Palermo, muore la moglie del Prefetto Bruno Contrada PALERMO – E’ venuta a mancare ieri a PalermoAdriana Del Vecchio, moglie del Prefetto Bruno Contrada. Della donna si ricorda il grande legame con il marito, i tanti strazianti appelli lanciati durante la lunga vicenda processuale che ha interessato l’ex capo della Mobile di Palermo. E’ dello scorso anno la revoca del provvedimento del 13 luglio 2007 con cui il dottor Bruno Contrada era stato destituito di diritto dall’amministrazione della Pubblica Sicurezza con decorrenza retroattiva 13 gennaio 1993. “Il periodo di tempo ricompreso tra il 13 gennaio 1993 ed il 30 settembre 1996 (giorno antecedente a quello in cui il dottor Contrada è stato collocato in quiescenza), – si legge sull’atto firmato dal Capo della Polizia Direttore Generale della Pubblica Sicurezza dr. Franco Gabrielli – durante il quale ha esplicato i propri effetti il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio datato 15 gennaio 1993 ai sensi dell’art. 9, primo comma, del d.P.R. N 737 del 1981, è riconosciuto utile al citato funzionario sia agli effetti giuridici e sia agli effetti economici e previdenziali. In relazione a detto periodo è riconosciuto competere al dottor Bruno Contrada l’intero trattamento economico previsto dalle vigenti disposizioni di legge, con interessi e rivalutazione monetaria, detratto quanto già dallo stesso percepito a titolo di assegno alimentare.” Tante le testimonianze di funzionari di Polizia intervenuti a commentare e ad arricchire di colpi di scena una lunga video intervista a Bruno Contrada realizzata dal direttore de L’Osservatore d’Italia Chiara Rai. L’intervista al Prefetto Bruno Contrada in 7 puntate di Officina Stampa Il ripercorrere gli anni più intensi di quella che è stata la lotta alla mafia portata avanti dalla squadra Mobile di Palermo al comando del dottor Bruno Contrada ha aperto, infatti scenari inediti con episodi mai narrati fuori le porte del processo all’ex capo della squadra Mobile palermitana come ad esempio lo smantellamento di un pool composto dallo stesso Bruno Contrada con gli uomini della Squadra Mobile di Palermo, della Criminalpol e cosa non comune anche dei servizi segreti. Totò Riina: la morte da “eroe” di ‘U Curtu (vista dalla parte di Cosa Nostra) Più di questo, la giustizia italiana non poteva fargli. Venticinque ergastoli, che non avrebbe mai scontato, ma che comunque l’avrebbero incatenato per sempre ad una cella, sono stati la massima punizione con cui lo Stato italiano ha potuto colpire Totò Riina, ‘U Curtu, morto di tumore a 84 anni, assistito meglio di qualunque cittadino onesto e senza mezzi; portandosi dietro tutti i segreti di cui era depositario, e che erano il capitale che gli consentiva di condizionare la sua detenzione. Finché non avesse parlato. Cioè nulla. Riina ha continuato a comandare e a minacciare dal suo 41 bis, lo stesso per cui aveva ordinato le bombe di via dei Georgofili, la strage di via Palestro e la stagione degli attentati, di cui fa parte anche il fallito attentato contro Maurizio Costanzo, reo di aver preso posizione contro Cosa Nostra. Guardando in prospettiva, il panorama non è incoraggiante. E fa venir voglia di capire più da vicino cos’è la Mafia Certo non è una comune organizzazione criminale. Il salto di qualità ai primi del Novecento lo ha ben descritto Federico De Roberto nel suo romanzo ‘I Vicerè’, censurato per quasi cent’anni, quando i figli di quelli che erano divenuti latifondisti furono mandati ‘ a Roma’, per prendere una laurea. L’appoggio della politica, trasformatosi poi in ‘discesa in campo’ in prima persona, alla ricerca di appoggi per il conseguimento del potere – teso poi alla conquista di importanti posizioni economiche – ben rappresenta ciò che la mafia era, ed è, compresa la trasformazione in multinazionale finanziaria. Dalla Chiesa è stato ucciso perché aveva capito che seguendo il denaro si arrivava ai capi, e a quella fantomatica ‘cupola’ mafiosa che rimane ancora, per alcuni, un mistero. Più o meno la stessa via che hanno seguito Falcone e Borsellino Ma ogni volta che si indaga seriamente sulla mafia, a trecentosessanta gradi, succede che chi lo fa viene eliminato. Per il teorema inverso, chi indaga e non subisce attentati è tacciabile di complicità, e questo è inquietante. Sembra che questa entità, sotto alcuni aspetti ectoplasmatica, permetta di avvicinarsi fino a distanza di sicurezza. Ma non oltre. Più di centocinquanta omicidi, quelli attribuiti a Totò Riina, ma forse nessuno potrà mai farne un censimento preciso. Compreso il piccolo Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido per punire suo padre Nino, il pentito, per il quale ancora sono pronti duecento chili di tritolo. Cosa Nostra, uno stato nello stato, un antistato. In realtà un antistato che fa la guerra al nostro Stato, ma la fa in modo tutto suo, alleandosi con alcune parti di esso e sfruttandone le sue zone oscure e le sue debolezze. Falcone disse che la Mafia è un fenomeno umano, e che come tutto ciò che ha un