Una Storia, Tante Storie Sessant’Anni Della Nostra Vita E Del Calcio Giovanile E Dilettantistico a Torino E Dintorni

Una Storia, Tante Storie Sessant’Anni Della Nostra Vita E Del Calcio Giovanile E Dilettantistico a Torino E Dintorni

INDICE Prefazione Sono stati anni da ricordare. Tutti. di Maurizio Laudi pag. I Introduzione pag. III Capitolo I Emozioni che ritornano pag. 5 Capitolo II Un pallone che cambia pag. 12 Capitolo III La Storia è passata da qui pag. 24 Capitolo IV Quella famosa maglia viola pag. 29 Capitolo V Tempi di vera passione pag. 41 Capitolo VI Un po’ per caso, un po’ per necessità pag. 77 Capitolo VII Tra buoni sentimenti e anni di fuoco pag. 89 Capitolo VIII Con il pallone di fianco pag. 118 Capitolo IX Metti che una fiaba… pag. 137 Capitolo X Da una grammatica presa a calci ad un calcio tutto rosa pag. 147 Capitolo XI Una esperienza unica pag. 160 Capitolo XII L’arbitro di calcio, ma chi è? pag. 173 Capitolo XIII Scorza dura, ma… pag. 187 Capitolo XIV La vera storia di Elio Bandiera che a quella partita proprio non c’era pag. 197 Capitolo XV Un vescovo, qualche frate e… Pier Augusto Righetti pag. 201 Capitolo XVI Il calcio, la politica e tanta autarchia pag. 211 Capitolo XVII “Viaggiare” da soli e lasciare il segno pag. 219 Capitolo XVIII Il calcio “nobile” del Lascaris pag. 231 Capitolo XIX Tra il Po, la collina e tanta voglia di fare pag. 249 Capitolo XX Un calcio che vale di Giorgio Tosatti pag. 259 Tito Delton Una Storia, tante storie Sessant’anni della nostra vita e del calcio giovanile e dilettantistico a Torino e dintorni Prefazione di Maurizio Laudi Volume 1° Edizioni Sono stati anni da ricordare. Tutti. di Maurizio Laudi Ci sono libri che ognuno di noi appassionati del pallone vorrebbe aver scritto. Penso che "Una Storia, tante storie" di Tito Delton meriti di trovarsi in questo elenco dei sogni. Certamente lo è nel mio; ma sono sicuro che, dopo aver letto l'ultima pagina, tantissimi penseranno la stessa cosa. Perché questa, raccontata dall'autore, è in fondo anche la nostra storia. "Nostra" di tutti quelli che, dagli anni dell'immediato dopo guerra in poi, hanno dedicato una parte importante del loro tempo e tutta la loro passione al "football": dirigenti, allenatori, calciatori, massaggiatori, tifosi. Ci sono le nostre speranze, le nostre delusioni, le nostre vittorie, le nostre sconfitte, le nostre rivalità. In una parola, c'è il nostro mondo. Un mondo autentico che Tito Delton ha descritto con la fedeltà del cronista, la partecipazione sentimentale del protagonista, la cultura dello storico. In questo caleidoscopio di prospettive sta il fascino del libro. Chi lo leggerà andrà a cercare, subito, con golosità il capitolo o la pagina che parla della sua società, del suo campo, del suo presidente, del suo campionato vinto o perso. E sarà soddisfatto nella sua ricerca perché le singole storie sono raccontate in maniera tale che, capitolo per capitolo, non ci sia un solo attore ad occupare tutta la scena, ma tante altre persone e tante altre vicende. Come è giusto sia in una storia collettiva. Ma lo stesso lettore, una volta soddisfatta la sua curiosità più personale, troverà anche un mondo fuori dal campo di gioco e dalle stanze, più o meno attrezzate, delle società di calcio. Troverà la storia di Torino: gli anni durissimi finita la guerra e dolorosissimi per la tragedia di Superga; quelli faticosi ma pieni di speranza della ripresa economica; quelli di un maggior benessere generale. Troverà anche i decenni più vicini ad oggi, per certi aspetti anche più aspri del periodo delle ristrettezze, perché segnati da tensioni sociali avvelenate dalla violenza e da quella confusione di valori che ancor oggi viviamo. II La seduzione del libro è in questo continuo intrecciarsi tra gli eventi sportivi dei nostri campionati giovanili e dilettantistici e gli accadimenti della città, ma anche dell'Italia e del mondo. Tito Delton ha dato voce a ciascuno di noi, perché ha raccontato attraverso la nostra esperienza sportiva, la storia della nostra vita. Certo, non di tutte le società si parla perché sarebbe stato impossibile. Non di tutte le partite si fa menzione, perché altrimenti sarebbe stato non un libro ma un almanacco calcistico. C'è però, ugualmente, una forza di identificazione collettiva che fa sentire tutti noi - quegli appassionati del calcio di cui parlavo all'inizio - come protagonisti di queste storie. Perciò non serve citare, qui, quel certo presidente, quella determinata società, quel calciatore o quel dirigente, escludendo altri nomi, altre vicende, altre peripezie. Chi leggerà la Storia, anzi le storie di Tito Delton avrà il piacere di sentirsi prendere per mano e farsi accompagnare a ritroso, più o meno lontano nel tempo, lungo le strade di un mondo che è stato, è e continuerà ad essere anche il suo. In questo cammino troverà - io le ho trovate - occasioni di sorriso, di rimpianto, di commozione, di tanti altri sentimenti. E soprattutto si convincerà, ancora una volta, che