Master's Degree Programme in Comparative International Relations Second Cycle (D.M. 270/2004) Final Thesis A present but non-existent immigration: Japanese-Brazilian return to their ethnic homeland Supervisor Ch. Prof.ssa Rosa Caroli Co-supervisor Ch. Prof. Luis Fernando Beneduzi Graduand Linda Mazzoni 860849 Academic year 2016/2017 1 Abstract L’ idea per il seguente progetto di tesi nacque poco più di un anno fa, grazie allo svolgimento di un programma di studio in Brasile, all’ Università Federale di Santa Catarina. Ritengo di aver intrapreso un percorso universitario abbastanza vario, che mi ha permesso di fare pre- ziose esperienze. Perciò, se volessimo definire la tesi di Laurea Magistrale come un “tributo” a quanto si è appreso nell’ arco di cinque anni di studio, credo che questo mio lavoro rappre- senti appieno i frutti del mio percorso. Fino ad allora, non ero a conoscenza del fatto che la più grande comunità di giapponesi residenti all’ estero si trovasse proprio in Brasile. Lo sco- prii poco prima di recarmi a São Paulo, dove attualmente risiedono circa seicentomila Nippo- Brasiliani, o Nikkeijin, dei circa due milioni di giapponesi e discendenti sparsi perlopiù nel Sud-Est del Paese. Nel cuore della metropoli Paulista, infatti, si trova un quartiere chiamato Liberdade, che credo si possa descrivere come una piccola Japantown. Vi sono infatti piccoli ristoranti di cucina giapponese, templi buddisti, negozi di alimentari che vendono prodotti tipi- ci giapponesi e altri che vendono oggetti folcloristici, tutti gestiti da membri della comunità nippo-brasiliana. Sembra un luogo rimasto fermo nel tempo, incontaminato dai palazzi, le in- dustrie e i ritmi accelerati della metropoli circostante. A dire il vero, non sembra nemmeno di essere in Brasile. Come era possibile, dunque, che due culture apparentemente incompatibi- li, perlomeno a mio avviso, fossero venute a contatto, parzialmente mescolandosi tra loro? Ricordo che rimasi particolarmente colpita dal Museu Histórico da Imigração Japonesa, che raccontava la storia dell’ immigrazione giapponese in Brasile fin dagli albori, con una serie di reperti storici, giornali dell’ epoca, libri, filmati e documenti che accompagnavano le testimo- nianze di una migrazione ben più che passeggera. Fu lì, proprio in quel museo, che alcune risposte iniziarono a prendere forma, sebbene gran parte della storia dei nikkeijin sia ancora da scrivere e includa un complesso fenomeno migratorio transnazionale. Me ne resi conto poco tempo dopo, quando incontrai Matheus, un ragazzo nippo-brasiliano che vive a Curiti- ba, nello stato di Paraná. Matheus ha tratti somatici abbastanza pronunciati e fisicamente, se non fosse per l’ altezza, sarebbe indistinguibile da un qualsiasi altro giapponese. Eppure aveva qualcosa di diverso, che in Brasile definirebbero jeito brasileiro, un modo di fare che non rispecchiava minimamente l’ etichetta giapponese. Inconsciamente, mi resi conto suc- cessivamente che fui proprio io la prima ad avere determinate aspettative su Matheus, basa- te su caratteristiche etniche proprie del popolo nipponico. Sottovalutavo che, sebbene fosse cresciuto all’ interno di una famiglia giapponese (mi raccontò che fu il nonno ad emigrare in Brasile al compimento della maggior età), era circondato da un ambiente totalmente alieno alla sua cultura di origine. L’ unico suo legame con la madrepatria erano i racconti del nonno e alcune tradizioni che lo stesso aveva cercato di trasmettergli mentre lui cresceva con amici Brasiliani, imparava il portoghese e gradualmente prendeva le distanze da quella cultura di 2 cui aveva sempre e solo sentito parlare (infatti, nonostante fosse un suo grande desiderio, non aveva ancora avuto l’ occasione di visitare il Giappone). Ricordo che Matheus diceva di sentirsi completamente integrato in una società multi-etnica come quella brasiliana, sebbene molto spesso gli sia capitato che alcuni connazionali si rivolgessero a lui come Japonês, evi- denziando una sottile categorizzazione razziale che cela un sintomo di percepibile diversità, da cui talvolta può emergere un senso di non-appartenenza (come rivelerà in seguito in un’ intervista a cui ha gentilmente accettato di prendere parte, insieme ad altri suoi tre conoscen- ti appartenenti alla comunità Nikkeijin). E’ grazie alla storia di Matheus, e di tanti altri nippo- brasiliani che sono tornati nella terra dei loro antenati, riscoprendo i paradossi derivanti dalla loro identità transnazionale, che la mia ricerca ha trovato il suo scopo ultimo ed é potuta es- sere realizzata. Nel primo capitolo, ripercorrerò la storia dell’ immigrazione giapponese in Brasile, a partire dalla prima spedizione di migranti che attraccò nel 1908 nel porto di Santos, a bordo dell’ im- barcazione Kasato Maru. Prima di focalizzarmi sul