STORIA DEL MOVIMENTO ANTIRACKET Ha Scelto Da Che Parte Stare: Grandi Industriali E Piccoli Commercianti DEL MOVIMENTO Marciano Ormai Lungo La Stessa Strada

STORIA DEL MOVIMENTO ANTIRACKET Ha Scelto Da Che Parte Stare: Grandi Industriali E Piccoli Commercianti DEL MOVIMENTO Marciano Ormai Lungo La Stessa Strada

Venticinque lunghi anni di coraggio. E passione, intelligenza, strategia: ciò che è servito per liberare un pezzo di Italia. È l’inizio degli Anni 4 4 ARCIPELAGO Novanta e, tra i monti Nebrodi e il mar Tirreno, un gruppo di mercanti mafie • economia • impresa rialza la testa. Capo d’Orlando dice no ai signori del pizzo, organizza la prima associazione antiracket. È uno strumento innovativo per sottrarre il singolo operatore economico alla solitudine ed evitare il sacrificio di CONTICELLO FILIPPO altri Libero Grassi. Un modello felice, da riprodurre ovunque ci siano Filippo Conticello imprenditori pronti a ribellarsi all’estorsione mafiosa. Il libro racconta questo contagio positivo, lo sviluppo delle associazioni in piccoli paesi e grandi centri. Nel resto della Sicilia, in Calabria e Puglia, fino allo sbarco a Napoli e in Campania. Un movimento, la Fai (Federazione antiracket italiana), che cresce e produce denunce. Risultati pratici, STORIA perfino una legge di sistema che tutela gli imprenditori ribelli. Se attraverso il consumo critico elaborato dal Comitato Addiopizzo la battaglia si arricchisce di nuovi contenuti, ora anche la Confindustria ANTIRACKET MOVIMENTO DEL STORIA ha scelto da che parte stare: grandi industriali e piccoli commercianti DEL MOVIMENTO marciano ormai lungo la stessa strada. Tra le pagine si affollano, così, uomini e speranze, vittorie ed errori, dentro a un movimento diventato patrimonio del Paese. ANTIRACKET FILIPPO CONTICELLO (Catania, 1983) è giornalista professionista e dal 2008 redattore a Milano della «Gazzetta dello Sport», dove si occupa, oltre che di calcio, di attualità, società e cultura. Si è laureato alla 1990 • 2015 Sapienza di Roma con una tesi sul fenomeno del racket delle estorsioni mafiose, con la quale ha vinto il premio “Giancarlo Siani” a Napoli. Ha scritto per la televisione e per il web ed è autore de L’isola che c’è (Round Robin Editore, 2008), un viaggio in Sicilia attraverso le storie prefazione di coraggiose di imprenditori che hanno detto no al pizzo sostenuti dalla Federazione antiracket italiana. Santi Giuffrè volume pubblicato nell’ambito del pon sicurezza per lo sviluppo - obiettivo convergenza 2007-2013 - obiettivo operativo 2.4 Rubbettino VOLUME DISTRIBUITO GRATUITAMENTE Rubbettino 4 diretta da Tano Grasso Filippo Conticello Storia del movimento antiracket 1990-2015 prefazione di Santi Giuffrè Rubbettino Progetto grafico: Giuseppe D’Arrò, Santina Cerra, Luigi De Simone © 2015 - Rubbettino Editore 88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - tel (0968) 6664201 www.rubbettino.it Santi Giuffrè* Prefazione Solo chi, da investigatore, magistrato o vittima ha affrontato nei primi anni Novanta il fenomeno dell’estorsione, spesso ri- conducibile a organizzazioni malavitose di stampo mafioso, può comprendere a pieno l’importanza fondamentale del mo- vimento associazionistico. La vittima si trovava in quegli anni spesso drammaticamen- te sola, era molto più facile “allinearsi”, piegarsi, piuttosto che ribellarsi. Se oggi la situazione è diversa, molto si deve a quel grup- po di commercianti orlandini che per primi decisero insieme di non piegarsi, e in maniera quasi “carbonara” cominciarono a opporsi alla sopraffazione. In questo cammino hanno avuto la fortuna di imbattersi subito in lungimiranti uomini dello Stato, con i quali hanno sviluppato un percorso di legalità, poi diven- tata vera e propria formazione permanente, prima nella zona di origine, e poi in tutto il Sud del Paese. Il riconoscimento normativo che ha consentito la regola- mentazione delle associazioni e organizzazioni antiracket e an- tiusura sin dalla loro costituzione non è altro che l’espressione concreta del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, sviluppato in un settore delicato e complesso, ma proprio per questo imposto dalla esigenza di una “prossimità” alle vittime che richiede elevata professionalità e notevole specializzazione. Ed è proprio questa l’azione meritoria e preziosissima che l’Associazione ha svolto e continua a svolgere in un’ottica * Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative an- tiracket e antiusura. prefazione 5 sempre nuova, al passo con i tempi, attenta all’evoluzione dei fenomeni che minano la libertà di iniziativa economica, ma so- prattutto la convivenza civile e la crescita sociale. L’impegno istituzionale dello Stato converge quindi in que- sta direzione, nella convinzione che la strategia vincente è solo quella di squadra, del gruppo che persegue, attraverso una rete di condivisione e partecipazione, un obiettivo comune: dare coraggio e forza a chi è chiamato a una decisione difficile, -di mostrando, con i fatti, che “insieme” si è più forti. Oggi si assiste, in zone devastate dalla criminalità, a un pro- liferare di associazioni antiracket, sempre più persone che si mettono assieme per ottenere quella forza e quel coraggio di ribellarsi alla sopraffazione, realizzando in questi territori martoriati veri e propri “presidi di legalità”. Si respira così, a pieni polmoni, in occasione delle “inaugurazioni”, un’aria di festa, con una consapevolezza: da quel momento inizia il vero e proprio duro lavoro sul territorio, per restituire la libertà e la serenità a coloro che hanno avuto il coraggio di percorrere fino in fondo la strada della legalità. 