è bello aver dedicato e dedicare anche oggi un pezzo della propria vita a questo pallone, non rutilante di riflettori, non soffocato dal mercato e dalle esigenze televisive, non inquinato da tante brutture, ma alimentato dalla passione e nobilitato dai sacrifici personali. III Introduzione Scrivere del calcio di casa nostra, una casa diventata anche mia dopo che proprio sessant'anni fa approdai, da esule d'Istria, in queste contrade, è un po' come ritornare ragazzetti e rivivere umori, ambienti, oratori, strade e cortili ormai inesistenti. Certo, il calcio a Torino e dintorni è nato ben prima, le stesse Juventus e Torino sono lì a rammentarcelo, e qualcuna delle società dilettantistiche di cui spenderemo fogli e fogli sono vicine ai cento in quanto a primavere, ma vuoi perché ci si fida più della memoria che di certi stralci, vuoi perché il calcio organizzato dalla nostra gente, organizzato bene voglio dire, ha il suo start nel secondo dopoguerra, ho voluto sentire le trame dei tanti e raccontarle in diretta dopo aver scavato nei miei personali ricordi per una verifica che vuol essere più di nostalgia che di rigore giornalistico. Ecco, allora, che non sentirete peana ed osanna per "certe" maglie bianconere o per "certe" maglie granata, se non per degli obbligati accostamenti, ma leggerete, se ne avrete voglia, di pedate ben date anche da ragazzi che hanno finito per appendere le classiche scarpe al classico chiodo sempre giocando nei dilettanti, leggerete di club che hanno fatto storia non solo regionale e di altri che si sono "consumati" in pochi lustri ma che, comunque, sono stati un bel punto di riferimento per qualche centinaio o migliaio di persone, non sempre tutte ligie ai doveri, come s’usa dire, perché le "lingere" (e l’etimologia dialettale piemontese di questo vocabolo ci spiega che “lingera” non sta per delinquente, bensì per fannullone, scansafatiche, intrigante, loffio, insomma!) sono esistite anche nello sport, a dimostrazione che possono coesistere, in un "undici", in una squadra che gioca al calcio, la “guardia” e il “ladro”, il misero e l'intelligente e fare, ugualmente, scorpacciate di gol. Racconterò del tale che per poco non rifilò un cazzotto ad un arbitro e che poi è diventato presidente di una grande società, del giovanotto che con altri dieci compagni andò per quindici giorni a giocare nel Kazakistan e dintorni, realmente ai confini con la Cina, e finì per emettere, in tutti i sensi, sentenze di vario tipo, dell’amico che è morto ancora ragazzo, del cronista sportivo che è diventato un simbolo di correttezza, del presidente “cannibale” che non si accontentava mai di poche vittorie ed invece dichiarava in pubblico che per lui l’importante era solo partecipare: si, partecipare! Ma anche di quei dieci o dodici dilettanti che hanno finito la carriera tra i professionisti, III oppure di come e perché un professionista regalò undici maglie rosse ad un giovane che si inventò, da lì in avanti, una società che fece scalpore. Parlerò di un trio di “mediani” che non ha avuto uguali nella Torino del calcio giovanile, di come si vinsero scudetti tricolori a grappoli, di quali dirigenti diedero lustro al calcio delle nostre contrade, di quali tecnici seppero fare “squadre impossibili”, di come si assimilarono i concetti del gioco di squadra che si evolveva e ancora tante di quelle storie personali, private, sovente diventate pubbliche che finiranno per stupirvi. Sì, stupirvi, perché il nostro calcio, il calcio di Torino e dei suoi immediati dintorni mai nessuno ve l’ha raccontato come leggerete più avanti. Forse potrete anche commuovervi, forse vi farò ridere o, almeno, sorridere. Comunque scriverò di gente misco- nosciuta ai grandi media o, al massimo, imperante nei propri borghi e, in ogni caso, gente che ha saputo costruire con tanta passione, molta intelligenza e un briciolo di cinismo un gioco fatto da undici “boys”, consentitemi ancora questo termine, poi diventati tredici, quindi sedici e, di questi tempi, anche diciotto. Così sono arrivato al gioco di squadra, a quel bellissimo gioco di squadra che è il gioco del calcio, al fulbal (il balon era roba da primordi) come veniva chiamato dai più sessant'anni addietro e che, gioco forza, con il progresso, l'immigrazione e l'integrazione è ridiventato calcio o, al massimo, football. E' un po' come la storia che si ripete o si perpetua, fate voi, dove il dialettale opsaid è diventato off side e poi fuori gioco, il canonico corner (ricordate? Tre corner, ‘n rigôr!) è ritornato calcio d'angolo ed i termini inglesi, se ci fate caso, in questa sola circostanza del terzo millennio non hanno attecchito del tutto. Come dire: il gioco è stato inventato dai britannici, ma noi ce ne siamo appropriati e l'abbiamo fatto tutto nostro. E quando dico "noi" intendo i torinesi che, tra le altre centinaia di grand'idee messe sul piatto, hanno anche "inventato" la Federazione e il Campionato di Calcio.

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