo gurmukh. Chacha Partap Singh allora portò un gaddi (seggio) e pregò Baba Ji di sedervisi. Ma non ne volle sapere e commentando “Sono

41 solo un cane di questa casa, benedetto dall’essere ammesso tra le sue mura,” e rimase in piedi. Chacha Partap Singh persistette e protestò, ma non servì a nulla. Alla fine Radha Ji intervenne e finì la controversia dicendo “Jaimal Singh è proprio un khatau (meritevole) figlio di Soami Ji, che ha intestato la gran parte del capitale a lui. Gli ha conferito la Signoria del Sat Lok. Così perché dovrebbe curarsi di gaddi mondane?” Quando il pasto finì, Baba Ji insisté nel lavare gli utensili “Questa casa per me è un tempio, perché era qui che ho ricevuto l’illuminazione. La mia sola ambizione è di servire questa casa.” Ma Radha Ji non voleva sentirne parlare. “Tu potrai fare come ti piace qualche altro giorno”, dichiarò, “ma oggi ti devi attenere a ciò che dico.”

Il successivo giorno accompagnato da Chacha Partap Singh e Baba Gharib Das, Baba Jaimal Singh Ji proseguì da Rai Saligram – un amato discepolo di Soami Ji – a cui era stato affidato dopo di lui il lavoro in Agra e teneva i suoi discorsi a Pipal Mandi, dove era popolarmente noto come Hazur Maharaji. Egli gioì della visita e ricevette l’onorato ospite di Ghuman con rispetto e affetto. I due si abbracciarono dopo di che Hazur Maharaji guidò Baba Ji verso il gaddi dove stava sedendo in modo da accomodarlo vicino a sé. Ma con la caratteristica umiltà, declinò l’onore e si sedette sul pavimento.

Il terzo giorno Hazur Maharaji presentò a Baba Ji una ricca vestaglia setata ricamata di oro. Egli, comunque, non ne voleva sentire. “Cosa ha a che fare un semplice contadino come me con un così prezioso tessuto? Il Kadhi si addice meglio a me”. “Come puoi dire queste cose,” protestò il padrone di casa, “dal momento che Soami Ji ha fatto di te un re della Spiritualità e assegnato a te la sua missione in Punjab? “Vedendo che Baba Ji non gli dava nessuna possibilità, alla fine suggerì “Molto bene, se non accetterai questa, almeno fammi l’onore di indossarla almeno una volta, dopo di che la terrò come prezioso souvenir” Nel sentire questo, Chacha Partap Singh dichiarò che aveva un diritto prioritario e che gli si doveva concedere di avere la veste dopo che Baba Jaimal Singh l’avesse indossata. Alla fine Radha Ji si intromise e intercesse. “Come potrebbe resistere ancora Jaimal Singh? Un tale amore! Un tale onore! Quale mortale potrebbe meritarlo? Era tutta grazia del suo Maestro.” Con le lacrime agli occhi, egli prese la

42 vestaglia dalle mani di Radha Ji e la mise riverentemente sulla testa recitando i versi del Granth Shaib:

Maen av-ghun, gun nahin koi.. Sono indegno; e nessuna virtù è in me..

Una settimana passò in questo modo e, avendo reso omaggio al luogo dove aveva ricevuto l’illuminazione, Baba Ji si preparò a partire. Invitò Baba Gharib Das ad unirsi a lui, e questi accettò graziosamente l’invito. Il gruppo si avviò per il Punjab e quando arrivarono a Ghuman, vennero arrangiati in loro onore recitazioni dalle scritture e discorsi. Il matrimonio di Jiwan Singh era vicino, e c’erano festeggiamenti e celebrazioni. Gli abitanti del villaggio caramente gioirono dei discorsi fatti dai due amici spirituali e i giorni passarono sino a che Baba Gharib Das dovette partire. Jaimal Singh lo accompagnò alla stazione ferroviaria di Beas e gli offrì un toccante addio quando si allontanò in treno.

Baba Ji continuò a mantenere rapporti di grande amicizia con i discepoli di Soami Ji e con i membri della famiglia. C’era un grande reciproco rispetto e stima e la visita di Baba Ji nel 1894 venne fatta su invito di alcuni satsangis di Agra. Ma dopo la dipartita di Hazur Maharaji Rai Saligram Ji, le cose iniziarono a subire un cambiamento. Venne fatto un tentativo di portare tutte le attività sotto il controllo di Pandit Brahm Shankar Misra, (alias Maharaji Shaib) attraverso la creazione di Consiglio Amministrativo Centrale a Soamibagh. Baba Ji era nominato insieme ad altri nove per il primo gruppo del Consiglio. La lettera mandata a Baba Jaimal Singh da Chacha Partap Singh da Allahabad, datata 4 Agsto 1902, che lo nomina come tale, è elencata nelle note17.

Baba Ji, comunque, era riluttante ad unirsi al Consiglio poiché sentiva che il cambiamento che stava avendo luogo in questo periodo tra i satsangis di Agra non era in accordo con gli insegnamenti di Soami Ji. Egli obbiettò e si oppose al piano di Maharaji Shaib di costruire un magnifico samadh (santuario) in memoria di Soami Ji, perché sentiva che un così umile spirito come quello del Maestro non avrebbe mai acconsentito a un tale progetto. Quando andò ad Agra in questa occasione, spiegò apertamente il suo punto di vista ma Mharaji Shaib non si dissuase. Trovando se stesso non più ben

43 accetto e le sue parole di nessuna utilità, ritornò a Beas e decise di rimanere distante dalle attività del Consiglio a Soamibagh. Durante la sua carriera militare Baba Jaimal Singh, ogni volta che aveva una licenza, ne spese parte a Ghuman. Sebbene staccato dai legami mondani, egli era molto affezionato alla madre. In una occasione disse a un devoto discepolo che nella tre vite precedenti, lui e la madre avevano gioito della stessa relazione. In tali occasioni quando veniva nella casa ancestrale, era la sua volontà non perdere tempo in chiacchiere o indolenze, ma proseguiva sulle rive di Beas e sedeva nascosto nei canali che l’indomabile fiume aveva creato con i suoi sorprendenti cambi di corso, e continuava perso in spirituale devozione per giorni, sostenendosi solo con pochi chapati (pane) secchi che aveva portato da casa e appeso ad una magnolia. In altre occasioni quando era a casa si recava giù a Dera Baba Namdev dove continuava le sue meditazioni o in un rifugio nella corte della casa di famiglia. Questa casa e il rifugio furono conservate molto tempo dopo la morte di Baba Ji, e il suo successore, Hazur Baba Sawan Singh Ji Maharaji, portava talvolta i suoi più vicini discepoli a Ghuman e mostrava loro il punto dove il suo grande Guru sedeva per la meditazione. In particolare faceva notare il gancio sul muro dietro il rifugio dove Baba Ji legava i suoi capelli in modo da evitare il sonno durante abhyasa (meditazione).

Proprio come i suoi commilitoni impararono nel tempo a rispettare e riverire Baba Jaimal Singh, allo steso modo gli abitanti di Ghuman arrivarono gradualmente a riconoscere la sua grande statura spirituale. La devozione della sua prima infanzia era già diventata una leggenda locale; e ogni volta che Sant-sipahi (il Santo soldato) veniva, la popolazione locale si accalcava a vederlo e la sua compagnia era richiesta da giovani e vecchi, chiunque fosse spiritualmente portato. Mistri Elahi Baksh e Bhai Lehna, che erano stati suoi amici in adolescenza, furono i primi a cercare la sua guida spirituale. Egli lodava il loro zelo, ma diceva che il tempo non era ancora maturo per la loro istruzione. Molti anni dopo sentì che l’ora era venuta, e li mise sul sentiero interiore ed essi furono tra i primi discepoli di Ghuman.

Dopo il suo pensionamento Baba Ji, nel venire al suo villaggio nativo, continuò la sua vecchia abitudine di andare a Beas sul lato del fiume per i suoi sadhans (esercizi). Gli anni immediatamente seguenti la chiusura della sua vita d’armi erano largamente spesi in questo modo. Una volta mentre

44 era ad Amritsar con Hakim Nand Lal, egli menzionò di essere alla ricerca di un posto tranquillo nella giungla dove potesse accomodarsi e continuare la sua meditazione. Lala Khazana Mal, un prestasoldi che era pure presente, suggerì che un tale posto potesse essere trovato tra i villaggi di Vairach e Balsarai sulle sponde del Beas dove svolgeva il suo lavoro. Questo era il posto dove Kahan, un uomo intossicato di Dio, incontrò Baba Ji nella prima fase della sua vita dicendo che stava preparando un posto per lui nei giorni a venire.

Nel contempo Baba Chanda Singh, che aveva anche ricevuto istruzioni ai piedi di Soami Ji, trapassò. Nei suoi ultimi momenti Bibi Rukko, una discepola molto devota, gli chiese cosa sarebbe stato di lei. ”Non temere, figlia mia,” replicò il saggio, “ un altro uomo più grande di me prenderà cura di te.” “ Dove posso trovarlo, Signore?” chiese Rukko. “ Trovarlo? No, non ne avrai bisogno, perché lui stesso ti troverà.”

Poco prima che Baba Ji venne a sistemarsi sulle rive del Beas, Bibi Rukko, che stava allora vivendo a Vairach ed era abbastanza ben sviluppata spiritualmente, disse ai villeggianti che il suo protettore stava venendo a vivere là. Quando Baba Jaimal Singh arrivò, trovò una piccola capanna costruita da paglia e rami, uno scoperto di otto piedi per otto piedi, ed iniziò a vivere là. Poco dopo Khazana Mal arrivò, e sentendo che Baba Ji era venuto, andò a trovarlo. Aveva la capanna rattoppata con fango e un rifugio scavato nella terra. Era l’anno 1891 e Baba Ji dedicò se stesso con raddoppiato zelo alla pratica spirituale. Entrava nel rifugio e stava lì per giorni di seguito, talvolta sino a una quindicina senza nessun pensiero per cibo, assorto nel samadhi interiore.

Baba Ji evitò lo sguardo pubblico, ma un bue non può essere nascosto al buio. Egli poteva non avere cura di nome e fama terrene ma nome e fama finirono nei suoi tesori nonostante questo. La fama della sua imponenza spirituale si era già diffusa da Ghuman nei villaggi vicino; e andare per la benedizione da un uomo santo è una antica istituzione in questa terra di saggi. Dove cera stata la jungla, la gente incominciò ad apparire sempre in numero crescente e un regolare Satsang iniziò ad avere luogo. Come poteva Baba Ji mandare via quelli che erano venuti alla sua porta? In tutta semplicità e umiltà insegnò loro il messaggio spirituale che aveva ricevuto

45 ai piedi di Soami Ji. Molti uomini facoltosi gli chiesero il permesso di costruirgli un alloggio, ma lui, ricco della sua stessa umiltà, continuò nei suoi semplici e austeri modi.

Incaricarsi di scrivere la biografia di un Santo è tentare l’impossibile. Se è per rendere vera giustizia al suo soggetto, dovrebbe seguire il movimento interiore che sfugge all’osservazione, analisi e formulazione. Potreste considerare la vita di un grande artista, scrittore, soldato o uomo di stato, e se siete uomini di grande comprensione ed immaginazione, potete reincarnarla in parole restituendo una vivida immagine dei conflitti psicologici e delle risoluzioni implicate. Ma i Santi, in un balzo, sono passati da questo mondo ad un altro e hanno eretto la loro tenda in inaccessibili Reami. Pochi uomini sono giunti là, e quelli che sono entrati sono stati assorbiti nel silenzio.

Quando la penna si mise a illustrare questa parte Andò in pezzi e la pagina si lacerò

Lo studio del progresso dell’anima mistica è al di là della portata di ordinari mortali, e coloro che sono stati nel viaggio interiore possono solo parlare per metafore e parabole, poiché come può altrimenti la lingua della comune umanità essere costretta a esprimere esperienze per le quali non fu mai modellata? Inoltre la storia di una Anima Maestra, infuocata da un inarrestabile zelo, che si muove da piano a piano, deve rimanere una di quelle non scritte; nel migliore dei casi è possibile fornire l’involucro di eventi esterni ed avvenimenti per suggerire la inusuale natura delle esperienze spirituali che visse. E una volta che una tale anima ha ottenuto piena illuminazione ed è divenuta uno con l’Infinito, la sua storia non le appartiene più, ma è la storia di coloro che vennero sotto il suo incantesimo e furono liberati dalla schiavitù mondana.

La storia della vita di Baba Ji dopo che la sua grande ricerca è stata coronata con successo è la storia non tanto del suo stesso sviluppo quanto delle molte anime che hanno beneficiato di lui. Come nel caso di Mian Chirag Din che riferisce del suo nonno materno, Mistri Elahi Baksh, di cui abbiamo già parlato.

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Elahi, un amico d’infanzia di Baba Ji, mostrò grande interesse in questioni spirituali e ne discuteva con lui quando (Baba Ji) tornava a casa in licenza dal suo reggimento. Una volta quando Baba Ji, conosciuto nel suo villaggio come “Bhai”, era a Ghuman, Elahi lo vide avvicinarsi in compagnia di un sadhu. Una animata discussione era in corso e quando Elahi desiderò conoscerne il contenuto, gli fu detto che il sadhu sosteneva che Brahamand era il più elevato di tutti i paradisi a dispetto del fatto che Baba Ji gli assicurò che c’erano reami più elevati. Nel sentire questo, Elahi si girò verso il sadhu e con solenne convinzione disse: “Riverito signore, Bahi Ji ha assolutamente ragione. Ci sono effettivamente regioni più elevate di quelle che lei conosce.”

Questo zittì il sadhu che se ne andò. Quando gli amici vennero lasciati da soli, Baba Ji ringraziò Elahi per il suo intervento amichevole e aggiunse, “Ma è strano che tu non mi abbia mai detto del tuo accesso ai piani spirituali interiori.”

“ Chi mai ha detto che vi ho avuto accesso?”

“Ma allora come hai potuto parlare con questa convinzione?”

“Oh, Bahi, so solo che un uomo realizzato non può mai pronunciare una falsità. Così come potevo dubitare di quello che dicevi?”

Baba Ji era così commosso dalla spontanea e radicata fede del suo amico che gli disse, “Dischiuderò a te tesori di cui pochi mai sognano e che ancora meno ottengono.” Lo portò direttamente ad un vicino laghetto e sulle sue rive lo iniziò al Surat Shabd Yoga (lo Yoga del Verbo). Tuttavia Elahi, doveva ancora imparare il valore del tesoro che aveva ricevuto. Fortemente interessato alle questioni spirituali, continuò le pratiche insegnategli da fachiri Mussulmani e mancando di dare attenzione alle istruzioni del suo amico.

Quando Baba Ji venne di nuovo a Ghuman, mandò a chiamare Elahi e gli chiese cosa aveva fatto con la chiave interiore che gli era stata data. Quando Elahi gli disse che non aveva fatto niente e persino dimenticato cosa gli aveva detto, Baba Ji era dispiaciuto. “Ti do le più grandi ricchezze che un

47 uomo possa mai sperare di avere e tu le tratti con un tale scarso riguardo,” replicò, e lo schiaffeggiò tre volte sul viso. Appena la sua mano toccò la faccia contrita di Elahi, il suo occhio interiore si aprì e il suo spirito ascese a mondi più elevati. Da quel giorno in avanti Elahi iniziò a dedicarsi esclusivamente al Surat Shabd Yoga e visitò ogni giorno il suo Guru o Pir inchinandosi in reverenza davanti a lui.

Quando un Grande prende un’anima errante sotto la sua ala, la sua grazia non è confinata solo al suo immediato discepolo, ma si irradia a quelli vicino e cari a lui. Una tale potente influenza spirituale scese sulla famiglia di Elahi Baksh, malgrado le loro relazioni Musulmane e lo scherno e lo sdegno dei fratelli, molti dei suoi membri ricercarono istruzioni ai piedi di Baba Ji. Il genero di Elahi, Hussain Baksh, fù tra i primi a prendere il Cammino. Era molto devoto a Baba Ji e dimostrò grande amore e reverenza. Il suo Guru era compiaciuto di lui e trattò lui ed i suoi figli, Ghulam Qadir e Chirag Din, con affetto. Mian Chirag Din, nella sua raccolta manoscritta, riporta come il Grande giocasse con loro e li ricevesse a tutte le ore quando erano più piccoli. Una volta quando si recò a Ghuman e stava riposando, i ragazzi lo cercarono là. Bibi Daya, li ricevette sulla porta e quando apprese che erano venuti per suo figlio, si arrabbiò un poco.“ Ah, quando crescete,” esclamò, “e avrete figli vostri, non fate mai l’errore di educarli. Io sono una madre e so troppo bene dalla mia esperienza come è difficile cavarsela, quando un figlio diventa un Dio.” Baba Ji in questo frangente li chiamò dall’interno della casa e i ragazzi entrarono. Diede loro un affettuoso buffetto e osservò, ”Voi siete sempre i benvenuti. Non fate caso a quello che dice mia madre.”

