Centro Studi La permanenza del Classico Ricerche 6 ante retroque prospiciens Dipartimento di Filologia Classica e Medioevale Università di Bologna http://www.classics.unibo.it/Permanenza 2 NOMOS BASILEUS La legge sovrana a cura del Centro Studi “La permanenza del Classico” 3 Per il contributo offerto al ciclo di letture e alla pubblicazione del presente volume si ringraziano: l’Alma Mater Studiorum-Università di Bologna e la Facoltà di Lettere e Filosofia; la Regione Emilia-Romagna; la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, l’UniCredit Banca; la Coop Adriatica, l’Unipol Assicurazioni, la casa editrice Rizzoli-BUR. Siamo grati all’Arena del Sole - Nuova Scena, Teatro Stabile di Bologna per aver ospitato il volume nella propria Collana. Un ringraziamento particolare a Serena Nono per l’immagine di copertina. In copertina : Serena Nono, Antigone (2004), olio su tela, 120x140. 4 APORIE DELLA LEGGE Universale e individuale, assoluta e storica, inafferrabile e quotidiana. Così è la legge; esposta a dilemmi, con- traddizioni e paradossi, e soprattutto a una domanda: quale il suo fondamento? Detto altrimenti, con le paro- le del poeta Pindaro: come può essere la “legge sovra- na” ( nómos basiléus )? Legge e diritto , ovvero la legislazione positiva e il diritto naturale. Il problema è se la legge sia codice conven- zionale dell’uomo oppure codice iscritto nella natura. Il sofista Antifonte sosteneva che “la maggior parte delle cose giuste secondo la legge sono nemiche della natura”; il contrario esatto del pensiero di Cicerone, per il quale “noi non possiamo distinguere la legge buona da quella cattiva in base a nessun’altra norma, se non a quella di natura”. Legge e potere , ovvero la legge e la politica. La legge come opera di una particolare costituzione o forma di gover- no: dei molti, dei pochi, di uno solo. Di qui la diversifi- cazione e la relatività della legge – e delle leggi – nello spazio e nel tempo. E anche il suo segno contradditto- rio: per gli uni garanzia di ordine, per gli altri forma di repressione; per gli uni garanzia dei diritti, per gli altri salvaguardia dei privilegi. Nata per affermare e proteg- gere la giustizia e la libertà, essa può, nelle sue declina- zioni contingenti, favorire il sopruso e l’arbitrio. Se per un attimo poniamo mente alla complessità e all’oppri- 5 mente apparato delle leggi (in Italia più di centomila ne contano gli esperti), non sarà difficile riconoscerci nel detto summum ius, summa iniuria (“sommo diritto, som- mo torto”) e nella definizione con cui Anacarsi deride il legislatore Solone: le leggi sono come le ragnatele, i po- tenti le infrangono, i deboli vi rimangono impigliati. Legge e coscienza , ovvero legge scritta e legge non scritta. Antigone, icona del ribelle nobile, del trasgressivo in- nocente e del disobbediente civile di ogni tempo, sta a ricordarci che accanto, contro e sopra le leggi scritte della città – alle quali si adeguerà anche Socrate – vi so- no quelle “non scritte” (ágrapta ) dell’interiorità indivi- duale; in netta antitesi, tuttavia, con la coscienza demo- cratica di Euripide, per il quale “quando le leggi sono poste per iscritto, il povero e il ricco hanno pari giusti- zia, e il debole può ribattere a chi è potente, se viene offeso”. Legge e Spirito , ovvero la legge dell’uomo e la legge di Dio. Non si tratta solo della semplice distinzione delle due sfere e del “date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”, ma della metánoia , del “cam- biamento di mentalità”, della “conversione”: del pas- saggio dai divieti del Decalogo dell’ Esodo alla libertà del Discorso della Montagna ; dal “guai a coloro che assolvono per regali un colpevole e privano del suo diritto l’in- nocente” a “beati gli affamati e assetati di giustizia”; da “onora tuo padre e tua madre” a “chi non rinnega suo padre e sua madre per me, non è degno di me”. 6 Legge e giustizia , ovvero il fondamento della legge, come proclama Tertulliano: “a rendere valide le leggi non sono né il numero dei loro anni né l’autorità dei loro promulgatori ma unicamente la giustizia”. Eppure dob- biamo ammetterlo: tutti sanno cos’è l’ingiustizia, nes- suno cos’è la giustizia. Affermiamo che la legge è uguale per tutti, ma quale giustizia nel trattare in manie- ra uguale i diseguali? Quale giustizia può regolare colpa, peccato, errore? Come può l’uomo essere sia sovrano sia suddito della legge? Queste domande si caricano ai giorni nostri di nuovi interrogativi e assilli etici che noi dobbiamo sciogliere nel ristretto collo di bottiglia delle regole: privacy, eutanasia, fecondazione artificiale, cellule staminali. Continua e si aggiorna, in tal modo, la “traversata” di quell’essere meraviglioso e “tremendo” (deinós ) – come lo definisce Sofocle – che è l’uomo. Siamo di nuovo alla domanda di venticinque secoli fa, alla domanda di Alcibiade: “dimmi, Pericle, che cos’è la legge?”