Roberto Grenna DONATO BILANCIA Storia di un serial killer che ha terrorizzato il Nord-Ovest italiano Sommario Prefazione Un serial killer atipico La vita Gli omicidi per vendetta connessi al gioco d’azzardo Gli omicidi per rapina Gli omicidi delle prostitute Gli omicidi sui treni L’arresto e le confessioni Bibliografia e sitografia Prefazione Dopo il primo volume, incentrato su dieci – brevi – storie di avvelenatrici, si inaugura una serie di monografici, volumi essenziali incentrati sulla vita e sulle azioni di un singolo assassino seriale. Lo stile vuole essere documentativo e, in certo qual modo, giornalistico, a mo’ di cronaca degli eventi. La scelta è caduta su Donato Bilancia, uno dei serial killer italiani più prolifici e conosciuti anche all’estero, che imperversò tra Liguria e Piemonte tra il 1997 e il 1998 e sul quale già sono stati scritti volumi importanti e interessanti, citati anche nella presente opera. A differenza da quanto già presente sul mercato, qui si riportano stralci delle carte processuali che potranno lasciare a ciascuna lettrice e a ciascun lettore la possibilità di farsi la propria idea sui diciassette omicidi compiuti da questo uomo che, a detta di coloro che l’hanno conosciuto, appariva insignificante e la cui storia criminale mai avrebbe lasciato presagire una tale evoluzione. Nella speranza che possiate accogliere con favore questa scelta, non mi resta che augurare buona lettura! Un serial killer atipico Sul sito “Polizia e Democrazia”1 apparve, nel 2007, una intervista all’Avvocato Nino Marazzita, a cura di Ettore Gerardi, che cercò di inquadrare Donato Bilancia all’interno delle classificazioni sui serial killer. Il legale, che rinunciò al mandato prima del processo, fece alcune considerazioni dettate dalla sua conoscenza della persona e del caso, passando dall’aspetto criminologico a quello più finemente psicologico e personale, partendo da un presupposto: i primi omicidi di Bilancia ebbero sicuramente un movente, sebbene partorito da una mente malata, e lo condussero a provare il piacere di uccidere. Le motivazioni della carriera omicida, per Marazzita, sarebbero da ricercare nelle sue molteplici frustrazioni e nel suo desiderio di rivalsa. La convinzione, a un certo punto delle indagini, che la sua vita grigia potesse avere una svolta, che lui potesse, finalmente, essere protagonista – quantomeno della cronaca nera – al punto da richiedere al suo legale di poter gestire in prima persona i rapporti con la stampa e i media, fu un primo punto di rottura. Un delirio di onnipotenza che portò l’avvocato a rimettere il mandato, soprattutto quando le parti si trovarono in disaccordo in merito alla richiesta di effettuare una perizia psichiatrica. La sua sete di popolarità fu, in parte, placata dal libro scritto da Ilaria Cavo e pubblicato nel 2006 da Mondadori2, nel quale si analizzano nel dettaglio e nell’intimo le motivazioni dell’uomo che sta dietro l’assassino, al punto da portare chi scrive a intitolare l’opera “Diciassette omicidi per caso”, quasi a voler sottolineare l’assoluta mancanza di linearità nella carriera omicida, in un canovaccio di storia che prende il via, probabilmente, da accadimenti personali che hanno agito da innesco per una mente fragile. Donato Bilancia è stato, insieme al Mostro di Firenze, Gianfranco Stevanin, Luigi Chiatti, Marco Bergamo, le Bestie di Satana – solo per citarne alcuni – uno dei Mostri che hanno popolato le cronache degli ultimi decenni in Italia. In questa breve e non esaustiva trattazione si vuole mettere in evidenza, oltre alla storia, il disagio di una persona che ai più pareva insignificante, ma che fu in grado di uccidere diciassette persone senza alcun tipo di rimorso. A tentare di fare chiarezza sulle varie tipologie di delitti fu la sentenza di primo grado (circa seicento pagine), che riorganizzò il percorso criminale di Bilancia secondo quattro tipologie di omicidi: omicidi connessi al gioco d’azzardo; omicidi a scopo di rapina; omicidi delle prostitute; omicidi sui treni. E dire che, a leggere l’intervista all’avvocato Marazzita, Donato Bilancia non sopportava la vista del sangue3! Note 1 http://www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=rubriche&action=articolo&idArticolo=1392 2 I. Cavo, Diciassette omicidi per caso – Storia vera di Donato Bilancia, il serial killer dei treni, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 2006 3 http://www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=rubriche&action=articolo&idArticolo=1392 La vita “‘Che ne so. Prendiamo ad esempio Canu, il metronotte. Avrebbe potuto essere un prete, o chissà chi. E invece, quel giorno mi sono svegliato, mi sono messo sul divano così, con il cappello in testa’ mentre parla Bilancia si getta un po’ all’indietro e fa il gesto di calzarsi il berretto, socchiudendo gli occhi come ad avere la visiera davanti, con l’atteggiamento del perditempo, come se facesse la caricatura di se stesso. ‘Sono rimasto lì un po’ e poi ho pensato che volevo uccidere un