Le immagini della musica n. 5 Collana diretta da Nicoletta Guidobaldi e Elio Matassi Comitato Scientifi co Enrico Fubini (Professore ordinario, Università di Torino), F. Alberto Gallo (Professore ordinario, Alma Mater Studiorum Università di Bologna), Enrica Lisciani Petrini (Professore ordinario, Università degli Studi di Salerno), Tilman Seebass (Professor Emeritus dell’Innsbruck Universität e editor di “Imago Musicae”) I testi pubblicati sono sottoposti a un processo di peer- review ROBERTO GIGLIUCCI TRAGICOMICO E MELODRAMMA Studi secenteschi MIMESIS Le immagini della musica © 2011 – MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) Collana: Le immagini della musica, n. 5 ISBN: 9788857507637 www. mimesisedizioni. it Via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Telefono: +39 02 24861657 / 02 24416383 Fax: +39 02 89403935 E-mail: [email protected] INDICE PREMESSA p. 7 INTRODUZIONE p. 9 1. TRAGICOMICO NEL MELODRAMMA p. 33 2. I MOLTI ORFEI p. 81 3. POSTILLA AGLI ORFEI p. 107 4. COMICI SUICIDI p. 123 APPENDICE I. MATERIALI PER LORETO VITTORI p. 137 1. DEL SANTO NATALE p. 159 2. DIALOGO PER IL S.TO NATALE p. 165 APPENDICE II. L’EUMELIO p. 171 INDICE DEI NOMI p. 227 7 PREMESSA Questo libro è il frutto di anni di lavoro, durante i quali alcuni ma- teriali qui presenti sono usciti in sedi diverse, e appaiono ora in forma largamente rivista e corretta. Ad esempio il primo capitolo ha conosciuto una redazione prece- dente in: Sacro e/o profano nel teatro fra Rinascimento ed Età dei lumi, a cura di Stella Castellaneta e Francesco S. Minervini, Bari, Cacucci, 2009, pp. 389-425; poi, col titolo Prime inquisizioni su tra- gicomico e melodramma nel Seicento, in Teatro e letteratura. Percor- si europei tra ’600 e ’900, a cura di Sonia Bellavia, Roma, Bulzoni, 2009, pp. 11-45. Parte del secondo capitolo è stato oggetto di rela- zione al convegno Nello specchio del mito. Rifl essi di una tradizione, Università di Roma Tre, 17-19 febbraio 2010, a cura di Giuseppe Izzi, Luca Marcozzi, Concetta Ranieri, in corso di pubblicazione. Comici suicidi era comparso in «Intersezioni», XXXI, 2011, 1, pp. 113-125. Ma tutto è stato rielaborato in funzione del volume, dove materia- li inediti convivono quindi con precedenti cartoni portati a relativa compiutezza. Il progetto, insomma, era più o meno individuato fi n dall’inizio, o almeno così ci sembrava – e ci sembra. Molti ringraziamenti puntuali sono presenti nelle note. Mi piace qui ringraziare in particolare Paolo Fabbri, Dinko Fabris, Saverio Franchi, Ellen Rosand, con cui ho avuto brevi conversazioni de visu (e lunghissime con i loro studi) che mi hanno dato ausili davvero de- terminanti. Per segnalazioni bibliografi che preziose ringrazio fra gli altri Beatrice Alfonzetti, Francisco Lobera Serrano, Marina Passalac- qua e la dott.ssa Marianna Curcurù, Franco Piperno, Danilo Romei, Giona Tuccini; ho appreso sempre molto dai colloqui musicali (e non solo) con Renzo Bragantini e Antonio Rostagno, nonché con Giulio Ferroni; un grazie particolare va a Giampiero Moretti. 9 INTRODUZIONE Nella Roselmina di Lauro Settizonio, alias Giovanni Battista Le- oni, il Folletto in veste di Prologo dichiara facetamente che l’opera «è capricciosissima; è un composito di faceto, & di serio; di grave, & di giocoso; un mescuglio di Prencipi, & di gente bassa, e mezana, allegra, desperata, pazza, e savia; un intrecciamento di negotij grandi, & di burle giocondissime; con discorsi, & pensieri di Donne, Cava- lier, d’armi, & d’amori; accomodati in modo, che nella loro discorde convenienza, fanno una gentilissima, et harmonica compositione1». Tale mescidanza che sembra voler armonizzarsi a passo di trescone si autodefi nisce in più tragisatiricommedia2, a voler complicare ulterior- mente il nesso tragicomico che nel periodo in cui essa moltiplicava le sue uscite editoriali si strutturava teoricamente in via defi nitiva con Guarini in Italia e, diversamente, con Lope de Vega in Spagna. In realtà poi la Roselmina pare una verbosa pièce con situazioni e perso- naggi piuttosto vieti, o meglio sempre di moda: vi si trovano travesti- menti reciproci che peraltro non portano a equivoci prolungati e pic- canti, il vecchio pedante che parla in fi denziano, l’ancor più vecchio miles gloriosus, un anello fatato e un corno dal suono terrifi cante, la scena di pazzia (qui maschile) accompagnata dal consueto linguag- gio alla burchia fatrasico nonsensico, l’eroina coraggiosa e virile che salva il compagno e però gli è sottomessa adorante come una donna 1 Roselmina favola tragisatiricomica, di Lauro Settizonio, da Castel Sambuc- co. Recitata in Venetia, l’anno M.D.XCV. da gli Academici Pazzi Amorosi, Gio. Battista Ciotti, Venezia 1595, p. 6: se ne ebbero ristampe e ulteriori edizioni almeno fi no al 1620. Sulla drammaturgia eteroclita del Settizonio/ Leoni e non solo vd. ora L. Riccò, Minotauri, centauri, ermafroditi: misti e mostri teatrali italiani, in Norme per lo spettacolo, norme per lo spettatore, a cura di G. Poggi e M. G. Profeti, Alinea, Firenze 2011, pp. 73-98. 