
1 2 3 Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova Dipartimento di Storia delle Arti visive e della Musica DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA E CRITICA DEI BENI ARTISTICI, MUSICALI E DELLO SPETTACOLO CICLO XXIII Pittura e fotografia degli esordi: storia di una relazione complicata. Il caso esemplare di Domenico Bresolin. Coordinatore : Ch.ma Prof. Vittoria Romani Supervisori : Ch.ma Prof. Giuseppina Dal Canton Dottorando : (Carlo Dal Pino) 4 5 Sommario INTRODUZIONE 7 1. PITTURA E FOTOGRAFIA 11 1.1 FRANCIA 13 1.2 ITALIA 37 1.3 GIACOMO CANEVA: FOTOGRAFIA ITALIANA A ROMA 53 1.4 FIRENZE, GLI ALINARI E I MACCHIAIOLI 66 2. VENEZIA TRA ACCADEMIA E REALISMO 87 2.1 DECLINO DELL’ARTE VENEZIANA: CAMPOFORMIDO O ACCADEMIA? 89 2.2 UNA NUOVA COMMITTENZA 108 2.3 COMPARSA E AFFERMAZIONE DELLA FOTOGRAFIA A VENEZIA 127 3. UN PERCORSO ESEMPLARE: DOMENICO BRESOLIN 147 3.1 LA FORMAZIONE 149 3.2 IL VIAGGIO 160 3.3 IL RITORNO A VENEZIA: TRA PITTURA E FOTOGRAFIA 170 3.4 L’INSEGNAMENTO IN ACCADEMIA 201 ANTOLOGIA 217 BIBLIOGRAFIA 298 APPARATO FOTOGRAFICO 322 6 7 Introduzione Mi sono imbattuto nella figura di Domenico Bresolin leggendo un articolo di Italo Zannier uscito nel 1989 su un numero di Fotologia, nel quale in realtà stavo cercando tutt’altro. Ma ricordo di aver pensato fin dalle prime righe che l’argomento meritasse maggior attenzione, soprattutto dal punto di vista della storia della pittura, anche perché le mie competenze sulla fotografia degli esordi all’epoca erano pressoché nulle. In quell’intervento intitolato Domenico Bresolin, un maestro del XIX secolo, comparivano una serie di nomi collegati a questo artista, per me allora sconosciuto, che mi stupirono profondamente: John Ruskin, Leopoldo Alinari, Giacomo Caneva, Pietro Selvatico, Guglielmo Ciardi, Federico Zandomeneghi e così via. Mi parve subito evidente che un pezzo importante della storia mi sfuggiva completamente, e solo in seguito ho scoperto che era ignoto quasi a tutti, visto il dimenticatoio in cui l’artista nato a Padova era caduto. L’argomento era dei più intriganti: ossia quanto, quando e come la nascita della fotografia avesse influenzato non solo il lato tecnico della pittura, ma la stessa ragion d’essere di questa, ossia la rappresentazione del visibile. Da un rapido controllo delle fonti bibliografiche ci si può rendere conto di quanto questo tema sia stato dibattuto e analizzato in Francia e nei paesi anglofoni fin dalla metà del XIX secolo e di quanto invece sia stato ignorato in Italia: questa differenza è dipesa per buona parte dal fatto che, mentre intorno a Parigi si dilettavano con la camera oscura artisti del calibro, e della celebrità, di 8 Gustave Courbet, Camille Corot o Edgar Degas e lungo il Tamigi giocava col nuovo mezzo persino Dante Gabriel Rosetti, in Italia gli anni intorno alla metà dell’Ottocento sono stati per lungo tempo un periodo poco approfondito, schiacciato tra la grandezza di un passato già rimpianto e la delusione per un futuro in cui a farla da padrone sarà la Francia. Per questo motivo ho deciso di iniziare la mia ricerca proprio da Parigi, dove tutto era nato e dove la complessa dinamica del rapporto tra le due arti aveva dato i primi segni di vita: la scelta è stata inevitabile, anche vista la scarsità di studi italiani sull’argomento e la difficoltà di reperire entro i nostri confini informazioni sull’argomento, a cominciare dalle fonti storiche. Appurato ciò ho deciso di inserire a margine del testo una breve antologia contenente alcuni interventi dell’epoca, sia francesi che italiani, che mi sono parsi di particolare interesse, tra cui alcuni inediti assoluti e altri mai pubblicati nel nostro paese. Dopo aver effettuato una rapida sintesi di come pittura e fotografia avessero iniziato a scontrarsi e confrontarsi oltralpe, ho preso in considerazione il versante italiano, dove in realtà la questione non fu meno complessa e interessante: i casi di Bernardo Celentano, Lorenzo Bartolini, Luigi Mussini e quelli, più noti, della Roma di Caneva e della Firenze degli Alinari e dei Macchiaioli, mostrano una varietà di rapporti, di interscambi, di influenze reciproche non seconda a quella sviluppatasi nel paese dove Daguerre aveva annunciato la sua scoperta. Il caso specifico di Venezia, infine, risulta estremamente rilevante, e il ruolo rivestito da Domenico Bresolin un unicum in certo senso eccezionale: se infatti era stata prassi in tutta Europa che numerosi pittori, magari meno baciati dal successo, si volgessero speranzosi alla fotografia, il fatto che uno di questi tornasse sui suoi passi e diventasse addirittura insegnante di paesaggio nella più 9 prestigiosa istituzione artistica dell’epoca, l’Accademia, è un caso assolutamente senza precedenti. Studiando la lacunosa biografia del padovano sono emersi inoltre alcuni aspetti di grandissimo interesse: il nostro infatti, vero e proprio precursore della pittura realista e autore di opere di sconcertante modernità a fianco di realizzazioni decisamente più tradizionali, fu autore di una