I BENANDANTI Stregoneria E Culti Agrari Tra Cinquecento E Seicento

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I BENANDANTI Stregoneria E Culti Agrari Tra Cinquecento E Seicento Carlo Ginzburg I BENANDANTI Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento Con questo volume (apparso in prima edizione nel 1966) Carlo Ginzburg ha ricostruito una vicenda, che getta nuova luce sul problema generale della stregoneria. l «benandanti» - cosí si chiamavano nel Friuli, tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento, i portatori di un culto della fertilità - si presentarono in un primo tempo come difensori dei raccolti contro le streghe e gli stregoni. Poi, in meno di un secolo, sotto la pressione degli inquisitori, eccoli inaspettatamente assumere i tratti degli odiati antagonisti. Questa trasformazione ha probabilmente valore esemplare. Le diramazioni al di là delle Alpi delle credenze imperniate sui «benandanti» consentono di avanzare un'ipotesi generale sul significato e le origini della stregoneria popolare. «Il Ginzburg - ha scritto Alberto Tenenti su "Studi storici" - propone all'attenzione degli studiosi una massa di documenti che nessuno prima di lui aveva sfruttato. In un campo in cui le indagini sono cosí scarse e lo stesso ritrovamento di materiale nuovo è assai arduo, non si può non plaudire alla sua ricerca e annettere la piú grande importanza alle serie archivistiche da lui messe in luce». Carlo Ginzburg I BENANDANTI Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento Einaudi Indice Prefazione Note Post-scriptum 1972 Abbreviazioni 1. Le battaglie notturne Note 2. Le processioni dei morti Note 3. I benandanti tra inquisitori e streghe Note 4. I benandanti al sabba Note Appendice Note Prefazione 1. Ho studiato in questo libro gli atteggiamenti religiosi e, in senso lato, la mentalità di una società contadina - quella friulana - tra la fine del '500 e la metà del '600, da un punto di vista estremamente circoscritto: la storia di un nucleo di credenze popolari, che a poco a poco, in seguito a pressioni ben precise, si assimilarono alla stregoneria. Si tratta di una vicenda finora ignota, che getta molta luce sul problema generale della stregoneria e della sua persecuzione . Dalla documentazione analizzata emerge una grande varietà di atteggiamenti individuali. A insistervi sopra, si rischia di cadere in un eccesso di pittoresco. Si è preferito, tuttavia, correre questo rischio, anziché servirsi ad ogni passo di termini generici e vaghi come «mentalità collettiva» o «psicologia collettiva». Queste testimonianze friulane ci mostrano infatti un intersecarsi continuo di tendenze della durata di decenni o addirittura di secoli, e di reazioni assolutamente individuali e private, spesso addirittura inconsapevoli - quelle reazioni di cui apparentemente è impossibile fare storia, e senza le quali, in realtà, la storia della «mentalità collettiva» finisce con l'ipostatizzare una serie di tendenze e di forze disincarnate e astratte . Ma la caratteristica più importante di questa documentazione è la sua immediatezza. Se si eccettua la traduzione dal friulano in italiano compiuta dai notai del Sant'Uffizio, è lecito dire che le voci di questi contadini ci giungono direttamente, senza schermi, non affidate, come troppe volte avviene, a testimonianze frammentarie e indirette, filtrate da una mentalità diversa e inevitabilmente deformante . 2. Quest'affermazione potrà sembrare paradossale. E qui veniamo all'interesse specifico di questa ricerca. Siamo abituati a vedere nelle confessioni degli accusati di stregoneria il frutto della tortura e delle suggestioni esercitate dai giudici, e a negar loro, pertanto, qualsiasi spontaneità. Più precisamente, le fondamentali ricerche di J. Hansen (1) hanno mostrato come l'immagine della stregoneria diabolica, con tutti i suoi accessori - patto col diavolo, sabba, profanazione dei sacramenti - si sia venuta elaborando tra la metà del '200 e la metà del '400 ad opera di teologi e inquisitori, per diffondersi poi, attraverso trattati, prediche, figurazioni, via via in tutta Europa, e successivamente addirittura al di là dell'Atlantico (2). Questa diffusione - ma è più esatto parlare di sovrapposizione dello schema inquisitoriale già accennato a uno strato preesistente di generiche superstizioni - si attuò in forma particolarmente drammatica nel corso stesso dei processi, modellando le confessioni degli imputati grazie ai due strumenti già ricordati: la tortura e gli interrogatori «suggestivi». Tutto ciò è stato, come si è detto, documentato esaurientemente, ma quasi soltanto a livello colto, di elaborazione dottrinale. Il tentativo di F. Byloff (3), di mostrare in una zona circoscritta la penetrazione nella mentalità popolare della stregoneria diabolica schematizzata da inquisitori e demonologi, ha dato scarsi risultati. L'eccezionale ricchezza della documentazione friulana consente