Un vero Maestro è sempre con il suo discepolo e lo protegge non solo in vita ma equamente nella morte:

O Nanak: liberati dagli amici mondani, e cerca l’amicizia del vero Santo. Essi ti abbandoneranno anche in vita Ma lui non ti lascerà anche dopo la morte -Nanak

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Prendi contatto, O anima! con Uno che conosce tutti i piani interiori, poiché ti sarà amico tanto nella vita che nella morte.

-Maulana Rumi

Testimoniare gli ultimi momenti di un discepolo di Baba Ji implicava essere convinti della sua genuina grandezza. Vengono raccontate infinite storie di strani avvenimenti riguardanti la fine degli iniziati dal Santo di Beas. Possiamo citare la testimonianza diretta lasciata da Chirag Din della morte di suo padre come saliente esempio. Traduciamo dal suo manoscritto Urdu che raccoglie i contatti della sua famiglia con Baba Ji e alcuni aneddoti che aveva sentito dal grande Maestro sugli inizi della sua vita:

Una volta Baba Ji era andato a Ghuman dopo aver ritirato la sua pensione. Nostro padre, nello stesso momento, era trapassato. Andammo dal Grande a portargli la triste notizia. Egli ci consolò e procedette diretto al punto in cui giaceva il corpo. Nel raggiungere là disse, “Oh Hussain Baksh, perché hai avuto così fretta? Sarei venuto e tu avresti avuto la mia benedizione.” Appena queste parole furono pronunciate, nostro padre aprì gli occhi e si sedette. Nostra madre spaventata chiese se ci fosse qualche problema. “Niente,” disse “ Il Maestro è venuto e io stò andando.” Poi si coricò ed andò.

Un altro aneddoto molto interessante riguarda come, mentre Baba Ji stava visitando il villaggio di Dhaliwal, Attar Singh, un abitante locale, lo trasportò attraverso uno stagionale corso d’acqua straripato con la recente pioggia e ancora una volta al ritorno. Il saggio era così compiaciuto con il servizio altruistico del Jat che dichiarò, “Oh Attar, tu mi hai portato attraverso questo piccolo ruscello. Io, in cambio, ti porterò attraverso il mare della vita.” Lo iniziò allora alla Divina Scienza e da quel giorno questi era un uomo cambiato. Portava il suo bestiame al pascolo come in passato, ma nel raggiungere i prati lo lasciava andare e impegnava sé stesso nelle sue pratiche spirituali. Non usò più un bastone per controllare la mandria, ma si arrangiava con un pezzo di stoffa e presto venne conosciuto per il suo straordinario amorevole trattamento degli animali. Un giorno ritornò

49 piuttosto presto. Nel raggiungere casa, disse a sua nuora, che era là: ”Bimba, finisci tutto alla svelta; una tempesta sarà presto qui.”

Andò poi a fare il suo bagno e nel ritornare aprì il suo letto sul pavimento e chiamo a sé tutti quelli in casa. Disse loro addio, spiegando: “Il mio tempo sta arrivando alla fine e devo andare presto.” Ognuno rimase sconcertato a queste strane parole. Come poteva dire così colui che parlava di morire quando era apparentemente in buona salute? Alla fine la nuora si riprese, e chiese il permesso di andare a chiamare suo figlio. “Non c’è bisogno,” rispose, “ il mio Maestro è venuto e io non posso farlo aspettare.” Dicendo queste parole, si coricò, chiuse gli occhi e il suo spirito partì per la sua Casa celeste.

Baba Ji non era solo cauto egli stesso nel rivelare le sue ricchezze spirituali ma raccomandava severamente i suoi discepoli di esercitare la stessa moderazione. Quando trasgredivano le sue istruzioni non sfuggivano mai al castigo. Quindi Chirag Din racconta di una storia di un cieco Hafiz (un uomo istruito) di Dhariwal. Egli assisté una volta ad un discorso di Baba Ji nella città di Karpurthala, e quando finì parlarono insieme, e Hafiz affermò: “ I saggi hanno detto che colui che legge il Santo Libro tre volte ottiene il paradiso.”

“Il Paradiso è molto lontano, caro amico,” replicò Baba Ji. “Solo coloro che sono entrati possono dirlo.”

La sicurezza della voce del saggio mosse l’Hafiz a richiedere istruzioni. Il suo desiderio fu concesso e coltivò diligentemente la lezione che gli era stata data sino a che portò frutti. Egli procedette poi da Mian Sahib a Batala, il suo precedente insegnante, e gli disse che tutto quello che gli aveva insegnato era una beffa e una bugia. Egli prese a visitare spesso la moschea e, intollerante del pio rito ivi praticato, ruppe i vasi di coccio e bruciò i tappeti da preghiera. I suoi amici scoprirono presto il miscredente e si lamentarono con il suo Guru.

L’uomo cieco venne chiamato e Baba Ji lo rimproverò. “Signore,” replicò il suo discepolo, “non posso tollerare l’ipocrisia e tra l’altro ho ragione.” Il suo Maestro, comunque, gli disse che in futuro doveva imparare a contenere

50 se stesso e ad esercitare moderazione. Ma l’avviso fu ignorato e Hafiz iniziò presto ad indulgere ancora una volta nel suo capriccio. Un gruppo di Musulmani fece visita al saggio e protestò sconsolatamente, lamentandosi che aveva insegnato al suo discepolo a diffondere il paganesimo. A questo Baba Ji rispose, “ L’uomo persiste nella sua follia? Bene, se non smetterà di crearvi problemi, non arrabbiatevi perché vi libererete presto di lui.” Certo quanto basta, pochi giorni più tardi l’Hafiz trapassò.

Si raccontano storie simili anche di altri progrediti discepoli. Un sadhu che venne a vivere a Beas fece un veloce progresso e la sua anima raggiunse a volontà sino a Daswan Dwar (dove l’anima riacquista purezza). Nonostante questo egli non poté contenersi ed iniziò a parlare delle glorie interiori a chiunque incontrasse sul suo cammino. Baba Ji era irritato e gli disse che doveva imparare a disciplinare la sua lingua. Ma il sadhu fiducioso in se stesso, continuò senza tenerne conto. Il sipario interiore fu abbassato e per pieni sedici anni gli fu negato l’accesso interiore sino agli ultimi giorni quando l’illustre successore di Baba Ji, Baba Sawan Singh, gli diede la sua benedizione. Baba Nizam-ud-din in una situazione simile sperimentò un analogo test. Suo figlio, in un meraviglioso resoconto scritto in Urdu, narra di come il padre, che era il sedicesimo iniziato di Baba Ji secondo la cronaca di Beas, fece un veloce progresso interiore. In pochi mesi aveva acquisito grandi poteri e aveva sviluppato una notevole chiaroveggenza. Ma invece di suggellare i suoi doni dentro di sé come insegnato dal suo insegnante, egli iniziò a mostrare le sue mercanzie spirituali e a raccontare in giro quelli riguardanti avvenimenti futuri e di quello che avveniva in città lontane. Quando a Baba Ji venne raccontato questo, si rivolse a Bibi Rukko e disse: “Questo uomo è asceso quindi molto rapidamente, ma non ha saputo digerire quello che ha ricevuto.”

Da quel giorno in avanti Nazim-ud-din, che aveva mancato di chiudere le sue labbra, trovò che il suo occhio interiore era stato chiuso. Il suo dolore fu grande, ma confidando nella grazia del suo Maestro, riprese le pratiche spirituali con raddoppiata energia. Anche sua moglie venne iniziata e con il passare del tempo una grande benedizione venne concessa, ed era evidente a coloro che venivano in contatto che non erano ordinari mortali. Ma mai più Nizam-ud-din ostentò i suoi poteri spirituali.

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L’intera vita di Baba Nizam-ud-din e della sua famiglia come scritta da suo figlio è una lunga saga di benedizioni dovute dall’avere un vero Maestro. Ma la società non è gentile con i Santi viventi neppure con quelli che sono persi nel loro amore. La devozione di Nizam-ud-din al suo Mestro Sikh gli procurò l’animosità dei suoi parenti e dei fratelli Musulmani. “E’ diventato un kafir,” dicevano, e non persero opportunità di fargli violenza e di perseguirlo. Egli non si scoraggiò e ogni volta che c’era una discussione di ‘Musulmani’ e ‘Non Musulmani’ egli recitava la rima persiana:

L’amore non fa distinzione tra l’infedele e il fedele; Lasciate che queste parole siano scritte su ogni pulpito e arcata.

Se desideri andare al pellegrinaggio interiore, allora cerca una guida interiore Sia tu un Hindu, un Turco o una Arabo.

Ma nonostante la sua pazienza, i problemi andarono solo di peggio in peggio e le cose non furono più sopportabili, Baba Ji avvisò il suo amato discepolo di traslocare terreni e casa a Multan. Fu là che trascorse il resto della lunga vita e spesso andò a Beas ad incontrare il suo Maestro. Quando dopo il 1903 egli non c’era più, visitava Baba Sawan Singh, il suo successore spirituale, che lo tenne in grande stima. Non è nostro compito descrivere ampiamente delle molte benedizioni che ricevettero lui, i suoi figli, i suoi nipoti; basti dire che l’intera famiglia teneva Baba Ji in grande venerazione e, come aveva raccomandato, mantennero tutti le tradizioni della loro fede (Musulmana) mentre praticavano la disciplina che gli era stata insegnata. Quando sua moglie trapassò, lei predisse l’imminente fine un mese prima della data, quando era ancora in buona salute. Quando la sua ora si avvicinò, prese congedo da suo marito: “Ti ho servito al meglio delle mie possibilità per sessanta anni. Adesso dammi licenza di andare via.” Nizam-ud-din le chiese di stringere il suo braccio e concentrò la sua attenzione all’interno. L’intera famiglia stava osservando quando la vecchia copia sedette in meditazione. Venti minuti dopo il marito aprì gli occhi. “Adesso puoi andare,” disse, e sua moglie trapassò serenamente. La mattina seguente quando il suo carro funebre dovette andare nel terreno di sepoltura, alcuni dei parenti rifiutarono di muovere la bara sul terreno perché la donna era un

52 kafir, un eretico. Ma i vicini sapevano che era gentile e generosa e una vera figlia di Dio, e aiutarono a portare il feretro al cimitero.

Baba Nizam-ud-Din non tardò molto dopo. La sua fine era similarmente conosciuta prima che avvenisse e quando la bara dovette essere trasportata, i cuori dei suoi compagni si ammorbidirono e si unirono alla processione. Molti fachiri e sadhu presenziarono al suo funerale, e quando i suoi resti scemarono, furono cantati i versi:

Un momento di contatto con un Santo vale più di mille austerità

Anche oggi, nonostante la divisione del paese che venne con l’indipendenza, e nonostante i comuni rancori provocati dalla sua scia, i discendenti di Nizam-ud-Din hanno mantenuto la loro fede, e spesso visitano il Sawan Ashram in Delhi per tenere vivo il legame con il Sentiero dei Maestri, o il Sultan-ul-Azkar come i loro illuminati avi lo chiamarono nella terminologia dei fachiri Sufi.

La grazia di Baba Ji ricadde su tutti! Non furono solo i suoi discepoli che beneficiarono di lui, ma molti altri a cui accadde semplicemente di attrarre il suo sguardo per la loro semplicità, purezza e disinteressata opera. Egli lesse molte scritture nella sua infanzia e giovinezza, ma non parlava per apprendimento ma per diretta esperienza interiore. C’era un inesplicabile dolcezza e fascino in ciò che diceva, e un irresistibile senso di convinzione e di rassicurazione.

Una volta quattro grandi pundits (esperti della tradizione) che si cimentavano in varie pratiche yogiche iniziarono a disputare e dibattere sulla natura dei piani interiori. Si basavano sui loro studi spirituali, e la controversia che iniziarono era proprio animata. Sentendo di un Santo Jat (coltivatore) di grande realizzazione, vennero alla porta di Baba Ji. Egli ascoltò quello che avevano da dire e poi spiegò loro lucidamente la natura delle regioni spirituali, riconducendo quello che apparivano essere contraddittori punti di vista e risolvendo tutti i loro dubbi sino a che furono soddisfatti. I pundits se ne andarono, ma uno di loro, un vero ricercatore,

53 che afferrò il messaggio del Santo, ritornò e chiese l’iniziazione. La grazia fu concessa, e praticò i suoi esercizi con regolarità ma con poco profitto. “ Ah Signore, benedicimi con qualche visione interiore”, pregò.

“Pensi che non desidero il tuo bene?” venne la risposta “ Io prego il Signore che tu raggiunga Sat Lok (la Regione della Verità) oggi, ma non sei ancora maturo e non saresti capace di reggere la tensione ”.

La preghiera a Baba Ji venne ripetuta molte volte, ma Baba Ji sempre dava la stessa risposta. Un giorno mentre stava andando da solo a ritirare la sua pensione, il Pundit lo incontrò in un luogo isolato. “Signore, questa è una landa, e nessuno è qui. Benedicimi ora; almeno fammi intravvedere il Reame interiore –niente di più– che io possa riposare in tranquillità.

“ Non sarai capace di sopportarlo, perché la tensione sarà troppa per te”

“Che importa anche se perdo la mia vita, se solo posso vedere cosa c’è all’interno?”

Baba Ji non poté più rifiutare a lungo. Chiese al Pundit di sedersi in meditazione, e focalizzò il suo sguardo su di lui. L’anima del Pundit venne forzatamente attirata negli alti reami. Quando Baba Ji, con la sua Volontà, lo riportò indietro sul piano di coscienza fisico, il Pundit cadde singhiozzando ai suoi piedi.

“Ho pensato che la mia vita mi venisse strappata, e milioni di luci sono cadute sulla mia testa. Oh Signore, perdona la mia follia. Noi mortali siamo proprio indegni.”

“Cosa devo perdonare? “rispose il Saggio. “Sei tu che devi perdonare te stesso, perché non sono io che ho sofferto. Adesso vai e fai il meglio del tuo tempo, perché hai solo tre anni ancora da vivere.”

Da quel giorno in avanti il pundit si concentrò sulla sua meditazione e tre anni dopo, come predetto, trapassò. Tali storie sono, comunque, infinite, e interi volumi non basterebbero a cantare la gloria e la grazia di un vero Santo. Così scorrendoli, ci

54 occuperemo del più importante evento negli annali del Ministero Divino di Baba Ji: l’iniziazione di Sawan Singh Ji, che più tardi portò avanti la missione di Baba Ji. La storia è raccontata dal grande discepolo stesso, e citiamo dalle sue lettere che sono state pubblicate nel libro ‘Gemme di Spiritualità’ (Beas, 1959):

‘Amavo il Satsang e Paramarth (Spiritualità) dall’infanzia. Mi sono spesso unito a sadhu e a persone religiose, e questo in parte perché mio padre amava il Sadhu seva (servizio ai religiosi). Poi mentre ero in servizio militare, studiai Vedanta e discussi Vedanta con la gente, specialmente con i sadhu che, nel loro cammino verso il Kashmir, alloggiavano al dharamsala (o alloggio di riposo) vicino a casa nostra. ‘

‘Più tardi fui trasferito a Murree Hills. Un giorno stavo supervisionando il mio lavoro, e vidi un vecchio sikh che andava su per la collina insieme ad una donna di mezza età. Quando lo notai, pensai che fosse probabilmente venuto in relazione a qualche caso nella Corte del Commissario locale. Un po’ pensai che sarebbe stato il mio Maestro. Non era altri che Baba Ji stesso, e la signora era Bibi Rukko. Questo non lo sapevo al tempo, ma lo scoprii più tardi, che Baba Ji disse a Bibi Rukko, riferendosi a me, ‘è per il suo bene che siamo venuti qui’, al quale Bibi Rukko rispose ‘ Ma non ti ha neppure salutato’. Baba Ji le disse ‘ Che cosa ne sa quel povero ragazzo? Al quarto giorno da oggi, verrà da noi .’