riforma della didattica sorprendentemente all’avanguardia. Si pensi solo che nel 1863, quando a Parigi i giovani Monet e Bazille passavano le giornate a litigare col loro insegnante Charles Gabriel Gleyre, che cercava di convincerli dell’assoluta predominanza dello “stile” sulla “natura”, Bresolin scriveva un programma in cui rendeva obbligatorio per gli studenti esercitarsi negli studi en plein air e caldeggiava la sovvenzione dell’Accademia perché i suoi allievi potessero passare ben sei settimane all’anno a dipingere in campagna. Tra i giovani veneziani che si formarono presso di lui possiamo ricordare Guglielmo Ciardi, Giacomo Favretto e Luigi Nono, ossia i cantori di una modernità per la cui affermazione furono fondamentali, anche se presto scordate, le lotte e le passioni della generazione precedente. 10 11 1. Pittura e fotografia 12 13 1.1 Francia Il 7 marzo del 1839 Samuel Morse, ideatore dell’omonimo codice e co- fondatore della National Academy of Design di New York, nonché professore di disegno presso l’Università della stessa città statunitense, incontrava a Parigi Joseph-Nicéphore Daguerre1, dando così inizio alla diffusione su scala planetaria dell’invenzione che avrebbe di lì a poco sconvolto il mondo delle arti figurative e della comunicazione. Esattamente vent’anni dopo, nella provincia francese, e per l’esattezza in quella Barbizon tanto celebre nell’ambiente artistico parigino, un matrimonio2 suggellava idealmente l’unione, non priva di contrasti, tra pittura e fotografia, oltre ovviamente a quella tra un uomo e una donna: Eugène Cuvelier e Louise Ganne. Lei era la figlia del proprietario della locanda, ora museo, dove per decenni avevano soggiornato generazioni intere di pittori provenienti dalla capitale e da tutta Europa. Lui era un giovane di ventidue anni, con alle spalle una solida formazione artistica impartitagli da Costant Dutilleux, intimo amico di Jean-Baptiste Camille Corot e di Eugène Delacroix, di cui era anche un fervente ammiratore. Al matrimonio celebrato il 7 marzo del 1859 erano presenti moltissimi artisti, a cominciare proprio da Corot, testimone di nozze del giovane Cuvelier, e da Théodore Rousseau e Jean-François Millet, suoi garçons d’honneur. Ovviamente in questa vicenda potrebbe avere avuto un ruolo anche il legame che i tre artisti avevano con la famiglia Ganne in virtù di una frequentazione più che decennale della loro locanda, ma probabilmente alla scelta dei pittori barbizonniers come coprotagonisti della cerimonia aveva 1 I. Zannier, Storia e tecnica della fotografia, Laterza, Roma, 1982, pp. 32-33. 2 D. Challe, Eugène Cuvelier, photographe en la forêt de Fontainebleau, in D. Challe, B. Marbot, Les photographes de Barbizon. La forêt de Fontainebleau, Hoëbeke, Paris, 1991, p. 20. 14 concorso anche il fecondo rapporto creativo che li univa ai Cuvelier, padre e figlio. Infatti, se Eugène era un pittore in erba e stava per diventare uno dei fotografi più attivi nella celebre foresta di Fontainebleau, suo padre, Adalbert Auguste Cuvelier3 (che di professione era agente di cambio, ma che a sua a volta era stato allievo, da ragazzo, di Théophile Demory) era intimo di Eugène Delacroix4, di Dutilleux e dello stesso Corot e soprattutto era stato tra gli inventori5 della tecnica del cliché-verre, vero e proprio ibrido fotografico- pittorico (antologia, 1). Le matrici di vetro erano delle lastre che venivano ricoperte di un materiale “oscurante”, quale ad esempio l’inchiostro tipografico, su cui il pittore effettuava il proprio disegno utilizzando una punta metallica: i segni così creati si “trasferivano” quindi su una carta, precedentemente preparata con sostanze fotosensibili, grazie all’effetto della luce che passava solo là dove l’inchiostro era stato rimosso. Camille Corot realizzò sessantasei lastre6, di cui alcune tirature sono state esposte nel 2008 a New York7 dopo un lungo oblio, ma 3 Ivi, p. 19. 4 Oltre ai rapporti di Cuvelier padre con gli artisti citati, si segnala la corrispondenza tra Delacroix e Dutilleux, peraltro su un argomento focale per il tema in analisi: “Come mi dispiace che una così meravigliosa invenzione sia arrivata così tardi, voglio dire per quel che riguarda me. La possibilità di studiare tali risultati avrebbe avuto su di me un'influenza che posso solo immaginare basandomi sull'utilità che essi hanno ancora per me, nonostante il poco tempo che ho avuto per studiarli seriamente. Essi sono tangibili manifestazioni del libero disegno della natura, di cui abbiamo finora avuto solo idee molto imperfette”. (T.d.a.) Lettera del 7 marzo 1854 da parte di Delacroix a Dutilleux citata in V. D. Coke, The painter and the photograph from Delacroix to Warhol, Univeristy of New Mexico Press, Albuquerque, 1972, p. 9. Per una panoramica più completa dei rapporti intercorsi tra i barbizonnières e gli artisti di Arras, tra cui appunto Cuvelier e Dutilleux si veda D. Horbez, Corot et les peintres de l’École d’Arras, La Renaissance du livre, Tournai, 2004.
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