Dedicato a tutti coloro che non danno né troppa, né troppo poca importanza al Festival di Sanremo Introduzione Si dice che è meglio scrivere per se stessi e non avere pubblico, piuttosto che scrivere per il pubblico e non avere se stessi. Ecco perché non ho mai ambito (non fosse altro che per i miei limiti) ad avere successo editoriale: mi diverte di più raccontare in piena libertà e sfruttare la pazienza di amici e parenti che abbiano voglia di leggermi. Questo racconto ha nel suo centro le vicende relative al Festival di Sanremo, divise in tre capitoli. Nel primo (1951 - 1972) nonostante non manchino riferimenti a realtà esteriori alla Rassegna, le notizie e le informazioni relative al Festival sono assolutamente prevalenti; e ciò perché quel periodo è stato, in assoluto, il migliore di tutta la storia della manifestazione. Nel secondo capitolo invece, dedicato alla crisi della Rassegna (1973-1980) il Festival arretra sullo sfondo, per lasciare posto alle altre vicende del periodo. Infine nel terzo ed ultimo (1981-2010) i due aspetti del racconto trovano un punto di equilibrio, in virtù della capacità della Rassegna sanremese di recuperare un suo posto di riguardo, ma in un contesto ormai del tutto diverso da quello in cui era nata e cresciuta. Nel libro vi sono (oltre ad inevitabili errori ed inesattezze di cui mi scuso) dati statistici, ma non molti; citate parecchie canzoni, ma non tutte; esistono a riguardo altre pubblicazioni migliori delle mie, dove potrete trovare tutto ciò. Il mio intento è raccontare uno spettacolo ed un’atmosfera che dura da sessant’anni e soprattutto esprimere, se non un atto di amore, indubbiamente una simpatia nei confronti di questa assurda, ma fantastica e talvolta incomprensibile manifestazione. L. M. Dalle origini, alla crisi degli anni settanta (1951- 1972) Gigliola Cinquetti in "Non ho l'età (per amarti)", 1964 Il 29 gennaio 1951, alle ore 22,00 nel Salone delle Feste del Casino Municipale di Sanremo nasce il Festival della Canzone Italiana. Come spesso accade non fu attribuita una grande importanza all’evento. Intanto perché la televisione non esisteva ancora e poi perché nessuno poteva immaginare il successo che la manifestazione avrebbe avuto nel corso dei decenni successivi. Ma chi è stato l’inventore del Festival? Nonostante si dica spesso che il merito vada ad Amilcare Rambaldi – che poi inventerà la Rassegna Tenco - la manifestazione fu realizzata da Pier Busseti, 1 presidente dell’ATA, società concessionaria del Casinò e Giulio Razzi, direttore dei programmi RAI. Amilcare Rambaldi, in effetti, aveva nel 1945 lanciato l’idea di una Rassegna canora; ma essa fu lasciata cadere nel vuoto, fino appunto al 1951; è anche probabile che le caratteristiche “fisiche” che il Festival assumerà, fossero assai diverse da quelle che Rambaldi immaginava. Dobbiamo notare subito due cose: il Festival nasce sulla base di un binomio fondamentale costituito dalla RAI e dal Casino di Sanremo; fondamentale perché RAI significava radio (e poi televisione) e quindi la possibilità di divulgare a livello nazionale le canzoni del Festival e Casino significava prestigio, perché Sanremo era allora considerato un centro turistico di fama mondiale, particolarmente charmant; insomma l’uso di una tecnologia, per i tempi, d’avanguardia, sposata ad una fascinosa tradizione. Alcuni dati: il presentatore è Nunzio Filogamo, che era quello che salutava il pubblico dicendo: “Miei cari amici vicini e lontani, buonasera dovunque voi siate”; un saluto che sembrava giustificato anche dal fatto che gli spettatori dei primi Festival erano dei signori seduti a cenare nel Salone delle Feste del Casino ad ascoltare, con quella distrazione tipica da piano-bar, le canzoni proposte. Le case editrici contattate furono 240; Le serate: 3; dal 29 gennaio al 31. Le canzoni selezionate 20, di cui 10 andarono in finale. I cantanti 3: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano. L’orchestra era quella del Maestro Cinico Angelini. Le giurie: gli spettatori 2 presenti in sala. Vince Grazie dei fiori cantata da Nilla Pizzi. E’ importante insistere sul numero davvero ridotto dei cantanti, perché da questo punto di vista il Festival in quegli anni rappresentava la negazione del culto della star. Gli interpreti cioè avevano un’importanza secondaria (infatti erano soltanto 3) rispetto al prodotto musicale. Il Festival del 1951 si rivela un’esperienza riuscita quel tanto che basta da ritentare una seconda edizione. La sensazione degli organizzatori fu di ritrovarsi tra le mani un prodotto funzionante oltre le più rosee aspettative. Un successo garantito anche dal suo carattere, si sarebbe detto una volta, interclassista: da un lato una manifestazione riservata alle fasce sociali economicamente più elevate che potevano permettersi di spendere 500 lire del tempo per entrare al Casino, dall’altro una manifestazione fruibile, grazie alla radio, dal nascente popolo sanremese; un po’ come nei teatri e nei circhi, anche se qui il popolo seguiva il tutto “a distanza”. L’edizione del 1952 nasce sull’impressione che ci si trovasse di fronte ad un successo da sfruttare. Erano stati infatti