ARCHIVIO STORICO FOTOGRAFICO BAGNARESE DA BAGNARA A GIOIA TAURO Storia della famiglia del capitano Carresi Di Franco Caratozzolo " La storia vista dall'altra parte della strada, quella che subisce la gente più debole e nulla può fare per cambiarla. Concentrata nelle due famiglie Carresi e Caratozzolo, native di Bagnara, che per effetto dei grandi drammi che periodicamente si abbattono su questa ter- ra(terremoti ed emigrazione) scelgono strade diverse. Poi in maniera strana si rincontrano a Gioia Tauro ed affrontano la vita sorretti da (la ricchezza) conqui- stata con la vera sofferenza: la fede." P.2009 Edizione A.S.F.B. Il sig. Caratozzolo, erede delle due famiglie protagoniste di questo racconto, ha trascritto la vera storia che ha caratterizzato la vita dei suoi discendenti per circa mezzo secolo. Egli cronologicamente ci narra delle vicissitudini, a tratti molto drammatiche, che ha visto protagonisti gli uomini e le donne della sua stirpe, dal terremoto del 1908 e fino alla conclusione della seconda guerra mondiale. La storia viene raccontata da chi osserva dall’altra parte della strada ed annota senza pregiudizio alcuno quanto accade, verità sopra verità. Atti di crudeltà, momenti di tensione, caparbietà di padri buoni e coscienti che comprendono la varie situazioni. Delusioni tristezze e sconfitte si rimarginano con il ritrovarsi in comunione tra le famiglie stesse dopo un percorso durissimo di sofferenze soprusi e prepotenze che portano alla conquista della “fede”. Gianni Saffioti Questo racconto è inserito nel contesto del progetto di diffusione della storia cittadina e del popolo bagnarese raccontata dagli stessi protagonisti, che l’archivio storico fotografico bagnarese da anni oramai propone senza alcuno scopo di lucro ma con il solo intento di valorizzare la cultura popolarecittadina. La grossa difficoltà di diffondere tali piccole ma importanti opere sta tutta nella paura di proporre, da parte chi dovrebbe promuovere la cultura popolare, argomenti e temi lontani dai soliti motivi preconfezionati fatti di feste e sagre paesane con le quali, secondo la mentalità odierna, si dovrebbe far lievitare la cultura. Lontano da questo modo altamente restrittivo di vedere le cose, credo che quello di proporre questi lavori e portare alla conoscenza di tutti scritti sconosciuti di storie di vita come questa, sia fondamentale per uno sviluppo sano e civico delle nuove generazioni. Certamente almeno lo scritto resta ed inciderà sulla coscienza di quanti avranno la bontà di leggerlo, forse potrà anche essere utile a chi saprà apprezzarlo. collana “marineria gioiese” 1 Dedica “Al mio amatissimo,inimitabile, mitico figlio Peppe, che ha reso felice la vita dei suoi genitori sulla terra e continua a farlo ancora dal Paradiso; ai miei adorati genitori e gli indimenticabili nonni conosciuti e non. A tutti i miei zii e zie, esempi mirabili di dedizione familiare, cristiana e forza d’animo. Franco Gioia Tauro gennaio 2006 2 Prologo Se avessi intitolato questo lavoro, da Palmi a Gioia, da Amalfi o Napoli o Genova, Sicilia o Puglia a Gioia, non ci sarebbe stato nulla di offensivo o scandaloso. Gioia Tauro era sorta per sua fortuna e per quella di tanta gente, in una posizione geografica invidiabile, posta com’era(ed è) a capo di una fertile area agricola pianeggiante, conosciuta fin dai tempi più antichi. La sua vocazione commerciale di prodotti agricoli, legnami idonei alla costruzione di naviglio, vini per la presenza di estesi vigneti, granaglie varie, carbone, s’incrementò col passare del tempo, per la nascita di una serie di infrastrutture e impianti ed enormi magazzini di stoccaggio ove era conservato l’olio lampante o il vino o il grano. Prodotti che, in una fase successiva, erano rilavorate e smerciate in tutti i porti del Mediterraneo da una numerosa ed efficiente flotta di bastimenti, che facevano capo sulla spiaggia gioiese. Quivi esistevano due ampi magazzini costruiti durante il periodo borbonico che servivano a conservare la merce quando il mare non consentiva il carico o lo scarico della stessa. In ultima analisi Gioia fu per tanti anni il punto di riferimento economico della provincia reggina se non dell’intera Calabria Ma, la vocazione di un paese dipende non solo dalla sua felice posizione geografica o dalla presenza di infrastrutture tali da permettergli di operare con minori difficoltà rispetto ad altri lidi, di fronte ad una regione montagnosa e difficile, con pochi sbocchi marini. A mio parere a ciò bisogna aggiungere, anche, coloro che ne hanno intuito e sfruttato tale posizione in maniera profittevole. L’assunto finale è che il capitalismo moderno, a mio modo di vedere, è nato proprio qui, a Gioia Tauro. E’ sbarcato con i forestieri. Il detto: “Sant’Ippolito protettore dei forestieri.”, luogo comune per ogni paese in Calabria(non è chiaro perché il protettore della propria cittadina, debba proteggere sempre i forestieri!), a Gioia ha trovato una felice conferma, più che altrove. La fortuna economica di questa cittadina è dovuta ai forestieri che ebbero