inizio avrà una fine. Chiediamoci perché questa fine non arriva Forse perché quando siamo nei pressi di una soluzione finale, qualcuno provvede a spegnere la luce? Esiste uno strano intreccio fra mafia e potere politico, e questo è inevitabile: altrimenti della Mafia sarebbe rimasta oggi solo il ricordo. E nei ricordi mettiamoci anche quello del ventennio fascista, durante il quale la mafia, derivazione di quella ‘Mano Nera’ che aveva giustiziato il superpoliziotto Joe Petrosino, fu messa in condizioni di non nuocere da uno stato dittatoriale che non faceva complimenti. Le pieghe della nostra pretesa democrazia – che si manifesta come tale solo per assicurare un garantismo ‘a prescindere’, anche a sproposito – sono troppo larghe, evidentemente, per sconfiggere una organizzazione che, a differenza della ‘ndrangheta e di altre corporazioni malavitose, ha nelle sue caratteristiche una sorta di vocazione di governo. Come hanno fatto i ‘capibastone’ dell’800 a prendere il potere, oltre a derubare i propri padroni – i quali beatamente continuavano a far debiti e a condurre una vita allegra e dissennata, fino a vedersi sequestrare le proprietà? Proprio riparando i torti che i contadini erano costretti a subire per la loro posizione subalterna. Ma chiedendone poi in cambio piena obbedienza. Allora chiediamoci come sarebbe un governo che dovesse andare al potere con un simile comportamento, per assurdo. Cosa Nostra non ha nessuna intenzione di andare direttamente in Parlamento, a loro basta influenzare – quando possibile – la politica e l’economia rimanendo in seconda battuta, senza esporsi. Ma se per assurdo dovessero governare in Italia? Un assunto fondamentale sarebbe quello di far star bene la gente: quando il popolo sta bene, non crea problemi, e obbedisce. Specialmente se di fronte ha persone che, per il loro potere e per la loro posizione economica, sono dotate di un certo carisma. Tanto per fare una citazione senza riferimenti, il successo politico di Berlusconi è stato causato, alla sua discesa in campo, dal fatto che fosse un uomo ricchissimo: forse la stessa molla che ha mandato al potere Trump in America: il carisma del conto in banca funziona sempre. Quindi la prima caratteristica di un ipotetico governo mafioso, sarebbe il populismo. Al contrario di ciò che ha scelto di fare ai tempi nostri l’internazionale del potere, quella che propugna il Nuovo Ordine Mondiale, governare riducendo al bisogno più estremo le popolazioni, ma creando un vasto e pericoloso malcontento. I popoli, diceva John Adams, si conquistano con le guerre o con il bisogno Per noi è stata scelta quest’ultima soluzione, con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti. La seconda caratteristica sarebbe l’ordine pubblico, perfetto e assoluto. Infatti nelle città ‘mafiose’ e nei paesi di mafia, nessuno ruba auto, o compie scippi. Il tribunale non esiste, e l’unica condanna che la mafia applica è definitiva, con vari gradi di applicazione: dalla lupara, più o meno bianca, ad un bagno nell’acido, allo strangolamento tramite una cordicella stretta mediante un bastoncino attorno alla gola del condannato. Le sentenze della mafia non hanno ricorsi, né prescrizioni In questo potremmo definire un simile governo ‘giustizialista’. E questo penso che potrebbe anche piacere a molti. Terza caratteristica, il qualunquismo: chiunque fosse dalla loro parte, dei mafiosi, sarebbe loro amico, partiti a parte. Il partito, la politica, per il mafioso, o presunto tale, è strumentale soltanto all’ottenimento e al mantenimento del potere. Vocazione europeista? Quella c’è già: infatti possiamo ben considerare il potere delle multinazionali sul Parlamento europeo, come un potere condizionante, esclusivo, secondo quanto alcuni dei parlamentari riferiscono. Definire la mafia una multinazionale non è sbagliato Oggi i grandi proventi dell’organizzazione mafiosa provengono da molteplici attività, tutte legate da u unico comune denominatore: il profitto. Che sia droga – nei paesi in cui è proibita – che sia gioco d’azzardo – più o meno lecito – che siano grandi appalti – che da un po’ sono passati in secondo piano, e non sono più come al tempo di ‘Mani sulla città’– o anche impianti di pale eoliche, o qualsiasi cosa. Seguendo il denaro, si arriva alla mafia. E magari, alla cupola. In una cosa la previsione di Falcone ha fallito: è vero che la mafia è un fenomeno umano, ed è altrettanto vero che i fenomeni umani hanno un inizio e una fine. Ma questo non è attribuibile al fenomeno mafioso, finchè ci sarà qualcuno che contribuirà a tenerlo in vita. Cioè, proprio dalla parte che sulla carta dovrebbe combatterlo. Ricordiamoci che molti bastoni furono messi fra le ruote di Falcone, fino a smembrare il pool antimafia E degli autori di questo nessuno ha mai fatto nomi e cognomi. Dalla Chiesa fu lasciato completamente solo, prima dell’attentato che lo vide soccombere. Quasi come se uno o più burattinai tirassero i fili dei personaggi sulla scena.
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