SEZIONE LIGURE DEL CAI – STORIA 2005 STORIA DELLA SEZIONE LIGURE (1969-1980) Gianni Pastine Testo inedito Abbiamo lasciato la nostra storia con la straordinaria impresa compiuta, in prima ascensione invernale, dai giovani Gianni Calcagno e Alessandro Gogna, unitamente ai loro compagni non genovesi, sulla parete Nord Est del Pizzo Badile nelle Alpi Centrali. Con loro, Genova era entrata nel giro del grande alpinismo internazionale e Gogna pensò bene tosto di fornire una autorevolissima conferma. La via aperta da Cassin, Esposito e Tizzoni nel 1938 sullo sperone nord della Punta Walker delle Gran Jorasses non era ancora stata percorsa in ascen- sione solitaria. Nel luglio 1969 Alessandro, accompagnato da Giorgio Volta, noto alpinista della Genova occidentale in quanto residente a Pegli, raggiunse la capanna Leschaux. Il tem- po era splendido e le condizioni accettabili. Giorgio lo accompagnò in una prima ricognizio- ne fino all’attacco. Rientrati al rifugio, il nostro accompagnatore si diede da fare per agevola- re in ogni modo il compito dello scalatore; gli preparò cena, gli mise in ordine l’attrezzatura e, nottetempo, lo accompagnò fino all’attacco trasportandogli quanto possibile. Lo lasciò poi con uno sguardo che era un misto di affetto e di apprensione. Sandro attaccò deciso, in stato di grazia. Andò su superando quasi facilmente i famosi passaggi. Al “pendolo“, si permise anche di proseguire direttamente un tantino prima e, ovviamente, con maggiori difficoltà. Solo alla scorbutica torre rossa fu vicino al dramma. Su ghiaccio non era mai stato il Sandro della roccia, e qui eravamo alle prese con un ghiaccio particolarmente ostico misto a roccia friabile delle peggiori. Non perse la calma e la concentrazione; passò e giunse in vetta al tramonto. Credo che nessuna precedente ascensione fosse stata effettuata senza almeno un bivacco. Il nostro si rese subito conto della pericolosità del procedere in discesa su neve in- stabile e preferì attendere il gelo dell’alba sulla prima lastra rocciosa che incontrò in discesa. Spense la sua frontale mentre a valle si accendevano le luci di Courmayeur: un capolavoro di audacia, ma anche di fredda razionalità. Ho voluto aprire il capitolo con tale eccezionale argomento perché il nostro club non deve dimenticare il proprio fine dominante e anche i suoi uomini migliori. Intanto la compagine sociale registrava novità importanti. Ettore Marchesini aveva lasciato la presidenza per scadenza di mandato, e la sua sostituzione appariva più problematica del pre- visto, almeno alla oligarchia dominante cui avevo già accennato. La logica successione sa- rebbe toccata a Vittorio Pescia o, in subordine, a chi scrive. Ma eravamo giudicati, per così dire, immaturi. Forse si temeva qualche cambio di rotta un po’ troppo brusco e tutti e due a- vevamo, di recente, fornito segnali non del tutto rassicuranti per chi di dovere. Così Ferry Massa, già saldamente affermato in sede centrale ove avrebbe anche assunto la carica di vice presidente generale, si offrì per un biennio da traghettatore; per la verità, un misto fra i go- verni “balneari” allora di moda e la celebre tessitura di Camillo Benso di Cavour. Trascorse il rituale biennio ed il problema si ripropose. Qui, il nostro tessitore pescò il jolly dal mazzo nella persona di Alberto Fascioli. Per la verità, uno scrupoloso cultore dei regolamenti del sodalizio come Ferry non si accorse, o non volle accorgersi, del fatto che Alberto non avesse l’anzianità sociale prevista per essere eletto alla carica di presidente di sezione; ma, “con Annibale alle porte“,non vi si fece caso. Bisogna dire, con onestà, che il nuovo presidente andò oltre le migliori aspettative. Conosce- va in modo eclettico l’ambiente avendo frequentato la scuola di alpinismo, quindi quella di scialpinismo ove era anche entrato a far parte dell’organico didattico. La sua professione di Gianni Pastine, Storia della Sezione Ligure (1969-1980) PAGINA 1/12 SEZIONE LIGURE DEL CAI – STORIA 2005 farmacista prima e propagandista scientifico poi lo agevolava nei rapporti pubblici che af- frontava senza soverchio timore reverenziale. Infatti, democratizzò l’ambiente mettendo quanto restava del vecchio “Club“ in condizioni di non nuocere. In ciò fu agevolato dalle nuove sedi di viale Mojon e di piazzetta Luccoli, in successione, che, anche se pur sempre decorose, non possedevano più il fasto di Villetta Serra o di Via SS Giacomo e Filippo 2. La cronica mancanza di riscaldamento invernale fece il resto, sopportata, al limite dell’umorismo, nelle riunioni spesso simili ad una esercitazione di bivacco imprevisto, con relativi automassaggi termoregolatori,ma che, davvero, non potevano conciliarsi con passate pretese aristocratiche. Ebbe termine così una discutibile caratteristica che ci aveva attirato critiche spesso malevole e non del tutto sincere. Soprattutto, Alberto gestì bene la attività so- ciale, rilanciandola avvalendosi anche della ottima opera del segretario Porfirione, che mi preme ricordare per la correttezza, la competenza e la signorilità. Intanto la attività alpinistica progrediva. Sempre nel luglio 1969 una piccola spedizione