metronotte. Uno a caso. Ma sia chiaro, per Centanaro è stato proprio diverso. Volevo uccidere proprio lui perché era un avvoltoio, di quelli che stanno ad aspettarti e quando passi ti si avventano. Se me lo ritrovassi davanti rifarei esattamente quello che ho fatto.’”4 16 ottobre 1997 – 6 maggio 1998: inizio e fine del periodo di terrore imputabile a Donato Bilancia, che fu ribattezzato “il serial killer dei treni”. In meno di sette mesi, ben diciassette persone perirono a causa della follia omicida di quest’uomo, a cavallo tra Liguria e Piemonte. Bilancia nacque a Potenza il 10 luglio del 1951, per poi trasferirsi con la famiglia in provincia di Asti quando non aveva ancora quattro anni. Successivamente, i Bilancia si stabilirono a Capaccio, in provincia di Salerno e, dal 1956, a Genova5. Durante l’infanzia ricevette parecchie umiliazioni da parte del padre Rocco – che gli faceva mostrare alle cugine il suo piccolo pene – e della madre, Anna Mazzaturo, che mostrava a tutti le lenzuola bagnate durante la notte. Soffrì, infatti, di enuresi fino all’adolescenza6. Anche con il fratello i rapporti non erano idilliaci. Gli psicologi che lo visitarono dopo il suo arresto ebbero modo di dichiarare come il suo rancore sia nato durante l’infanzia, rafforzato da continue prove e mai smorzato da occasioni di riscatto7. Noto negli ambienti della malavita e delle bische clandestine con il soprannome “Walter”, alimentò la sua fedina penale con diverse imputazioni, a partire da quando era ancora minorenne, per detenzione abusiva di armi, reati contro la persona e contro il patrimonio, furto, rapina, evasione. Dal suo fascicolo penale risultano, infatti, condanne a tre mesi per furto, avvenuto a Cuneo il 20 giugno 1971, a un anno per furto aggravato di un furgone, a Genova, il 23 novembre dello stesso anno, a un anno e sette mesi per rapina aggravata nell’ottobre del 1975, a tre anni e otto mesi per una rapina impropria e altri reati nel dicembre 1981, a un anno e quattro mesi per furto nel 1983. Tutte queste condanne furono scontate a partire dal 1988 e, nel complesso, sembravano non indicare una propensione dell’uomo all’uso delle armi da fuoco8. Il profilo risultante dalle testimonianze di chi lo conosceva, poi, pur mettendo in evidenza un atteggiamento profondamente sprezzante nei confronti delle donne, era quello di una persona disponibile e simpatica, in grado però di usare la manipolazione e la seduzione per ottenere dagli altri ciò che desiderava, manifestandola spesso con un’attitudine collaborativa e un atteggiamento compiacente nei confronti dell’interlocutore9. Altra caratteristica riconosciuta da tutti era la sua capacità di mantenersi fedele ad alcuni principi etici, pagando sempre i suoi debiti e non venendo mai meno in tal senso alla sua parola, per quella che nelle carte del processo si legge essere “una sensibilità esasperata rispetto al tema del ‘credito’ che pretendeva di riscuotere – per la sua puntualità nei pagamenti – anche presso gli sconosciuti, e dunque, correlativamente, un’avversione estrema per l’altrui sfiducia”10 Ebbe parecchi incidenti, nella sua vita, uno dei quali avvenne nel 1982 e per il quale rimase in coma per tre giorni, lasciandogli un’invalidità del quarantaquattro per cento, che salì di altri diciotto punti dopo un successivo incidente, nel 1991. Altra situazione drammatica e traumatica fu, nel 1987, il suicidio del fratello Michele, che si gettò sotto l’Espresso Ventimiglia-Genova con in braccio il figlio Davide, di quattro anni, proprio nel giorno in cui si era separato legalmente dalla moglie11. Bilancia era a giocare a dadi in una bisca quando apprese dai giornali del folle gesto, rimanendo pressoché insensibile per la morte di Michele, ma sconvolto dalla fine prematura di quel bambino al quale voleva molto bene e nel quale si rivedeva, abbandonato, maltrattato, figlio di genitori non degni di quel nome12. Vi fu un’ennesima sconfitta, una ulteriore “botta” al suo orgoglio perennemente ferito: l’unica ragazza che aveva significato qualcosa, a livello affettivo, nella sua vita – Valeria – lo aveva abbandonato mentre l’uomo era in carcere a scontare una delle sue pene detentive, probabilmente “istigata” da quella cognata da lui tanto detestata13. Serial killer atipico anche per l’età alla quale iniziò a uccidere, dopo i quarant’anni, all’epoca degli omicidi viveva in un modesto appartamento nella zona di Marassi, a Genova, pur maneggiando da sempre, a causa della sua passione per il gioco d’azzardo, grosse cifre di denaro. Note 4 I. Cavo, op. cit. 5 https://it.wikipedia.org/wiki/Donato_Bilancia 6 M. Newton, Dizionario dei serial killer, Newton Compton Editori, Milano 2004. 7 I. Cavo, op. cit. 8 http://www.penale.it/document/bilancia.htm 9 R. De Luca, Anatomia del Serial Killer 2000, Giuffrè, Milano 2001. 10 http://www.penale.it/document/bilancia.htm 11 A. Accorsi, M. Centini, La sanguinosa storia dei serial killer, Newton Compton Editori, 2008.
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