IMPIANTI PRODUTTIVI NELLA MEDIA VALLE DEL VOLTURNO Nell

IMPIANTI PRODUTTIVI NELLA MEDIA VALLE DEL VOLTURNO Nell

IMPIANTI PRODUTTIVI NELLA MEDIA VALLE DEL VOLTURNO Nell'ambito delle competenze della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta1, nel corso del 1992, sono stati eseguiti alcuni scavi sistematici che hanno dato l'opportunità di acquisire nuovi dati sull'assetto produttivo della Campania settentrionale interna. In particolare sono state rinvenute numerose fornaci per la produzione ceramica (Tav. I), diverse per ambito etnico-culturale e per cronologia. Determinante per la scelta degli insediamenti è stata la morfologia e la pedologia dell'area: una serie di valli, ricche di cave di argilla e attraversate da corsi d'acqua. L'altro elemento naturale di primaria importanza è la ricchezza di boschi che consentivano un facile approvvigionamento del combustibile necessario al funzionamento delle fornaci. Fornace arcaica di Treglia Il complesso produttivo più antico finora individuato in quest'ambito si colloca alle pendici del monte Castello nei pressi dell'antico centro di Trebula Balliensis, a monte di un percorso tagliato nel banco di tufo trachitico grigio. Delle fornaci individuate ne è stata scavata una a pianta circolare, di cui resta solo la camera di combustione ricavata nella roccia calcarea e rivestita internamente di argilla (Fig. 1). Il prefurnio, costituito da un breve corridoio con copertura in blocchi di tufo sistemati a doppio spiovente, era orientato a nord, in modo da sfruttare al massimo le correnti d'aria che si incanalano naturalmente tra il monte Castello e il monte S. Erasmo. La produzione dell'impianto artigianale era incentrata soprattutto su ceramica d'impasto e su vari tipi di ceramica fine; tra questi ultimi è stata rinvenuta una notevole quantità di forme in bucchero nero, in c.d. "bucchero rosso" e in vernice nera di tradizione attica2. Fornaci di epoca romana: Pontelatone e Giano Vetusto A breve distanza dall'impianto arcaico di monte Castello, sempre nel territorio del comune di Pontelatone, è stato individuato, tramite ricognizioni topografiche, un notevole complesso "industriale" di età romana. [301] L'impianto produttivo, scavato sistematicamente, era costituito da un numero molto elevato di fornaci, distribuite in un'area compresa tra monte Monticello e monte La Colla3. Le fornaci esplorate sono tutte a pianta circolare, semi ipogee, costruite in argilla cruda, con prefurnio in laterizi e calcare (Fig. 2) e tutte riferibili alla categoria I/a della tipologia elaborata dalla Cuomo Di Caprio4. Oltre alle fornaci è stato portato alla luce un edificio costituito da un unico ambiente a pianta rettangolare, lungo m. 20, costruito in parte controterra e in parte in elevato con blocchi di calcare, utilizzando una tecnica edilizia simile, in alcuni tratti, all'opera poligonale, in altri, all'opera incerta (Fig. 3). Disposti al centro dell'ambiente, a distanza regolare (ca. m. 1,30), sono stati rinvenuti una serie di 1 Un ringraziamento particolare al dott. Stefano De Caro, Soprintendente Archeologo delle province di Napoli e Caserta, che ha permesso la realizzazione e la pubblicazione di questo studio. 2 LIVADIE 1994 3 PROIETTI 1994. 4 CUOMO DI CAPPIO 1971-72, p. 410 ss. pilastrini a pianta quadrata che verosimilmente potevano sostenere sia un lungo bancone per la lavorazione dell'argilla, sia la trave centrale del tetto a doppio spiovente. Ortogonale, ma non in asse con l'ambiente sopra descritto, è stata portata alla luce una cisterna in opera incerta, rivestita da uno spesso strato di cocciopesto. L'intero complesso artigianale, una officina per la lavorazione delle argille circondata da numerose fornaci, costruito tra la fine del III sec. e gli inizi del II sec. a.C., viene definitivamente abbandonato nel II sec. d.C. A pochi Km. di distanza dalle fornaci di località Cerevarecce, oltre monte La Colla, immediatamente a sud del moderno centro di Giano Vetusto, in località Maretta, una indagine di scavo ha riportato alla luce i resti di un'altra area artigianale5. Si tratta di una fornace per la produzione di anfore e laterizi a cui sono affiancate alcune vasche e una cisterna (Tav. II). Il complesso presenta due diversi periodi di vita che si articolano tra la seconda metà del II sec. a.C. e gli inizi del III sec. d.C. Nel primo periodo nella zona in esame vengono installate due vasche, a pianta rettangolare, con pareti in opera incerta rivestite di cocciopesto e pavimento in opus signinum. [303] Nella seconda metà del I sec. a.C., a poca distanza dalle due vasche, viene realizzata una fornace a pianta rettangolare e corridoio centrale riferibile al tipo II/b della classificazione della Cuomo Di Caprio6. La struttura presenta una camera di combustione ipogea e costruita con l'impiego di mattoni. La parete di fondo è realizzata a doppia cortina con camera a'aria, quella esterna presenta un paramento in opus reticulatum. La bocca del forno è ad arco, come ad arco, intervallati dalle intercapedini, sono anche i sostegni del piano forato di cui non resta traccia (Fig. 4). Manca qualsiasi accenno delle strutture relative alla camera di cottura, distrutta, con molta probabilità, poco dopo l'abbandono del complesso artigianale.