caso brasiliano, però, farò una breve in- troduzione sul processo di modernizzazione che il Giappone intraprese durante l’ era Meiji, volto a proiettare il Paese verso il modello Occidentale, dopo secoli di chiusura al mondo esterno dettati dalla politica del Sakoku. Cercherò di analizzare le cause scatenanti dei primi movimenti migratori e di delineare un profilo generale del migrante giapponese alla fine del diciannovesimo secolo, prendendo in considerazione altri casi di emigrazione giapponese dello stesso periodo, evidenziandone i tratti divergenti. Come sosterrò durante la mia ricerca, ho voluto risaltare il fatto che l’ incontro tra la cultura giapponese e quella brasiliana non è stato altro che il concatenarsi di una serie di fenomeni che hanno permesso che le esigenze dei rispettivi Paesi si sincronizzassero. Difatti, se l’ immigrazione giapponese non fosse stata ostacolata da ordinanze restrittive in altri Paesi, e se il Brasile non fosse stato costretto a va- lutare la possibilità di introdurre manodopera “non-europea” nelle sue piantagioni di caffè, probabilmente oggi lo Stato di São Paulo non ospiterebbe la più numerosa comunità nipponi- ca residente all’ estero. Infatti, non si deve sottovalutare che i primi lavoratori giapponesi in- trodotti in Brasile hanno fatto parte di un progetto sperimentale, nel contesto di una società che si era da poco lasciata alle spalle un passato schiavista e che stava gradualmente rico- struendo una propria identità nazionale, inizialmente mirata allo “sbiancamento” razziale, considerato sinonimo di civilizzazione. Sicuramente i giapponesi non rientravano nel quadro di purezza etnica delineata dai dirigenti della società brasiliana, ma erano apprezzati per la loro indole stacanovista e diligente. Nonostante il primo tentativo di integrazione risultò falli- mentare, successivamente molti giapponesi hanno iniziato a comprare appezzamenti di terra con i miseri guadagni messi da parte con il faticoso lavoro nelle piantagioni di caffè, diven- tando piccoli proprietari. Hanno creato comunità etniche, le cosiddette coloniâs, fondate su principi di fiducia e cooperazione. 3 Hanno fondato scuole e associazioni per mantenere un legame con la loro patria, sebbene ogni forma di espressione culturale verrà duramente sanzionata durante il governo nazionali- sta di Getúlio Vargas. Parlerò di come la sconfitta del Giappone nel secondo conflitto mon- diale provocherà un senso di smarrimento tra i membri della comunità Nikkeijin, che costitui- rà per molti l’ abbandono della speranza di tornare alla madrepatria. I discendenti dei primi giapponesi emigrati in Brasile, che oggi formano una comunità social- mente affermata e rispettata, hanno perso molti tratti della cultura giapponese. Molti non san- no più parlare la lingua e si sono inconsciamente “brasilianizzati” caratterialmente. Eppure, sono visivamente distinguibili dai Brasiliani nativi, che continuano ad evidenziare qualche preconcetto etnico, sebbene positivo, dall’appellativo “giapponese” alla supposizione che i nipponici eccellano nelle materie scientifiche. In altre parole, per quanto integrati all’ interno della società, rimangono comunque “diversi”, e di conseguenza molti iniziano a dubitare della propria identità etnica. A partire dalla fine degli anni ’80, molti giapponesi emigrati in Brasile e i loro discendenti sono tornati in Giappone, spinti dal desiderio di guadagno reso possibile dall’apprezzamento dello yen e dai forti legami culturali. Sebbene si possa presumere che il ritorno alla terra d’ origine avesse finalmente risolto i dubbi relativi all’ identità transnazionale dei Nikkeijin, il secondo capitolo della mia ricerca dimostrerà che, al contrario, solleverà altre situazioni paradossali. Pare che i media giapponesi abbiano contribuito a dipingere i Nikkei- jin come “figli” del Sol Levante, educati da famiglie giapponesi e rispettosi delle tradizioni. Per cui, non c’è da stupirsi se molti giapponesi sono rimasti sorpresi di scoprire che in realtà i nippo-brasiliani erano stati “contaminati” dagli elementi del mondo esterno e non avevano preservato una certa purezza razziale. Di conseguenza, il privilegio concesso loro rispetto ad altri stranieri in nome di una presunta affinità etnica, non è bastato a esentarli da discrimina- zioni a livello sociale, spesso trattati come qualsiasi altro gaijin. Ho esaminato vari ambienti di interazione sociale, tra cui scuole, comunità locali e fabbriche (dove la maggior parte dei nippo-brasiliani lavora grazie all’ estrema facilità di assunzione mediata da agenzie di collo- camento sorte appositamente per inserire Nikkeijin nelle compagnie giapponesi). Sarà inte- ressante analizzare le dinamiche per cui, maggiore sarà l’ inserimento dei Nikkeijin all’
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