2 Ircocervo fortunato, se lo evoca pure Lope nella dedicatoria di Las almenas de toro (vd. T. E. Case, Las dedicatorias de Partes XIII-XX de Lope de Vega, Castalia – Chapel Hill Univ. of North Carolina, Madrid 1975, p. 106). 10 Tragicomico e melodramma deve essere, e via cantando. Forse la maschera più curiosa è quella di Zizzalardone, un metafi sico della culinaria, che si produce in ricette (prediletta la cacciagione e i frutti di mare) di sfi nita, speziatissima, rosolata e sdilinquita butirrosità. Siamo nel cuore di un teatro che obbedisce al gusto del pubblico, quel gusto che in tanti ormai rilevano sdegnoso delle cupezze mono- tragiche e delle trivialità mono-comiche, insomma un teatro dell’ibri- dazione, perché ibrida è la natura, la naturaleza di Lope, e serio co- mica è «la condition de la vie des hommes» secondo François Ogier (come vedremo nel primo capitolo di questo libro). Un teatro che è la scena della modernità nascente in Europa appunto fra Cinque e Sei- cento. Un teatro che si pone baldamente contro le regole, al di là delle difese cólte di un Guarini “innovatore ortodosso”3, e un teatro che può anche rasentare l’impudenza: lo spirito dell’improvvisa soffi a in esso, come soffi erà ben presto nel melodramma, il nuovo genere tutto cantato che nasce da un’attica fi orentina sperimentazione classicista con sostrato erudito ed evolve ben presto in un tragicomico non tanto “tecnicamente” pastorale quanto sostanzialmente mescidato, per con- tiguità e compresenza (come si dirà più avanti). Il linguaggio tragisatiricomico del Folletto-Prologo della Roselmi- na, esemplare programmaticamente anche se non così conseguente nell’opera del Leoni, ci fa pensare a quello della coscienza disgregata nella Fenomenologia dello Spirito (VI, B, I, a), un linguaggio monda- no dell’inversione e dell’estraniazione, arguto, ingegnoso, geistreich, ma tanto spiritoso quanto devastato e scandaloso. Scrive Hegel: Il contenuto del discorso con cui lo spirito parla di se stesso e intorno a se stesso, dunque, è l’inversione di tutti i concetti e di tutte le realtà, è l’inganno universale di sé e degli altri, e, proprio per questo, l’impudenza con cui tale inganno viene pronunciato costituisce la verità più alta. Que- sto discorso è il delirio di quel musico “che affastellava e rimescolava trenta arie italiane, francesi, tragiche, comiche, d’ogni tipo e carattere; ora con voce da basso profondo scendeva fi no agli inferi, ora invece, con- traendo l’ugola, lacerava con il suo falsetto le altezze dell’aria, di volta in volta furioso, tenero, imperioso, beffardo”. Alla coscienza quieta, che nella sua onestà fa risiedere la melodia del Buono e del Vero nell’ugua- glianza dei toni, cioè nell’unisono, questo discorso appare come “un vaniloquio sospeso tra saggezza e follia, come un miscuglio di garbo e 3 Cfr. D. della Valle, Introduzione a J. Mairet, La Silvanire, a cura di Ead., Bulzoni, Roma 1976, p. 24. Introduzione 11 di volgarità, di idee giuste e di idee false, di totale perversione del senti- mento, dell’infamia più perfetta e, insieme, della verità più schietta. Non si potrà rinunciare ad attraversare tutti questi toni, a percorrere su e giù l’intera scala dei sentimenti, dal disprezzo e dall’abiezione più profon- di fi no alla più grande ammirazione e commozione; e con questi ultimi sentimenti verrà a fondersi una venatura di ridicolo che li snaturerà”. Il disprezzo e l’abiezione, tuttavia, avranno nella loro sincerità un carattere riconciliante, avranno nella loro profondità sconvolgente il tratto che do- mina ogni cosa e restituisce lo spirito a se stesso4. È ben noto che in questa pagina vertiginosa Hegel cita più o meno fedelmente lacerti del Neveu de Rameau di Diderot, anzi del Rame- aus Neffe nella versione allemanda che ne diede Goethe e che fu la prima traduzione dell’opera ad essere stampata, postuma, nel 18055. Jean-François Rameau, nipote del grande Jean-Philippe delle Indes Galantes, del Castor et Pollux, dell’Hippolyte et Aricie, dell’epocale Traité de l’harmonie, è il personaggio sconvolgente del dialoghetto diderottiano, ove a rimanere sconvolto è lo stesso autore-Io davanti all’intreccio di follia, volgarità, sagacia, depravatezza, acutezza, ta- 4 G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, a cura di V. Cicero, Bom- piani, Milano 20082, pp. 701-703. Testo originale: «Der Inhalt der Rede des Geistes von und über sich selbst ist also die Verkehrung aller Begriffe und Realitäten, der allgemeine Betrug seiner selbst und der andern, und die Schamlosigkeit, diesen Betrug zu sagen, ist eben darum die größte Wahr- heit. Diese Rede ist die Verrücktheit des Musikers, “der dreißig Arien, itali- enische, französische, tragische, komische, von aller Art Charakter, häufte und vermischte; bald mit einem tiefen Basse stieg er bis in die Hölle, dann zog er die Kehle zusammen, und mit einem Fistelton zerriß er die Höhe der Lüfte, wechselsweise rasend, besänftigt, gebieterisch und spöttisch”.
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