“Al quarto giorno andai ad assistere al Satsang. Baba Ji stava proprio in quel momento spiegando il significato del Jap Ji Shaib. Bene, iniziai la mia raffica di domande – cosi tante che la platea si stancò e iniziò a diventare irrequieta a quell’enorme numero di domande che io avevo fatto. Il sacro libro, il Sar Bachan, giaceva là, e io feci obiezioni sul nome di ‘Radhasoami’ , e Baba Ji spiegò che il libro stesso era inteso come ‘Radhasoami’

Radha è il nome del primo e principale Raggio di coscienza (surat). Soami è la Sorgente originale del flusso del Verbo (Shabd o Naam)

Ora lui (Baba Ji) voleva descrivere il Cammino, ma io avevo letto i Vedanta. Quando leggevo il Gurbani, la mia opinione era diversa; quando

55 leggevo la Bahagavada Gita, la mia opinione era ancora diversa; ed ero incapace di arrivare ad una decisione. Alla fine richiesi otto giorni di permesso per permettermi di studiare gli insegnamenti di Baba Ji. Mi consigliò di leggere Anurag Sagar di Kabir Sahib. Ne ordinai immediatamente otto copie di questo libro da Bombay, così che potessi darne qualcuna ai miei amici – Baba Hari Ram, Gulab Singh, etc – per leggerlo e commentarlo.’

Dopo diverse conferenze con Baba Ji, ero veramente convinto e ricevetti l’iniziazione da lui il quindicesimo giorno di Ottobre nel 1894”

Ciò che segue è una commovente storia di devozione ed obbedienza da una parte, e di ineffabile amore e grazia dall’altra. Le lettere scambiate tra il Maestro e il discepolo catturano qualcosa della esoterica bellezza di questa vicenda, e le lettere di Baba Ji sono riprodotte nel già menzionato volume Gemme Spirituali. In queste noi apprendiamo passo dopo passo della guida concessa dal Guru al suo discepolo che ha abbandonato totalmente se stesso alla sua Volontà, e il bizzarro e miracoloso modo nel quale la sua mano protettiva lo aiuta in ogni momento. C’erano due particolari fatti di cui Baba Sawan Singh era particolarmente desideroso di raccontare al suo pubblico per amplificare la grandezza di Baba Ji e la benedizione di avere un Pooran Guru o Vero Maestro. Citiamo ancora dalle sue lettere:

“Era mia abitudine afferrare la criniera del mio cavallo e saltargli in sella mentre stava andando. Ma il mio servitore in mia assenza e senza che io lo sapessi, aveva tagliato la criniera del cavallo. Non lo notai, e appena presa la criniera la mia mano scivolò, e io caddi e mi ruppi una gamba. La frattura era dolorosa, senza dubbio, ma ancora più doloroso era il fatto che non riuscivo ne a defecare ne a urinare. I medici pensarono persino che per me sarebbe stato difficile sopravvivere.”

“un supervisore musulmano, appartenente al mio distretto, venne da me e disse: ‘Sono un uomo dei tuoi, una sorta di familiare. Appartengo allo stesso tuo luogo. Dimmi come ti posso aiutare.’ Gli dissi: ‘I miei figli studiano come collegiali in una scuola a circa otto miglia da questo posto. Non voglio che sappiano di questo incidente. Ma mi piacerebbe tu mandassi un telegramma a Maharaji Ji (Baba Ji)’. Mandò il telegramma. E quando Baba

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Ji ricevette il telegramma, disse:’ Bene se il Maestro vuole portarlo via, Lui può, poiché almeno ha preso Naam (l’iniziazione al Verbo)’. Ma mia sorella (nella fede ) Bibi Rukko supplicò Baba Ji per me.”

“Era abitudine di Baba Ji di sedersi in meditazione quando ci fosse l’aspettativa di qualcosa di importante, e poi di comunicare qualsiasi informazione aveva ricevuto. Si sedette in meditazione alle 8 p.m. o prima (quando la notizia venne ricevuta con il telegramma). Alle 3 a.m., chiamò Bibi Rukko e lei gli chiese ‘ Devo portare il cibo adesso? (Non aveva preso il suo pasto serale). Baba Ji rispose, ‘No, ma mi avevi chiesto qualcosa di Bahi Sawan Singh. Adesso puoi informare Sawan Singh che non se ne andrà, ma i karma erano molto pesanti. Era imposto che dovesse soffrire per cinque anni, ma adesso sistemerà i karma in cinque mesi. E’ già qualcosa, no? Non dovremmo andare da lui proprio subito, ma dopo che sarà dimesso dall’ospedale. Nel contempo puoi dare riscontro del ricevimento del telegramma’ Al momento in cui il telegramma di Baba Ji venne ricevuto, potei scaricare feci e urine.. “

“I santi mostrano la loro misericordia, ma mai ne parlano. Ora, mentre ero ridotto in queste condizioni, dovetti soffrire anche dal punto di vista economico. Persi la mia indennità di divisione, la indennità per il cavallo, e anche mezzo del mio stipendio. L’ingegnere capo era molto gentile con me. Mi disse: ‘Se solo potessi venire da me ogni giorno in una portantina, ti considererei in servizio’. Ma ero molto dubbioso ed impaurito che, essendo la mia gamba ancora debole, potessi scivolare ed avere un altro incidente. L’ingegnere capo allora mi autorizzò ad un mese di permesso. Il mattino seguente lo vidi e disse: ’Adesso vai ma solo per un mese’. Precedentemente a ciò, Baba Ji venne a trovarmi e mi disse che sarei stato assente dai miei doveri solo per un altro mese, ma era difficile per me credergli.”

“Alla fine il mese passò, e ricevette una lettera da Baba Ji che diceva: ‘Noi non siamo venuti in questo mondo per fare il nostro personale interesse; siamo venuti qui per ordine di Maharaj Ji (Soami Ji). Se Lui vuole, ci metterà al lavoro.’ E’ impossibile spiegare la portata o il Potere dei Santi. Sono sicuro, se il Guru vuole, può indurre anche le pietre a fare il suo lavoro.”

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“Baba Ji era molto gentile con me e ogni volta che io venni a trovarlo, mi dava un posto nella sua stessa stanza. Una volta mi fermai alla stazione di Beas a mezzogiorno. Era molto caldo e mi sedetti sotto un albero per un po’. Poi sentii che ero venuto per la benedizione (darshan) di Baba Ji, e ancora mi preoccupavo del mio comfort e ritardavo l’incontro con il mio Amato. Persino amanti mondani hanno fatto di meglio. Il pensiero mi disturbò. Così iniziai a piedi dalla stazione verso la colonia (Dera). Alla Dera, Baba Ji Maharaji, che era sensibile al calore, venne fuori e iniziò a percorrere il giardino aperto davanti alla sua stanza. Bibi Rukko si lamentò e gli richiese di rientrare nella sua stanza, via dal sole bollente, ma non lui non volle. Pochi minuti prima che raggiungessi la Dera, egli entrò, e allora Bibi Rukko, vedendomi arrivare, esclamò: ‘Oh, adesso capisco perché Baba Ji stava camminando nel sole ardente’. (Lui stesso aveva attenuato quell’estremo calore in modo che io non venissi sopraffatto lungo il cammino). Ci sono così tante meravigliose cose su Baba Ji che se continuassi a narrarle per cento anni, non sarebbe possibile ultimarle tutte quante”

Davvero, “un centinaio d’anni” non basterebbero, e ancora dobbiamo coprire il più rapidamente possibile il resto della storia del soggiorno terreno di Baba Ji. Un numero sempre maggiore di visitatori affluì nel suo capanno a Beas; e le sue parole a Bibi Rukko – ‘Qui sorgerà un giorno una città in continua crescita, e molte case e bungalow saranno costruiti’ – non meno le parole di Kahan, intossicato di Dio, alle quali la gente aveva riso ‘Raccolgo queste pietre per la città che verrà costruita qui’ – iniziarono, alla fine, a sembrare significative. Baba Ji spese gran parte del suo tempo a Beas, ma spesso andò in visita nelle aree adiacenti o in città più lontane, ad amministrare i bisogni spirituali dei suoi devoti.

Una volta quando era ad Ambala, all’ordinamento di qualche discepolo, Hukam Singh, un amico del suo devoto discepolo, Moti Ram, un sarto che lavorava per il regimento Britannico stanziato lì, richiese l’iniziazione. Baba Ji rifiutò di soddisfare la sua richiesta. Hukam Singh si rivolse al suo amico, che, a sua volta, si rivolse a Baba Ji, ma non ci fu verso. ‘Non è ancora pronto per il Cammino’, osservò il saggio, ma Moti Ram non si diede per vinto. Implorò ancora ed ancora per il caso del suo amico.

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‘Te l’ho detto prima: i suoi karma non lo permettono. Così, cosa posso fare al riguardo?’

‘Sant’uomo, tutte ragioni in più per avere pietà di lui, perché se non lo fai tu, chi lo farà?’

‘Moti Ram, non insistere ulteriormente. Inizierei volentieri altre quattrocento persone anzichè questo tuo amico’

Un Santo non può rifiutare a lungo qualcosa ad un discepolo devoto e attraverserebbe anche il fuoco per la sua salvezza. Quando Moti Ram, insisté ripetutamente, Baba Ji cedette, aggiungendo: ‘Ma appena ho iniziato il tuo amico, non rimarrò un solo momento qui, ma andrò diretto a casa.’ Coerente con la sua parola, Baba Ji, appena le istruzioni erano terminate, impacchettò i suoi pochi averi e si diresse a Beas. A chiunque espresse il desiderio di seguirlo fu detto di venire dopo due settimane. Nel raggiungere la sua dimora, Baba Ji si coricò a letto e quando visitatori locali venivano a trovarlo, rimanevano costernati nel trovarlo nella morsa di una febbre fatale. Furono inviati medici e medicine, ma Baba Ji non prese nulla. Circa due settimane dopo, la febbre si attenuò, e quando Moti Ram ricevette le notizie, si precipitò a trovarlo e pregò di esser perdonato: ‘Se solo avessi saputo cosa avrebbe significato per voi, per tutto il regno dei tre mondi, non avrei insistito per iniziare il mio amico’.

Baba Ji era nell’umore di voler comunicare e rivelò: ’I Karma di Hukam Singh erano così pesanti che, salvo grazie all’intercessione, avrebbe, per sette seguenti vite, attraversato le più difficili e sofferenti traversie’.

Moti Ram lo ringraziò umilmente per la sua misteriosa grazia, ma Baba Ji, coerente alla sua innata umiltà, rispose semplicemente: ‘Tale era la Volontà di Dio’.

La grazia di Baba Ji si irradiò come un sole donatore di vita a coloro che vennero in contatto con lui. Baba Sawan Singh, comunque, come abbiamo già visto, era l’oggetto della sua speciale adorazione. Gli anni dal 1894 al 1903 era contrassegnati da regolari visite a Beas da Baba Sawan Singh Ji

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Maharaji, che era occasionalmente contraccambiato da Baba Ji. Il Saggio chiamò il suo discepolo favorito con il nome di ‘Babu Ji’. Aveva detto a Bibi Rukko che il gentile ufficiale del governo sarebbe stato un giorno il suo successore. In una occasione, mentre era di straordinario buon umore, si rivolse al suo Gurmukh e sottolineò: ‘Tu ed io siamo venuti per il bene del genere umano’. Sawan Singh rispose: ’Tu di certo, sei venuto per il progresso dell’umanità, ma io sono solo un mortale errante’. Baba Ji ripeté quello che aveva detto e Sawan Singh diede ancora la stessa risposta. Baba Ji allora, alzando le sopracciglia, disse a più alta voce: ’Babu Ji, sto parlando a te. Noi entrambi siamo venuti per il bene dell’umanità’. Sawan Singh sedette muto e in silenzio. Un’altra volta, il Santo di Beas disse al suo discepolo: ‘Ho dovuto lavorare duro per il mio traguardo, ho ancora mantenuto il mio Tesoro chiuso e non l’ho mai mostrato loro. Ma i miei sforzi porteranno frutti, e chi erediterà il mio Mantello sarà conosciuto in lungo e in largo.’

I giorni passarono e Beas divenne un luminoso centro sulla mappa spirituale del mondo. Non avrebbe mai consentito la costruzione di case e sale, alla richiesta del suo amato Babu Ji finalmente cedette, e un pozzo venne scavato e una sala del Satsang venne costruita negli ultimi anni. ‘Perché costruire qui degli edifici quando il fiume li può spazzar via?’ Protestò, ma Baba Sawan Singh non si dissuase: anche se tu puoi fare un solo discorso, e la struttura dovesse collassare immediatamente dopo, lo considererei un lavoro riccamente ricompensato.’ Mentre gli ultimi giorni del ‘Jat-Guru’ (Guru contadino), come con humor sentenziò lui stesso, andavano verso una conclusione. Sei mesi prima della sua morte, egli disse ai suoi discepoli della fine imminente. Nel sentire della dipartita di Karam Singh di Attock, egli commentò: ’Ero abituato ad incontrarlo a Delhi. Proprio una grande anima! Ma dovrà essere bruciato ancora una volta per una piena liberazione, non avendo praticato Naam nella sua vita. Bene, bene, il mio lavoro sta anche arrivando alla fine e anch’io presto andrò.’

Gli ultimi giorni videro molti pellegrini a Beas. Il Saggio che una volta aveva passato entrambe notte e giorno in meditazione, era adesso giorno e notte al servizio dei suoi devoti. Baba Jaimal Singh Ji riposava a fatica tre o quattro ore, passando il resto del giorno nell’incontrare coloro che lo

60 cercavano, ascoltando i loro problemi e guidandoli ancora ad un più e più grande sforzo spirituale. I cancelli della grazia Divina erano spalancati, e coloro che si sedevano con lui nella sua stanza durante i giorni immediatamente precedenti la sua dipartita venivano interiormente elevati e assorbiti nel ‘samadhi’.

La sala del Satsang ormai era stata terminata, e ognuno insisté che Baba Ji facesse un discorso. Egli però protestava: ‘No, no, la Volontà del Signore è diversa. Colui che mi succederà vi terrà un discorso là.’ Bibi Rukko era ugualmente ostinata: ‘Noi, naturalmente, lo ascolteremo quando il suo tempo verrà, ma ora mentre tu sei qui, lasciaci avere il beneficio della tua presenza.’ Ma Baba Ji insisté: ’La volontà di Dio è diversa. Inoltre, desidero che Babu vi indirizzi un discorso mentre io sono ancora in vita così che non vi siano dispute più tardi. ’Ma il pubblico si era raccolto e lo supplicò di parlare lui stesso. Bibi Rukko lo supplicò ed implorò, e alla fine egli andò verso il palco. Ma dopo aver salito uno o due gradini, egli si fermò ancora e ripeté quello che aveva detto. Nello stupore di tutti quelli che entrarono la sala del Satsang, il figlio (Gurmukh) di Baba Ji, Hazur Sawan Singh Ji, fu visto sedere sulla piattaforma.

L’ultimo giorno finalmente arrivò. Tutti i discepoli più vicini rimasero in ansiosa attesa. Era il 29 di Dicembre 1903, e una fredda e pungente brezza soffiava sulle acque di Beas. Baba Ji sembrava aspettare, e gettava irrequiete occhiate alla porta. Alla fine un ufficiale di polizia arrivò e richiese l’iniziazione. ‘Era te che stavo aspettando’, rispose il grande Santo, e senza aggiungere altro iniziò a spiegare la teoria e la pratica del Surat Shabd Yoga. Subito dopo che le istruzioni erano terminate, si coricò e, chiudendo i suoi occhi, si liberò di questa fangosa e decadente veste.

