ANDREA FAORO Osservazioni sulla produzione vetraria in Romagna fra Tre e Quattrocento Gli studi dedicati negli ultimi anni ad alcune città gli anni Sessanta del Trecento esistevano a Imola e della Pianura Padana centro-orientale, quali Ferrara, a Forlì delle fornaci vetrarie che espletavano il ciclo Bologna e Modena, hanno rivelato che esse furono completo di lavorazione, avvalendosi sia di materie raggiunte nei primi decenni del Trecento da vetrai val- prime, sia di materiale riciclato e sfornando una gam- delsani, i quali diedero origine a vere proprie dinastie ma piuttosto ampia di prodotti3. Di quei laboratori di produttori che mantennero il monopolio del settore sappiamo che operavano con cadenza stagionale e che fino agli anni Quaranta e Cinquanta del Quattrocento, ricevevano le commesse direttamente dallo speziale. quando non oltre1. Resta però ancora lontana la deli- Questo secondo elemento, benché poco circostanzia- neazione di un panorama storico regionale, non essen- to, appare del tutto originale rispetto a quanto finora do stato elaborato un progetto di ricerca rivolto a tale noto in Emilia e come vedremo fra breve, sembra co- scopo. Nel tentativo (che appariva confacente al tema stituire un tratto caratterizzante dell’attività vetraria in delle presenti Giornate di Studio) di conseguirlo ab- Romagna. biamo scelto come area d’indagine la Romagna. Essa, Infine, i manufatti erano destinati, oltre che al con- oltre a costituire un ampio e indispensabile tassello sumo locale, anche all’esportazione, ma a loro volta per il mosaico di cui si auspica la composizione, sem- lasciavano spazio a importazioni da altri luoghi, in brava promettente anche come termine di confronto specie da Bologna4. Quest’ultimo dato non stupisce, rispetto alle realtà territoriali già studiate, in quanto poiché la penetrazione economica felsinea in Imola non assimilabile ad esse sotto il profilo storico-politi- era cominciata sin dal XIII secolo e aveva condotto a co, economico e culturale. In effetti la Romagna tardo- un vero e proprio asservimento economico del comu- medievale era connotata da una panorama economico ne romagnolo5. Del resto era inevitabile che un’area prevalentemente agricolo, che la faceva somigliare di produttrice quasi soltanto di generi agricoli diventasse più alle Marche e all’Umbria che all’Italia padana. terra di conquista per i manufatti realizzati in città e Un’ulteriore differenziazione si riscontra nella rela- luoghi con un’economia più avanzata, quali appunto tiva scarsità e seriorità delle fonti d’archivio rispetto alle Milano, Bologna, Venezia e Firenze6. aree circostanti, dovuta a molteplici vicissitudini stori- che2. Non di meno esse formano una mole (per giunta Passando al caso di Ravenna, dobbiamo innanzitut- piuttosto parcellizzata rispetto ai luoghi di conservazio- to ricordare che fu raggiunta sul finire del XIII secolo, ne) che non può essere affrontata da un solo ricercatore al pari di Padova, Treviso, Vicenza, Mantova, Ferra- se non nel corso di molti anni. Pertanto abbiamo dovu- ra, Bologna e Ancona, da vetrai muranesi. È piuttosto to ricorrere alla letteratura di settore, la quale in verità, evidente che il raggio di tali spostamenti coincideva eccettuando il solo caso di un recente volume dedicato con la sfera d’influenza veneziana o per meglio dire a Rimini, si riduce a ben poco, cioè a uno studio par- con l’ambito entro cui si attuavano i tentativi egemo- ziale del 1883 su Faenza, alla pubblicazione avvenuta nici della Serenissima, perseguiti, non a caso, anche nel 1921 di un documento ravennate, a un saggio su attraverso l’infiltrazione di propri artigiani. In più sap- Imola del 1981. Per il resto, come si vedrà, disponiamo piamo che essi si recavano a lavorare al di fuori della loro isola durante il periodo di fermo obbligatorio del- soltanto di accenni sparsi in opere d’altro interesse. Per 7 altro abbiamo condotto dei sondaggi d’archivio mirati le fornaci, dal 16 agosto al 30 novembre . a verificare l’edito e a integrarlo e ciò, come si vedrà, In generale valgono anche per Ravenna le conside- ha condotto a risultati talvolta molto significativi. razioni fatte su Imola: la sua economia era esclusiva- A dispetto di questi condizionamenti, appena ini- mente agricola e le non numerose attività artigianali si ziano a rendersi disponibili, i documenti rivelano una limitavano al soddisfacimento delle esigenze più diret- produzione vetraria diffusa in varie località. te. Non parrà quindi casuale che tra i pochi tipi di arti- giani ricordati negli statuti del 1304-1305, i ceramisti Per primi, in ordine cronologico, i libri di botte- e i vetrai siano designati con una perifrasi (magistri de ga dello speziale imolese Diotaiti assicurano che ne- urceis et de vitreis), come se la mancanza di un appel- Atti delle XI Giornate Nazionali di Studio, Produzione e distribuzione del vetro nella storia: un fenomeno di globalizzazione, Bologna, 16-18 dicembre 2005 Museo Civico Archeologico - Comune di Bologna Association Internationale pour l’Histoire du Verre - Comitato Nazionale