Azzarita-De Filippo-Ungaretti

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Istituto secondario di I° Grado Azzarita-De Filippo-Ungaretti Bari a.s. 2010-2011 La Questione Meridionale e il Brigantaggio in Puglia Classe 2B Hanno coordinato: prof.ssa Annamaria CENTOLA prof.ssa Dorotea TOTAGIANCASPRO D.S. Prof. Giuseppe CAPOZZA 1 La questione meridionale fu un grande problema nazionale dell'Italia unita. Il problema riguardava le condizioni di arretratezza economica e sociale delle province annesse al Piemonte nel 1860-1861 (rispettivamente gli anni della spedizione dei Mille e della proclamazione del Regno d‟Italia). I governi sabaudi avevano voluto instaurare in queste province un sistema statale e burocratico simile a quello piemontese. L‟abolizione degli usi e delle terre comuni, le tasse gravanti sulla popolazione, la coscrizione obbligatoria e il regime di occupazione militare con i carabinieri e i bersaglieri, creò nel sud una situazione di forte malcontento. Da questo malcontento vennero fuori alcuni fenomeni: il brigantaggio, la mafia e l‟emigrazione al nord Italia o all‟estero. 2 Dopo l‟unità d‟Italia vi fu un rigetto nei confronti del governo da parte della povera gente del meridione. Tale rigetto si manifestò fra il 1861 e il 1865 con il fenomeno del brigantaggio. Il brigantaggio era localizzato in Calabria, Puglia, Campania e Basilicata dove bande armate di briganti iniziarono vere e proprie azioni di guerriglia nei confronti delle proprietà dei nuovi ricchi. I briganti si rifugiavano sulle montagne ed erano protetti e nascosti dai contadini poveri; ma ricevettero aiuto anche dal clero e dagli antichi proprietari di terre che tentavano, per mezzo del brigantaggio, di sollevare le campagne e far tornare i Borboni. Fra i briganti, oltre ai braccianti estenuati dalla miseria, c‟erano anche ex garibaldini sbandati ed ex soldati borbonici. Non mancavano poi numerose donne audaci e spietate come gli uomini. 3 BRIGANTAGGIO PUGLIESE La Murgia, l‟entroterra tarantino e brindisino, la Daunia: nelle Puglie non tutti sono memori della delicata pagina post-unitaria, che legò il passato borbonico al futuro sabaudo. In mezzo le mille cronache dei briganti, che condensano folclore, mito nostrano e tanta viva e cruda quotidianità. È lecito oggi rispolverare un lucido revisionismo storico di quella storia tramandataci dai vincitori? Per molta gente, le vicende dinamiche dell‟Unità d‟Italia che portarono l‟eroe Garibaldi ed i suoi prodi seguaci a completare la fusione della penisola, attraverso la spedizione simbolo delle gesta risorgimentali, sono lo specchio di quello che è da sempre il more italico. Una compagine non invincibile, che pur fra stenti e patimenti, riesce nella propria impresa, senza tuttavia trovare un avversario propriamente agguerrito qual era l‟esercito borbonico allo sbando dell‟epoca. I fatti che portarono gli eroi sabaudi fino a Teano li sappiamo tutti; ma desta una certa impressione rileggere fra gli eventi di microstoria locale ed annotare centinaia d‟episodi di vera e propria guerra civile, simbolo di un cambiamento tutt‟altro che indolore per il mezzogiorno. Le faide, i regolamenti di conti e le lotte intestine che scissero ogni piccola e grande municipalità, all‟indomani del 1861, non fecero altro che dilaniare ulteriormente i già fragili equilibri socio-economici meridionali. 4 Divenne così, una facile propaganda l‟operazione piemontese di tacciare come “brigantesca”, qualsiasi istanza tesa a ripristinare il regime conservatore legittimista. E la Puglia, al pari di quanto avvenne in Lucania, Campania, Calabria e Molise, fu insanguinata da una lotta civile, tra invasori piemontesi e nostalgici borbonici, coi primi che imponevano la dura legge della coscrizione coatta, del prelievo fiscale incontrollato e della rivoluzione sociale, che provocò un terremoto in un meridione narcotizzato da decenni di dominio napoletano. Questo scontro tra visioni di vita tanto opposte, che trova un precedente similare nei moti repressi nel 1799, all‟indomani della proclamazione della Repubblica Napoletana, subito ridimensionata dalle forze sanfediste, vide in particolare in Puglia e Lucania il fiorire di formazioni paramilitari partigiane, che fecero della guerriglia e delle imboscate il punto di forza dei cosiddetti “briganti”. Ma parlare di generici briganti non fornisce forse giustizia alla verve di alcune personalità di questo mondo oscuro ed ambiguo, destinate a restare nella memoria collettiva paesana, per il calibro delle proprie gesta. È accaduto con Carmine Crocco nel Vulture potentino, come anche con Ninco Nanco, Pizzichicchio ed il Crapariello nelle province di Taranto e Matera, oppure con il Sergente Romano nelle murge baresi e brindisine. Quest‟ultimo, nativo di Gioia del Colle, è forse una delle figure più carismatiche, emerse nel lungo conflitto tra insorti