BEETHOVEN CHE SORRIDE Gli Altri Volti Di Ludwig

BEETHOVEN CHE SORRIDE Gli Altri Volti Di Ludwig

0 25 BEETHOVEN CHE SORRIDE gli altri volti di Ludwig Associazione Musicale Sergio Gaggia 14 OTTOBRE - 8 NOVEMBRE 2020 Associazione Musicale Sergio Gaggia In collaborazione con Comune di Campolongo Tapogliano Comune di Trivignano Udinese FVG “Vorrà egli porre un freno alla sua fantasia? Vorrà darle un ordine, una misura, un carattere? Vorrà anteporre la bellezza alla singolarità? Vorrà cessare di essere il Kant della musica?”. Queste retoriche esortazioni sono un estratto da quello che è sinora considerato il primo scritto in cui in Italia si sia parlato di Beethoven, estrapolato da “Le Haydine”, ovvero dalle Lettere su la vita e le opere del celebre maestro Giuseppe Haydn di Giuseppe Carpani, edite a Mi- lano nel 1812. Questa pagina, che abbiamo avuto occasione di leggere tra i tesori della casa museo beethoveniana di Muggia creata e curata da Sergio, Giuliana e Ludovico Carrino, testimonia come nella perce- zione dei suoi contemporanei si unisse, assieme al riconoscimento di un immenso talento non inferiore a quello di Haydn e Mozart, anche lo sconcerto per lo stile eccentrico con cui Beethoven era accusato di dilapidare il proprio genio anziché farne un uso ponderato e saggio. È questo un giudizio che precede la costruzione tutta romantica del mito eroico beethoveniano, scolpito nelle sembianze altere e corruc- ciate di un Maestro appartato e scostante: una visione che porterà a considerare minore o meno significativa una fetta importante del suo opus compositivo, poco corrispondente a quel cliché, ma tale da aver condotto rapidamente Ludwig al successo e alla fama in una Vienna che stava ancora piangendo la morte di Mozart. È con questo repertorio, ingiustamente poco frequentato, energica- mente vitale, talvolta amabile e galante ma fondamentalmente positi- vo e assertivo che il festival autunnale dell’Associazione Sergio Gaggia intende celebrare la figura di Beethoven a 250 anni dalla nascita, toccando anche l’immediato passato e futuro della sua opera, ovvero modelli mozartiani ed eredità schubertiane. In alcune delle più belle dimore storiche friulane, emergenti musicisti della nostra regione si uniscono così a strumentisti internazionali abi- tuati a calcare i più prestigiosi palcoscenici, prospettando un livello esecutivo che si preannuncia di grande qualità. Andrea Rucli Presidente dell’Associazione Musicale Sergio Gaggia Ludwig l’Ambiguo Ludwig van Beethoven. Sei sillabe - ponderose, concluse, monolitiche - che configurano e comunicano un complesso di conoscenze, simbo- li, tradizioni, elaborazioni culturali fissatesi in un sistema: quello che Scott Burnham ha definito Il fattore Beethoven. Cosa ha reso questo compositore un autentico eroe culturale, un campione della cultura occidentale moderna? La risposta è molteplice: la fortuna critica pressoché costante, una biografia tormentata, l’influenza esercitata dalla sua musica in svariati campi, dalla filosofia alla letteratura fino al cinema; e ancora la mitizzazione delle sue creazioni e del perso- naggio iniziata già negli ultimi anni della sua esistenza e certamente il carattere dirompente di molte sue opere. Siamo però davvero certi che l’articolata e stratificata postuma co- struzione identitaria corrisponda in toto al vero? Ludwig fu davvero interiormente e integralmente corrispondente all’immagine che ha tramandato buona parte della ritrattistica? Mi riferisco in particolare alla tela dipinta nel 1820 da Joseph Karl Stieler che raffigura il musici- sta con la partitura della Missa Solemnis, nella quale appare evidente l’eroizzazione del gesto compositivo, la sottolineatura del titanismo interiore, l’allusione all’elemento demonico insito nella creazione. Molti elementi desumibili anche dall’epistolario, ma soprattutto da una disamina non prevenuta dell’intero catalogo, fanno propendere verso una rinnovata visione complessiva dell’uomo e dell’artista. Anzitutto, prima di proporlo, premetto che il termine ambiguità non deve sempre necessariamente essere inteso in accezione negativa. Come un moderno Giano bifronte, l’Essere Ambiguo sottintende una prefreudiana visione dell’alterità, della molteplicità, della complessità insita in ciascuno di noi. Compresa in un alveo semantico contiguo all’indeterminatezza, all’enigmaticità, alla feconda “doppiezza” che fa di ogni individuo il potenziale sosia (un Doppelgänger) di sé stesso, l’ambiguità, in ambito creativo, si trasforma con facilità in profusione, in multidirezionalità, nella proprietà di sfuggire a ogni assolutizzazio- ne classificativa, prefigurando poliedriche soluzioni, varietà interpre- tative, felici relativismi. In Beethoven è possibile scorgere, nel senso descritto, un’abbondante ambiguità: basta scalfire l’incrostazione ideologica che ha comune- mente alterato la visione