Anna Valle Nel Ruolo Della Moglie

Anna Valle Nel Ruolo Della Moglie

presenta una coproduzione RTI Martinelli Film Company Int. in associazione con Giuseppe Marra Communications S.p.A. Martinelli Film Company Int. presenta un film di Renzo Martinelli Andrea Iaia Anna Valle nel ruolo della moglie Paolo Seganti Burt Young Paul Sorvino Bruno Bilotta Eleonora Martinelli Nino Benvenuti Joe Capalbo e con Antonio Cupo nel ruolo di Max Baer e con la partecipazione di Kasia Smutniak nel ruolo di Emilia Tersini e con F. Murray Abraham CANALE 5 LUNEDÌ 15 E MARTEDÌ 16 DICEMBRE 2008 IN PRIMA SERATA CREDITI NON CONTRATTUALI CAST ARTISTICO Primo Carnera ANDREA IAIA Pina Cavacic ANNA VALLE Eudeline PAOLO SEGANTI Lou Soresi BURT YOUNG Ledudal PAUL SORVINO Leon See F. MURRAY ABRAHAM Emilia Tersini KASIA SMUTNIAK Giovanna ELEONORA MARTINELLI Max Baer ANTONIO CUPO Proprietario Night STEFANO MEGLIO Paul Journèe BRUNO BILOTTA Allenatore M. Baer NINO BENVENUTI Billy Duffy JOE CAPALBO Arbitro Dononvan CARLO DI BLASI Zia Atonia LUCREZIA MAIER Zio Anselmo FLORIN BUSUIOC Angelo ALEXANDRU PAVEL Agente FBI PAOLO GINOCCHIO Sante NICOLAE URS Mamma Giovanna ADRIANA SCHIOPU Secondo RAZVAN OPREA Joseph K. VLAD RADESCU Matrigna AURA CLARASU Dikson MIHAI DINVALE Fouquette ILIE PETRICA De la Plata FIORENTI EMANOIL Carnera 8 anni RUSU MIHNEA Bambine in Braccio a Carnera LUDOVICA TANCREDI MARTINELLI BENEDETTA LAZZARI CREDITI NON CONTRATTUALI SCHEDA TECNICA Consulenza Casting LUCA CONFORTINI STUDIO KOYAANISQUATSI Fotografia SAVERIO GUARNA Scenografia ROSSELLA GUARNA Costumi SILVIA NEBIOLO MASSIMO CANTINI PARRINI Fonico in Presa Diretta MARIUS CONSTANTIN Sound Design PAOLO AMICI (STUDIO 16) Organizzatore Post Produzione FRANCO CASELLATO Fonico di Mixage ANGELO RAGUSEO (A.I.F.M.) Effetti Visivi Digitali EDI EFFETTI DIGITALI ITALIANI Musiche di PIVIO & ALDO DE SCALZI Montaggio OSVALDO BARGERO (A.M.C.) Soggetto di RENZO MARTINELLI Sceneggiatura RENZO MARTINELLI GIUSEPPE MARRA Collaborazione alla Sceneggiatura ALESSANDRO GASSMAN Consulente GIOVANNA CARNERA per FONDAZIONE CARNERA Consulente Storico GIULIANA V. FANTUZ Organizzatore Generale RICCARDO PINTUS Produttori Esecutivi RENZO MARTINELLI GIUSEPPE MARRA Delegato alla Produzione RTI TINA PELLEGRINO Story Editor RTI ELENA SANSONETTI Produttore RTI ALFONSO COMETTI Un Film Prodotto e Diretto da RENZO MARTINELLI Formato MINISERIE TV 2X100 Network CANALE 5 Programmazione LUNEDÌ 15 E MARTEDÌ 16 DICEMBRE 2008 IN PRIMA SERATA Responsabile Comunicazione Fiction LAURA MARCHESE Ufficio Stampa Mediaset EDOARDO FRANCHI 335/1029705 CREDITI NON CONTRATTUALI “Ho preso tanti pugni nella mia vita. Veramente tanti… Ma lo rifarei. Perché tutti i pugni che ho preso sono serviti a far studiare i miei figli…” (Primo Carnera) Sinossi Anni 30. Un gigante di oltre due metri di statura diventa una delle più sorprendenti leggende della storia dello sport. Il suo nome è Primo Carnera, ma tutto il mondo lo conosce come “La Montagna che cammina”. Nato a Sequals, un piccolo paese del Friuli, nel 1906, Carnera emigra giovanissimo in Francia, a Le Mans, per poter sopravvivere alla miseria che opprime l’Italia di quegli anni. Qui viene notato dal proprietario di un circo, Paul Ledudal (Paul Sorvino) che lo convince a trasformarsi in “Juan Lo Spagnolo, il terrore di Guadalajara” e ad esibirsi come