il coraggio di utilizzare le opportunità che gli si pararono davanti(il 1807, si dice,fu l’anno dell’arrivo del primo campano a Gioia). Nella proposizione precedente, ho parlato di coraggio e questa parola la si deve intendere non come “il coraggio di fare impresa”, ma, come coraggio di vivere in una zona altamente infetta dalla malaria, spauracchio di chi vi doveva passare la notte. Se si pensa che i lavoratori giornalieri dei paesi vicini rientrassero nelle loro case a fine turno di lavoro, indica la grave insalubrità dell’aria che si respirava, d’estate, nei paraggi. Nonostante tutto questo i forestieri, con audacia, trasformarono Gioia nel fulcro di ogni operazione commerciale della provincia. Questo racconto è la cronistoria delle famiglie da cui sono nato, che per uno strano gioco del destino e degli eventi, terribili per ciò che hanno prodotto, siano essi eventi sismici o l’endemica emigrazione, si rincontrarono in questa municipalità. 3 Parallelamente, potrebbe essere la cronistoria di altre centinaia di famiglie che si sono trovate in simili situazioni, che hanno subito medesima sorte malvagia: chiamateli Macrì, Caruso, Romeo, non cambia nulla nella sostanza. E’ anche la storia vista dall’altro lato della strada: quella dei deboli, delle vittime innocenti, prese nella tenaglia di chi ha fatto la storia con la “S”maiuscola, che gioca con la gente come fossero birilli. Ai quali ultimi non rimaneva che il riparo sicuro di una fede diamantina e come arma l’ottimismo della Speranza. Ma, è anche la storia di altri numerosi paesi che seguono le vicende umane con finto distacco: i paesi non sono solo le case, è anche l’anima di chi ci vive e subisce gli accadimenti terreni. 4 introduzione Nelle buie sere d’inverno, quando il violento e cupo rumoreggiare del mare in tempesta, rintronava nelle nostre orecchie; il vento di maestrale infilandosi tra le fessure di porte e finestre sibilava paurosamente; i bagliori dei lampi perforando l’oscurità della notte illuminavano le deserte strade della marina accompagnate dal brontolio dei tuoni; il nonno con il basco blu in testa ed uno spesso giaccone di pelle sulle spalle con il gomito appoggiato sullo stipite della finestra seguiva, da vecchio lupo di mare, gli effetti del vento sul nostro albero di fichi che oscillava ad ogni folata come un albero di maestra dei vecchi velieri,fumava la pipa mandando volute di fumo, che lentamente salivano in alto; noi ragazzini seduti attorno al calduccio del braciere, ascoltavamo la nonna che ci raccontava le favole di mitiche fate dei boschi, dei folletti e del terribile “sarancuni” che rapiva i bambini monelli. Noi ragazzi, sull’onda della fantasia, dell’immaginazione, seguivamo quei lontani angoli del mondo dove, alla fine, l’eroico cavaliere azzurro vinceva sempre salvando i deboli o le innamorate e punendo i cattivi. Poi, finita la favola, candidamente, chiedevamo alla nonna perché da Bagnara fossero venuti a vivere a Gioia. La nonna ricominciava a raccontare la loro avventura di emigranti. E la nostra immaginazione seguiva parola per parola, il nuovo racconto. Di quei tempi ormai lontani ed altrettanto mitici. L’autore Franco Caratozzolo 5 Romanzo “Da Bagnara a Gioia Tauro” Fu così che il capitano Carresi, perse la casa, quella fredda mattina del 28 dicembre del 1908 a causa di un terremoto seguito da maremoto, che sconquassò la Sicilia e la Calabria provocando la morte di oltre centomila persone. Si stava preparando a partire, per imbarcarsi al comando del veliero da 50 tonnellate Nuova Antonietta, in rada a Gioia Tauro. Mentre sorbiva un caffè assieme alla moglie Felicia in cucina, udì un boato, cupo, grave, seguito da un sussulto. Anche la fioca luce del lume a petrolio sembrò spegnersi. ‐“Terremoto”‐, rifletté tra sé il capitano, e, senza parlare, lentamente, per non impaurire la moglie Felicia aprì la porta. E’ noto che gli animali sentano con anticipo l’arrivo dei terremoti, ma stranamente, nell’occasione, il capitano non udì il solito latrare dei cani o il chiocciare delle galline o altri rumori amici. Vi era un silenzio irreale, come se tutta la natura si fosse fermata, presagio che qualche cosa stesse per accadere. Di li a poco, sentì un violento e secco movimento ondulatorio che lo fece rientrare rapidamente, svegliò i figli ed urlò “Fuori, fuori"! "Prendete le coperte e scappate!” Il terremoto ebbe una durata di circa trentotto secondi. Mezzi addormentati i figli più grandicelli uscirono correndo, mentre i genitori portavano in salvo i più piccini, tentando di tenersi in equilibrio con il pavimento della loro casa che oscillava e sussultava come un uomo in agonia. Felicia, con la figlia più piccola in braccio, Antonietta, guadagnò l’uscita, urlando. E i suoi gridi si confondevano con quelli degli altri scampati formando un tragico coro greco. D’improvviso la parete sud della casa, sotto l’effetto dello stimolo potente scatenatasi dal ventre della terra crollò come un fuscello sradicato durante una bufera di vento.
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