. Siamo, soli, in attesa lunga e vana, di fronte a quella porta aperta ma inaccessibile, a chiedere al guardiano di “entrare nella legge”. Né colpevoli né innocenti. Ivano Dionigi 7 8 Il diritto di Antigone e la legge di Creonte 9 Il diritto di Antigone e la legge di Creonte Gustavo Zagrebelsky Sofocle Antigone interpretazione Monica Guerritore, Luca Lazzareschi Lino Guanciale, Viola Pornaro musiche T. Traetta, Antigona. Tragedia per musica in tre atti di M. Coltellini F. Mendelssohn Bartholdy, Antigone , op. 55 C. Orff, Antigonae. Ein Trauerspiel des Sophokles von Friedrich Hölderlin A. Honegger, Antigone. Tragédie musicale en trois actes, paroles de Jean Cocteau regia Claudio Longhi Giovedì 5 maggio 2005, ore 21 Aula Magna di Santa Lucia 10 LA TRAGEDIA DI ANTIGONE La spedizione di Polinice è fallita, la città è salva: i guerrieri argivi condotti dall’esule contro Tebe sono vinti, Polinice è morto, ma con lui è morto suo fratello Eteocle, difensore di Tebe; dalla loro contesa per il trono era sorta la guerra, nel duello fratricida la guer- ra termina. Aspro è il decreto del nuovo re, Creonte: che Polinice giaccia insepolto e illacrimato. Al decreto si oppone Antigone, so- rella dei due caduti, in nome di quelle leggi eterne, incrollabili, di- vine, “non scritte” ( ágrapta ) ma “sempre vive” ( aeí pote zê taûta ) al cui paragone nulla può la transitoria legge degli uomini. Due op- poste concezioni della legge, della società e della politica si scon- trano nelle figure estreme di Antigone e Creonte: e l’Occidente non cesserà di riflettere sul loro contrasto, ora prendendo partito per le ragioni dello Stato e della legge scritta, ora per quelle dell’ir- riducibile anelito individuale a una giustizia che mai s’incarna del tutto nella legge, ora invece aspirando a un’ideale sintesi di due istanze ugualmente giustificate, ma ugualmente unilaterali. Anti- gone, “la più nobile figura mai apparsa sulla terra” (Hegel), diverrà così, via via, l’icona del giusnaturalismo, della resistenza al potere, della “disobbedienza civile”, ma anche della pietà che non vuol di- stinguere fra vinti e vincitori, dell’amore che sfida la morte – se ad- dirittura non la brama – o dei rapporti familiari che resistono e si oppongono alla “volontà comune”, realizzata nello Stato. L’imma- gine di Creonte varierà al variare dell’immagine di Antigone, e al conflitto, che appare irresolubile – come ammette la stessa Antigo- ne nel suo duro faccia a faccia con Creonte – cercheranno soluzio- ne pensatori, teologi, giuristi e poeti dell’età moderna, da Goethe a Hegel, da Schiller a Hölderlin, da Shelley a Kirkegaard, fino a Heidegger, Bultmann, Calamandrei, Lacan, Derrida; la tragedia di Antigone – “una delle azioni durature e canoniche nella storia della nostra coscienza filosofica, letteraria e politica” (Steiner) – dopo la rappresentazione sofoclea del 442 a.C., non cesserà d’essere ripetuta, nella scrittura – dagli stessi Greci sino ai giorni nostri – e forse, più frequentemente, nella storia stessa. 11 ANTIGONH . w\ koino;n aujtavdelfon ≠Ismhvnh~ kavra, a\r≠ oi\sq≠ o{ti Zeu;~ tw`n ajp≠ Oijdivpou kakw`n oJpoi`on oujci;nw`≥n e[ti zwvsain telei`É oujde;n ga;r ou[t≠ ajlgeino;n ou[t≠ †a[th~ a[ter † 5 ou[t≠ aijscro;n ou[t≠ a[timovn ejsq≠ oJpoi`on ouj tw`n sw`n te kajmw`n oujk o[pwp≠ ejgw;kakw`n. kai;nu`n tivtou`t≠ au\ fasi pandhvmwópovlei khvrugma qei`nai to;n strathgo;n ajrtivw~É e[cei~ ti keijshvkousa~É h[se lanqavnei 10 pro;~ tou;~ fivlou~ steivconta tw`n ejcqrw`n kaka;É ISMHNH . ejmoi;me;n oujdei;~ mu`qo~, ≠Antigovnh, fivlwn ou[q≠ hJdu;~ ou[t≠ ajlgeino;~ i{ket≠, ejx o{tou duoi`n ajdelfoi`n ejsterhvqhmen duvo mia`≥qanovntoin hJmevra≥diplh`≥ceriv: 15 ejpei;de;frou`dov~ ejstin ≠Argeivwn strato;~ ejn nukti;th`≥nu`n, oujde;n oi\d≠ uJpevrteron, ou[t≠ eujtucou`sa ma`llon ou[t≠ ajtwmevnh. AN. h[/dh kalw`~ kaivs≠ ejkto;~ aujleivwn pulw`n tou`d≠ ou{nek≠ ejxevpempon, wJ~ movnh kluvoi~. 20 IS. tivd≠ e[stiÉ dhloi`~ gavr ti kalcaivnous≠ e[po~. AN. oujga;r tavfou nw`≥n tw;kasignhvtw Krevwn 12 1. Antigone e Ismene Nel prologo della tragedia, Antigone e Ismene si confrontano in un dialogo che evidenzia l’irriducibile contrasto fra le due sorelle: la prima, aristocraticamente decisa a seguire soltanto l’amore che la lega alla memoria del fratello Polinice; la seconda, incapace di far violenza alla “volontà comune”, depositata nel ké- rygma (“decreto”) di Creonte, che vieta la sepoltura di Polinice. Sullo sfondo, il passato obbrobrioso e sanguinoso di Edipo e Giocasta, rievocato da una sen- sibile e problematica Ismene, che solo la riflessione novecentesca tenterà di ri- scattare dalla nomea di pavida cui Antigone la condanna.
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