rag- giunse le isole Svalbard al limite della banchisa polare. Eravamo alpinisti modesti, non certo di punta: Tina e Giancarlo Berninsone, già allora portatore di serie menomazioni visive, Ar- rigo Giorello, Stefano Sironi della Sottosezione di Bolzaneto, mia moglie Margherita Solari ed io. Fu più l’avventura del successo alpinistico; ma fummo anche, indiscutibilmente, i pri- mi in tal genere (e con i nostri soldi…). Intanto il più grosso giro passava da una affermazio- ne all’altra. Gianni e Lino Calcagno, conducendosi seco Maria Grazia Vianello, si fecero la Poire al Bianco in un ristretto fine settimana. Lorenzo Pomodoro, cresciuto all’ombra di quella primordiale fucina alpinistica che era la parrocchia di San Siro, e Franco Piana, ultimo e prestigioso esponente della “scuola“ bolzanetese, legavano assieme fraternamente e mie- tendo ben presto una impressionante serie di successi alpini. Non dimentichiamo che “Luci”, alias Vittorio Pescia, tenuto in frigorifero presidenziale, tirava, da autentico caposcuola, tali prestigiose fila. Anche la scuola di scialpinismo si affermava. Il primo corso per istruttori nazionali vedeva Lalo Nannelli all’ambito titolo, seguito da Renzo Conte, allora indiscutibilmente lo sciatore alpinista più tecnico. Dino Romano ed io faremo qualche anno di anticamera mentre Bene- detto Ferrando si affermerà invece autorevolmente alla prima. In particolare, il mio titolo fù, come già scritto, più una salvezza da Genoa che uno scudetto da Juventus. Morì invece ino- pinatamente il maestro che lo aveva reso possibile. Toni Gobbi, allora davvero la più presti- giosa autorità del settore, mi aveva invitato gratuitamente ad un corso da lui tenuto a Selva di Val Gardena nel marzo 1970. Fu un corso severo che, però, apportò qualità fondamentali alla mia preparazione tecnica. Al suo termine, il richiamo del dovere ospedaliero mi fece declina- re un pressante, amichevole invito alla Haute Route dei Monti Pallidi. Quel richiamo al do- vere mi salvò, con tutta probabilità, la vita. Incredulo appresi, due giorni dopo, la sciagura di cui fu vittima Toni ed alcuni suoi affezionati clienti. Purtroppo aveva commesso un fatale er- rore che, se avesse potuto rifarsi vivo solo per un istante, avrebbe ammesso con la sua innata onestà professionale. Per me, per Lalo Nannelli ed Elio Ghiglione, già suoi affezionati clien- ti, ed altri, sarebbe però per sempre rimasto il maestro. Se ne andava tosto, e piuttosto prematuramente, anche Ettore Marchesini. La sezione perde- va una figura prestigiosa, io un vero maestro nella professione, molta gente, anche umile, un medico capace quanto umano. Ricordo la mattina del 5 gennaio 1971, nella divisione oculi- stica dell’Ospedale di Sampierdarena della quale era primario. Mi fece entrare nel suo studio e mi chiese a chi toccasse il turno festivo del 6 gennaio. Risposi che toccava a me. Guardò fuori dalla finestra e disse: ”Domani vengo io. Vada pure in montagna con questo bel tempo e con tutta la bella neve vicina.”. Ringraziai commosso perché, allora, un gesto del genere era assai poco di moda. Il giorno seguente fu una festa di sole e neve fra Antola e Carmo. Gianni Pastine, Storia della Sezione Ligure (1969-1980) PAGINA 2/12 SEZIONE LIGURE DEL CAI – STORIA 2005 Due mesi dopo scompariva non senza una ultima e non dimenticata espressione di stima e af- fetto da quel letto dal quale non si sarebbe più alzato. E’ sepolto a Courmayeur, ai piedi di quel Bianco che aveva conosciuto così bene. Poco distante da lui sta la tomba di Laurent Grivel, sua abituale guida: la cordata si è ricomposta. Intanto, finalmente, la sezione rimetteva mano ai propri rifugi. Cessata, purtroppo per sempre più seri motivi di salute, la attività di Giovanni Guderzo, essi erano andati incontro ad una precoce decadenza favorita dalla assenza di una gestione fissa, mentre quella di fondovalle, principalmente per ragioni …fisiopatologiche, appariva sempre più latitante. Era necessaria una persona che ne facesse, sia pure nel tempo libero, il proprio scopo. Era tempo di una stucchevole retorica ricorrente: bisognava “sacrificarsi“ per la sezione e l’invito era, manco a dirlo, rivolto, sia pure senza far nomi, a chi, invece, cercava di continuare nella attività alpi- nistica individuale, anche senza distinguersi in imprese di gran nome. L’invito partiva, abba- stanza anonimo, da chi invece tale attività, fondamentale in un ente che si chiami Club Alpi- no Italiano, non aveva mai praticato o precocemente sepolto. Succede anche oggi, con altre motivazioni, con altri richiami, con la stessa ipocrisia di fondo. Ma, in un ente basato sul di- lettantismo, sul volontariato, il movente deve essere, più che il dovere, il piacere nello svol- gere una attività. Ne traggono giovamento i risultati pratici. Fortunatamente venne fuori l’uomo giusto, favorito dal fatto di essere un imprenditore nel ramo costruzioni e arredamen- ti: Gianni Bisio, scomparso ormai dolorosamente e prematuramente da dieci anni, che invece si dedicò con entusiasmo, passione e competenza ad un settore tanto fondamentale nella vita sezionale.
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