Italiano lativo specifico tradisse l’estrema marginalità del loro tativi cospicui di oggetti: con a disposizione 12.000 mestiere8. Anzi, il perdurare di simili condizioni e la libbre di sabbia (kg 4.164), avrebbe potuto produrre, continua instabilità politica contribuiscono a spiegar- almeno in teoria, 11.889 kg di vetro15. Ma proprio ne- ne l’emigrazione: tra il 1341 e il 1372 operò a Murano gli anni immediatamente precedenti e in quello stesso come fiolarius un tal Marco da Ravenna e divenne ad- 1365 Ravenna era stata funestata dalla peste e aveva dirittura “personaggio di una certa importanza”9. subito un drastico calo demografico che certo non in- Soltanto dopo la Peste Nera del 1348, che forse crementava i consumi16. Non per nulla il cronista fio- non fu devastante quanto altrove, presero a insediarsi rentino Matteo Villani sottolineava che in quei decenni nella città romagnola artigiani che esercitavano pro- centrali del Trecento, durante i quali la sua economia fessioni in precedenza assenti (in primo luogo quelle stava attraversando uno dei periodi migliori, Ravenna della lana) e fra di essi un buon numero di Toscani10. disponeva soltanto di “artefici minuti”, cioè artigiani Può darsi dunque che non sia del tutto casuale che producevano solo per il mercato locale17. il fatto che un vetraio gambassino a Ravenna sia È per altro significativo che anche in questo caso, documentato soltanto dal 1365, cioè qualche anno analogamente a quello di Imola, la società fosse costi- più tardi rispetto ai compaesani insediatisi a Bolo- tuita dall’artefice e da un rivenditore, secondo moda- gna, dove sono attestati per la prima volta nel 1339, lità, come evidenziato, finora non attestate in Emilia. a Ferrara (1355) e a Rimini (1363). Troviamo infatti Al contrario, le società vetrarie operanti a Bologna e che nel 1365 Michele del fu Ferro, vetraio originario a Ferrara risultano formate, sino a tutto il Quattrocen- di Gambassi ma residente a Ravenna e già insignito to, da soli artigiani e tutt’al più aperte a contributi, della cittadinanza locale, costituì una società con un di solito modesti, da parte di personaggi differenti da cesenate per produrre vetro nei cinque anni a venire. loro. Anzi, uno dei tratti che più caratterizzavano gli L’artigiano avrebbe contribuito con 50 lire di raven- ateliers era rappresentato dai rapporti di parentela, nati e con le attrezzature, il cesenate invece con 100 talvolta assai stretti, fra i vari soci: non a caso anche lire. Per tutta la durata del contratto non sarebbero nella vicina Rimini, nonostante il vistoso investimen- stati ripartiti né il capitale né i profitti: soltanto al to ricordato poco fa, l’attività rimase sempre in mano termine del quinquennio avrebbe avuto luogo la di- a una medesima famiglia per generazioni. A dire il visione degli utili. Inoltre il vetraio avrebbe dovuto vero, è possibile che una relazione del genere fosse consegnare al cesenate, all’inizio e al termine delle alla base anche dell’impresa ravennate, perché pochi lavorazioni, la percentuale a lui spettante di oggetti anni più tardi, nel 1372, Michele da Cesena risultava finiti e di vetro rotto, in modo che il cesenate stesso sposato con una sorella del vetraio: purtroppo non sap- potesse ricavarne della liquidità da immettere nel- piamo se i due fossero già convolati al momento della l’impresa (“ut stacio et ars possit augi et non de- stipulazione del patto societario. Del pari ci sfugge se strui”)11. Da queste ultime clausole si desume che il il vetraio fosse ancora in vita nel 1372, ma in com- socio cesenate doveva essere un committente/mer- penso siamo certi che la sua professione continuava cante, perché gli sarebbero spettati oggetti finiti e a venire esercitata, perché i due coniugi risiedevano vetro rotto, cioè merci pronte per essere scambiate. in una casa “in qua tenent fornacem” e il cesenate Però qualora si consideri che egli necessitava di rica- veniva qualificato come miolarius”“ . La mancanza di vare il contante da investire nell’affare dalla vendita ulteriori documenti ci impedisce di precisare se egli dei prodotti, sembra di inferirne una levatura econo- avesse intrapreso di persona il mestiere del cognato mica non eccelsa. gambassino oppure se in questa ricorrenza il termi- Ma è da tutto l’insieme che traspare la modestia ne miolarius significasse “venditore di bicchieri”18. dell’impresa: la somma a disposizione (appena 150 Da un altro punto di vista, il confronto più stretto e lire) era a dir poco bassa, soprattutto in confronto ai più vicino cronologicamente alla costituzione di so- capitali impiegati su altre piazze non lontane. Già nel cietà appena ricordata è rappresentato dagli accordi 1339 tre vetrai toscani operanti a Bologna, all’atto di intercorsi nel 1343-44 fra due vetrai toscani emigrati fondare la loro società, avevano deciso di contribuirvi a Palermo e un mercante del luogo: il siciliano ave- ognuno con 100 lire di bolognini12.
Details
-
File Typepdf
-
Upload Time-
-
Content LanguagesEnglish
-
Upload UserAnonymous/Not logged-in
-
File Pages11 Page
-
File Size-