venduti 80.000 dischi delle canzoni dell’anno precedente e le medesime erano entrate nel repertorio di orchestre ed orchestrine di tutta Italia. Non dimenticatevi di quest’ultimo aspetto, perché esso costituirà una delle ragioni principali della longevità della manifestazione, anche in periodi di crisi profonda. Il prezzo del biglietto passa da 500 a 4.000 lire. Stessa 3 formula delle tre serate. Ancora Nunzio Filogamo a presentare. Gli stessi cantanti della prima edizione ai quali si aggiungono Oscar Carboni e Gino Latilla. La radio ripete, come l’anno precedente, i due collegamenti nella serata finale: il primo per far ascoltare le 10 canzoni finaliste, il secondo per la comunicazione dei vincitori. Il Festival, in quegli anni iniziava il lunedì e terminava il mercoledì. Vince Vola colomba e, a seguire, Papaveri e papere. Terza: Una donna prega. Tutte e tre le canzoni sono cantate dalla stessa interprete: Nilla Pizzi che, in virtù di questi successi iniziali, diventerà la signora, o meglio, la Regina della Canzone. Se la prima edizione del Festival era venuta alla luce in piena “Guerra Fredda”, la seconda ha luogo nello stesso anno in cui gli USA assegnano all’Italia un aiuto di 119.000.000 di dollari. Vi comunico queste informazioni perché vi è un dato da rilevare, connesso alla manifestazione: non è vero che la storia e/o la politica sia entrata nel Festival nella seconda metà degli anni sessanta. Tutt’altro. Nonostante l’argomento “amore” la faccia ovviamente da padrone (perché oggi no?) non mancano in alcune canzoni riferimenti espliciti, in qualche caso imbarazzanti, ad eventi anche dolorosi della storia d’Italia. La canzone vincitrice, per esempio, è una specie di grido di dolore che, attraverso la mediazione sentimentale, denuncia la mancata restituzione di Trieste all’Italia, tanto è vero che: “Lei è rimasta a Trieste e lui vorrebbe essere una colomba per raggiungerla”. I comunisti, in nome 4 dell’Internazionalismo, odiano esplicitamente questa canzone, mentre, altrettanto esplicitamente, in Italia i giovani di destra manifestano perché la città sia restituita. Come vedremo il tema storico-politico ritornerà, in modo ancora più evidente, fin dall’edizione successiva. La seconda classificata nel 1952 è invece Papaveri e Papere; un motivetto decisamente di tutta distrazione in quanto narra l’improbabile amore tra una papera e un papavero. Un amore improbabile che però farà vendere 70.000 copie, mentre Vola Colomba si ferma a 45.000. Ricordo che, nel 1959, quando avevo tre anni, canticchiavo, da infante ma abitualmente, la canzone dei papaveri che, evidentemente, rimase in repertorio davvero per tanto tempo. La manifestazione cresce. E’ iniziata la caccia al biglietto (per alcuni non ancora terminata ai giorni nostri); e si organizza un treno speciale da Milano per consentire ai lumbard di venire al Festival. Ciò è annunciato sul Corriere della Sera; ma la carta stampata arriva tardi al Festival. Sui giornali infatti si parla poco e niente della Rassegna canora sanremese. Nella terza edizione del Festival, 1953, le novità sono parecchie. Finalmente la manifestazione viene spostata definitivamente al fine settimana. Avrà luogo da giovedì 29 gennaio a sabato 31, sempre con inizio alle ore 22. L’orario cioè è ancora calibrato sulle esigenze degli spettatori in sala. Altra grande novità: s'incomincia (sarà così fino al 1971) con la 5 presentazione della canzoni in doppia versione, una più tradizionale, l’altra più briosa, affidata ad una seconda orchestra diretta da Armando Trovajoli. Ai tradizionali cantanti già citati nelle precedenti edizioni si aggiungono quattro debuttanti: Katina Ranieri, Flo Sandon’s, Giorgio Consolini e Teddy Reno, il futuro marito di Rita Pavone. Cambia anche il criterio per selezionare le canzoni: non più soltanto il voto dei presenti in sala, ma anche quello degli abbonati alla radio, sorteggiati per l’occasione. Il capitolo delle giurie del Festival di Sanremo meriterebbe una pubblicazione a parte. Nel corso degli anni si sono tentate tutte le formule possibili, senza che mai siano venute a mancare critiche, proteste ed accuse di ingiustizie. Qui possiamo dire che la questione è connessa alla duplice natura del Festival, che vuole essere vetrina altolocata della canzone italiana ed anche, per ovvi motivi commerciali, specchio dei gusti popolari. Questa contraddizione – più apparente che reale – sarà motivo di dibattiti infiniti. Sono del 1953 la prima lamentela ed il primo plagio. La lamentela: la RAI auspica la necessità di correggere la tendenza alla facile commerciabilità delle canzoni. Il plagio: il maestro Mario Ruccione afferma che la canzone Tamburino del Reggimento di Deani è una scopiazzatura della sua Sagra di Giarabub. Scoppia anche qualche tumulto in sala, ovviamente subito sedato. Insomma fa capolino il Festival che poi saremo abituati a conoscere. Vince Viale d’autunno; ma seconda arriva Campanaro e terza, ex aequo con Lasciami cantare una 6 canzone, un motivetto dal titolo Vecchio scarpone, cantata da Gino Latilla, che diventerà negli anni, canzone tipicamente “da gita”.
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