Così morì uno dei più grandi Santi dell’era moderna, la cui vita fu una lezione di umiltà e amore. Non studiò in scuole o università, ma aveva indagato a fondo il libro della Vita. Aveva letto, ancora bambino, le scritture di molte fedi, e aveva precocemente praticato molte discipline o esercizi spirituali. All’età di diciotto anni, quando gli altri avevano con difficoltà ottenuto la maturità intellettuale, aveva già ottenuto la corona della vita negata ai più rigorosi yogi e agli uomini più industriosi ed istruiti. E ancora il resto degli anni furono spesi in perfetta umiltà, con la sola ambizione di

61 servire il suo Maestro e diffondere il suo messaggio al meglio che lui potesse. Nelle sue ultime parole di cui si ha annotazione è riportato quanto ha detto: ‘Tutta la mia vita ho cercato di servire solo il mio Maestro, e ora qualsiasi lavoro egli doveva compiere attraverso questa povera ossatura è terminato.’ La sua ultima ora era spesa in questo servizio. Baba Jaimal Singh Ji aveva incarnato ciò che aveva scritto una volta sul suo predecessore: ‘I santi non sono nati per se stessi, ma per la liberazione del genere umano’. Egli parlò basandosi sulla sua esperienza interiore e non sui libri; e iniziò circa tremila anime, mentre il numero di coloro che inconsciamente beneficiarono della sua influenza non è calcolabile. Si potrebbe scoprire qualcuno così disinteressato, pronto a soffrire indirettamente per i peccati degli altri, così illimitato nel suo amore, e così indifferente alle differenze esteriori di credi e sette? Se uno cercava nella propria memoria, c’era forse un nome che veniva più di altri in mente: quello di Nanak. Ed era solo una coincidenza che il Soldato Santo di Beas era nato nello stesso distretto (Gurdaspur) in cui il Santo del Medioevo aveva profetizzato (secondo Bahai Bala, compagno fedele di Nanak e suo biografo) che sarebbe riapparso in un era futura in una casa di Jat? I discepoli di Baba Ji non mancarono di notare qualche somiglianza anche durante la sua vita e una volta lo interrogarono sull’argomento. Il Saggiò sorrise misteriosamente e ignorò la domanda. Ma pochi minuti più tardi osservò casualmente: ‘Se noi spiriti dovessimo dire ciò che abbiamo nelle menti, chi ci lascerebbe un momento di riposo, e chi risparmierebbe le nostre vite?’.

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PARTE TERZA

BABA JI E LA SCIENZA DELLA SPIRITUALITA’

Non è un compito facile presentare gli insegnamenti di un Santo del passato che non ha lasciato alcuno scritto personale, sia in versi che in prosa, e che ha vissuto in un tempo in cui stenografia e registratore erano ancora sconosciuti. Nonostante ciò, il plico di lettere che Baba Jaimal Singh indirizzò al suo amato ‘Babu,’ Sawan Singh Ji, sono state conservate e sono molto significative. 18 Inoltre alcuni di quelli che vennero in contatto con lui hanno lasciato suggestive annotazioni dei suoi discorsi. Ma cosa più importante di tutte, Hazur Sawan Singh Ji Maharaji, al quale passò la sua torcia spirituale, ha interpretato con viva memoria il messaggio del suo grande Guru nella sua essenza. Mettendo tutto questo insieme, possiamo risalire alla chiara concezione della natura e dello scopo dell’insegnamento di Baba Ji.

La Creazione

La Realtà Assoluta nel Suo Stato ultimo era Nirankar, Nirgun, e Anami – cioè senza Forma, senza Attributi, e senza Nome – e poteva solo essere espressa con negazioni: ‘né Luce né oscurità’, ‘né Suono né silenzio’ etc. Era incomprensibile, ineffabile, infinita e indescrivibile. Era questa Suprema Realtà che era responsabile per ogni altra cosa. Quando proiettò se stessa in una forma, Essa portò in essere i Reami di puro Spirito di Agam, Alakh, e Sat Naam, etc. Luce e Suono apparvero come i suoi primi attributi. Quindi, come Essa discese in basso, causò la creazione del flusso materiale, o Kal, che divenne predominante quando essa discese sempre più giù. Le regioni infinite che vennero create al di sotto dei reami puramente spirituali di Sat Desh potrebbero essere divisi in tre grandi divisioni: Brahmand, Und e Pind – il causale, l’astrale e il fisico – ossia lo spirito- materiale, il materico-spirituale e il materiale.

Fintanto che si vive nel piano della relatività si è catturati nella rete di Maya. Un desiderio è succeduto da un altro, e il piacere è seguito dal dolore.

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Non ci può essere duraturo riposo, nessuna duratura gioia. Dio nel riempire la coppa delle terrene benedizioni dell’uomo, tralasciò ‘felicità’ e ‘contentezza’ per assicurarsi che le sue creature non dimenticassero totalmente il loro creatore. Il solo modo per ottenere beatitudine sta’ nel trascendere il reame della relatività e raggiungere le regioni del puro spirito dove l’anima si immerge nell’Assoluto, e si perde nell’Oceano di Totale Consapevolezza, liberata da tutti i difetti e i desideri.

Il sentiero della liberazione

Come si può realizzare questo ascesa? Baba Ji, come Kabir, Nanak e Soami Ji, ripetutamente affermò che le pratiche esteriori non erano di molto aiuto. Il leggere le scritture poteva risvegliare l’interesse di qualcuno nella spiritualità, ma da solo non poteva garantire la redenzione. La letteratura mistica e i rituali religiosi erano utili in diversi modi: mantenevano l’uomo consapevole di una Realtà più profonda di quella a cui uno era abituato nella vita di ogni giorno. Ma questa Realtà doveva essere approcciata con mezzi pratici, e l’assorbimento in problemi intellettuali e controversie devia le energie dell’uomo dal reale Sentiero:

O uomo! Se non hai realizzato l’Onnipotente, perché ti vanti della tua grandezza? Lascia andare le tue sottigliezze intellettuali.

-Kabir

Non essere deluso dal costringere te stesso al solo leggere e scrivere le scritture. Il sentiero dei Maestri è diverso. Chi lo desidererà veramente lo otterrà.

-Kabir

Il diavolo può citare le scritture, e Baba Ji sostenne che ‘tanto le controversie e le dispute religiose, come l’orgoglio di progresso personale e di appartenenza ad una casta e (Varnashram), come l’adorazione, i pellegrinaggi, il mero recitare le scritture, l’adorazione di coloro che sono passati e andati, e altre azioni e discipline di questo tipo’ sono tutte ‘una

64 grande illusione’ e trappole create da Kal per mantenere l’anima sottomessa nei reami della relatività. Allo stesso modo, il Kriyas ossia le pratiche di yoga tradizionale –pranayam e varie mudras e aasan – erano inefficaci nel portarci alla nostre reale meta. Baba Ji, come la sua vita ha ampiamente testimoniato, rispettò enormemente sant’uomini di tutti i credi e vocazioni, ma non perse mai di vista il più elevato ideale dell’uomo e visse secondo l’idea espressa da Kabir:

Tutti sono meritevoli di reverenza, Ma io adoro solo Colui che ha praticato il Verbo -Kabir

Baba Ji in giovane età sperimentò come molti il metodo yogico e, ogni volta che si pronunciò sull’argomento, non parlò come chi si basa su un apprendimento accademico, ma come qualcuno che aveva praticamente sperimentato quello che diceva. Le sue parole portarono convincimento, poiché non c’era traccia di pregiudizio in quello che diceva. Spiegò semplicemente che egli stesso aveva esplorato tutte le strade e trovato che il sentiero del Sant Mat o Surat Shabd Yoga era il più elevato. Ebbe molto da dire in merito ai meravigliosi miracolosi poteri che poté acquisire attraverso gli esercizi yogici, ma il suo criterio era questo: “ Hanno reso qualcuno maestro della propria mente, liberandolo dalla tirannia del desiderio? Se sì, allora non si poteva dire niente contro di loro; ma se non era così (come era di solito), allora difficilmente erano di qualche utilità. Nel 1894 mentre era nel Murree, in risposta alle molte domande indirizzatigli da Baba Sawan Singh Ji, si soffermò a lungo sul soggetto della comparazione degli yoga e concluse dimostrando come Kabir e Nanak avessero assimilato il meglio dai loro predecessori, come si fossero spinti più in alto nel Cammino Mistico, e come fossero riusciti a sviluppare un metodo alla portata di tutti per fondersi con l’Assoluto senza Forma. Citava spesso Maestri del passato per rinforzare il suo punto, e in particolare quello che il suo grande Guru aveva detto:

Il sentiero dei Maestri è di molto superiore a tutti gli altri, credilo con totale fede. Sufismo e Vedantismo ti possono portare sino ad un certo punto E non possono portarti alla ultima Meta.

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I Santi vivono in eterno nello splendore del Supremo. Tutti gli altri credo e ordini falliscono nel trascendere Il reame della relatività. -Sar Bachan (Poemi)

In che cosa consiste la scienza del Surat Shabd Yoga che rappresentava la corona della realizzazione mistica? Baba Ji lo definì come il sentiero più efficace per riconnettersi alla Sorgente primaria di ogni Vita e Luce e il più economico rispetto alla fatica. Il segreto si trova nella intuizione che se l’anima deve reimmergersi di nuovo nel luogo da cui è venuta, la Via di ascesa deve essere uguale a quella di discesa. Il Senza Nome, quando assunse Nome e Forma, proiettò Se Stesso nello Shabd, Naam, Kalma o Il Verbo. E’ questa corrente spirituale, i cui primari attributi sono Melodia ed Effulgenza, ad essere responsabile per tutta la creazione. In una lettera datata 21 Aprile 1903, Baba Ji scrisse:

‘E’ attarverso lo Shabd che ogni cosa si manifestò – Ishwar (Dio, il sostenitore del mondo), Jiva (l’anima individuale), Maya (la materia sottile e grossolana), Brahamand (Il piano fisico, astrale e causale) - tutto venne portato in esistenza dal Suo agire.’

Tutti i saggi, nei loro diversi modi. Hanno testimoniato dell’azione del Verbo o del Potere di Naam:

Ogni cosa è stata fatta per mezzo di esso.

E ancora

Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. - Giovanni 1:1

Quello che i Maestri del Surat Shabd Yoga dissero su questo argomento non era niente di nuovo; si distingueva nell’affermazione che ogni cosa - persino l’anima individuale (Jiva Atman) – si manifesta attraverso l’azione del Verbo (Shabd), e quindi il verbo è il migliore e il solo mezzo per raggiungere ancora il nostro Punto di Partenza: Nirankar (il Senza Forma ), Nirgun (il Senza Attributi ), Anami (il Senza Nome ) e l’Assoluto. La

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Musica e la gloria del Verbo (Shabd) che si diffuse attraverso tutta la creazione ha permeato il nostro essere. Solo se l’anima (Atman) l’avesse contattato, avrebbe potuto quindi usare questa ‘fune lanciata dal Signore senza Nome’ per raggiungere la Sua Porta. Ma l’anima nella sua discesa verso il basso aveva perso il suo legame e dimenticato la sua vera natura. Acquisendo i grezzi involucri del corpo e della mente, perdendo di vista la Casa nativa e identificandosi con la propria persona. Baba Ji disse nella sua lettera del 15 Maggio 1900:

Sempre, da quando Jiva Atman (l’anima) è stata separata da Sach Khand (la Vera Dimora) e da Shabd Dhun (il Verbo), ha perso la sua fede nel Sat Purush (il Vero). Ma il Verbo (Shabd) prende cura sempre dell’Anima sebbene questa non lo conosca, poiché sì è innamorata profondamente della Mente e della Materia (Maya), dei suoi contenuti e dei sensi che sono molto ingannevoli. Li ama così tanto che non può realizzare che ciò accade a proprio discapito, considerando benefico ciò che è di fatto dannoso. L’Amore per Maya l’ha lasciata anestetizzata e la Mente stessa è diventata folle di fronte al piacere dei sensi, e infine, Maya ha gettato un tale incantesimo che non la fa più riprendere dal suo tormento.

Il Maestro Perfetto

Le nostre facoltà spirituali si sono così confuse e ricoperte di grezzi strati di Mente e Materia (Maya) che, anche se il Verbo riverbera da sempre dentro e intorno a noi, noi non possiamo sentirne la Musica o vedere la sua Gloria:

Quegli occhi son diversi con i quali il mio Amato è scorto - Rag Wadhans, 577

Come doveva essere rotta questa catena? Come poteva l’uomo ravvivare il legame con il suo Creatore? Per questo, Baba Ji affermava che è inevitabilmente necessario l’aiuto di un Maestro competente:

Tale è la Volontà del Signore Egli non può che essere conosciuto tramite un Satguru vivente -Var Bihagra 556

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Senza il suo vivificante tocco l’anima non si può risvegliare dal suo torpore e sintonizzarsi con il Naam (il Verbo). L’anima (Jiva Atman) è troppo persa nella densa materia per contattare per proprio conto il Verbo (Shabd). Tra l’altro, la via interiore non è una via semplice e anche se l’anima può trascendere la coscienza fisica ed entrare i reami interiori, da sola non potrebbe procedere troppo lontano. Le regioni Und e Brahmand sono quasi infinite e senza una guida spirituale essa potrebbe perdersi tra le sue meraviglie. Inoltre, ci sono punti del viaggio mistico, specialmente tra un piano e un altro, che sono così complessi che, ad eccezione di un adepto, l’anima potrebbe rimanere bloccata per sempre.19

Baba Ji sottolineò infaticabilmente la necessità di un Maestro vivente per avere successo sul campo. I Santi del passato possono aver esplorato tutti i misteri dei reami mistici e possono avere lasciato annotazioni delle loro esperienze. Ma i mondi interiori sono indescrivibili usando i termini del linguaggio umano, e nel migliore dei casi hanno potuto parlare in esempi e parabole. Poiché questi esempi e parabole riguardavano il reame di esperienza completamente al di là dell’ordinaria umana esperienza, non potevano essere completamente capite se non attraverso l’aiuto di Qualcuno che personalmente avesse diretto accesso alle esperienze che descrivevano. Quindi anche per comprendere il messaggio dei Maestri passati è necessario averne Uno vivente, e fu solo quando Baba Ji incontrò Soami Ji che egli capì la piena importanza del Granth Sahib e degli scritti di Kabir e degli altri grandi Santi.

Il viaggio spirituale non è una disquisizione intellettuale. E’ una questione di ascensione pratica. Anche per la conoscenza accademica un libro non può sostituire la guida di un acuto insegnante. Allora quanto di più questo vale nel campo spirituale? L’anima (Jiva Atman) è così persa in Maya che, secondo Baba Ji, non può contattare per conto proprio la pura Corrente del Verbo (Shabd Dhun). Unicamente un atto di sola grazia può metterla in contatto con la Luce e Musica interiori, e questa grazia è il regalo di un Maestro vivente:

Radhasoami, il Signore dell’Anima, pieno di pietà e compassione, discese egli stesso nella forma di un Santo, ci diede un’idea delle Regioni Spirituali

68 e ci ha mostrato la Via per raggiungere Sach Khand (la Vera Dimora) attraverso Shabd Dhun (la Corrente del Verbo).

I Santi del passato sono degni di rispetto. Le loro vite sono luminosi segnali che ci riportavano sempre verso la nostra Casa Divina. Ma la legge di Natura prevede che l’impulso vitalizzante possa venire solo da persone vive, e il compito che queste hanno svolto nella loro stessa epoca deve, nella nostra, essere svolto da Qualcuno che vive tra di noi e che abbia appreso la Via che loro hanno insegnato. Infatti i loro scritti, se studiati attentamente, sono una testimonianza senza fine della necessità di avere un Maestro vivente.

Chi è un competente Maestro vivente e come si può riconoscere? Baba Ji sapeva che c’erano innumerevoli lupi che si aggirano nella vesti di pecore, e siccome ogni cosa dipendeva dal trovare una vera Guida, egli mise in grande rilievo il bisogno di vigilare e discriminare. Le sue prime esperienze avevano mostrato da sole troppo bene la rarità di tali grandi Spiriti – uno, forse, in un’era, talvolta di più (come per Nanak e Kabir, Maulana Rumi e Shamas Tabrez, Tulsi Shaib e Soami Ji, che erano contemporanei) ma, ahimè, sempre troppo pochi – e un uomo perciò è benedetto se può imbattersi in una siffatta Personalità. Le testimonianze dei Santi passati potevano essere usate come pietre di paragone, come era stato fatto da Baba Ji durante la sua ricerca. Se un uomo fosse un vero Maestro, e inoltre, un mistico del più alto ordine, tutte le oscurità e contraddizioni che confondono qualcuno nel leggere le scritture svanirebbero al suo contatto. Egli non sarebbe solo capace di spiegare realmente gli scritti di una unica scuola di mistici, bensì di tutte, poiché avrebbe accesso a tutti i reami interiori, e non solo ad uno. Da ragazzo, Baba Ji aveva incontrato molti sadhu, ma solo quando sedette ai piedi di Soami Ji iniziò ad apprezzare tutti i tesori racchiusi nel Granth Sahib. I Mistici di un ordine inferiore possono solo interpretare testimonianze di quelle esperienze alle quali hanno accesso, ma Uno che è asceso alle più alte vette poteva spiegare ogni cosa – un tema che l’incontro di Baba Ji con i quattro Pundit (esperti Yogi) portò pienamente alla luce.