attrazione. Nel corso delle sue peregrinazioni, il circo di Ledudal arriva ad Arcachon, un paese nel sud della Francia. Qui vive l’ex campione francese dei pesi massimi, Paul Journée. È lui a notare il gigante e a segnalarlo al più famoso manager di boxe di quei tempi: Léon Sée (F. Murray Abraham). Sotto la guida esperta e spregiudicata di Sée, Carnera realizza un sogno ritenuto impossibile: nel 1933, al Madison Square Garden di New York, la “Montagna che cammina” sconfigge Jack Sharkey e conquista il titolo mondiale dei pesi massimi. La storia che noi raccontiamo è la storia di un gigante che credeva fortemente in alcuni valori: la sacralità della famiglia, l’attaccamento alla propria terra e alle proprie radici, la capacità di sacrificare se stessi perché i propri figli possano avere un avvenire migliore, la forza di volontà nell’inseguire un sogno ritenuto impossibile, la consapevolezza che una sconfitta è tale solo se si rimane a terra. Non è sconfitta quando ci si rialza e si riprende a combattere. Il film sulla “Montagna che Cammina” rappresenta la più gigantesca operazione di post-produzione mai effettuata in Europa: 1500 inquadrature digitali e 20 mesi di lavoro al computer per ricostruire le grandi arene del passato: la Wagram Hall di Parigi, la Royal Albert Hall di Londra, il Madison Square Garden e il Garden Bowl di New York, cui si aggiunge un complesso lavoro di “crowd replication” (moltiplicazione di folla) mai effettuato prima in Italia, che ha consentito la creazione di folle composte da migliaia di persone. Intervista a Renzo Martinelli (a cura di Francesco Ruggeri) Il tuo cinema fa rima con sfida. Dopo quella vinta con “Il mercante di pietre”, cos’è successo? Sì, il ‘challenge’ è iscritto nel mio dna. Non posso fare a meno di pormi obiettivi sempre nuovi e stimolanti. Al momento dell’uscita del film in sala stavo già lavorando ad un progetto mastodontico su un avvenimento storico fondamentale per capire il mondo arabo e il suo rapporto con l’Occidente. Mi riferisco alla battaglia di Vienna del 1683 in cui l’esercito arabo, nel tentativo di conquistare Vienna, venne decimato da quello cristiano. Il titolo sarebbe stato e sarà “September Eleven”. Poi le cose sono cambiate… E Carnera ha bussato alle porte del tuo cinema… Esatto. In realtà era da tempo che avrei voluto dedicare un film a questa straordinaria figura d’uomo e di pugile. A quel punto ho accantonato momentaneamente il progetto di “September Eleven” per concentrarmi esclusivamente su quel vecchio sogno. Che non corrisponde poi soltanto alla storia di un pugile punto e basta.. No, affatto. La molla che mi ha spinto a mettermi sulle tracce di Carnera è stata quella di narrare la storia esemplare di un uomo che non si è mai tirato indietro di fronte a nulla. Un uomo cresciuto in condizioni difficili, ma forte di un coraggio e di una caparbietà fenomenali. Un uomo che, come recita la didascalia che apre il film, ha ammesso di aver preso tanti pugni per garantire ai figli un avvenire sicuro… Carnera era esattamente questo. Una persona attaccata ai valori, un tenerissimo padre di famiglia e un marito affettuoso. Boxava per vivere, per mantenere la famiglia. E per far sì che i figli non crescessero tra le privazioni che aveva vissuto lui. Insomma, un vero uomo. Di quelli che il tuo cinema in fondo