6 Prima parte Il modello Capo d’Orlando Messina, da sempre provincia “babba”. Stupida, al punto che molti ingenui per anni hanno considerato la zona immune al fenomeno mafioso. Almeno fino alla fine degli anni Ottanta, quando attorno ai monti Nebrodi un enorme flusso di denaro pubblico arriva nel settore edilizio e orienta lo sviluppo in ma- niera distorta. Decine di miliardi di vecchie lire sperperati, utili a riempire le casse della criminalità organizzata. Ma alla fine del decennio si inizia a sviluppare una coscienza civile autentica, necessaria per combattere alcuni clan originari della vicina Tor- torici. È un centro agricolo piuttosto isolato, gente agguerrita che fa a gara per conquistare con violenza il territorio. Sono due gruppi, i Galati Giordano e i Bontempo Scavo, prima alleati per dividersi il campo e poi nemici giurati per conquistare il predominio sulle attività illecite. In questo angolo di isola che si spalanca sul Tirreno, la ribel- lione nasce dalla riscossa orgogliosa di un gruppo di commer- cianti di Capo d’Orlando. Una delle città più ricche e turistiche sul versante costiero a ridosso dei Nebrodi. La prima a spezzare l’omertà, a respingere l’aggressione furiosa e stupire il Paese intero. Lì la paura prende forma sul finire degli anni Ottanta quando, stranamente, aumentano i furti di auto. Quasi sem- pre i proprietari sono imprenditori che, per pochi soldi, dopo trattative telefoniche, recuperano il mezzo rubato. Ma è una strategia sottile, più astuta di quanto si pensi: così si verifica subito la disponibilità a cedere della gente del posto. Poi il salto di qualità: telefonate intimidatorie, colpi di fucile contro le sa- racinesche delle attività, minacce, attentati, esplicite richieste di denaro. È il fenomeno del pizzo che dilaga in mesi durissimi. il modello capo d’orlando 9 La prima bomba esplode sul finire del 1989 contro la saracine- sca di un bar del centro, poi nel gennaio del 1990 una scarica di pallottole colpisce un negozio di abbigliamento. Insomma, esiste un nemico, ancora invisibile, che minaccia la convivenza civile di un paese tranquillo che mai ha subìto pressioni criminali. Tra l’altro, a quel tempo si è già aperta una feroce guerra dentro alla mafia tortoriciana: in due anni 20 morti e 8 tentati omicidi nelle strade del circondario, sangue a cui la gente non è abituata. I commercianti di Capo d’Orlando, però, reagiscono decisi ai primi attacchi, ai quali si fatica ancora a dare contorni precisi. E organizzano una grande manifestazione di risposta: il 2 febbraio 1990 le saracinesche dei negozi restano abbassate, chiudono banche, scuole, uffici, si ferma lo stesso municipio per lanciare un messaggio potente al racket dei Nebrodi. È la prima volta che una comunità si ribella compatta, anche se in quel primo momento non ci sono ancora le condizioni per dare al movimento una forma organizzata. Alcuni episodi successivi, però, fanno precipitare di colpo gli eventi: da quel momento niente sarà più come prima, a Capo d’Orlando e nell’isola intera. Si parte dalla richiesta di pizzo a Sarino Damiano, proprietario da una vita assieme alla sorella Melitta de “La Tartaruga”, noto complesso turistico nel borgo di San Gregorio. Lì hanno allog- giato nel tempo vip e artisti, su quella spiaggia, nel 1963, Gino Paoli ha scritto Sapore di sale, una delle canzoni più amate dal pubblico italiano. Per Damiano i problemi iniziano esattamente nel luglio del 1990. Mentre lavora nella cucina del ristorante, un dipendente gli comunica della strana visita di due persone, Vincenzo Crascì e Armando Craxì, quest’ultimo uomo di punta dei Bontempo-Scavo. Non usano mezze misure: “Noi siamo quelli della tangente, visto che sei tu e che ti conosciamo, sono 30 milioni”. Assicurano protezione con tono bonario, suggeri- scono perfino di chiedere i denari in banca. Il 4 ottobre ecco altri due uomini in hotel, sembrano sapere più del dovuto: Se- bastiano Conti Taguali, subito riconosciuto, e un altro individuo che poi, al momento degli arresti, si scoprirà essere Gino Rizzo Spurna. Stranamente, chiedono conto proprio di quei trenta milioni. Il proprietario li osserva mentre vanno via e riesce ad 10 annotare il numero di targa della Renault: Catania 547320. A novembre, però, durante il mese di chiusura dell’albergo, torna ancora Conti Taguali: più minaccioso, ribadisce che servono i soldi “per quelli che stanno in carcere”. Poi altre visite, sempre più spesso, fino al 2 gennaio 1991 quando si scomoda in persona il fratello del boss, Mario Bontempo Scavo, oggi collaborato- re di giustizia. Di fronte all’ennesimo rifiuto, aumenta pure il tono dell’intimidazione: “Ricordati che siamo i Bontempo e te la faremo pagare”. Non scherza, qualche giorno dopo viene ucciso il suo cane a colpi di arma da fuoco, ultima minaccia nei confronti di Damiano.

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