Un’altra caratteristica di un vero Santo era la sua incredibile umiltà. Uno dei supremi paradossi della vita umana è che coloro che reclamano di essere

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Santi non lo sono, e coloro che lo sono, non sostenevano mai di esserlo. Nanak stesso dichiarava di non essere più di uno schiavo dei servitori dei Santi, e Soami Ji manteneva impassibile il garbo della sua umiltà. Un uomo non viene riconosciuto da ciò che sostiene, ma da ciò che fa; un albero non è valutato dal suo nome, ma dai suoi frutti, e un Santo è riconosciuto dalla sua perfezione come uomo, dalla libertà dai desideri mondani, dal suo amore e dalla sua gentilezza, dai modi senza pretese, dalla preoccupazione per il benessere degli altri, e dal suo disinteresse per nome e fama. Distribuisce i suoi doni spirituali liberamente come ogni altra benedizione della Natura, e mantiene se stesso con il proprio lavoro:

Non inchinarti davanti a chi chiama se stesso guru, E dipende dalla carità degli altri. - Sarang Var, 1245

Se sul livello umano è la sua perfezione come uomo che caratterizza un vero Santo, del resto, sul piano spirituale egli deve essere conosciuto dall’esperienza interiore e dalla guida che può offrire. Come Baba Ji sottolineò, l’abilità di dare qualche diretta esperienza spirituale ai suoi discepoli nel momento della iniziazione, per quanto piccola possa essere, è il test finale di un vero Maestro. Egli non promette la realizzazione spirituale in qualche vita futura dopo la morte. Dona il sapore di questa qui ed ora. Unisce l’anima alla Luce e Suono interiori, ed è compito del discepolo crescere e nutrire questo Seme sino a piena fioritura e maturità. Il dono di Naam (il Verbo) è la sola prerogativa del Satguru e la sua guida si estende ovunque, sia nei piani interiori che nel mondo esteriore. Così grandi sono il suo amore e la sua protezione che nessuna relazione umana può sperare di essere paragonabile a questa. La sua Forma Radiante accompagna l’anima dopo che ha trasceso il corpo, e la guida da un piano ad un altro verso la sua Casa celeste; e il discepolo ricettivo può vedere la sua grazia lavorare ad ogni svolta. Può compiere miracoli – essendo Uno con la Volontà Divina – ma è riluttante a disturbare il Piano stabilito; e anche se lascia che la grazia gli prenda la mano, egli mantiene nascosto questo lavoro, non reclamando alcunché per sé stesso ma lavorando solo in nome del Maestro. Egli non si preoccupa di dispute e controversie: ‘Vai all’interno e vedi tu stesso’ è la sua costante massima, e la sua attenzione ricade sempre sulle esperienze interiori e non sulle forme o rituali esteriori.

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Fede, Amore e Abbandono di sè

E’ quindi una suprema benedizione trovare un vero Satguru. Se la ricerca di un Maestro competente ha bisogno di grande perseveranza e discriminazione da parte del ricercatore, la qualità più richiestagli dopo che la ricerca viene coronata, sono fede, amore e pieno abbandono. Non è prima di aver rinunciato a corpo, mente e ricchezza –tan, man e dhan – che egli riceverà l’illuminazione. Incontrare un vero Maestro significa rendersi conto delle proprie limitazioni e riconoscere la benedizione nell’essere accettato ai suoi piedi. E si doveva anche sapere che il suo amore e la sua saggezza sono smisurate e infinite. Questa realizzazione deve, se uno vuole avere il meglio da questa opportunità, essere accompagnata da umiltà e fede e dall’accettazione della sua Volontà come suprema. Baba Jaimal Singh Ji, nei suoi discorsi e non meno nelle sue lettere, affermò di tanto in tanto la necessità di amore e fede da parte del discepolo. Scrivendo a Baba Sawan Singh il 16 Maggio 1901, disse:

Il Verbo è la reale Forma del Satguru. Collegandosi ad esso raggiungerai la tua Destinazione. Ma la condizione è che prima tu sviluppi amore e devozione per la persona del Maestro, poiché senza questo nulla è possibile. Il Satguru è Uno con Colui che Dona, l’Anami-Radhasoami e ha assunto una forma fisica per l’elevazione di jivas (anime). Chiunque sviluppi un forte amore e devozione per lui e consideri Lui Stesso come il Signore Supremo, contatterà il Shabd Dhun (la Corrente del Verbo) e sarà salvato.

In un’altra occasione, egli scrisse: Anche dopo cento anni di Bhajan (meditazione) non ci si purifica come con un intenso desiderio del darshan (incontro con il Maestro), purché il desiderio sia reale e vero e che l’amore per il Satguru sia dal più profondo del cuore.

L’arrendersi è il naturale corollario di una tale fede e amore, e le lettere di Baba Ji ritornano insistentemente su questo tema:

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Non perderti in te stesso. Lascia questo pensiero essere fermamente e incrollabilmente fisso nella tua mente: ’Corpo, mente e ricchezze, nirat (vista interiore) e surat (anima), occhi, orecchie, naso, bocca, mani, piedi – proprio tutto ciò che è nel mondo è del Satguru. Io non sono nulla.’ Qualsiasi cosa tu stia facendo, falla come se fosse del Satguru e cerca sempre di fare ciò che è meglio. Non dimenticare ciò nemmeno per un momento, e prendilo come un hidayat, un comandamento. (24, Maggio, 1901)

Non lasciare mai che l’idea di ‘possesso’ trovi un posto nel tuo cuore. Anche se ottieni la Signoria di Brahmand, considera di non possederne alcuna parte: “Sono solo un agente. Ogni cosa è del Satguru.” Lascia che l’affermazione dei Mestri sia sempre nella tua mente: ‘Non sono nulla’, ‘Non sono nulla’, ‘Non sono nulla’ e lascia che il ricordo del Signore sia il tuo costante pensiero e la Forma del Satguru sia sempre riflessa nel tuo cuore. (7, Settembre, 1902)

Estirpa tutti i desideri mondani dal tuo cuore, e mettili ai piedi del tuo Maestro. Non reclamare niente per te stesso, e prova a sintonizzarti con la Sua Volontà che dovrebbe essere al primo posto nel tuo cuore. Anche se lui ti chiede di strappare erbacce, fallo, poiché obbedire al Satguru è l’azione più elevata. Se puoi formare il tuo cuore in questo stampo, allora tutte le cose in te verranno accresciute. (18, Settembre, 1902)

Una volta Baba Sawan Singh Ji scrisse che non aveva nemmeno desiderio del Sach Khand ma pregava solo di avere ‘Amore e fede ai piedi del Satguru, ’ Baba Ji era estremamente compiaciuto e rispose che questo arrendersi era ‘proprio la più elevata disciplina (Karni)’, e gli assicurò che ‘colui che aveva un tale amore per il Maestro avrebbe raggiunto sicuramente Sach Khand (Regione di Puro Spirito) e, passando attraverso Alakh (Indescrivibile), Agam (Inconcepibile), Anami-Radhasoami (il Senza Nome - Dio Assoluto), si sarebbe immerso nella Regione delle Meraviglie’ (11, Settembre, 1897)

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La vita esteriore

Il ricercatore che ha trovato una vera Guida e che ha iniziato a sviluppare il giusto tipo di amore e fede in lui, cercherà naturalmente di formare la sua vita in accordo alla Volontà del Satguru, e Baba Ji mise grande enfasi sul bisogno di trasformare le nostre vite. Non è necessario, egli sosteneva, lasciare il mondo per seguire il Sentiero interiore. La cosa necessaria per il progresso spirituale è il distacco interiore, e colui che si arrende completamente al suo Guru è libero da tutti i legami mondani. Alcuni dei suoi discepoli espressero il desiderio di completa rinuncia, ma Baba Ji tenne sempre controllata questa loro tendenza:

Tu dici di voler abbandonare casa e lavoro e dedicarti esclusivamente alla meditazione (Bhajan). Casa o lavoro o benessere sono davvero tuoi? Toglitelo dalla testa. E’ tutto un gioco magico e il mondo è un sogno. Allora, perché preoccuparsi del prendere e del lasciare ? (18 Settembre, 1902)

L’ideale che sempre rammentò ai suoi discepoli era quello del cigno reale che aveva la sua casa nell’acqua e tuttavia ne usciva asciutto e indifferente. Se non voleva che i suoi discepoli fossero attaccati al mondo non desiderava nemmeno che loro abbandonassero i doveri mondani. Quando Baba Sawan Singh scrisse che avrebbe preso dieci giorni di permesso e li avrebbe spesi a Beas, Baba Ji rispose:

Quando vieni per il tuo permesso di dieci giorni, dovresti prima procedere diretto a casa; e poi sulla via di ritorno, fermati Sabato intorno alle 5 p.m. a Dera, da dove puoi procedere ai tuoi doveri il giorno seguente dopo aver partecipato al Satsang domenicale. Devi andare a casa, poiché ci sono molte cose che attendono là la tua attenzione da due o tre anni. Quindi, ti prego va diretto a casa. Sarà un vero piacere se prima vai a casa e poi vieni qui.

Quando in una occasione, il suo amato discepolo non era in grado di assicurarsi un permesso per incontrarlo e nonostante questo gli offrì di venire (a Dera), Baba Ji era lontano dall’essere felice e gli proibì severamente di compiere un tale passo. ‘Ti prego di non scrivere una tale cosa ancora’ rispose ‘che tu verresti qui senza prendere permesso’, e

73 aggiunse ‘Il lavoro che tu stai facendo, è anche il lavoro di Radhasoami, il lavoro del Signore’.

Tuttavia, mentre si vive nel mondo bisogna seguire una rigorosa disciplina. La via della Nuova Gerusalemme era una via stretta e difficile. ‘Il vostro modo di vivere’, disse il saggio di Beas ai suoi discepoli, ‘deve essere diverso da quello delle altre persone’. E come rigorosa fosse la disciplina che egli richiedeva appare chiaramente da una delle sue lettere:

Voi sembrate non capire che quando i vostri doveri ufficiali sono terminati, non dovete parlare a nessuno. Alla sera tra le 18 e le 20, dovete sedervi per il Bhajan (meditazione) il più a lungo possibile – sia mezz’ora, un’ora, quindici minuti, o un’ora e mezzo – e tenete l’attenzione (surat) nei piani interiori. Poi fate Satsang dalle 8 alle 10, dopo di che potete andare a letto o parlare, come desiderate. Poi alle 4.30 del mattino, dovete sedervi per il Bhajan e continuare sino alle 5.30 a.m. Poi, lungo il giorno, dovete occuparvi della vostra ufficiale routine e, se vi va, potete parlare durante quelle ore. Ma appena siete liberi dai doveri ufficiali, non dovete perdere tempo in chiacchere o in compagnia di non Satsangis. Dovete prender il vostro pasto in privato. Non dovete mai fare cuocere il vostro cibo da non Satsangis nella vostra cucina, specialmente se mangiano carne o bevono vino. Se vi associate con non Satsangis, dovrete soffrire gli effetti della loro compagnia. (17 Ottobre, 1902)

Astinenza da cibo non vegetariano e bevande alcoliche è la prima condizione per intraprendere il Sentiero spirituale. Baba Ji sottolineò in egual misura il bisogno di onestà. Nella stessa lettera che abbiamo citato sopra, scrive:

Se vi offrono qualcosa gratuitamente, non accettatelo mai, come lo ripagherete? Se non vi attenete severamente a questa regola, non raggiungerete mai le Vette spirituali.

Non si deve vivere lontano dal mondo, ma considerare ogni oggetto con discriminazione ‘Il mondo intero è legato con le corde dell’amore per i genitori, i figli, le mogli e per le relazioni mondane’, e uno si deve liberare

74 da questa schiavitù. Deve essere un distacco interiore, e questo distacco interiore può realizzarsi solo tramite l’amore di un vero Maestro. Da qui il grande valore del Satsang, poiché è solo attraverso la sua compagnia che si possono assorbire i veri valori della vita, conoscere le delusioni di Maya (Materia), e assorbire un amore che sostituisce quello del mondo. Pace e benedizione irradiano dalla persona del Santo, e chiunque viene in contatto con il suo incanto è libero da tensioni mondane, ambizioni e gelosie. Lui considera tutte le creature per la loro stessa essenza, e sa che tutti gli ottenimenti mondani sono un’ombra passeggera. Solo un tale uomo può tagliare le maglie della Materia (Maya) e raggiungere i Mondi dell’aldilà.

La vita interiore

La perfezione della condotta esteriore è essenziale, poiché è l’unico ed indispensabile mezzo per raggiungere la Meta interiore. Amore e fede nel Satguru, abbandono di se stessi, e una vita eticamente irreprensibile, tutto converge in questo centro. L’ultimo Scopo dell’uomo è essere Uno con l’Assoluto; e se questo non viene raggiunto, il resto non è di grande aiuto. La questione della vera ascensione spirituale era la principale preoccupazione di Baba Ji come insegnante. Non spese molto tempo su questioni di teoria. Perché disputare? ‘Perche discutere?’ Lui avrebbe detto. ‘Rivolgiti dentro, entra all’interno e vedi tu stesso’. La sua corrispondenza con Baba Sawan Singh è una lunga esortazione a lasciare il mondo esteriore e ritirarsi nel mondo interiore, e ognuna della sue lettere ha qualcosa di valido da dire sulla attuale pratica della spiritualità.

Sin da quando l’anima è diventata vittima di Maya (Materia) attraverso la Mente e i sensi, la via della liberazione si attua attraverso il suo ritiro da questi. I due sadhans (discipline spirituali) che Baba Ji impartì come pratica, come fecero i suoi predecessori, sono Simran e Bhajan. Il primo, che implica la ripetizione dei nomi sacri del Signore, deve essere praticato a tutte le ore del giorno. ‘Tenete sempre il Simran in mente’, ingiungeva, ’anche mentre vi muovete o siete impegnati al lavoro’. Il costante pensiero dell’Uno Supremo è la più grande garanzia contro pensieri mondani e desideri. Aiuta la mente a tenersi libera dalle sue usuali occupazioni; e,

75 quando fatto con piena attenzione, al momento della meditazione o abhyasa, permette una veloce connessione alle correnti della consapevolezza nel centro spirituale tra e dietro le sopracciglia. Una volta che tale concentrazione, o Dhyan, è stata ottenuta, si può entrare in contatto con la Corrente del Suono; quindi, Dhyan (la concentrazione derivante dal Simran) conduce naturalmente al Bhajan, l’assorbimento nel Shabd Dhun (Corrente del Suono):

Quando state facendo il vostro Bhajan e Simran, non abbiate nessuna preoccupazione mondana nella vostra mente e non lasciatevi distrarre da alcun pensiero. Prima, fate Simran per un quarto d’ora; poi, gradualmente fissate la vostra attenzione nel Shabd Dhun. Poi abbandonate il Simran, e ancorate la vostra mente e anima nel Shabd. Sperimenterete grandi benedizioni, e una Suprema Grazia scenderà su di voi dalle più alte regioni.

Questo è lo schema generale. I dettagli, ovviamente, sono adeguabili. Il fattore tempo può variare, ma la giornaliera meditazione (abhyasa) deve essere mantenuta a tutti i costi:

Ascoltate la corrente del suono (Shabd Dhun), invocante nel tuo cuore, ogni giorno con grande amore e devozione, per quindici minuti, o cinque minuti, o un’ora o due, secondo il tempo a vostra disposizione. Ma ogni giorno dovete ascoltarla per un po’.20

C’è una grande bellezza nel Shabd. Ha una Musica che è oltre ogni musica creata dall’uomo e che porta l’anima verso Se Stessa. Stà eternamente chiamando lo spirito verso la sua Dimora Divina; e sebbene non sia sentito dall’uomo ordinario, tuttavia coloro che hanno sviluppato, attraverso la meditazione e la grazia del Satguru, la capacità del sentire interiore, possono sentire la Sua melodia ogni minuto del giorno, ora crescendo più forte, appena la mente si focalizza in un punto, ora affievolendosi e estinguendosi appena i pensieri di qualcuno si disperdono in varie direzioni e l’attenzione viene dissipata. E’ il Verbo (Shabd) ad essere la vera ancora del ricercatore. E’ il Potere consapevole che ha generato la creazione di ogni cosa, Il Verbo è anche il vero Maestro – lo Shabd Guru (il Verbo Maestro) – di cui il Satguru nella sua forma umana è la manifestazione fisica. Baba Ji una volta disse:

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Shabd Dhun (il Verbo o Corrente del Suono) – è la nostra vera forma. Questo corpo fisico è solo un vestito. Nessuno potrebbe tenerlo per sempre, e nessuno mai lo potrà… Credimi, o devoto, che la Forma dello Shabd del Satguru, che non ha inizio e non ha fine, è dentro il corpo.

