Storia Delle Repubbliche Italiane Dei Secoli Di Mezzo. Tomo VII

Storia Delle Repubbliche Italiane Dei Secoli Di Mezzo. Tomo VII

Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo. Tomo VII www.liberliber.it Questo e-book è stato realizzato anche grazie al sostegno di: E-text Web design, Editoria, Multimedia (pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!) http://www.e-text.it/ QUESTO E-BOOK: TITOLO: Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo. Tomo VII AUTORE: Sismondi, Jean Charles Léonard Simonde : de TRADUTTORE: CURATORE: NOTE: Il testo è presente in formato immagine sul sito The Internet Archive (www.archive.org) Realizzato in collaborazione con il Project Gutenberg (http://www.gutenberg.org/) tramite Distributed proofreaders (http://www.pgdp.net) DIRITTI D'AUTORE: no LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/ TRATTO DA: Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo di J. C. L. Simondo Sismondi delle Accademie Italiana, di Wilna, di Cagliari, dei Georgofili, di Ginevra ec. Traduzione dal francese. Tomo 7. -16 - Italia, 1817-1819 - 524 p. ; 12 CODICE ISBN: mancante 1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 23 ottobre 2010 INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO: Distributed proofreaders, http://www.pgdp.net/ REVISIONE: Claudio Paganelli, [email protected] PUBBLICAZIONE: Claudio Paganelli, [email protected] Informazioni sul "progetto Manuzio" Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associa- zione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque vo- glia collaborare, si pone come scopo la pubblicazio- ne e la diffusione gratuita di opere letterarie in formato elettronico. 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Innocenzo IV era morto in Avignone il 12 settembre del 1362, ed il conclave gli aveva dato per successore Guglielmo Grimoardo, abate di san Vittore di Marsiglia, che non era cardinale. Questo papa, che prese il nome d'Urbano V, era di già il sesto tra quelli d'Avignone. Clemente V, aveva il primo trasportata la santa sede in Francia l'anno 1305. Dopo di lui Giovanni XXII, Benedetto XII, Clemente VI, ed Innocenzo VI, avevano continuato a vivere come esiliati lontani dalla loro capitale e dalla loro greggia. Durante una residenza di sessant'anni, i pontefici e la loro corte si erano stabiliti in Avignone, come se mai non dovessero abbandonare questa città, e ne avevano acquistata la sovranità da Giovanna di Napoli, contessa di Provenza; vi avevano fabbricati magnifici palazzi, e si erano affezionati ad un soggiorno, ove niun desiderio di libertà tra il popolo, veruna inclinazione alla turbolenza tra i nobili, turbava la loro tranquillità, inquietava la loro mollezza. Omai il collegio de' cardinali più non era composto che di Francesi; Urbano V era della stessa nazione, ed aveva opinione di essere attaccato al suo paese natale, quanto poteva esserlo ogni altro suo compatriotto; il re di Francia vivamente desiderava di ritenere la corte pontificia ne' suoi stati, ond'era difficile il prevedere in qual modo potessero i papi ritornare giammai all'antica loro sede. Per altro la dimora de' pontefici in Avignone aveva avuta la più perniciosa influenza sui costumi della chiesa, sulla sua politica, sul suo riposo, sulla sua fede. La corruzione de' prelati, la scandalosa e disonesta vita de' giovani cardinali, innalzati alla porpora dal favore o dall'intrigo, erano talmente notorj, che Avignone più non era indicata con altro nome che con quello di Babilonia occidentale. Nè quest'epiteto trovasi soltanto nelle amare invettive del Petrarca, ma nelle lettere e nelle scritture degli uomini più moderati e più religiosi del 14.° secolo. Avignone conteneva la schiuma degl'Italiani e de' Francesi; colà venivano a cercare fortuna gl'intriganti d'ogni nazione, che avevano seco portati i più odiosi difetti de' loro compatriotti; e il popolo e la corte d'Avignone avevano convertito in costume ciò che dalle altre nazioni risguardavasi come vizio. Ne' precedenti secoli la corte di Roma era già stata riconvenuta di smisurata ambizione, di dissimulazione, di avarizia, d'ingratitudine; ma nel tempo che i papi soggiornarono in Francia, fu ancora venale e perfida nell'amministrazione dei popoli, servile nelle sue relazioni colla corte di Francia, licenziosa ed intemperante nella privata vita de' suoi prelati; e tra gli stessi papi, Clemente VI non andò esente dal rimprovero di scostumatezza(1). Gl'Italiani, che i proprj governi cercarono di rendere superstiziosi, sono meno degli altri popoli inclinati alla credulità. Il misticismo, siccome un'immaginazione piena d'idee malinconiche e terribili, appartiene ai climi ove l'uomo soffre sotto una temperatura o ardente o gelata. Ne' deserti della Tebaide, e sulle arene del Gange, o in riva al Baltico e tra le rupi della Scozia, si può tremare in faccia al principio malefico che mai non permette di scordare la sua potenza; possono offerirsi alla divinità dei dolori che sembrano indivisibili dall'umana 1() Francisci Petrarcae Epist. sine tit. p. 795, 806, ec. specie; ma innanzi a che si tremerebbe in Italia, ove tutto sorride all'uomo? Come mai tutti i pensieri possono essere totalmente rivolti ad un'altra vita, quando così dolce è la presente(2)? Nel 14.