L'agricolturanelleareeprotette: Ilcasodelparcodell'etna

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L’AGRICOLTURA NELLE AREE PROTETTE: IL CASO DEL PARCO DELL’ETNA Ricerche nell’ambito delle attività istituzionali dell’Osservatorio sul Sistema dell’Economia Agroalimentare della Sicilia (OSEAAS) Responsabile della ricerca: Dott. Antonino PUTRINO ________________________ Catania, Maggio 2006 INDICE PREMESSA pag. 3 1. L’ASSETTO ISTITUZIONALE DELLE AREE PROTETTE pag. 6 La normativa nell’Unione Europea pag. 6 La normativa in Italia pag. 10 La normativa Siciliana pag. 18 2. IL PARCO DELL’ETNA pag. 22 3. METODO D’INDAGINE pag. 30 4. CONSIDERAZIONI SU ALCUNI INDICI DEMOGRAFICI pag. 33 5. LA STRUTTURA DELLE AZIENDE AGRICOLE pag. 36 6. IL COMPARTO ZOOTECNICO pag. 49 7. LE SPECIE VEGETALI AGRARIE pag. 51 8. L’OFFERTA DEI PRODOTTI E LA COMMERCIALIZZAZIONE pag. 54 9. SWOT ANALISYS pag. 64 10. POSSIBILI PROPOSTE DI VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI AGRICOLI DEL PARCO: IL MARCHIO DEL PARCO pag. 70 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE pag. 73 BIBLIOGRAFIA 2 PREMESSA L’istituzione di un parco, ed in genere di un’area naturale protetta, rappresenta un diverso approccio dell’uomo e delle sue attività con il territorio, con il patrimonio naturale e con il paesaggio perchè non si dovrebbe più avere sfruttamento sconsiderato e devastazione ma utilizzo oculato delle risorse, perseguito attraverso idonei strumenti di pianificazione. E’ questa l’opportunità per avere uno sviluppo sostenibile e durevole, che dia la possibilità di crescere alle popolazioni locali attraverso la creazione di opportunità lavorative, soprattutto per i giovani. Negli ultimi decenni, a quelle storiche, si è associata una nuova finalità per i parchi: quella dello sviluppo economico e sociale delle comunità interessate1. Così, dalla concezione statunitense di parco nazionale, dove l’uomo, comedistruttore della natura, era stato estromesso, si giunge al modello europeo - in particolare a quello francese - in cui l’uomo è ricollocato all’interno delle aree protette con intenti e responsabilità nuovi, sempre di conservazione, ma ora anche di gestione delle risorse naturali e di sviluppo delle popolazioni. (Corvatta G., 1986). L’identità del parco è oggi sicuramente più complessa e variegata che in passato. Essa non è inquadrabile all’interno di un rigido modello, ma è un’identità aperta a molteplici esperienze: ora il parco è mezzo di protezione, ora è opportunità di uno sviluppo sostenibile dell’economia, ora è lo strumento che permette di usufruire di finanziamenti straordinari comunitari, nazionali, regionali e così via. (Moschini R., 1998). Molteplici sono le opportunità di sviluppo: dal recupero dei centri storici all’agricoltura compatibile, dal turismo all’artigianato, ai prodotti di qualità, ecc, sono queste le nuove prospettive che si possono presentare, in termini di opportunità, per un’area protetta. 1 Questa nuova finalità, già esplicita nelle politiche delle zones périfériques che circondano i parchi nazionali, è stata soprattutto enfatizzata nell’esperienza dei parchi regionali europei, anche in relazione alle politiche regionali di riequilibrio territoriale e al ruolo che gli abitanti possono svolgere nella manutenzione dei territori antropizzati. L’esperienza inglese ha dimostrato che gli obiettivi conservativi e quelli di pubblico godimento possono essere meglio perseguiti con la cooperazione degli agricoltori che coi vincoli e gli espropri. (Gambino R., 1992, p. 44). 3 La presenza dell’area protetta deve comportare unvantaggio per le varie attività presenti, non solo attraverso l'opportunità di migliorare la produzione, ma anche attraverso la promozione della multifunzionalità, concetto questo molto ricettivo per tale tipologia di ambienti. Le aree protette sono infatti luoghi particolarmente indicati per sperimentare le innovazioni soprattutto in materia di politica agro-ambientale, come ad esempio la valorizzazione e tipicizzazione dei prodotti e la diminuzione degli input agrochimici. Le aree protette assolvono ad una grande varietà di funzioni e apportano numerosi benefici sia indiretti che diretti. Oltre a proteggere la fauna e la flora di una determinata area possono anche essere viste ed utilizzate come luoghi in cui le risorse viventi (animali e piante) si riproducono e dov'è possibile, a differenza di altrove, attingere a tali risorse per scopi scientifici. È da rilevare che, nelle aree protette la funzione didattica riveste un ruolo principale infatti, l'osservazione della natura, e dei beni culturali in genere, può diventare uno strumento didattico di grande importanza. Inoltre, le aree naturali protette consentono un utilizzo razionale delle risorse ambientali poiché è possibile l'uso diretto delle risorse naturali. Per quanto riguarda la funzione socio- economica delle aree protette, essa nasce