di ricostruire questo processo con precisione e chiarezza molto maggiori, mostrando come un culto dalle caratteristiche nettamente popolari come quello che aveva il suo centro nei benandanti, venisse a poco a poco modificandosi sotto le pressioni degli inquisitori per assumere infine i lineamenti della stregoneria tradizionale. Ma questa discrepanza, questo scarto esistente tra l'immagine proposta dai giudici negli interrogatori e quella fornita dagli accusati, permette di attingere uno strato di credenze genuinamente popolari, poi deformato, cancellato dal sovrapporsi dello schema colto. E' proprio in virtù di questo scarto, prolungatosi per più decenni, che i processi dei benandanti costituiscono una testimonianza preziosa per la ricostruzione della mentalità contadina di quest'età . 3. Questa ricerca vorrebbe dunque documentare e arricchire ulteriormente la linea di sviluppo già tracciata dal Hansen. Più nuovo - anche se circoscritto - il contributo che essa può portare alla comprensione del significato e della natura della stregoneria popolare, distinta dagli schemi colti di origine inquisitoriale . La polemica illuministica (esemplificata, in Italia, da un Tartarotti) si era ovviamente, e giustamente, disinteressata delle confessioni delle streghe: ciò che contava era soltanto la dimostrazione della barbarie e dell'irragionevolezza della persecuzione, e i racconti delle streghe venivano liquidati come fantasticherie assurde o confessioni strappate dalla ferocia e superstizione dei giudici. Un primo tentativo di interpretazione si ebbe con le ricerche erudite della seconda metà dell'800, in cui le confessioni delle imputate di stregoneria erano viste generalmente come frutto di allucinazioni derivate dall'uso di unguenti a base di sostanze stupefacenti, o da stati patologici, soprattutto isterici. Ma gli studi più seri e documentati si volsero soprattutto - non di rado con un sottinteso polemico anticattolico o anticlericale, più o meno esplicito - a spiegare le vicende e il meccanismo della persecuzione . Un vero interesse per le credenze delle streghe, o presunte streghe, si ebbe soltanto (se si eccettua la simpatia romantica di Michelet per la strega «ribelle») con le ricerche di un'egittologa inglese, M. Murray (4). Discepola di J. Frazer, e perciò interessata ai problemi della magia e della mentalità dei «primitivi», la Murray non si limitò a sottolineare l'interesse delle confessioni delle imputate di stregoneria da un punto di vista etnologico o folkloristico. Rovesciando paradossalmente l'impostazione diffusa - ma più che di impostazione ragionata si trattava di un atteggiamento istintivo - essa rivalutò l'attendibilità (nel senso positivistico di attendibilità "esterna" di una fonte) di quelle confessioni. Secondo la Murray, i convegni descritti dalle imputate erano reali, e la stregoneria era una religione antichissima, un culto precristiano di fertilità, in cui i giudici, più o meno scientemente, non sapevano vedere che una perversione diabolica. Questa tesi, pur racchiudendo, come diremo, un nocciolo di verità, era formulata in maniera del tutto acritica (5); inoltre la ricostruzione dei lineamenti del presunto culto di fertilità era compiuta sulla base di processi molto tardi, in cui l'assimilazione dello schema inquisitoriale (sabba, connubi con il demonio e via dicendo) era ormai compiuta. Eppure, nonostante questi difetti sostanziali, la «tesi» della Murray, respinta al suo apparire da antropologi e folkloristi, finì poi con l'imporsi. Mancava infatti - e manca, se non sbaglio, ancora oggi - un'altra interpretazione complessiva della stregoneria popolare: e la tesi della studiosa inglese, depurata delle sue affermazioni più arrischiate, sembrò più che sensata là dove scorgeva nelle orgie del sabba la deformazione di un antico rito di fertilità. In questa versione mitigata essa venne riformulata, tra gli altri, da W. E. Peuckert (6) . Eppure non è facile dimostrare che la stregoneria popolare (distinta dalle superstizioni generiche e non riconducibili a un culto preciso, quali i filtri d'amore, i malefizi e via dicendo) risaliva in realtà a un antico culto di vegetazione e di fertilità. Una prima obiezione è già stata formulata a proposito dei lavori della Murray: non ci si può fondare acriticamente sulle confessioni delle streghe senza discriminare quanto in esse è di provenienza inquisitoriale e quanto invece è di origine genuinamente popolare. Ma si tratta di un'obiezione non invalicabile. Già J. Marx notò l'esistenza di un gruppo di credenze che, pur essendo di origine inequivocabilmente popolare, presentavano tuttavia una certa analogia con il sabba stregonesco schematizzato da teologi e inquisitori (7). Più recentemente, L. Weiser-Aall ha sottolineato l'esistenza di questo punto di contatto tra la stregoneria popolare e quella colta (8). Si tratta di credenze,
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