del suo lascito e della sua personalità. Lu- dwig andrebbe rivisto anche nei suoi agganci filosofici, trasferendo le chiavi di lettura dal monolitismo etico kantiano cui è tradizionalmente associato a una visione dialettica (ovvero bifronte, appunto: ambigua) più prossima al dettato di Hegel. Per inciso quest’ultimo visse gli stessi fermenti, la stessa stagione storica di Ludwig, essendone pressoché coevo (nacque a Stoccarda il 27 agosto 1770; morì a Berlino il 14 no- vembre 1831). Anche Theodor Wiesengrund Adorno, identificando la dialettica quale base della musica e della filosofia dell’Occidente, giunse ad affermare che «in un significato simile a quello secondo il quale esiste soltanto la filosofia hegeliana, nella storia della musica occidentale esiste sol- tanto Beethoven. La volontà, l’energia che in Beethoven la forma mette in movimento è sempre il tutto, lo spirito del mondo hegeliano». Ecco allora che la forza e la felicità, scopo primario dell’arte e della musica in particolare, si confrontano con l’ambiguità, nel senso lo- gico di progressiva conciliazione tra opposti, spiraliforme, infinita. E di dualità, in Beethoven, tralasciando quella ovvia del suo ricorrente bitematismo formale, se ne leggono molte: tenero ed eroico; rivoluzio- nario e filonobiliare; indipendentista e cortigiano, e così via. Non è quindi affatto vero, né risulterebbe verosimile, che la figura umana e musicale di Beethoven sia stata così scultorea, monolitica, prometeica ed eroica come l’oleografia iniziata poco dopo la sua mor- te ha voluto presentarci. L’immagine divulgata dell’artista e la lettura corrente di molte opere hanno finito per adombrare e sottovalutare le sfaccettature e il percorso espressivo dell’autore. Se è vero che il suo corpus sinfonico, sonatistico e cameristico - spesso di dirompente e tragica profondità - costituisce una tappa determinante nell’evo- luzione del concetto stesso di musica occidentale, è altrettanto vero che esiste e si manifesta durante tutto l’arco compositivo una figura differente, cordiale, scherzosa, talvolta anche lieve e leggera; tutt’al- tro che il kantiano, ferreo, severo e imbronciato alfiere dell’eroismo e della drammaticità. Esiste una diversa faccia del Titano. Accanto all’immagine del genio tormentato, scontroso, rapito nel sublime, altre fonti - spesso trascurate - ci riportano le sembianze di un ingegno scherzoso, amante del cibo, del vino e dell’amicizia, desideroso di condividere con gli amici momenti di conviviale letizia. Come afferma Federico Maria Sardelli, è necessario «far intravedere, tra le statue solenni del suo Parnaso – gli eroici Coriolano, Egmont, Fidelio – anche quel “Beethowino” (come si firmava) che amava trovarsi con gli amici alle tavole dell’Osteria Schwan. Per nostra fortuna, quel “Beethowino” non ha lasciato le sue tracce soltanto in lettere e biglietti, ma anche in musica. […] Un Beethoven monodimensionale è un’immagine falsa». Anzitutto non ha senso trascurare e considerare solo prodromico il carattere di tante composizioni degli anni novanta del Settecento, quando un ventenne Beethoven si faceva largo a spallate nell’ambien- te nobiliare viennese spendendo le carte di un notevole virtuosismo pianistico, dell’irruenza giovanile, di una carica energetica ineguaglia- ta e di segno positivo. L’immagine di questo Ludwig è testimoniata in una litografia del 1796 in cui non compaiono i tratti idealistici ipertro- fici dell’artista successivamente mitologizzato. Inoltre va riconosciuta - e qui si giustifica l’intelligenza di questa rassegna cividalese - la giusta importanza a opere della maturità, talvolta misconosciute o sottovalutate: dagli Schottische Lieder op. 108, felice elaborazione pre-etnomusicologica di materiale folklorico alle briose Variazioni sull’aria mozartiana “Bei Mannern, welche Liebe fühlen” per violoncello e pianoforte; dall’amabilità del Trio op. 38 tratto dal Settimino op. 20 (una delle opere cameristiche del compositore più celebrate fin dalla prima esecuzione) alla morbida solarità della violinistica Romanza op. 50. Il programma offerto non può ovviamente illustrare tutta l’ampiezza del sorriso beethoveniano che si estende, ad esempio, anche su sonate come l’op. 31 n. 3, a tratti addirittura umoristica, o sull’Ottava Sinfonia, dalla disincantata e ironica grazia. In compenso si coglie l’occasione per sondare precedenti, porre in osservazione affinità e derivazioni, come nell’accostamento tra i pa- ralleli Quintetti per pianoforte e fiati di Mozart (K 452) e Beethoven (op. 16); oppure considerando le proiezioni nel futuro tramite il confronto tra il Quintetto op. 29 con doppia viola di Ludwig e il Quintetto op. 163 con doppio violoncello di Schubert, entrambi in do maggiore. Trascurare l’aspetto faceto, brioso, spiritoso, lieve del compositore equivale

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