Domenica I Luoghi Cercando Le Vite Perdute Sull’Ultimo Ponte DOMENICA 30 APRILE 2006 Di Repubblica CONCITA DE GREGORIO

Domenica I Luoghi Cercando Le Vite Perdute Sull’Ultimo Ponte DOMENICA 30 APRILE 2006 Di Repubblica CONCITA DE GREGORIO

la memoria L’Italia povera che giocava la schedina La STEFANO BARTEZZAGHI e PINO CORRIAS Domenica i luoghi Cercando le vite perdute sull’ultimo ponte DOMENICA 30 APRILE 2006 di Repubblica CONCITA DE GREGORIO Addis Abeba LettereLe truppe fasciste la presero settant’anni fa Oggi i reduci della resistenza etiope raccontano Trent’annil’impero di fa, Mussolini dal garage di una casa californiana, usciva un nuovo tipo di computer destinato a cambiare il mondo FOTO CORBIS PAOLO RUMIZ NELLO AJELLO cultura ADDIS ABEBA ROMA Fleming racconta le città di James Bond ì… c’era un italiano che ci insegnava a sfotte- uella che si concluse, provvisoriamente, nel CORRADO AUGIAS re i fascisti… in italiano». A riparlarne gli vien maggio di settant’anni fa — dice Angelo Del da ridere, al veterano etiope in divisa kaki. Boca, il massimo studioso delle nostre im- «Lui stava col nostro esercito, Paolo si chia- Qprese d’Africa — non fu una classica guerra « « la lettura mava. MeS lo ricordo perché c’era la taglia col suo nome». Che fa- coloniale. Nessun conflitto di quel tipo ha mai richiesto l’im- ceva? «Ci mandava di notte sotto le mura dei fortini, a gridare a piego di 500mila uomini, di migliaia di cannoni, di così rilevan- squarciagola». Cosa urlavate? «Le vostre mogli se la spassano ti mezzi aerei. Alla base di quell’impresa c’erano motivazioni Conoscere il vino, tra gusto e ricordi con i gerarchiiii!». E poi? «Gridavamo in eritreo, agli ascari col- particolari». GIORGIO BOCCA laborazionisti: le vostre se le fanno gli italianiiii!». Abboccava- Quali motivazioni? no? «In cinque minuti scoppiava il pandemonio. I fascisti apri- «In primo luogo, la rivincita di Adua. Nel 1896, quando noi su- vano le porte e uscivano per farci la pelle. Noi scappavamo co- bimmo quella storica sconfitta, Mussolini, tredicenne, ne fu du- il racconto me lepri in una gola tra i monti. E lì c’era l’imboscata». revolmente colpito — lo racconterà nelle sue memorie — fino a Comincia a sorpresa il nostro viaggio nella memoria, set- maturare l’idea della vendetta contro quell’Abissinia che, gra- Azzurro tenebra, torna il mondiale tedesco tant’anni dopo il 5 maggio del ‘36, quando Badoglio prese Ad- ve errore, considerava una terra barbarica. Salito al potere, fin MAURIZIO CROSETTI e GIANNI MURA dis Abeba e Mussolini annunciò il ritorno dell’impero romano. dal 1925 promise agli italiani di conquistargli “un posto al sole”. Gli ultimi testimoni vivi non ci sbattono in faccia le stragi fasci- Alludeva a una fetta d’Africa». ste. Non ci parlano dei gas, dei 700mila morti, dei pogrom, ma Non era tardiva l’ambizione di entrare fra le nazioni colo- di misteriosi italiani nella resistenza etiope. Dell’ombra di Pao- nialiste d’Europa? spettacoli lo che torna, ci chiama verso una collina piena di pioggia, oltre «Tardiva ma veemente. Nel 1884-85, quando nella conferen- i palazzi coloniali, gli eucalipti nel vento, i lebbrosi, le amba- za di Berlino venne anticipata la spartizione del continente afri- Amália, la regina-popolana del Fado sciate e le baracche di prostitute da mezzo euro al colpo. cano, l’Italia non vi esercitò alcun ruolo. GIUSEPPE VIDETTI e SANDRO VIOLA (segue nelle pagine successive) (segue nelle pagine successive) 32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 30 APRILE 2006 la copertina Quando il 5 maggio 1936 il maresciallo Badoglio entra Settant’anni dopo in Addis Abeba l’inutile e infame guerra fascista all’Etiopia non finisce ma comincia. E oggi gli ultimi resistenti - ormai quasi centenari - ci raccontano dei cinque anni che impiegarono, scalzi contro i cingolati e gli aerei, a riprendersi il loro paese E degli antifascisti italiani che combatterono al loro fianco I guerrieri rasta e l’impero di latta PAOLO RUMIZ che si ritrasse orripilata dalla politica fessor Demeke Berhane mi apre una Foto impressionanti. Colonne di del Fascio. Il quartier generale grossa busta. Sono i documenti lasciati etiopi in fuga bombardate dall’aviazio- (segue dalla copertina) L’università, gli archivi dell’Istituto da Alberto Imperiali, poco prima di mo- ne. Lo storto, maledetto profilo del- di studi etiopici nell’ex palazzo del Ne- dei Patrioti sta rire, ottantenne, a Palombara Sabina l’Amba Alagi e quello, a roccaforte, del- uccede per caso, nel cimite- gus, dove fu ospite Tito e Graziani fu (Roma) nel gennaio di quest’anno. Fi- l’Amba Aradam. Le cataste di corpi in- ro dei reduci, accanto alla sfiorato dalla bomba che scatenò la glio di Cesare, un colono d’Etiopia che sanguinati dopo la rappresaglia Gra- chiesa dove dorme il Negus rappresaglia infame. Nell’ufficio che fu nel cimitero che cooperò segretamente con la resisten- ziani, che convinse gli ultimi incerti a Hailè