Se si sviluppa un legame costante con la Musica interiore, questo lavora come uno scudo contro le afflizioni e le tristezze mondane. Le sfortune visitano ognuno, e i karma passati devono essere pagati; ma per l’uomo che si è radicato nel Shabd Dhun, essi hanno perso il loro pungiglione. Baba Ji, parlando per lo più a persone semplici, faceva capire l’insegnamento attraverso esempi e similitudini basati sulla vita del villaggio. Quindi, spiegando il Potere protettivo del Verbo (Shabd), diceva:

Il corpo è come un villaggio o una città, e il Shabd Dhun è la nostra stessa casa. Quando qualcuno muore o c’è una grande sofferenza nella casa di qualcuno, là ognuno è molto infelice; ma noi a casa nostra, siamo comunque felici.

Ancora, chiarendo il Potere magnetico e la presa della Musica interiore, in un’altra occasione scrisse:

…. Lo Shabd Dhun attirerà la mente e la terrà come si fa con gli animali, come capre e vitelli, tenuti stretti per mezzo di una corda.

I più grandi ostacoli del ricercatore sono la mente ed i sensi. E’ con il loro ausilio che l’anima è stata catturata nella rete di Maya, e l’anima deve liberarsi da questi per poter essere libera. Cessare l’esperienza dei sensi non è così difficile. Ma anche quando i cancelli dei sensi sono stati chiusi, la mente continua a disturbare e a distrarre. La mente è la radice del principio dell’ego e, perciò, la principale causa della separazione di jiva (anima) dal Signore dell’Universo. Come si può conquistare questo instancabile drago? Baba Ji sostenne che il primo rimedio si trova nella meditazione sulla Forma del Vero Maestro e nell’assorbimento nello Shabd:

Mi chiedete come controllare la vostra mente. Si contiene solo tramite il Verbo (Shabd). Ascoltate quotidianamente la sua Musica e meditate sulla Forma del Satguru. Poi la mente dovrebbe finire di divagare; e un giorno,

77 sostenuta dal Verbo (Shabd Dhun), l’anima raggiungerà Daswan Dwar (il terzo livello interiore e casa della Mente Universale). Quindi, lasciandosi l’apparato mentale alle spalle, l’anima si unirà con il puro Shabd e attraverso la grazia del Satguru arriverà al Sach Khand. Non abbiate dubbi, vi giungerà. (7 Gennaio , 1901)

Una volta che la mente è stata messa sotto controllo e non dubita e vacilla:

Allora la Forma Radiante del Maestro appare all’interno. Non c’è diversità tra questa e la forma fisica. E’ come il riflesso in un chiaro specchio. Ma fino a che il vetro non è trasparente niente può essere visto riflesso.

La mente è quindi uno specchio che, imbrattato dal flusso fangoso degli attaccamenti mondani, confonde e nasconde ogni cosa; ma dal momento che questo strato viene ripulito, esso rispecchia in se stesso ciò che è Universale. L’attenzione (surat), raccolta attraverso il Simran nel Tisra Til, (il terzo occhio o ‘occhio singolo’ interiore), si proietta attraverso questo con l’aiuto del magnetismo del Verbo (Shabd). Appena entrata nei reami interiori, incontra la Forma Radiante del Maestro che la accoglie e guida da lì in poi in ogni passo del suo Viaggio interiore.

Una volta che l’anima ha vinto l’accesso al Maestro nella sua Forma Radiante, il suo maggior compito è finito. Il resto è un problema di tempo. L’anima può, ovviamente, essere portata direttamente ai piani più elevati dal Satguru, ma questi svolge il processo gradualmente; tra l’altro, come nel caso dell’insistente Pundit, lo shock e lo stress possono essere troppo grandi.

Il Sanchit Karma (le azioni del passato che portano frutti nelle future nascite) e il Kriyaman Karma, (azioni in questa vita che portano frutti futuri) sono, naturalmente, rese inefficaci dal momento che il Maestro accetta qualcuno nella Sua comunità. Ma il Prarabd Karma, sul quale la vita presente è basata, deve essere risolto personalmente, altrimenti la morte seguirebbe immediatamente. Il Maestro richiede di esaurirlo il più rapidamente e il più facilmente possibile. Quando la gamba di Baba Sawan Singh Jì era fratturata, Baba Ji rivelò che non era il risultato di un mero

78 incidente ma erano Karma passati, i cui frutti non potevano essere evitati. Tuttavia la sua sofferenza, anche se non interamente cancellata, era stata mitigata attraverso l’intercessione del suo Satguru. Qualsiasi sofferenza sia venuta a te’, scrisse Baab Ji ‘ è solo la quinta parte; quattro parti sono state condonate’. Poi continuò ed aggiunse:

La sofferenza e le tribolazioni sono benedizioni travestite, perché sono ordinate dal Signore. Se il tuo beneficio è nel dolore, Egli manda dolore; se è nel piacere, Egli manda piacere. Piacere e dolore sono test per la nostra forza, e se uno non vacilla o devia, allora l’Onnipotente benedice queste anime con Naam (Shabd, Verbo). (8 Maggio, 1897)

Baba Ji diceva ai suoi discepoli di essere di buon umore qualsiasi difficoltà accadesse ai sui discepoli. Prima i loro bilanci venivano approvati, meglio era, e una speciale grazia era destinata loro nell’ora della prova:

Malattia e piaceri sono i frutti di azioni passate. A tutti coloro che sono ammalati è estesa una speciale grazia. Siate, quindi, privi di timori, ma sopportate con serenità. Durante la sofferenza, la mente non vaga e si dedica al Bhajan (meditazione) con pronto pentimento. Così benedetti sono i periodi di malattia quando la mente è diretta verso la meditazione (Bhajan). Questo è un dono speciale per i Satsangi (discepoli). Così quando malattia e dolore vi affliggono, accettateli come Volontà di Dio e dedicatevi ai vostri esercizi spirituali. Fintanto che l’anima è assorbita nello Shabd Dhun (Corrente del Suono), il dolore non sarà avvertito…Non è detto: ‘il piacere è la malattia e il dolore è il rimedio’ ? (17 Ottobre , 1902)

‘Una volta che qualcuno incontra un competente Satguru, impara la perfetta Via interiore e si lancia nel Viaggio spirituale’, direbbe Baba Ji. ‘C’è solo il saldo del dare e del ricevere che limita il volo dell’anima. Quindi l’anima non è abbastanza pura per catturare il Verbo (Shabd) Divino e si deve prima liberare da tutte le reazioni carmiche. Il Satguru deve liberarla da tutta la catena dei karma in questa stessa vita così da salvaguardarsi dalla necessità di riprendere successive nascite per ripagarli.’

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Da qui l’inevitabilità della sofferenza, ma fortunatamente per i discepoli, ‘anni di pene sono liquidati nel giro di giorni’. Lo Shabd Dhun (la Musica delle Sfere, il Verbo) è ‘l’angelo guida’, l’incantesimo protettivo. Se nella Sua ricchezza qualcuno vi stabilisce il proprio rifugio, i karma vengono metodicamente bruciati dalla Sua fiamma purificatrice. Quando la mente diventa più calma e i karma vengono esauriti, l’anima progressivamente viene divisa da Maya e, guidata dal Radiante Maestro interiore, penetra nei piani sempre più elevati. Il discepolo non deve preoccuparsi, il suo incarico è quello di attenersi ai comandamenti del suo Guru, e lavorare in accordo alla Sua Volontà. E’ a carico del Satguru il coronare i suoi sforzi come meglio Egli ritiene idoneo e appropriato, poiché è il Giudice migliore e fa ciò che è meglio per il discepolo:

Quello che il Signore considera meglio, lo attua. Non mettetevi in mezzo. Vivete secondo le parole del Maestro, e continuate ad eseguire i vostri doveri mondani. Quando il frutto è maturo, cadrà per suo conto senza danneggiare se stesso o il ramo che lo sostiene, e il frutto maturo è tenuto in grande considerazione. Ma se raccogliamo forzatamente il frutto immaturo dall’albero, il ramo viene danneggiato e il frutto crudo si secca ed è di poca utilità. Incontrare un Maestro Competente è il compimento della nascita umana: questo è il frutto della vita. Vivere secondo i Suoi comandamenti assicura la crescita. Il quotidiano Simran e Bhajan, al massimo possibile, sono i cibi e nutrimenti migliori, e la fusione con lo Shabd (il Verbo) è la maturazione e il declino. (3 Marzo, 1899)

Questo è il progresso dell’anima. Il suo maturare è una questione di stabile crescita. Sostenuta dalle parole del Maestro, nutrita da Bhajan, e trasportata dalla corrente del suono, essa trascende reame dopo reame fino a che si lascia dietro tutti i rivestimenti della mente e della materia e raggiunge Sach Khand. Questa è la sua vera dimora, il reame di puro spirito. Da lì, unendosi al Divino, si dirada progressivamente nel Senza Forma, sino a che, passando attraverso Alakh (l’Indescrivibile) e Agam (l’Inconcepibile), raggiunge Anami: la Sorgente Senza Nome e Senza Forma di tutto ciò che si muove ed esiste.

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Con qualcuno, come nel caso di Baba Ji stesso, considerando la conoscenza spirituale già ottenuta nelle vite passate, l’intero Viaggio viene compiuto a quella che sembrava ai suoi compagni una fenomenale e straordinaria velocità. C’erano altri che, attraverso la loro intensa devozione e abhyasa (meditazione, concentrazione), raccoglievano in una sola vita i frutti di molte nascite. Ma la stragrande maggioranza consiste in coloro che considerano la spiritualità come una fase passeggera di idealismo e che non fanno dello Shabd (Il Verbo) l’ancora di salvezza della loro vita, ma si rivolgono ad esso solo con discontinuità. Per queste persone il successo in una singola vita non è assicurato. Ma il seme dello Shabd, una volta seminato da un Maestro, non può andar perduto; e quello che non è germogliato in una vita può fiorire in seguito nella prossima, sotto la guida di una vivente manifestazione umana del Potere del Verbo (Shabd Power) al lavoro in quel tempo. E questo non è nemmeno necessario se qualcuno contatta già, prima della morte, la corrente di Naam e lava via tutti i desideri mondani; poiché, allora, potrà chiarire il residuo della sua salvezza da piani sovra-materiali. Una volta che un vero Satguru ha preso qualcuno nella Sua cerchia, questi è sicuro della liberazione e, prima o poi, arriva alla Casa Eterna. Anche se il Satguru lascia le Sue vesti mondane, la sua guida e protezione continuano inalterate. Per quelli che sono stati iniziati da Lui non c’è bisogno di cercare l’iniziazione di qualcun altro. Poiché se la forma fisica del Guru è mortale, la Sua ‘Shabd Form’ (Forma nel Verbo) è eterna e sempre vibrante. Si può, naturalmente, chiedere delucidazioni su punti complessi al compagno discepolo che è stato scelto da un Maestro per succedergli. Per quanto riguarda la guida interiore, questa continua a rimanere la sola responsabilità del Precettore anche se Egli non è più fisicamente in vita. Il solo dovere del discepolo è di seguire le pratiche ingiunte dal suo Guru, e sta a Lui coronarle con successo. Non ha detto Gesù (il Cristo):

“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” ?. – Matteo 28:20

E Soami Ji, nel suo ultimo giorno della sua missione sulla terra, non aveva assicurato i suoi devoti:

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Non abbiate alcun timore. Sono per sempre con ognuno di voi, e la vostra protezione e cura sarà anche maggiore di prima. - Jeevan Charitra, p. 11221

Una scienza antica

Baba Jaimal Singh diffuse il suo messaggio spirituale non come qualcosa di nuovo ma come una scienza antica. Le sue tracce si trovavano nelle scritture di tutte le fedi, ma raggiunse la piena fioritura, nella storia che abbiamo conosciuto, tramite Kabir e Nanak. I loro scritti rivelano inequivocabilmente che avevano realizzato la scienza interiore nel suo intero potenziale. La grande tradizione che queste anime Maestre avevano testimoniato fu continuata dai successori di Nanak e poi, come abbiamo già precedentemente visto in questo studio, passarono a Tulsi Sahib di Hatras, e da lui a Soami Ji di Agra, prima di ritornare con Baba Jaimal Singh nel Punjab.

Il Surat Shabd Yoga non è meramente una fede ma una scienza. Non era confinata solo all’India ma era nota ai più grandi Sufi, e annotazioni storiche suggeriscono che i due movimenti, in India e nel Medio Oriente, si incontrarono spesso e si intrecciarono. E’ un Sentiero aperto a tutti gli uomini e il più adatto ai nostri tempi. Soami Ji, nel diffondere il suo messaggio, non insegnava niente di nuovo. Faceva quello che i suoi grandi predecessori avevano fatto: rivitalizzare e reinterpretare, in accordo con i suoi tempi, le verità anticamente diffuse. Baba Ji rifiutò fermamente ogni insinuazione che il suo Maestro avesse scoperto un Sentiero completamente nuovo, come qualcuno più tardi arrivò a suggerire. Soami Ji stesso aveva dichiarato nel Sar Bachan (Poema), dopo aver affermato i suoi fondamenti:

Colui che non può realizzare questo fatto Si riferisca agli insegnamenti di Kabir e dei Guru Sikh Tulsi Sahib ha insegnato quelle verità, Anche Paltu e Jagjivan si riferiscono alle stesse. Io riporto agli scettici la testimonianza di tali mistici, Poiché i loro insegnamenti sono in accordo con quanto dico.

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E Soami Ji non basò spesso i suoi discorsi sugli scritti di Kabir, Tulsi Sahib, Bikha e specialmente di Guru Nanak?

Qualsiasi ipotesi che dopo il 1858 e ‘61 Soami Ji, mentre proseguiva sulle orme dei suoi predecessori, abbia improvvisamente trasceso raggiungendo qualche reame più elevato in precedenza sconosciuto a chiunque, può nel migliore dei casi solo darne una immagine travisata. Le sue composizioni poetiche sono il frutto degli ultimi anni della sua vita, ed in esse aveva detto che il Satguru era identico al Sat Purush:

Servi e adora il Guru poiché Lui è Nanak. Kabir è anche Lui, e così pure è il Sat Naam A dire il vero, ogni Santo è una forma incarnata del Senza Forma La tua liberazione verrà da Lui e Lui solo.

Alla luce di queste documentate affermazioni – per non parlare di quello che Soami Ji disse direttamente ai suoi discepoli – come qualcuno poteva essere così ottuso da rivendicare per lui una nuova scoperta?

Baba Ji sottolineò che Il Santo di Agra, nonostante quello che venne rivendicato più tardi (circa una decade dopo la morte di Soami Ji), diede sempre l’iniziazione ai suoi discepoli nel Simran del Panch Shabd (Il Verbo). Infatti, questo era il primario terreno di differenza in base al quale Baba Ji era contrario ad aderire al Consiglio Amministrativo Centrale di Soamibagh nel 1902. Il più grande dei Santi del passato aveva messo i suoi discepoli sulla via dal Panch Shabd, affermò Baba Ji, come era evidente dai loro scritti:

Kabir, attraverso l’aiuto dei Cinque Nomi è ora per sempre unito nel silenzio del Senza Forma - Kabir

Conoscilo come vero Maestro che apre in te la Via di ritorno a Dio,

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E ti guida sul Sentiero spirituale con il fervido Richiamo dei cinque Suoni. -Nanak

Senza il Satguru non si trova il segreto di Naam, Dolce è l’Elisir dello Shabd che fluisce attraverso il Simran dei cinque Nomi -Guru Amar Das

Benedetto davvero sia colui che, attraverso la grazia del Maestro, dischiude l’eterna Melodia dei cinque Suoni. -Guru Arjan

Anche Tulsi Shaib si riferisce esplicitamente alla stessa cosa nei suoi scritti.

Soami Ji rispettava e riveriva i Santi e ne seguiva lo stesso corso. Nel Sar Bachan (Poetry) egli affermava chiaramente un punto:

Continua a ripetere i cinque Nomi, e concentrati sullo scuro punto all’interno.