ha sempre raccontato... Il mio cinema nasce da un’esigenza etica, morale. Quella di riflettere su certi temi, riaprendo anche questioni delicate e offrendo al contempo ai giovani modelli precisi di comportamento. Ecco, davanti al progetto di raccontare Carnera, ho pensato soprattutto ai ragazzi di oggi. Avevo voglia di raccontare loro cosa significhi reagire ai colpi della vita e mantenere sempre una dirittura precisa. Come ha reagito la famiglia di Carnera alla notizia del film? I suoi due figli, Umberto e Giovanna, sono stati entusiasti. Anche perché l’illustre precedente cinematografico legato in qualche modo al padre fu “Il colosso d’argilla” in cui Carnera non ne usciva fuori un granchè bene. All’uscita del film fece infatti causa alla Columbia, sicuro del fatto che il pugile protagonista del racconto (colluso tra le altre cose con la mafia) fosse ispirato a lui. Insomma, ho avvertito il bisogno di raccontarla giusta una volta per tutte. Riabilitando un uomo che forse aveva il torto di fidarsi troppo degli altri. Tanto da essere imbrogliato per ben due volte consecutive dai suoi manager. Ma, di certo, nulla a che vedere con mafia o cose simili. Come hai trovato l’interprete giusto? E’ stata una vera impresa. Le mie richieste erano precise e forse impossibili: volevo un gigante alto più di due metri che parlasse bene inglese e che sapesse boxare almeno un po’. La ricerca è andata avanti per diverso tempo, fin quando non ho perso ogni speranza. Il mio Carnera non l’avevo ancora trovato e il tempo stringeva più che mai. A quel punto le riprese hanno cominciato a subire un bel po’di ritardo. Un giorno poi mi si presenta Andrea Iaia che aveva saputo dal giornale del casting ancora in corso. Appena l’ho visto, mi è scoccata la scintilla. Nino Benvenuti (mio consulente sul set), dopo averlo provinato, mi ha detto: “Vai ad accendere un lume alla Madonna di Loreto: è lui!” A quel punto il più era fatto. Anche perché tutto il resto del cast era già formato. Con l’eccezione di Alessandro Gassman… Purtroppo sì. Alessandro, affezionatosi subito al progetto sulla vita del pugile più amato da suo padre Vittorio, mi chiese subito di collaborare alla sceneggiatura. Sono stato felice della proposta e ci siamo messi a lavorare insieme al testo. La mia intenzione era poi quella di affidargli la parte di Eudeline, ma lo slittamento delle riprese è andato a coincidere con impegni che aveva precedentemente preso col teatro. Così la parte è andata al bravo Paolo Seganti. Arriviamo così al film. Che inizia con l’infanzia del campione… Sì, l’arco narrativo preso in esame parte dal Carnera bambino e dalle condizioni di ristrettezza economica in cui ha versato durante l’infanzia. Tutto questo per far risaltare al meglio i successivi cambiamenti che affrontò rimanendo però sempre lo stesso. Ho scelto di concentrarmi particolarmente su questa fase, raccontando come un uomo normale diventò nel giro di poco tempo un vero e proprio mito. La scelta di chiudere il film sul suo ritorno in Italia ha un significato preciso. L’ultimo match che si vede nel film infatti è quello a dir poco epico in cui Carnera si batte contro Bauer. Un combattimento che ha fatto storia perché Carnera, pur andando a tappeto ben dieci volte, ha finito il match in piedi.

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