LA VETTABBIA E I SUOI MULINI La roggia Vettabbia è un corso d’acqua, forse poco noto, che lambisce la nostra zona nella sua parte sud est.

La Vettabbia è di origine molto antica ed è sempre stata di fondamentale importanza economica: è assai più antica del Naviglio ed è stata introdotta perché “servisse da reggere le barche che dovevano dal Ticino passare a Milano, non tanto per comodo, come da ricapiti”.

Al tempo dei Romani a Milano vennero realizzate numerose opere idrauliche: nella zona nord venne modificato il corso del Seveso per portare l’acqua fino al centro della città, servendo così anche le Terme Erculee e poi i battisteri della cattedrale. L’acqua del fossato attorno alle mura, invece, era fornita dal Nirone e da alcune rogge. Le opere idrauliche più impegnative riguardarono, però, la zona meridionale della città, dove tutti i corsi d’acqua confluivano in un unico canale di scarico che sfociava nel Lambro a Melegnano. Questo canale era appunto la Vettabbia che al tempo dei Romani era navigabile e “unito al Po offriva alla nostra città tutte le ricchezze d’oltre mare”, come riporta Landolfo Seniore, storico vissuto nel secolo XI. È possibile che l’origine del nome derivi dall’aggettivo latino vectabilis, cioè in grado permettere il trasporto. Nel Medioevo la Vettabbia doveva essere tanto ampia da essere chiamata flumen nelle pergamene del Monastero di Chiaravalle. La Vettabbia nasce nel sottosuolo di Milano, all'incrocio tra l’omonima via Vettabbia e via Santa Croce, percorre poi interrata la città per sbucare all’aperto in Via Bazzi all’incrocio con viale Toscana, dove costeggia la via dei Fontanili (che indica la ricchezza d’acque della zona) e la via Corrado II il Salico nel quartiere . Attraversata la via Ripamonti giunge fino al e si dirige verso il confine della città passando da , sfiorando e, dopo aver fiancheggiato l’abbazia e il borgo di Chiaravalle, sfocia in Cavo Rederossi a San Giuliano Milanese. Il percorso nell'abitato cittadino è ricco di anse, ma passata via dell'Assunta il canale si inoltra nella campagna rettilineo, diventando così il naviglio più lungo di Milano dopo il Naviglio Grande e il Naviglio Pavese. La Vettabbia era rinomata per la sua temperatura, mai fredda, delle sue acque, specialmente nel tratto a ridosso delle mura di Milano, dove attraversava “quartieri fitti di gente e di manifatture” in cui operavano “tutti quei conciatori di pelli, que’ tintori, que’ carrozzai”, come afferma – orgogliosamente –l’anonimo autore di un breve articolo pubblicato nel 1856. Le acque della roggia per secoli sono state usate soprattutto per l’irrigazione di prati e campi e per alimentare le ruote dei numerosi mulini della zona, documentati nell’area intorno a Milano sin dal X secolo. Erano costruiti lungo la sponda di un corso d’acqua regolato da chiuse per la gestione della portata delle acque, ed erano forniti dell’immancabile ruota; il tetto era in legno, e potevano avere un piccolo orto. La gestione dei mulini ad acqua era curata dagli stessi proprietari o da affittuari. Il mugnaio poteva dedicarsi alla macinazione dei cereali, alla follatura dei tessuti o anche nella lavorazione dei metalli. Questo disegno ripropone il corso della Vettabbia mostrandone le “bocche” (gli ingressi che si aprivano lungo il canale), i mulini che operavano lungo le rive (in numero di 11 costruzioni), e precisa gli orari d’uso delle acque.

In via Ripamonti, nel tratto tra via Rutilia e via Serio, la Vettabbia si biforca per andare ad alimentare la ruota di un mulino; subito dopo i due rami si ricongiungono. Qui si trova il Mulino Vettabbia Destra, risalente probabilmente al XVII secolo, e che porta tuttora una targa che indica la sua appartenenza amministrativa all’VIII Mandamento, comparto di ; dell’antica struttura rimane solo l’edificio, ora casa privata, mentre non resta traccia della ruota.

Un ulteriore importante mulino è il Molino della Valle, che sorgeva nel Vigentino in via dell’Assunta e di cui sono ancora visibili i resti delle chiuse vicino ai nuovi condomini in fondo a Via Gargano. Nel XIX secolo la Vettabbia ha cominciato ad essere sempre più inquinata dagli scarichi fognari milanesi, e quindi dannosa per la salubrità dei campi; inoltre l’attività dei molendina (dal latino: mulini) non garantiva più gli alti profitti, associati al lavoro del mugnaio, pertanto delle molteplici strutture che sorgevano nel Milanese, non restano oggi che pochissime tracce, tra cui il Mulino recentemente restaurato presso l’Abbazia di Chiaravalle.