ITALIAN BOOKSHELF Edited by Dino S. Cervigni and Anne Tordi with the collaboration of Norma Bouchard, Paolo Cherchi, Gustavo Costa, Albert N. Mancini, Massimo Maggiari, and John P. Welle. Pierpaolo Antonello and Simon A. Gilson, eds. Science and Literature in Italian Culture – From Dante to Calvino. Oxford: European Humanities Centre of the University of Oxford, 2004. Questa raccolta di saggi in onore di Patrick Boyde ripercorre la storia della cultura italiana fornendo spunti e contributi sugli interscambi tra letteratura e scienza, con l’intento di sottolineare la varietà degli approcci messi in atto dai vari autori e di mettere in discussione la separazione stessa di scienza e letteratura. L’ipotesi di fondo è quella di considerare se l’ambito scientifico e quello letterario non costituiscano in verità due modi analoghi di interrogare il mondo e definire la collocazione dell’essere umano in esso. Il discorso si apre con un saggio sulle divergenze scientifiche e filosofiche tra Dante e Guido Cavalcanti, con la riscrittura creativa da parte del primo di alcune opere del secondo (20). Nel discorso di Stazio sull’embriologia in Purg. XXV, Dante reimpiega il lessico di “Donna me prega” di Cavalcanti per provare la natura divina dell’essere umano e condannare la visione mondana dell’avversario: “it eliminates the divine from his purview, and so leads him to faulty thinking and to writing ‘bad’ philosophical poetry” (32-33). I capitoli sul De re aedificatoria dell’Alberti e sulla poesia scientifica di Fracastoro sottolineano come questi autori conferissero dignità letteraria a materie tecniche e scientifiche in quanto attratti dalla novità e originalità dell’operazione (96; 106). La scienza appariva insomma agli scrittori rinascimentali territorio da integrare nella formazione completa del letterato. Per Alberti, anzi, l’immagine del mosaico come metafora della propria scrittura (97) descrive l’unico metodo di rielaborare la tradizione dopo che “the ancients had already composed the most important works in all literary genres” (96), col risultato che solo l’ambito tecnico e artigianale può fornire una spinta propulsiva alla nuova disposizione di quei frammenti (105). Quanto all’astronomia, un capitolo sulla Luna in Ariosto e Bruno segna il passaggio da una discussione letteraria a una scientifica. In Ariosto, la Luna visitata da Astolfo si nutre di fonti letterarie come il Somnium di Alberti (141-43) e risulta “totally alienating in comparison to the earthly experience” (139): insomma, opera di letteratura tra letteratura. Per Bruno, invece, le descrizioni lunari si fondano su una speculazione che ha lo scopo di indagare la vera essenza del corpo celeste e che finisce per affermare l’omogeneità di Terra e Luna (145). Strappata dalle sfere aristoteliche e dai repertori della retorica, la Luna diventa oggetto materiale calato in una natura uniforme e piena di vita – concezione che avrà enorme influenza su Galileo (146-48). Stupisce a questo punto che nella raccolta manchi una sezione dedicata al Galileo della maturità e all’era stessa della rivoluzione scientifica. Dopo gli accenni al Sidereus nuncius nel saggio sulla Luna passiamo immediatamente a vedere il rapporto tra scienza e cultura letteraria nell’illuminismo. Lo scambio va qui in due direzioni, con scienziati che divulgano le loro scoperte tramite letteratura e scrittori che attingono nuovi temi e lessico dalle scoperte scientifiche. Questo materiale non sovverte necessariamente la Annali d’italianistica 23 (2005). Literature and Science 242 “Italian Bookshelf” Annali d’italianistica 23 (2005) topica del passato, ma la può piuttosto rafforzare dotandola di inediti tratti di interesse. Presso vari autori Amore dunque smetterà di apparire come un puttino alato e diventerà una forza newtoniana che fa gravitare gli amanti o una macchina che “elettrizza del continuo gli affetti e i cuori” (172). Di importante impatto sulla cultura italiana risulterà poi la rivoluzione darwiniana, che inserendo l’essere umano in una catena progressiva lo connette ai suoi aspetti animali del passato e alle potenzialità superomistiche del futuro. Se il darwinismo sancisce “the non-unified structure of the subject” (205), allora l’essere umano, come in Pascoli e Fogazzaro, può animarsi di una tensione morale e spirituale che lo trascina dalla brutalità alla perfezione (206-08). Anche il protagonista delle Vergini delle rocce sente l’influsso dei suoi antenati come un altro dentro di sé, e lo traduce nell’urgenza di “generate a son- superman and to transmit to him the ancestral inheritance as well as his ‘più gagliarda impronta’” (210). Con il futurismo e le innovazioni tecniche dell’Italia fascista, anche i prodotti tessili possono diventare oggetto di trattazione poetica (227). Il concetto futurista di fusione tra