filoborbonici ed esercito piemontese. Reduce dall‟esperienza vissuta in prima linea tra le fila dell‟esercito borbonico, il Romano mise a disposizione degli insorti tutta la sua sagacia 5 tattica e l‟acume militare, maturato a contatto con quei territori dell‟agro murgiano che lo videro crescere. Seminò scompiglio in tutto il sud est barese e nelle municipalità dell‟entroterra talentino, insieme ad un gruppo di fedelissimi, combattendo strenuamente fino alla morte in nome del suo re. Soldato, dunque prima che bandito: eppure la repressione piemontese fu feroce e siccome in ogni guerra sono i numeri a prevalere spesso sul valore dei singoli, al Sergente Romano non fu concessa alcuna pietà. Il corpo seviziato fu esposto al pubblico ludibrio e gli ideali per i quali condusse la sua personale guerra colarono a picco assieme a quell‟agognata restaurazione del potere legittimista. La storia scritta dai vincitori parlò solo di banditi, feroci briganti e criminali senza scrupolo, che compirono ogni scelleratezza immaginabile, per soddisfare i propri appetiti e le proprie bramosie. Le voci del popolo tramandateci dai nostri nonni parlano invece di una naturale reazione delle masse contadine alle nuove regole imposte dall‟invasore piemontese, che per primo fece ricorso a sistemi violenti e repressivi per garantire un ordine pubblico a sé congeniale. Se la verità è nel mezzo, dobbiamo dunque dubitare di alcuni contenuti riportati nelle pagine dei nostri libri di storia, perché non si può sacrificare in nome dell‟ovattata e gloriosa Unità d‟Italia, il pesante prezzo di vite umane, costumi ed ideali che dilaniarono il Regno delle Due Sicilie. Vae victis, guai ai vinti... 6 Il Sergente Pasquale Domenico Romano Il Sergente Pasquale Domenico Romano rappresenta, probabilmente, l'immagine più romantica del brigantaggio. Nacque a Gioia del Colle il 24 agosto 1833 da una famiglia di pastori, nel 1851 si arruolò nell'Esercito Borbonico dove intraprese una brillante carriera diventando appunto Sergente. Con l'invasione piemontese e disciolto l'Esercito Borbonico divenne subito comandante del comitato clandestino borbonico del paese natio. Vista però la mancanza di azione del comitato, decise di iniziare la lotta armata. Riuscì a riunire i compagni d'armi borbonici creando la sua prima banda, le prime operazioni, contro la Guardia Nazionale ed i regolari piemontesi erano mirate a procurarsi armi e munizioni. Il 28 luglio 1861 irruppe in Gioia del Colle costringendo i piemontesi ad abbandonare la città, bisogna dire che per la riuscita dell'azione fu molto importante la partecipazione alla battaglia dei cittadini i quali non nascondevano la propria ammirazione per il Sergente. Bisogna dire che le truppe piemontesi e la Guardia Nazionale per vendicarsi si accanirono contro la sua famiglia ed agli amici più cari, questo procurò nel Romano un astio ancora maggiore contro gli "invasori". Unita la sua banda con quella del Generale Crocco Carmine Donatelli, nel 1862, bloccò le strade di accesso dapprima per Andria e Corato poi quelle 7 fra Altamura e Toritto tendendo imboscate sia all'esercito che alla Guardia Nazionale. Inoltre vennero distrutte le masserie di liberali ed ex garibaldini della zona, seminando il panico e facendo strage tra i "traditori del Popolo meridionale". Tutti questi episodi fecero concentrare gli sforzi dell'esercito piemontese e della Guardia Nazionale a reprimere la banda del Sergente Romano. Il 1 Dicembre 1862 il Sergente commise un grave errore, bivaccando presso la solita masseria dei Monaci, dove frequentemente, essendoci una cappella, faceva servire pure messa, ritenne inutile mettere delle sentinelle e questo fece avere vita facile al reggimento di fanteria Sabaudo che potè attaccare facilmente, ma il Sergente insieme a pochi altri superstiti riuscì a fuggire. Pur riuscendo ad arruolare altri uomini e a ricominciare con piccoli attacchi a combattere l'esercito Sabaudo, ormai era braccato pericolosamente ed il 4 gennaio 1863 venne intercettato nei boschi presso la natia Gioia del Colle e la sua eroica resistenza fu vana infatti i piemontesi lo uccisero, si dice che prima dell'ultimo respiro riuscì a gridare EVVIVA O RRE! (riferendosi a Francesco II). Il suo corpo spogliato della divisa Borbonica fu caricato sopra un mulo ed esposto in Gioia del Colle per un intera settimana. Con lui finì anche il brigantaggio in Puglia. 8 Giuseppe "Ninco Nanco" Summa Giuseppe "Ninco Nanco" Summa è stato uno dei Capo Briganti più terribile. Il suo nomignolo si dice derivasse dall'essere balbuziente. Già nel 1860 era stato condannato alla fucilazione per omicidio ma grazie all'amnistia si salvò. Le sue fortune maggiori derivarono dall'incontro con il Generale Crocco che lo mise a capo di una delle sue Bande che soleva riunire solo per le operazioni

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