[304] La produzione, oltre che su laterizi, tegole ed elementi circolari per suspensurae termali, doveva essere incentrata soprattutto sulle anfore, come sembrano attestare i numerosi scarti relativi al tipo Dressel 2-4. Intorno agli inizi del II sec. d.C. l'intero complesso subì delle sostanziali modifiche: la fornace e una delle due vasche vengono definitivamente abbandonate, mentre sull'altra vasca in opera incerta viene costruita una cisterna in opera mista, con volta a botte e rivestita di cocciopesto. Questo nuovo impianto, con molta probabilità una conceria o molto più verosimilmente una fullonica, come sembrano attestare i numerosi pesi da telaio rinvenuti, resta in uso per tutto il II sec. d.C. e viene abbandonato agli inizi del secolo successivo. I dati finora acquisiti ampliano notevolmente il campo della ricerca sulla storia economica della Campania interna, anche se lo stato attuale degli studi sui materiali ceramici, ancora in corso, non consente di trarre conclusioni definitive sui modi di diffusione. [305] Il rinvenimento del complesso di monte Castello, come quelli di Pontelatone e Giano, attesta una notevole vitalità economica del territorio fin dall'età arcaica della quale non si conosceva finora la consistenza. Rimane tuttavia incerto l'ambito di diffusione delle ceramiche prodotte e, nel caso delle fornaci di Pontelatone, le forme prodotte. Infatti sono stati rinvenuti pochi scarti relativi a tegole, numerosi frammenti di ceramica comune e a vernice nera. Va ricordata, comunque, la vicinanza dei complessi artigianali in esame al fiume Volturno da sempre utilizzato, allo stesso modo del Liri-Garigliano, come via d'acqua per i commerci dall'interno verso la costa e viceversa. 5 CRIMACO-PROIETTI 1994. 6 CUOMO DI CAPPIO 1971-72, p. 429 ss. Per i rinvenimenti di età romana, anche alla luce dei recenti studi sulla Campania settentrionale, soprattutto per quanto riguarda la zona costiera, è possibile avanzare alcune considerazioni sulla produzione ceramica nel territorio in esame. L'impianto di masseria Cerevarecce, attivato alla fine del III sec. a.C., comincia a produrre con molta intensità dopo la guerra annibalica. L'attività si incentrava, come già accennato sopra, sulla produzione di ceramica a vernice nera, ceramica comune e tegole: merci che oltre ad avere diffusione locale, considerata la vicinanza degli impianti artigianali ad importanti centri urbani quali Capua, Teanum e Cales, potevano costituire merci di accompagno per il commercio transmarino dei prodotti agricoli della Campania settentrionale. [306] Infatti, l'affermarsi, nel II sec. a.C., del nuovo corso dell'agricoltura italica, dovuto soprattutto all'afflusso di grandi masse di schiavi, ed il conseguente potenziamento degli ateliers per la produzione delle anfore Dressel 1 lungo la costa, soprattutto a Minturnae e a Sinuessa7, permisero la crescita e lo sviluppo di centri produttivi nella zona interna, come quello di Pontelatone. Infatti, il commercio delle derrate alimentari, in particolare del vino, prodotto principale dell'agricoltura intensiva praticata tra la zona falerna e quella vescina, trasportato in anfore, creò nuove opportunità per una maggiore diffusione dei prodotti ceramici altrimenti difficilmente commerciabili, al di fuori di un ambito strettamente locale. A tale scopo il fiume Volturno svolse certamente un ruolo di primaria importanza: risultava facile ed estremamente vantaggioso, dal punto di vista economico, imbarcare i prodotti ceramici delle fornaci di Pontelatone, farli giungere in uno dei porti delle colonie costiere8 e imbarcarli su una delle navi che, con il loro carico principale composto da anfore vinarie, erano pronte a dirigere verso i mercati del Mediterraneo. Per la fornace di Giano Vetusto il problema è diverso, essendo quest'ultima adibita, tra le altre cose, alla produzione delle anfore. Il tipo di contenitore prodotto da questa officina (Dressel 2-4) si affianca verso la metà del I sec. a.C. alle Dressel 1 e le sostituisce definitivamente verso la fine dello stesso secolo9. L'impianto artigianale può essere collegato ad un insediamento rurale, una villa, rinvenuta a circa 2 Km. in località Colonne Spezzate nei pressi del moderno centro di Camigliano. Si tratta di un fondo, appartenuto ad una sola gens, che doveva produrre un grosso quantitativo di vino e fabbricare nel sito le anfore necessarie al trasporto. Siamo a conoscenza dalle fonti che, tra la fine dell'età repubblicana e gli inizi dell'età imperiale, gli instrumenta vengono prodotti dai singoli domini direttamente sul fondo10. Un confronto diretto ci viene proprio dalla Campania settentrionale, in particolare dal territorio della colonia di Sinuessa11, dove è ubicato il fundus Caedicianus composto dal vicus Caedicius, dal Campus Caedicius e dalle celebri Caediciae tabernae, che come afferma Festo12: “in 7 CRIMACO 1992, p. 81 ss. 8 Alla foce del Volturno si trovava, ad esempio, la colonia di Volturnum con le sue strutture portuali e, poco più a nord, erano le colonie di Sinuessa e Minturnae.

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