corpo e abbigliamento in un’armatura biologica o “complesso plastico vivente” (232) rendeva immediamente interessante il rayon per la sua ambiguità tra naturale e artificiale (228), tradotta da Marinetti nel Poema non umano dei tecnicismi. Che stoffe e materiali di produzione diventassero oggetti poetici non può stupire in un contesto dominato dallo slogan mussoliniano “È lo spirito che piega la materia” (245), e in cui dunque questi temi rappresentavano l’informe substrato materiale su cui poteva imporsi la volontà del singolo. Il libro si chiude trattando di Gadda e Calvino. In un primo saggio viene analizzato il loro diverso approccio riguardo al problema di continuità e discontinuità. Per Calvino, in un’era in cui la linguistica è dominata dallo strutturalismo, la biologia dalla sequenza del DNA e la psicologia dalla rete neuronale, la realtà complessa appare come una combinazione di elementi più semplici e discreti (256). Calvino simbolizza questa situazione nei balzi da un albero all’altro del protagonista del Barone rampante, vera serie di “figure sospese che subito si dissolvono nell’aria” (260). Insoddisfatto di questa visione, Gadda preferisce il modello olistico di una complessità fluttuante (265), in cui nulla è legittimamente demarcabile e il reale si costituisce di agglutinazioni inestricabili e filamentose (come gli gnocchi di una sua nota metafora: 268). L’ultimo saggio tratta della rappresentazione di New York nell’immaginario di Calvino. Nei Cristalli l’autore descrive l’equilibrio tra struttura geometrica della città, che sembra promettere un asettico trionfo della ragione, e il ciclo di abbattimenti e ricostruzioni di palazzi che rende “impuro” ma pienamente vivo il paesaggio (280-88). Proprio questa immagine, tra l’altro, fa da appropriato emblema al percorso interno di tutto il libro. Allo stereotipo di una scienza razionale e devota alle regole generali contro una letteratura che si crogiola nelle impurità del caso singolo, si contrappone qui l’alternativa di un’integrazione e un arricchimento reciproco, da cui ogni tentativo di comprendere il reale nella sua globalità ha soltanto da guadagnare. Marco Arnaudo, Harvard University “Italian Bookshelf” Annali d’italianistica 23 (2005) 243 Rosanna Masiola Rosini. La traduzione del linguaggio botanico: i giardini emblematici. Perugia: Guerra Edizioni, 2002. Occorre avvertire innanzitutto gli studiosi del Barocco che questo non è un libro rivolto a loro. Nelle convenzioni editoriali contemporanee noi usiamo in genere un titolo più creativo e un sottotitolo che definisce letteralmente l’argomento. Così nel libro della Masiola Rosini ci aspetteremmo una ricognizione degli autentici giardini emblematici in voga nel Seicento, mentre qui è il titolo ad essere letterale e ad indicarci uno studio sulla traduzione linguistica dei termini botanici. Il libro si compone di una ricca antologia di testi italiani e inglesi (con traduzioni in entrambe le lingue), e sottolinea “la difficoltà di trasportare in un’altra lingua e in un’altra cultura quegli elementi che più sono caratterizzanti, e intraducibili perché espressione di valori ascritti, e di rappresentazioni culturali” (9). Particolare attenzione è rivolta a due problemi specifici che si pongono nel linguaggio botanico, ovvero la stabilizzazione storica di un lessico adeguato e la definizione di una tassonomia univoca. Di questa doppia questione (sguardo dell’autore sulla natura – sguardo del traduttore sul testo primo) la Masiola Rosini propone una raccolta di esempi troppo ampia per riassumerla in questa sede, e che in effetti rende il libro anche una raccolta tematica su giardini e mondo botanico. Il primo gruppo di testi esaminati riguarda l’influenza del latino sulla formazione di un lessico botanico inglese a partire dalla seconda metà del Cinquecento. Il testo ci mostra un dibattito anglosassone collocabile tra gli estremi di un Charles Darwin (Viaggio di un naturalista intorno al mondo), che si lamentava della pochezza di termini atti a descrivere i fenomeni vegetali, e di uno William Stearn (Botanical Latin), convinto invece che esistano troppi nomi per un numero ristretto di specie. Il linguaggio tecnico, come si vede, diventa campo di battaglia e terreno di prova di concezioni diverse della botanica. Il secondo gruppo di questioni analizzate, e probabilmente la sezione del libro più suggestiva, riguarda la costruzione di un lessico botanico da parte di studiosi e viaggiatori che dal secolo sedicesimo si confrontano con nuovi paesaggi e specie vegetali. Il primo fenomeno che ne risulta è naturalmente la confusione terminologica: “I giardinieri, i coloni e i colonizzatori dei nuovi mondi davano i nomi semplicemente per analogia e somiglianza, creando tutta una sovrapposizione
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