Baba Ji afferma che quando Soami Ji iniziò ad usare il termine ‘Radhasoami’, portato in voga dal suo devoto e amato discepolo Rai Saligram, egli, non iniziò una nuova fede o credo. Semplicemente accettò la parola come ancora un ulteriore nome per l’Innominabile Infinito, interpretando questo termine sul piano esteriore come unione del discepolo (Radha) e del Guru (Soami), e sul piano interiore come unione della corrente dell’anima (Radha) e della Sua Origine (Soami). Quando Babu Sawan Singh Ji obbiettò l’uso di questa nuova parola a Murree nel 1894, Baba Ji, come abbiamo già visto, prese una copia del Sar Bachan (poetry) e lesse il verso:

Radha è il nome della primaria corrente dell’anima (surat); Soami è il nome della principale Sorgente del Verbo (o Shabd).

Baba Ji spiegò che l’Assoluto nel Suo ultimo stato era senza forma e indescrivibile, eppure i Santi, nel loro fervore di indicarLo ai loro discepoli,

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Gli diedero infiniti nomi. Gli autori di Vishna Sahasranama e del Jaap Shaib non avevano coniato centinaia di nomi per il Creatore Misericordioso? Allora per quale motivo obbiettare ‘Radhasoami’?

La Realtà che Soami Ji cercava di evidenziare con il termine ‘Radhasoami’ era stata riferita dai suoi predecessori con altri nomi come Kasham o Soami (Supremo Signore), Maha Dayal (Tutta Grazia), Nirala (Il Misterioso), Nirankar (il Senza Forma), e Anami (il Senza Nome). Quindi, Kabir una volta disse:

Il Tempo e l’Infinito entrambi sgorgano da un’unica Sorgente. E sono Essenziali per la Sua Manifestazione

E Nanak ha dichiarato: Soami è il Signore di tutta la creazione E il Maestro di tutte le anime

Tulsi Shaib ha parlato in maniera similare: Io indico come ‘Soami’ il Creatore di tutto quello che esiste.

Soami Ji stesso, come il suo Maestro, invocava la Suprema Realtà come ‘Soami’ o, ancora più spesso, come ‘Sahib Soami’ e ‘Satguru Soami’. Egli, in sostituzione della parola ‘Radhasoami’, usò liberamente quei termini nei suoi discorsi e lettere. E’ proprio probabile che gli stessi si susseguissero anche nella sua composizione poetica originale, e vennero sostituti dalla parola ‘Radhasoami’ circa sei anni dopo la sua morte per uno scopo di omogeneità quando gli scritti (circa cinquanta o sessanta) vennero raccolti insieme nel volume intitolato Sar Bachan (Poesie), nella quale la parola ‘Radhasoami’ sostituiva e indicava sia il Fine Ultimo – Soami o Anami – o il Guru.

Baba Ji era quindi pronto ad andare sino a quel punto ma non oltre. Egli rispettò il nome ‘Radhasoami’ come un altro tentativo di nominare il Senza Nome, ma non poté accettare lo speciale significato mistico che iniziò ad essergli attribuita dopo la morte di Soami Ji. Il Santo di Agra stesso non aveva detto nel Bachan 115, Parte II, del Sar Bachan (Prose):

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Naam (Il Verbo) è di due tipi: Varanatmak e Dhunatmak. Innumerevoli sono i benefici dal Dhunatmak Naam E difficilmente nessuno dal Varanatmak Naam22

Tutti i nomi che potevano essere espressi verbalmente erano Varanatmak ed erano, perciò, esteriori e soggetti a variare da persona a persona, e da popolo a popolo. Lo Shabd interiore (Dhunatmak Naam) è lo Stesso in tutte le età e lo Stesso per tutte le genti. Si tratta di mera Armonia (Musicale), che sfugge ad ogni espressione verbale o descrizione, è la Sorgente di tutta la creazione e, quindi, il solo oggetto della meditazione (abhyasa) del ricercatore. Ogni parola che si trova nella mente di qualcuno sembra riverberare in quel Principio Sonoro. Baba Ji, fedele allo spirito del suo grande Guru, senza esitazione dichiara:

‘Ogni parola che può possibilmente essere portata in espressione e scrittura non può essere un Suono spirituale interiore, Che è la tacita e non scritta Legge ed Ordine dell’intera creazione.’

Come poteva la parola ‘Radhasoami’ essere Dhunatmak quando doveva essere portata in espressione esteriore, e come si poteva dire che ‘risuonava’ nella più alta sfera spirituale dove la forma non esiste e dove il Verbo Stesso non si è ancora manifestato?

Il suo Maestro, spiegò Baba Ji, ha sempre sostenuto che i suoi insegnamenti sono quelli di Kabir e di Nanak e non ha mai dichiarato di essere entrato in reami sconosciuti a ognuno prima di lui nella storia dell’umanità. I grandi mistici del passato hanno lasciato chiare testimonianze del loro accesso a tutti gli otto piani, e si legge in Nanak:

Solo colui che trascende il Sat Lok (Reame della Verità) Conosce l’essenza di Agam e Alakh. (dell’Inconcepibile e dell’Indescrivibile) I Santi hanno la loro dimora al di sopra di Questi, E anche il povero Nanak abita Là.

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Le ultime parole di Soami Ji collocano la sua adesione al tradizionale Sentiero oltre ogni ombra di dubbio. Egli, ha chiarito che non aveva niente a che fare con ‘Radhasoami’ sviluppato come culto. Il Suo Sentiero era quello di Sat Naam (Il Verbo) e di Anami (Dio Uno e Assoluto), e accettò il termine ‘Radhasoami’, solo come un altro nome Varantmak (esteriore) per l’Innominabile.

Tutti i nomi, come ‘Sat Naam’, ‘Onkar’, etc., dati per il Simran sono, allo stesso modo, Varanatmak (esteriori). Le loro funzioni sono solo: a) aiutare a costruire Dhyan, o la concentrazione diretta in un punto; b)servire come parola chiave per attraversare da un piano all’altro.

Il compito dell’anima (e quello del Satguru) è di raggiungere il quinto piano, Sat Lok; e per questo, cinque parole d’ordine, una per ogni reame, sono necessarie. Una volta che l’anima entra nelle regioni di puro spirito, nessuna altra parola è necessaria. Appena l’anima vede il Sat Purush (Dio Assoluto)– la Divinità di Sat Lok o di Sach Khand (Reame della Verità), e la prima definita manifestazione di Naam e prima Forma del Senza Forma e del Senza Nome – realizza che Egli (Sat Purush) e il Satguru non sono distinti, ma una sola ed identica Entità, e questa è anche la Loro stessa Essenza. La sua ricerca per l’Assoluto è alla fine terminata, e inizia a unirsi in Lui. Appena l’anima entra sempre più a fondo, venendo assorbita dalla Forma al Senza Forma, passa attraverso Alakh (indescrivibile) e Agam (inconcepibile) fino a che finalmente perde se stessa nell’Oceano di Beatitudine e Coscienza che è la Suprema Realtà dietro ogni nome e forma: ineffabile, immacolata, indescrivibile e non misurabile. E’ ciò che è, e niente di più può essere detto. Il solo modo concepibile per descriverla è attraverso negazioni: non è né Luce né oscurità, né suono né silenzio. Nessun Shabd (verbo) può essere prodotto per risuonare Là, poiché Shabd non si è ancora manifestato; e affermare che le melodie di ‘Radhasoami’ si potevano sentire vibrare Là, era una contraddizione in termini.

Tutti gli Adepti del Surat Shabd Yoga (Yoga del Verbo) del passato hanno insegnato in questo modo. Ogni attento studioso dei loro scritti poteva vedere che tutti hanno considerato l’ingresso al quinto piano come la Meta che sia il discepolo che il Guru devono avere davanti a sè. Per raggiungere Questo, il Simran dei cinque nomi sacri è essenziale; e una volta che

87 l’anima entra nel Sat Lok, è compito del Sat Purush (La prima Manifestazione del Potere Divino) unirla a Se Stesso e permetterle di procedere oltre all’interno del Senza Forma e del Senza Nome (indescrivibile e inconcepibile). E’ proprio questo processo a due fasi che Soami Ji sottolineava quando diceva: Il Mio sentiero è il sentiero di Sat Naam (Il verbo prima espressione di Dio Assoluto) e di Anami Naam (Dio Assoluto e Uno non ancora manifestatosi) Alla conclusione del Bachan 26 nel Sar Bachan (Poesie), mentre descriveva l’entrata dell’anima nel Sat Lok e il suo Viaggio nell’aldilà, egli rese davvero molto chiaro l’intero metodo e non lasciò ombra di dubbio:

Dal Loto là si alzò una Voce: ‘Dì chi sei, e cosa ti porta qui’ ‘Il Mio Satguru mi diede la Chiave di questo Reame E attraverso la Sua grazia sono benedetto con il Tuo darshan’ Guardando il Signore, fui perso in estasi; Immediatamente il Sat Purush parlò Dischiudendo i segreti di Alakh Lok, E con il Suo Potere salii oltre. La Forma dell’ Alakh Purush sfugge ogni descrizione. Agam Purush, Il Signore di tutte le creazioni; La Sua Vista meravigliosa non può essere descritta, e la Sua gloria non può essere resa in parole.

Baba Ji aderì rigorosamente agli insegnamenti originali del Suo Maestro, e assicurò ai suoi discepoli che se avessero vissuto secondo le sue istruzioni, sicuramente avrebbero ‘raggiunto Sach Khand, e, dopo aver attraversato Alakh e Agam, si sarebbero immersi in Anami-Radhasoami, la Regione Meravigliosa’. I Santi del passato hanno ottenuto il sommo Stato attraverso l’azione dei Cinque Nomi, perché allora cambiarli ora? Perché parodiare il messaggio di Soami Ji solo per iniziare un nuovo culto? Il Surat Shabd Yoga è una Scienza antica e non cambia da un giorno all’altro.

Prima del suo ultimo giorno, Baba Ji chiamò tutti i suoi discepoli, allora presenti a Beas, e dichiarò: ‘E’ la Volontà di Din Dayal Soami Ji Maharaji che io apra le porte della Casa dei Tesori spirituali ancor più ampiamente di prima. Il mio Maestro desidera che io vi dia, persino con più minuziosi

88 dettagli rispetto a prima, una descrizione dei reami interiori, i primi cinque e gli ultimi tre, così che non possiate avere dubbi e dire che colui che era nei favori di Soami Ji se ne andò in silenzio’. Poi parlò a lungo delle meraviglie dei mondi interiori, e terminò con le parole che abbiamo già citato nella conclusione della biografia: ‘Tutta la mia vita ho cercato di servire il mio Maestro, e ora qualsiasi cosa che gli doveva compiere attraverso questo povera forma fisica è terminata’

E’ impossibile ridurre a mere affermazioni gli insegnamenti espressi da un grande uomo. Il compito diventa doppiamente difficile nel caso di un Santo della grandezza di Baba Jaimal Singh Ji. Tali spiriti parlano di una saggezza che non possiamo capire, e non agiscono come esseri umani limitati ma come rappresentanti del Signore:

Quello che il mio Signore mi dice, O Lalo, quello solo io esprimo. -Nanak, Tailag M. 722

I messaggi dei Santi vivono in ogni piccola parola che dicono e in ogni piccolo gesto. L’astratta dichiarazione della loro filosofia non è altro che lo scheletro di ossa e cartilagine che manca dell’insieme di carne e sangue del loro diretto impatto sui loro discepoli. Chi può ora ricordare quelle parole di saggezza, di pace, di consolazione, di rassicurazione, di incoraggiamento, di amorevole rimprovero che Baba Ji pronunciava mentre si muoveva tra i suoi discepoli? E chi può ora testimoniare quei piccoli atti di altruismo, gentilezza, e amore sovraumano che inconsapevolmente rivelavano a chi era intorno a lui l’assoluta certezza della verità di ciò che il Saggio aveva detto? Se mai c’era un problema che non poteva essere risolto, egli si sedeva assorto in meditazione ; e quando ritornava dai piani interiori, la risposta era con lui. Ma a parte pochi brevi resoconti annotati si è perso per sempre il significato espresso a parole, e il tacito significato espresso solo con gli occhi, i consigli su svariati soggetti dati al flusso senza fine di discepoli e ricercatori – tutto questo è andato perso. Possiamo solo dare questo guscio, lo scheletro, e lasciare il resto al lettore. E per un migliore ricordo di Baba Ji e per nostra convenienza riassumiamo qui alcune delle principali caratteristiche del suo messaggio, il più antico, e,

89 nelle sue mani, come in quelle di ogni grande Santo, ancora il più attuale e il più vitale.

Il Surat Shabd Yoga

E’ la più elevata forma di yoga che porta l’anima alla propria Sorgente, la Sorgente di tutta la vita e della creazione, Anami, Senza Forma e Senza Nome. E’ la via più economica e veloce e può essere praticata da tutti, giovani e vecchi, bambini e donne, casalinghe e non. Infatti, è la più adatta ai nostri tempi mentre le altre forme yogiche, cosi lente ed esigenti, sono quasi impossibili da praticare. Soami Ji non sbagliò quando nel suo ultimo giorno disse, ‘In questo yuga (ciclo temporale) niente può essere d’aiuto eccetto devozione per un vero Maestro e la pratica del Naam’. - Jeevan Charitra, p. 112

Il Satguru o il Vero Maestro

E’ l’incarnazione del Sat Purush (la prima manifestazione di Dio Assoluto) nella forma umana, essendo divenuto Uno con Lui. ‘Il Verbo si è fatto carne e vive tra noi’. Senza l’aiuto di un tale Maestro vivente niente è possibile. I Maestri del passato possono aver traghettato dall’altra parte i loro contemporanei, ma non possono essere di grande utilità per noi. Il Verbo Maestro deve essere sempre contattato attraverso la mediazione della Sua manifestazione vivente. La sola infallibile prova per la competenza in questo campo è l’abilità del Satguru nel dare qualche esperienza diretta che può esser sviluppata in seguito. Se si trova un vero maestro è necessario concentrarsi sulla disciplina interiore. La Sua guida è sempre con noi e non termina nemmeno quando ha lasciato il piano fisico.

Il Gurmukh o l’Autentico Discepolo

Avendo trovato un Maestro puro, e dopo aver risolto tutti i dubbi, è necessario non venir meno all’ideale di un discepolo perfetto. E cosa

90 significa essere una tale perfetto discepolo? Significa avere piena fede nel Satguru, e non mettere mai in dubbio la sua saggezza e autorità. Significa essere persi nel suo amore mentre si lavora o gioca, perché solo un tale amore può purificare il cuore dagli amori imperfetti del mondo. Inoltre, avendo questa fede e amore, si segue al meglio della propria abilità la sua ingiunzione ‘Se mi ami, seguirai i miei comandamenti’. Se un discepolo sviluppa queste qualità e si arrende completamente alla Volontà del Satguru, verrà liberato dai desideri mondani, diventerà un adeguato recipiente del Verbo (Shabd Dhun) e la grazia e la generosità del Maestro scenderanno su di lui come un’ inondazione che forza tutte le chiusure e le barriere interiori.

L’esterno e l’interno

La Via della salvezza non si trova all’esterno, è all’interno. I rituali esteriori sono vani, e sebbene sia positivo onorare la memoria dei Maestri passati, essere persi nell’adorazione dei loro santuari (samadhs), statue o fotografie non può essere di alcuna sostanziale utilità. Bisognerebbe considerare le loro vite come un modello e, come loro, concentrarsi sul mondo all’interno. Baba Ji stesso spendeva intere settimane nel Bhajan (ascolto del suono interiore) e Simran (la ripetizione dei cinque nomi), con solo poche interruzioni per il cibo. Egli incoraggiò sempre i suoi discepoli a dedicare quanto più tempo potevano alla disciplina spirituale (shadans) che aveva loro insegnato. Il costante ricordo del Signore è la migliore protezione contro ogni attaccamento e contro Maya (la Mente), e durante tutte le ore del giorno si dovrebbero ripetere i cinque nomi del Simran. Non meno importante è Bhajan, che richiede una attenzione ancora più concentrata. Qualsiasi fosse la situazione, se impegnato o meno in doveri esteriori, il discepolo deve trovare ogni giorno un po’ di tempo– può anche essere poco – per Bhajan. Solo attraverso il mantenimento del legame con lo Shabd, il verbo, ogni cosa può essere conquistata. E una volta che il discepolo, attraverso una pratica costante, rafforza il legame con Shabd, la Musica interiore scorre incessantemente a tutte le ore del giorno, diventando un fervido continuo richiamo che lo invita all’interno innalzandolo abilmente, come una veste di seta, al di là delle spine dei desideri terreni.

