Giuseppe Avanzi (1645 - 1718), Un Pittore Nella Ferrara Di Secondo Seicento

Giuseppe Avanzi (1645 - 1718), Un Pittore Nella Ferrara Di Secondo Seicento

Enrico Ghetti Giuseppe Avanzi (1645 - 1718), un pittore nella Ferrara di secondo Seicento Comune di Ferrara 2016 2 Il Comune di Ferrara, nell'ambito dell'attività editoriale di comunEbook e della collaborazione con Liceo Scientifico “Antonio Roiti” di Ferrara, ha varato il "Premio comunEbook Ferrara" rivolto a tesi di laurea specialistiche o magistrali aventi come oggetto aspetti della storia dell’arte, dell’architettura, dello spettacolo e del cinema legati al territorio ferrarese. Il fine è quello di valorizzare le ricerche di giovani e promettenti studiosi consentendo la condivisione, ampia e gratuita, dei risultati culturali, storici e scientifici da loro raggiunti attraverso la pubblicazione delle tesi prescelte. Il premio ha cadenza annuale e prevede l’assegnazione di due borse di studio e la pubblicazione delle tesi attraverso comunEbook Ferrara. Una delle borse di studio è riservata a tesi discusse presso l’Università degli Studi di Ferrara. Il testo che vi accingente a leggere è pertanto la rielaborazione, adattata alle esigenze editoriali, di una delle due tesi selezionate nel 2015 da una commissione composta da esperti negli ambiti sopra indicati individuati dall’Amministrazione comunale in collaborazione con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Ferrara tra il personale scientifico del Comune e docenti dell’Ateneo ferrarese. Per informazioni sul "Premio comunEbook Ferrara": http://www.comunebookferrara.it/premio-comunebook/ Tratto dalla tesi di E. Ghetti, Giuseppe Avanzi (1645 - 1718), un pittore nella Ferrara di secondo Seicento, Università di Bologna, Scuola di Lettere e Beni Culturali, Corso di Laura magistrale in Arti Visive, rel. prof. D. Benati, corr. prof.ssa B. Ghelfi, a.a. 2013/2014. 3 Prefazione La monografia di Enrico Ghetti ci fa conoscere e apprezzare Giuseppe Avanzi, il pittore più prolifico nella Ferrara del secondo Seicento. Dopo le biografie di Girolamo Baruffaldi e Cesare Cittadella, che sottolineavano la sua indole naturalista, opposta a quella dei classicisti Maurelio Scannavini e Giacomo Parolini, allievi di Carlo Cignani, il suo carattere sbrigativo e l’abbondante, ma discontinua, produzione pittorica, in epoca moderna è stato Eugenio Riccomini, nel suo fondamentale volume sulla pittura a Ferrara nel Seicento del 1969, il primo a tentare una rivalutazione critica dell’artista ferrarese. Partendo dal contesto storico politico della Ferrara di metà Seicento, che in assenza della corte estense e dopo la scomparsa di Scarsellino e Carlo Bononi presentava ancora un’attività artistica rilevante, Enrico Ghetti, grazie a un approccio di studio che si è tradotto in accurate ricerche bibliografiche e archivistiche e nell’indagine sul campo, dimostra che Avanzi è stato in grado di recepire e rielaborare le sollecitazioni classiciste d’osservanza cignanesca di Scannavini, la modernità del primo Parolini e il paesaggismo di Giuseppe Zola. Dunque non fu un pittore irrimediabilmente ritardatario ma si rivelò capace di recepire le novità del panorama artistico contemporaneo e di conquistarsi un pubblico ampio e diversificato grazie al suo linguaggio originale e schietto. La ricognizione di Enrico Ghetti, che ha prodotto un catalogo ragionato delle opere e l’identificazione di diversi dipinti inediti, non ha precedenti nei contributi dedicati all’artista e nel contesto della pittura ferrarese di secondo Seicento. Grazie a questo lavoro è oggi possibile mettere a fuoco le circostanze di alcune importanti commissioni messe in cantiere da Avanzi, come il soffitto per la chiesa di San Carlo, i dipinti per la chiesa dei Santi Giuseppe Rita e Tecla e il ciclo un tempo nell’oratorio di San Crispino dell’Arte dei Calzolai che vide coinvolto anche Giacomo Parolini. Dal punto di vista metodologico il lavoro di Ghetti rappresenta un esempio importante per approfondire gli studi su un momento ancora poco considerato, quello cioè della produzione artistica a Ferrara nella seconda metà del XVII secolo e aprire la strada alle ricerche future. Barbara Ghelfi 4 Ferrara nel secondo Seicento, contesto storico - politico Pur non essendo la finalità principale di questa ricerca, un breve excursus storico e politico è opportuno per meglio comprendere l'ambiente in cui si trovarono a operare Giuseppe Avanzi e gli altri artisti locali. Nondimeno, la comprensione di alcuni aspetti è utile per meglio intendere il livello qualitativo di questi pittori, prevalentemente medio basso, e più ancora per comprendere il successo di cui godettero. Gli studi che permettono di approfondire la situazione ferrarese di quegli anni sono quelli di Riccomini sulla pittura a Ferrara del Sei e Settecento e quelli di monsignor Paliotto che indaga gli stessi secoli sul versante