Selassiè, con un no- camera da letto dell’imperatrice, il pro- za, Alberto si considerava etiope e non passare alla resistenza. E, ancora, cen- vantanne che va tra le tombe ospita i loro morti si fidava dell’Italia. Temeva che anche tinaia di tukul messi a fuoco, nobili etio- e racconta. La sua storia non le sue carte finissero, come tante, nel- pi in partenza per la detenzione in Ita- Slascia dubbi. L’ombra è quella di “Pau- l’imbuto dello «scurdammece o’ passa- lia. Corpi di uomini e asini, uccisi dai lus”, al secolo Ilio Barontini, da Cecina to». Così le ha spedite ad Addis Abeba. gas vescicanti sulle sponde del lago (Livorno), comunista italiano creduto francese — Paul Langlois — dalla poli- zia fascista. La memoria di questo Gari- baldi del ventesimo secolo dimentica- to dall’Italia vive ancora in Etiopia. «Aveva gli occhi folli» narra il veterano, sbarrando le pupille, come posseduto dal grande spirito. Ed evoca la leggenda clandestina del combattente di Spa- gna, Etiopia e Italia, che morì senza la- sciar nulla di scritto. “Paulus” l’impren- dibile, che insegna agli africani la guer- ra psicologica e l’uso delle mine, ciclo- stila giornali, obbliga le formazioni ri- vali a combattere unite, trasmette gli ordini del Negus. Nella pioggia che va verso i monti del Nilo Azzurro, tornano pezzi di memo- ria su questa guerra inutile e infame, in- ghiottita dalla cattiva coscienza di noi italiani «brava gente». Torna l’epopea dei fantastici vecchietti, ultimi cavalie- ri erranti dei grandi altopiani. Ci mise- ro solo cinque anni a riprendersi il Pae- se, scalzi contro i cingolati e l’aviazione. Cinque anni, esatti come una cabala, fatali come una maledizione. Vinsero anch’essi il 5 di maggio, come annun- ciato dai loro indovini. Non era il ‘45 ma il ‘41; prima che le panzerdivisionen si impantanassero in Russia e gli alpini in Grecia. La macchina del nazifascismo si inceppò allora, davanti agli africani «razza inferiore». In Africa, si sa, non c’è confine tra la vita e il dopo. Il quartier generale dei Pa- trioti sta davanti al cimitero che li ospi- ta da morti, e attende gli ultimi cin- quantamila sopravvissuti della guerra italo-etiopica. Giovanotti tra gli ottanta e i novantacinque, barba argento e pel- laccia dura color cuoio. I loro padri fu- rono i primi africani a battere — nella guerra di Adua — un esercito coloniale europeo (il nostro). I loro antenati sconfissero arabi e turchi. E tutti tenne- ro dritto nel cuore dell’Africa il vessillo della nazione cristiana più antica del mondo. Alemu Menghistu, 86 anni e sei figli, non ha di che mangiare. Ma ogni gior- no si stira la divisa kaki per esserci, ve- stito come si deve, davanti alla sua As- sociazione. Lo invito a pranzo con due compagni d’arme. Mi benedice: «Dio ti ha mandato, sarai nelle nostre preghie- re». Come i camerati, sa poco o niente della storia mondiale. Nessuno di loro sa di essere partigiano antifascista, di avere accelerato il ritorno della libertà nel pianeta. Gli basta di aver liberato il suo Paese. È uscito il sole, in una nube di vapore fluttua un popolo che va, con vacche, asinelli, capre. Nessuno litiga, nessuno grida, il rispetto dei vecchi è assoluto. L’Etiopia è uno struscio permanente di poveri che sorridono, e davanti a quel sorriso ti chiedi con che cuore abbiamo potuto prenderli a sprangate, avvele- narli, stuprare le loro donne. I reduci raccontano della fame nera, del cibo che non si cucinava per non dare se- gnali di fumo alla nostra aviazione, del- la selvaggia capigliatura rasta degli uo- mini da prima linea, dei mitici coman- danti Nassibou, Ras Abebe, Ras Imru e Mulgheta. Chiedo: e oggi? «Che vuoi, amico. (segue dalla copertina) so addirittura alla guerra batteriologica se Badoglio non si fos- Non viviamo, non moriamo. Sopravvi- se dichiarato contrario». viamo». Eroi dimenticati, eppur privi ello stesso 1885 ci fu il nostro sbarco a Massaua e sullo Con quali argomenti? della cupezza del reducismo di casa no- scadere del secolo l’acquisizione di Eritrea e Somalia. «Temeva la reazione negativa del mondo. E poi osservava stra. Non li ha sconfitti la guerra, ma la NMa a Mussolini non sarebbe bastato.Aveva in progetto che, trattandosi d’uno strumento bellico del tutto nuovo, non pace: il latrocinio dell’era globale, i di mandare in Africa si sapeva come avrebbe agito». massacri del comunista Menghistu, lo due milioni di coloni. La campagna abissina fu davvero, co- scontro fratricida con l’Eritrea, la cor- Di fatto, i contadini che me hai scritto, «il prologo alla più grande ruzione, il colonialismo delle corpora- vi sbarcarono non fu- carneficina della seconda guerra mon- tion mascherato da antiterrorismo. Del Boca.Quelle stragi rono che 36mila, e in- diale?». La città vecchia, un cuore mercantile torno ai 60-70mila nel- «Proprio allora, di fatto, si distrugge la che — prima di essere brevemente ita- l’intera Africa.

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