dalla necessità di migliorare il tenore di vita delle popolazioni che vi abitano. Un miglioramento delle condizioni socio-economico delle popolazioni delle aree sottese da Parchi e Riserve possono ottenersi attraverso l’incentivazione di “nuove”attività compatibili con i vincoli legati alla presenza del parco, ad esempio lo sviluppo di attività turistiche ecocompatibili, dell’ agricoltura biologica o il prelievo regolamentato di alcune risorse. Ci si è resi conto che molto del successo della politica dei parchi dipende dalla possibilità di innescare processi diffusi di sviluppo e sfruttamento sostenibili, che ricordiamo dipendono dalla possibilità di mantenere nel tempo una particolare specie e/o risorsa in una zona definita dell'ambiente grazie alla sua capacità di rinnovamento. Per fare ciò, è indispensabile il coinvolgimento diretto delle popolazioni locali e delle diverse figure economiche presenti all’interno dei parchi e dunque ammettere la partecipazione attiva nei Consigli Direttivi dei relativi rappresentanti, in primo luogo di quelli appartenenti al mondo agricolo. Questo perché 4 la condivisione o meno alla istituzione di un parco da parte degli agricoltori (ed in misura minore, delle altre figure professionali) è legata, in primo luogo, alla capacità dell’Ente Parco di chiarire, ancor prima della delimitazione dei confini, le linee guida di quello che costituirà il Piano del parco e dalla loro percezione “positiva” o “negativa” del bilancio tra maggiori opportunità e maggiori vincoli conseguenti alla presenza del nuovo regime vincolante. Il peggiore nemico delle aree protette risulta essere l’assenza di confronto con le popolazioni residenti, la mancanza di concertazione e di trasparenza nella vita interna delle comunità interessate e nelle scelte che le coinvolgono. Altrettanto pericolose possono risultare le posizioni di coloro che intendono mantenere i parchi in una sfera angusta, illusoriamente al riparo dai processi che caratterizzano la società. (Valbonesi, 1999). I problemi di “efficienza” delle aree protette non si esauriscono con l’istituzione delle stesse ma, anzi, si incrementano con la capacità “gestionale” dell’Entegestore. Infatti, ai fini di una saggia ed oculata gestione è auspicabile che ampio spazio sia dedicato alla pianificazione delle singole azioni, siano esse orientate alla protezione integrale delle risorse o mirate al loro utilizzo razionale, sempre, tuttavia, in un’ottica di sostenibilità dello sviluppo locale. In Sicilia, sin dal 1987, assume un ruolo di primo piano il Parco dell’Etna, esteso 59.000 ettari, ricadente in 20 comuni dell’area pedomontana. In tale territorio l’attività dell’uomo è svolta da tempi immemori così come le attività produttive strettamente connesse all’attività primaria (a monte, a piano ed a valle). Alla luce di quanto esposto obiettivo del presente lavoro è: analizzare l’evoluzione delle strutture aziendali nel Parco dell’Etna; rilevare i volumi delle produzioni ottenute ed i relativi sbocchi di mercato e canali distributivi seguiti da tali produzioni; analizzare le caratteristiche socio-economiche degli imprenditori agricoli ed il numero di occupati in agricoltura presenti all’interno del Parco dell’Etna. 5 1. L’ASSETTO ISTITUZIONALE DELLE AREE PROTETTE 1.1 La normativa nell’Unione Europea La normativa comunitaria in materia di ambiente nasce a partire dalla seconda metà degli anni sessanta ed ha seguito un’evoluzione nel corso della quale emergono diverse fasi e modalità di approccio alla tematica di cui è oggetto (cfr. tabella 1). Nella prima fase, iniziata a seguito dei primi movimenti ecologisti che denunciarono l’allarme ambientale, gli interventi erano volti all’applicazione di divieto e sanzione nei confronti dei diversi Paesi dell’Unione. Nella fase seguente, intercorsa tra la fine degli anni settanta e gli inizi degli anni novanta, si comincia a promuovere la prevenzione con azioni rivolte sia agli enti pubblici che ai soggetti privati. Nell’ultima fase, quella odierna, si sta cercando mediante una politica mirata di coniugare la tutela dell’ambiente allo sviluppo economico. Diverse sono le tematiche contenute nel corpo normativo Europeo, dalle risorse naturali all’inquinamento ed impatto ambientale, dalla tutela della salute agli interessi dei consumatori. Riguardo alle Comunicazioni ed ai Programmi in materia di ambiente, la prima Comunicazione risale al 1972 all’interno della quale sono definiti i primi dettami rivolti alla protezione ambientale. Il primo Programma (1973/77), invece, ha avuto come tema l’inquinamento, mentre nel secondo (1978/81) venne introdotto il tema della salvaguardia della fauna selvatica. All’interno del terzo Programma (1982/87), da cui discendono le prime leggi sulle aree protette, si affronta la tematica inerente i danni all’ambiente. Nell’Atto Unico Europeo (1987)

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