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In breve, Baba Ji insegnò la spiritualità come una non-settaria disciplina interiore che era accessibile a tutti. Enfatizzò sempre che la questione non è relativa a forme o sette esteriori: è interamente una questione di purificazione e pratica interiori. Colui che trova un vero Maestro e diventa un discepolo idoneo, e si dedica instancabilmente ai sadhan che gli sono stati insegnati, raggiunge, senza dubbio, prima o poi, Sat Lok (la regione della Verità). Il compito del Satguru è di portare l’anima al Sat Purush, alla vista del quale essa realizza di essere della stessa essenza e vede il Satguru e il Signore Supremo come Uno e indivisibile. Là (l’anima) si fonde al Sat Naam (la Primaria Corrente del Suono), con il cui aiuto procede oltre verso Alakh, Agam, Anami (o Radhasoami) (la regione al di là della possibilità di descrizione della mente), e ancora più in là fino alla Meravigliosa Regione– come si evince da una delle lettere di Baba Ji (presentata in Spirital Gems) – ognuna delle quali classifica ogni successivo stadio dell’assorbimento dell’anima, che da nome e forma si immerge nel Senza Nome e Senza Forma, lo stadio finale al di là di tutte le forme di Luce e Suono e quindi interamente indescrivibile in termini di umana esperienza.

Si può riuscire in questo Sentiero a prescindere dal background sociale o religioso. Fedele alle istruzioni di Soami Ji, Baba Ji cercò di interpretare la spiritualità nel modo meno settario possibile. Eliminò molte delle vecchie pratiche esteriori, prima tra tutte il bhaint o tributo al Guru, lasciando interamente alla scelta del discepolo la condivisione durante lo svolgimento del Satsang. Non incoraggiò nemmeno l’uso di qualche particolare modo di saluto che potesse diventare l’emblema di credo. Mentre era a Murree, una volta Bibi Rukko (sotto l’influenza di una recente visita ad Agra) insegnò ai Satsangis (discepoli) a salutare la venuta di Baba Ji con le parole ‘Radhasoami’. Baba Ji fù lontano dall’esser compiaciuto: ‘Vedi in futuro di non ripetere l’errore’ , l’ammonì, ‘Noi anime non possiamo creare nuove sette o credi. Siamo qui per dissolvere tutte le differenze. Perché distrarre queste genti semplici con questi slogan esteriori? Il mio scopo è di portarli all’interno, e lascia che mi salutino ognuno in accordo alla tradizione della sua comunità’ Come abbiamo già visto, egli aveva un gruppo di discepoli Musulmani e non diede mai loro l’impressione che essi dovevano rinunciare in qualche modo alla loro fede. E’ solo un campo di studio, come matematica o astronomia, che genti di

92 tutto il mondo possono accettare e praticare; e quello che lui insegnò loro sono le stesse specifiche verità che i più grandi dei Sufi, come Jalal-ud-Din Rumi, Hafiz, Shamaz Tabrez, o Inyat Khan hanno insegnato ai loro discepoli.

Questo compito è stato portato avanti dal figlio spirituale di Baba Ji, Hazur Baba Sawan Singh Ji. Durante il ministero di Hazur, la profezia di Baba Ji si realizzò e il Satsang si espanse straordinariamente. Il messaggio del grande Maestro fu portato oltre gli oceani, e uomini di tutte le fedi trovarono rifugio presso di Lui. In conformità a questi nuovi sviluppi e per adattarsi al mutato spirito dei tempi, Hazur Sawan Singh iniziò a interpretare il messaggio eterno come scienza interiore. Più e più parti del rituale esteriore vennero eliminate, e cerimonie come charan-amrit o mukh-amrit, sparirono completamente. Come Baba Ji, Hazur era sempre disposto ad incontrare i leader spirituali di tutte le fedi; e il dottor Julian Johnson, uno dei suoi discepoli americani, annotò nel suo libro Con un Grande Maestro in India, come Hazur visitasse i luoghi di preghiera di ogni fede, ovunque andasse.

La tendenza scientifica ha continuato a acquisire forza, e gli uomini non sono più disposti ad accettare come in passato la Spiritualità come una questione di fede devozionale. ‘Dobbiamo essere convinti’, dicono, ‘dobbiamo avere prove. Non possiamo essere soddisfatti semplicemente facendo, in modo cieco, quello che gli avi hanno fatto.’ Così, tenendo il passo con questi sviluppi, il Ruhani Satsang in Delhi ha finalmente abolito, secondo i desideri di Hazur Sawan Singh Ji, le ultime tracce di rituale. Persino la fotografia del Maestro vivente non viene più esposta all’attenzione. Spogliata di tutte le sue incrostazioni esteriori, la Spiritualità emerge come scienza, scientifica quanto ogni altra scienza ed egualmente verificabile nei suoi risultati. Ogni ricercatore può impadronirsene creando nel laboratorio dell’anima le condizioni che sono il presupposto e, sicuro come il giorno segue la notte, egli salirà nel Regno di Dio.

1 Per maggiori dettagli in merito, il lettore deve riferirsi a ‘Naam, il Verbo’ dello stesso autore, uno studio che dà un ampio resoconto di tutti gli insegnamenti in tutte le ere.

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2 Cfr. Shri Des Raj, Hindu Sikh Ithras 3 il passaggio della fiaccola della vita da una generazione all’altra (Lucrezio) 4 Chacha Partap Singh, Jivan Charitar Swamiji Maharaj, p. 6; S.D. Maheswari, Correspondence with Certain Americans, p.221 5 Chacha Partap Singh, op.cit. p. 109 6 Ibidem, pp. 33-34 7 Ibidem, pp. 93-96 8 Jivan Charitar Babuji Maharaj, Vol. III, p 29. 9 Ajodhya Parshad, Jivan Charitar Hazur Maharaj, p. 36. 10 Chacha Partap Singh, op.cit.,p.5 11 Lucknow: Nawalkishore Printing Press. 12 Sansar Da Dharmic Ithas 13 Chacha Partap Singh, op. cit., p 52 14 E’ riportato nella vita di Guru Nanak che il grande saggio stava viaggiando nella regione con i suoi devoti discepoli, Bala e Mardana. Il gruppo stava sentendo una grande sete e sembrava non esserci acqua intorno. Il saggio diresse i suoi fedeli da Wali Kandhari, un mussulmano eremita che viveva sulla collina vicino ad una fonte. Wali, perso nel suo orgoglio, mandò via gli stranieri a mani vuote. Quando essi ritornarono ancora con la richiesta del loro Maestro, egli schernì: ”Se il tuo Guru è un grande uomo come affermate, non può nemmeno calmare la vostra sete?” Quando queste parole vennero riferite a Nanak, si alzò ai piedi della collina, sorrise e colpì la roccia con le mani aperte. Immediatamente un getto di acqua cristallina sgorgò e ognuno bevve a sazietà. Wali rimase pieno di rimorso, ma ora era troppo tardi; con sua costernazione scoprì che la sorgente che scorreva dalla sua dimora improvvisamente si prosciugò. 15 Nel passato era una normale pratica per i Mistici di iniziare per gradi i loro discepoli alla Scienza interiore. Dopo che il sadhak (iniziando, colui che muove l’iniziale passo) aveva appreso il primo stadio, veniva preparato ai Misteri del prossimo, e così via sino alla fine. Il metodo non era di per se obbiettabile, ma spesso portava a risultati del tipo che di cui abbiamo appena fatto nota. Dopo che era stato iniziato da Soami Ji ad Agra, Jaimal Singh avrebbe incontrato un altro caso come quello di mahatma Chikker, pochi anni più tardi in Delhi, dove incontrò un fachiro musulmano che soffrì della prematura morte del suo maestro. Per evitare tali incidenti, i Maestri del Surat Shabd Yoga oggigiorno iniziano i loro discepoli direttamente nei Misteri di tutte i cinque piani che l’anima deve attraversare prima di immergersi nell’Assoluto. 16 Quello che non possiamo spiegare in termini di ciò che conosciamo, normalmente lo chiamiamo ‘miracolo’. Quindi la prima testimonianza di locomozione apparì a coloro che la videro come una meraviglia, eppure difficilmente oggi qualcuno la considererebbe come tale. Allo stesso modo, colui che ha praticato la Scienza interiore sà che quello che la gente considera come miracoli non sono miracoli, ma sono basati su più alte leggi della creazione, accessibili solo a Scienziati dello Spirito

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che hanno esplorato i misteri del Sentiero Mistico. Vedete in merito a ciò, il capitolo su ‘La Legge dei Miracoli’ nella sua Autobiografia di uno Yogi di Inayat Khan. 17 Lettera di Chacha Partap Singh, datata 4 Agosto, 1902: Amato del Satguru, purificato dal Verbo, puro in viso e intelletto, Baba Jaiaml Singh, Ho ricevuto la tua lettera ed ero molto grato di leggere il suo contenuto. E la pietra iscritta che hai suggerito sarà messa nell’edificio. Puoi essere certo di ciò. Mio figlio, Suchet Singh, si è ritirato in pensione. Sono, comunque, dispiaciuto nel notare che c’è una tendenza a formare diverse sette e cricche nel nostro Sangat, e che tutti i Satsangi non sono in armonia tra loro. Per questo motivo sono dovuto venire qui (in Allahabad). Abbiamo deciso che Satsang Central Association dovrebbe iniziare. Pandit Ji ha insistito che io debba essere il presidente e lui sarà il vice presidente; quel Lala Ajodhia Prashad, figlio di Hazur Sahib Maharaji (Rai Bahadur Saligram), e altri otto, incluso te, dovrebbero esserne i membri. O, in ogni modo dieci membri dovrebbero essere selezionati dai Satsangi per maggioranza. Perciò ti sto inviando un opuscolo contenente una completa descrizione di questa Associazione centrale, e te ne possiamo inviare quante copie sono necessarie. Ti prego di dare istruzioni a tutti i tuoi Satsangi che sponsorizzino i dieci nomi seguenti e sottoscrivano questi opuscoli come segno della loro nomina. Se hai Satsangi in posti lontani, dovresti chiedere anche a loro la stessa cosa. Ti do di seguito i dieci nomi riferiti qui sopra: 1. Lala Ajhodhia Prashad 2. Pandit Brahm Shankar Misra Sahib 3. Lala Baleshwar Parshad 4. etc….. Ci si aspetta che con la costituzione della Società, diversi gruppi e cricche spariranno e i Satsangi si ameranno l’un l’altro come fratelli. Gentilmente manda questa lettera a Babu Sawan Singh anche per sua informazione. 18 La maggior parte delle citazioni delle lettere di Baba Jaimal Singh, nelle pagine che seguono, sono tradotte direttamente dal Gurmukhi originale. Il lettore che desidera consultare l’intera corrispondenza di Baba Sawan Singh Ji può consultare il libro Gemme Spirituali (Beas, 1958). 19 Baba Sawan Singh Ji infatti, in una lettera a uno dei suoi discepoli, presenta molto chiaramente la necessità nel Sentiero Mistico di un Maestro vivente: “Quando ero all’ospedale a causa della frattura della mia gamba, un giorno mentre stavo meditando, la forma di Baba Ji apparve davanti a me. Baba Ji o piuttosto quello che apparve nella sua forma, disse: Se in caso di emergenza, carne e alcolici vengono usati, non c’è alcun pericolo. Ma quando ripetei i Cinque Nomi, si alzò e se ne andò. Ora poiché avevo visto Baba Ji nella vita reale e potei visualizzarlo, scoprii questo tranello. Ma coloro che si concentrano su vecchi Maestri che sono morti migliaia di anni fa, sono facilmente ingannati. I Suoi (di Baba Ji) occhi e la sua fronte non possono essere imitate. Quindi, c’è sempre bisogno di un insegnante vivente per l’allievo, un medico vivente

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per il malato, un marito vivente per la moglie, e un governante vivente per la genti. Sostengo che nessun altro può aiutare un discepolo tanto quanto un Maestro vivente.” - Gemme Spirituali (pag 150) 20 Anche Hazur Baba Sawan Singh Ji mise molto in rilievo questo: ……non importa in quali circostanze uno trovi se stesso e quali problemi stia affrontando, un devoto non deve perdere il suo Bhajan. Può farlo per quindici minuti o per cinque al giorno, ma dovrebbe farlo senz’altro.- Gemme Spirituali (page 462) 21 Sarebbe rilevante chiarire qui la controversia iniziata da Shri S.D. Maheshwari in his ‘Radhasoami faith, history and tenets’ (Agra, 1954), Chapter 22, riguardo il paragrafo 250 del Sar Bachan (Prose). Il Sar Bachan (Prose) non era scritto da Soami Ji stesso, ma era basato su dettature e note prese dai discepoli, e venne pubblicato alcuni anni dopo la morte di Soami Ji. Quando Baba Jaimal Singh si impegnò per avere il Sar Bachan (Poema) ripubblicato a Beas, aderì strettamente al testo di Agra eccetto per il paragrafo 250 che, egli ne era convinto, dava una erronea immagine degli insegnamenti di Soami Ji. Soami Ji aveva sempre detto che una volta che un vero Maestro ha preso un discepolo sotto la sua ala, non lo avrebbe abbandonato in nessun modo. Anche se il Maestro lasciava il mondo fisico, la sua guida continuava, e noi abbiamo già citato le ultime parole di Soami Ji sull’argomento. Non deve essere nemmeno dimenticato che mentre indirizzava i suoi discepoli a Rai Saligram Soami Ji espressamente dichiarava che se loro desideravano elucidazione (e non ‘iniziazione’) su ogni punto, potevano consultare Saligram in merito. Tenendo in mente quanto sopra, Baba Jaimal Singh Ji aveva come Bachan par. 250 della edizione di Agra un capoverso che affermava: ‘un discepolo non poteva fare progressi dopo la morte del suo Guru fino a che non trovava il suo successore’… e lo sostituì con il seguente , in accordo con gli insegnamenti originali di Soami Ji: Se qualcuno è iniziato da un perfetto Satguru ed ha amore e fede in Lui, servendolo devotamente, e prima di essersi sviluppato a fondo il Guru trapassa, dovrebbe continuare a contemplare la Sua Forma e fare gli esercizi indicati dal Guru. Lo stesso Satguru, nella sua forma radiante, continuerà a portare avanti il lavoro come lo ha iniziato, e lo porterà avanti sino al finale successo, come se egli fosse ancora nel corpo. Affermato in questo modo, Bachan par. 250 si adatta perfettamente al Bachan 254 che manca di armonizzarsi nella versione di Soamibagh (Agra). 22 Alla luce del Bachan 115 di Soami Ji, citata sopra, che Shri S.D. Maheshwari stesso cita (Corrispondenza con certi americani, pag 193 – Agra, 1960), uno manca di realizzare come Shri Mahershwari potesse fare egli stesso una tale ovvia auto- soppressiva affermazione come:

‘Radhasoami’ risuona in piena effulgenza nelle alte sfere (pag 192). Come la parola ‘Om’, ‘Sat Naam’ risuona nella sede del Sat Purush (Vero Essere). Nello stesso modo il Verbo o Suono ‘Radhasoami’ risuona nel Radhasoami Dham. ( il Regno di Radhasoami) (pag 266)

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E’ quindi interessante apprendere che (per l’autore) l’Hindi è la lingua franca del mondo trascendente. Uno pensava che lo Shabd interiore fosse Dhunatmak (interiore) – Musicale e irriducibile a essere parlato e non Varantmak (esteriore) - e inoltre che Anami o il Reame di Radhasoami era oltre il Naam (Suono) e Forma, come Il Genitore e Creatore di Shabd (che venne in piena manifestazione solo nel Sat Lok) e non la sua sede o centro. Non è irrilevante qui chiarire che i Mistici sono riusciti a descrivere la Musica dello Shabd solo sino al quinto piano – parlando del suono come di una campana, la conchiglia, il tamburo, il Kingri (l’arpa mono-corda), il flauto, etc. ma oltre quello, sono stati obbligati a pronunciare solo ‘Herat! Herat! Herat!’ – Wonder! Wonder! Wonder! Forma e Shabd, come abbiamo già affermato , progressivamente spariscono dopo il quinto piano, e alla fine quello che rimane è l’Oceano di Beatitudine Consapevole che sfugge ad ogni descrizione.

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Sant Kirpal Singh durante i suoi viaggi per conto della Worldwide Fellowship of Religions

Pubblicato e Stampato da: Unity of Man, Verein zur Verbesserung der menschlichen Steinklüftstrasse 34 A-5340 St. Gilgen, Austria www.unity-of-man.org Prima edizione 2015