della storia politica e religiosa1. Il governo legatizio insediatosi nel 1598 comportò la restrizione in chiave moralista di un'area storicamente abituata a godere di una relativa libertà nei confronti di Roma. Questo clima di rigore è illustrato dalle dettagliate cronache contemporanee che narrano dell'attività di vescovi e legati. Soggetti dalla moralità irreprensibile si alternano ad altri che si preoccuparono prevalentemente del proprio tornaconto. Carlo Pio (1655 - 1662) ad esempio si comporta per certi versi da vescovo illuminato poiché riforma l'Università2 e inaugura nel proprio palazzo un'accademia letteraria3. Ciononostante non risulta molto amato dal popolo, avendo instaurato un clima di tensione e severità che lo costringerà a lasciare in fretta e furia la città (anche se al momento si ignorano le reali ragioni di questo abbandono4). Lo stesso si può dire per il cardinal Alderano Cybo (1651 - 1654), il legato che affiancò il Pio nei primi anni del suo Vescovado. Questi si dimostrò non meno rigido; all'atto dell'insediamento si preoccupò di comunicare al Maestrato la sua totale indisponibilità nel concedere grazie per i delinquenti e venne in seguito ricordato come persona dura sia con i sottoposti che con la nobiltà. Componente non secondaria fu senza dubbio l'aver lasciato le casse della città semi vuote5. Alcuni provvedimenti a favore della crescente povertà furono voluti dal legato Neri Corsini (1667 - 1670) che decise di ricostituire il Monte di Pietà (opera portata a termine del suo successore, il cardinale Nicolò Acciaroli6, 1670 - 1675), mentre non dovevano essere ben viste da una comunità già "sotto controllo" le norme da lui volute per ridurre gli eccessi di lusso7 che, si potrebbe supporre, si riflettevano anche sulla decorazione delle cappelle gentilizie nelle principali chiese. Acciaioli ricoprì un secondo incarico come legato alcuni anni dopo (1680 - 1689), durante il quale gli fu riconfermata la stima già dimostratagli dalla cittadinanza8. Egli stilò numerosi atti a favore della popolazione ed in particolare della classe più povera9. Il suo successore, il cardinale Lorenzo Imperiali (1690 - 1696), non fu altrettanto amato avendo curato principalmente i propri interessi attraverso certi traffici poco chiari sul prezzo del grano, in un periodo in cui, tra l'altro, esso non abbondava10. Restrizioni nei confronti della nobiltà si avranno anche col vescovo Carlo Cerri (1670 - 1690) che farà rimuovere tutte le insegne gentilizie dai portoni delle chiese "non volendo che alcuna persona fosse protettrice d'alcuna chiesa11". Le ragioni del declino culturale del territorio si possono ricercare anche in un certo disinteresse dei prelati per la cattedra ferrarese. Marcello Durazzo (1690 - 1691) ad esempio non raggiungerà mai la sede vescovile, mentre dopo di lui per cinque anni (1691 - 1696) essa rimarrà addirittura vacante, retta prima dal vicario e fino al 1696 dal cardinale legato Imperiali. La preoccupazione principale di questi alti prelati, il cui incarico sarà quasi sempre di breve durata, è quella di compiere visite ed ispezioni, per accertarsi del rispetto delle norme, delle liturgie e dei doveri del piccolo clero e del popolo, come l'osservanza dei sacramenti e la partecipazione alle messe. E' raro invece trovarli interessati all'arredo e al decoro urbano. Se infatti Pio si limita a far erigere una cappella in Santo Spirito (che consacra nel 165312), piccoli interventi in ambito artistico si avranno col cardinal Giacomo Franzoni (1660 - 1664) che risarcirà il Castello, dove farà restaurare a Carlo Borsatti pitture credute di Dosso13. Egli avalla inoltre l'idea del Maestrato di erigere una statua ad Alessandro VII in piazza Duomo, che verrà realizzata da Mateus Laumbiech su modello di Alessandro Caprioli14. Al vescovo Giovanni Stefano Donghi (1663 - 1669) si devono modifiche alla cattedrale dove farà aprire alcune finestre sul fianco sud e dove dedicherà una cappella al Santissimo Sacramento15. In Duomo il vescovo Carlo Cerri porterà più danno che beneficio: ne farà infatti imbiancare l'interno noncurante di affreschi e decori e,ancor peggio, farà abbattere l'importante apparato progettato da Nicolò Baroncelli e Domenico di Paris per l'altare maggiore16. Le vicende del monumento ad Alessandro VII proseguiranno alcuni anni dopo durante la legazione di Sigismondo Chigi (1673 - 1676). Questi approva l'erezione di una colonna in piazza Nuova decorata su disegno di Cesare Mezzogori sulla quale verrà traslata la statua del Pontefice17, suo zio. Si può aggiungere che l'unico a coltivare l'educazione di un artista ferrarese fu il vescovo Pio, mecenate di Giovanni Bonati. Si preoccupò infatti della sua formazione presso Guercino ma partendo per Roma, dopo la rinuncia alla cattedra ferrarese, lo volle con sè, dimostrando di averlo cresciuto

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