Dipartimento di Impresa e Management Gestione dei processi e delle relazioni di Marketing TIFOSI O CLIENTI? UNA NUOVA ERA PER IL BRANDING NEL CALCIO RELATORE CANDIDATO Prof.ssa Simona Romani Valerio Flavio Ghizzoni - 677911 ANNO ACCADEMICO 2016 / 2017 INDICE DEI CONTENUTI Introduzione Struttura della tesi CAPITOLO I. Branding e teoria: l’evoluzione 1.1 Il tradizionale ruolo del Brand 1.2 Due paradigmi per Sette approcci 1.2.1 Economic approach 1.2.2 Consumer-based approach 1.2.3 Personality approach 1.2.4 Relationship approach 1.2.5 Community approach 1.3 Cultural approach 1.3.1 Teoria dell’innovazione culturale 1.3.2 Avere Cultural Knowledge 1.3.3 I passi da compiere nella Cultural Strategy CAPITOLO II. Branding e contesto: Calcio e Sport. 2.1 Football industry: la crescita in Europa 2.2.1 Branding sportivo: Modello CBBE 2.2.2 Branding sportivo: Brand personality 2.2.3 Branding sportivo: Relationship tifoso-club 2.2.4 Branding sportivo: sviluppare e gestire la community 2.3 L’adeguatezza del branding culturale CAPITOLO III. AS Roma: un brand “icona” di una città. 3.1 Genealogia del brand AS Roma 3.2. Nascita del mito 3.3 Brand Valuation e gestione finanziaria attuale 3.4 Case Study 3.4.1 Sfida al Nord: Testaccio e Fascismo 3.4.2 Rometta, oltre il risultato 3.4.3 Grazie Roma: un brand “Mondiale” 1 3.4.4 Francesco Totti è la Roma 3.5 Iniziative societarie e branding di oggi CONCLUSIONE Cosa deve fare un football brand? FONTI Sitografia Videografia Bibliografia 2 TIFOSI O CLIENTI? UNA NUOVA ERA PER IL BRANDING NEL CALCIO A coloro che in questi anni non mi hanno mai abbandonato e hanno creduto in me. Non smettete di farlo. «L’ideologia, la religione, la moglie o il marito, il partito politico, il voto, le amicizie, le inimicizie, la casa, le auto, i gusti letterari, cinematografici o gastronomici, le abitudini, le passioni, gli orari, tutto è soggetto a cambiamento e anche più d'uno. La sola cosa che non sembra negoziabile è la squadra di calcio per cui si tifa.» (Javier Marías) 3 Introduzione In un presente caratterizzato dalla competizione sfrenata e da un contesto imprenditoriale ostile, l’utilizzo del branding come strumento di business è sempre più urgente. La potenzialità di questo strumento risiede nel fatto che le sue forme retoriche sono in grado di persuadere la gente a pensare in modo differente. Nonostante nozioni come marketing e branding abbiano visto accrescere negli ultimi decenni la loro popolarità e il loro impiego nell’industry dello sport, gli studi accademici non sempre riescono a seguire a pieno il ritmo del loro sviluppo, in particolare nel quadro europeo. Dalla diffusione di Internet, alla saturazione dei mercati nazionali fino ad arrivare alla crescente omogeneità delle organizzazioni multinazionali (Lauring e Selmer, 2010) e la commoditizzazione dei prodotti e dei servizi, la pressione competitiva è salita a tal punto tra tutti gli attori economici da cambiare volto e velocità al business. In un quadro di questo tipo una gestione del brand affidata ad un livello estremamente qualificato di management è un fattore chiave per la performance organizzativa, anche nello sport e nel calcio. Una criticità, questa, sottolineata da autori come Shamma e Hassan (2011) i quali riconoscono come gli elementi di distinguibilità apportati alla marca dal branding rispetto ai competitors siano un fattore di successo che impatta sui risultati sia finanziari che non. Come argomentato da Keller e Moorthi (2003), infatti, il valore del brand realizza leveraging sia dal lato dei guadagni e dei profitti sia dal miglioramento della produttività delle spese di marketing, fino a guidare il lifestyle dei propri clienti. Un brand forte è colui che ha la credibilità agli occhi dei consumatori di farlo. Il brand diventa un segnale di qualità intangibile che garantisce vantaggio competitivo all’azienda, e come un essere umano può sviluppare una certa personalità, identità, reputazione o immagine. Con il suo stemma, i simboli, i codici, i colori, la tradizione e tutti gli altri elementi, una squadra di calcio è un brand e deve essere amministrato con gli stessi assunti dei brand generici di prodotti o servizi. Le ricerche più influenti in questo campo specifico appartengono ad autori come Desbordes (2006), Bauer et al. (2005); Couvelaere e Richelieu (2005), Ferrand e Pages (1999), Guenzi e Nocco (2006), Hill e Vincent (2006), preziosi spunti teorici che tuttavia potrebbe essere necessario rielaborare in un’ottica di continua evoluzione della società e del mercato. E’ innegabile, ormai che il calcio professionistico coltivi in sé e si nutra a sua volta di un’importante componente di intrattenimento. Altrettanto innegabilmente esso viene sorretto dalle risorse finanziarie di centinaia di milioni di appassionati. Citando le parole dell’ex Segretario Generale UN Kofi Annan “se la FIFA fosse una nazione, sarebbe la quinta al mondo per popolazione” (4% della popolazione mondiale), è pacifico dunque considerare il calcio come una delle principali forme di partecipazione e commitment degli individui nella società contemporanea. Come sostenuto da Bof, Baglioni e Montanari (2007): “Il calcio è senza dubbio lo sport più popolare al mondo e ha tradizioni radicate, trasmesse di generazione in generazione, in molte culture diverse; si tratta quindi di un fenomeno sociale ed interculturale che coinvolge comunità intere, che è ormai penetrato nelle vita di un’ampia percentuale della popolazione mondiale e che continua ad aumentare il suo valore sociale ed economico. Il calcio, infatti, rappresenta dal punto di vista economico una vera e propria industria che 4 può essere misurata sia in termini di percentuale sul PIL nazionale dei singoli paesi, sia in termini di diffusione e penetrazione mediatica a livello globale. Queste prerogative lo rendono un contesto complesso, che si differenzia dai settori economici più tradizionali dove gli obiettivi economici di profitto prevalgono per definizione. Nel calcio, e in generale nello sport, si intrecciano la dimensione economica, quella sportiva e quella sociale. Gli obiettivi potenziali dei club professionistici possono essere molteplici (ad esempio, vittorie sportive, profitti, visibilità del proprietario del club, ecc.) e possono essere anche influenzati dal contesto locale di riferimento. In altri termini, i club possono essere interessati a sviluppare relazioni stabili e durature con il proprio territorio, tenendo così in considerazione le esigenze della comunità locale con l’obiettivo finale di fare in modo che il sostegno al club diventi un tratto distintivo dell’identità individuale dei cittadini della comunità stessa.” Spinti sempre più verso l’internazionalizzazione e la globalizzazione “(...) negli ultimi anni, infatti, in seguito a cambiamenti normativi ed economici (e.g. sentenza Bosman, nascita della Champions League, sviluppo e crescita dei media), in Europa per i grandi club che competono a livello internazionale sembra diventare sempre più critica la capacità di saper agire al di fuori dei propri confini nazionali e di saper cogliere le opportunità connesse allo sviluppo di nuovi mercati esteri (Cina, USA, India ecc.) e di altri settori (media, abbigliamento, tecnologie digitali, ecc.).” Rilevanti studi accademici nel campo del branding sportivo si limitano in gran parte, a considerazioni sullo sviluppo di brand equity (ad esempio Bauer et al., 2005; Gladden et al., 1998; Ross, 2006) e gli scenari di brand extension (ad esempio Apostolopoulou, 2002; Chadwick and Clowes, 1998), ma in misura minore investigano tematiche come i driver del legame emotivo tra i tifosi e un club, come i processi di accettazione dell’idea che la loro squadra del cuore sia anche un brand da costruire, gestire e proteggere, come essi ci si sentano identificati, ma soprattutto come il brand nella storia abbia fornito delle risposte valoriali alle loro preoccupazioni e ai loro desideri e come possa continuare a farlo nell’ottica di un branding culturale. L’approccio di Douglas Holt che ha ispirato questa tesi è quello che meglio si differenzia nelle diverse concezioni del brand che sono state formulate nel corso della storia del marketing. Ciò che rende appetibile il brand non è semplicemente cosa fa per noi, ma come riesce a farci sentire. La saggezza rinvenuta nella teoria di Holt è che il brand sia un principale fornitore di valore identitario per i consumatori. Da qui la sfida per il brand manager di risolvere, in maniera concettuale, lavorando a stretto contatto con agenzie pubblicitarie e i creativi, i conflitti esistenziali delle persone tra le loro aspettative e la loro realtà nella vita di tutti i giorni. Lo stampo olistico e collettivista del cultural branding risulta una convincente e brillante critica allo scientismo esasperato endemico ai dipartimenti di marketing e Consumer Relationship Management, che viene declinato alla stregua di falso mito delle dottrine dominanti nel settore. Le strategie di marketing riguardano piuttosto il proseguimento della legacy di un brand nelle sue iniziative ambientali o in quanto attivista sociale. Le campagne pubblicitarie commissionate a Holt e al suo Cultural Strategy Group, presenti su network accademici online e nelle sue pubblicazioni, ispirano e intrigano al meglio il consumatore creando una profonda connessione e rafforzando consapevolezza e comprensione di 5 un prodotto elevato a stile di vita. I prospects sono seguiti e sospinti nel funnel della decisione di acquisto, i segmenti più influenti sono descritti in modo illuminante, le barriere alla diffusione del brand vengono superate, i benefits chiave della categoria vengono de-commodificati, vengono aperte le opportunità dei social media e riorganizzate le piattaforme creative. D’altronde questa vera e propria nuova era, inaugurata dal branding culturale, contribuisce a lanciare una sociologia dei brand. Tra le modalità di accumulazione del capitale come costruzione di mousetrap migliori, controllo dei canali di distribuzione, compressione delle catene di approvvigionamento, il branding è lo strumento più distintivo tra le tecniche per aumentare i profitti. Infatti quest’ultimo origina profitti creando e sfruttando vari tipi di dipendenza sociale.
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