° secolo gl'Italiani aggiugnevano uno spirito d'osservazione esercitatissimo all'abitudine di comunicare coi popoli di diversa credenza. Il disprezzo che avevano concepito per la corte d'Avignone, aveva loro quasi assolutamente fatto scuotere il giogo della chiesa romana; mentre gli spiriti erano rimasti assai più sottomessi in Francia, ove il fanatismo persecutore ricompariva sovente con nuove forze. A Parigi, nel Delfinato, ed in altre province della Francia si bruciarono nel 1373 molti eretici. Le diverse loro sette, tutte egualmente punite con atroci supplicj, avevano i nomi di Turlupini, Beguini, Lollardi, Valdesi(3). Ma in Italia, l'entusiasmo che faceva nascere le eresie, ed il fanatismo che le puniva, erano ugualmente spenti, ed avevano dato luogo alla indifferenza. I Visconti in tempo delle lunghe guerre che avevano sostenute contro la Chiesa, eransi vendicati delle censure dei papi sul clero de' loro stati: raddoppiavano le imposte straordinarie quand'erano percossi dalle scomuniche. Nè i tiranni della Romagna si erano più de' Visconti lasciati atterrire dai fulmini de' papi, o dalle crociate predicate contro di loro; l'innalzamento loro e la loro caduta erano effetto della lotta tra l'ambizione e la libertà, o 2() L'autore parla della naturale inclinazione che in un clima piuttosto che nell'altro gli uomini hanno per le cose contemplative, come solo effetto dei mali o dei beni dipendenti dalla qualità del clima e del suolo: lo che nulla ha di comune colla vita ascetica e penitente, cui, non per umana disposizione, ma per impulso della divina grazia, che toglie, tanto alle delizie della più prospera vita e della più fiorente gioventù, quanto al vivere misero e stentato, persone d'ogni condizione, d'ogni sesso, d'ogni età, d'ogni paese. E la Grecia avanti che cadesse sotto il giogo de' Turchi, e l'Italia e la Spagna, poste ne' più temperati climi d'Europa, non furono meno feconde di santi solitari e di penitenti claustrali, di quello che lo fossero le infuocate rive del Gange, o le gelate coste del Baltico. N. d. T. 3() Raynal. An. Eccl. an. 1373, § 19, p. 520. dell'affezione, dell'odio, o della vendetta, che sembravano ereditarj in alcune famiglie, senza che la religione vi avesse parte. I Siciliani, dopo i famosi loro vesperi, più non furono in pace colla chiesa per lo spazio di ottant'anni. I loro principi della casa d'Arragona, non si mostrarono meno indifferenti dei loro popoli alle scomuniche dei papi. Dall'una all'altra estremità dell'Italia i popoli ed i governi più non temevano le censure ed i castighi ecclesiastici(4). La filosofia d'Aristotele era stata universalmente adottata in tutte le scuole unitamente ai commentarj d'Averroe. Il greco filosofo, supponendo un'anima unica animatrice di tutti gli uomini, distrugge la provvidenza e la moralità delle azioni. Ma il glossatore arabo aveva ancora più direttamente attaccata la religione; egli aveva opposta la sua triste dottrina all'islamismo in cui era nato, al cristianesimo ed al giudaismo che aveva studiati; ed aveva diretti contro i cattolici i suoi sarcasmi ed i suoi ragionamenti. Il solo Petrarca era quello che cercava di resistere al torrente degl'increduli; ma la setta ch'egli combatteva nelle sue filosofiche scritture, e nelle sue lettere, godeva d'un'illimitata libertà, e mostravasi ogni giorno più ardita. Credevansi appena le antiche dottrine ancora buone per il popolo; e la religione, quasi incompatibile con tale filosofia, andava perdendo la sua influenza sulla condotta degli uomini(5). 4() Il segretario fiorentino aveva fatto sagacemente osservare nelle sue storie, che mentre le scomuniche facevano tremare i popoli settentrionali, gl'Italiani punto non se ne curavano; e ciò per l'abuso fattone da alcuni papi. N. d. T. 5() Intorno all'influenza della filosofia peripatetica sulla credenza de' cristiani meritano di essere letti Lorenzo Moshemio.

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