View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk brought to you by CORE provided by Padua@thesis Università degli Studi di Padova Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità Corso di Laurea Magistrale in Filologia Moderna Classe LM-14 Tesi di Laurea Per una biografia di Berengario I (888-924): contesti, fonti, memoria INDICE INTRODUZIONE p. 3 CAPITOLO I: IL GRUPPO PARENTALE DI BERENGARIO I p. 10 1. Il testamento di una coppia carolingia p. 10 2. La biblioteca di un marginalis miles e la celebrazione del miles Christi p. 15 3. Il dark side di Everardo del Friuli: le Epistolae di Rabano Mauro p. 28 4. La Translatio sancti Calixti: costruire la memoria di un ufficiale carolingio p. 32 CAPITOLO II: BERENGARIO MARCHESE DEL FRIULI (878-888) p. 40 1. Ludovico II e la spedizione nel Mezzogiorno p. 40 2. Le Epistolae di papa Giovanni VIII p. 43 3. Berengario nel Chronicon di Andrea da Bergamo: opposte partigianerie? p. 51 4. Berengario al fianco di Carlo il Grosso p. 56 CAPITOLO III: BERENGARIO RE D’ITALIA (888-915) p. 61 1. A gift-giving king?: Barbara Rosenwein e la strategia politica di Berengario p. 61 2. I diplomi, gli intercedenti, i beneficiari e l’itineranza dei re d’Italia tra secolo IX e X p. 67 3. Costruire una sede regia: Verona e le élites locali p. 86 4. Pericolosi vicini: nemici esterni e interni p. 97 CAPITOLO IV: BERENGARIO IMPERATORE (915-924) p. 107 1. Elogio di un re: i Gesta Berengarii p. 107 2. Preparare il terreno: le lettere di Giovanni X p. 119 3. La cerimonia di incoronazione a Roma p. 124 4. Un imperatore inaccessibile? p. 133 5. Liutprando di Cremona: una penna alla corte di Ottone I p. 138 6. Rispondersi per le rime: Gesta e Antapodosis a confronto p. 146 CAPITOLO V: MORTE E MEMORIA DI UN SOVRANO ALTOMEDIEVALE p. 160 1. Da miles Christi alla “Passio Berengarii”: la morte di un “martire” p. 161 2. Un obituario a San Zeno p. 166 3. La memoria di Berengario a Brescia p. 170 1- Il Liber Vitae di S. Giulia p. 170 2- Il monastero di San Salvatore/Santa Giulia p. 178 4. Il fallimento di un sovrano? p. 184 CONCLUSIONI p. 188 APPENDICE p. 192 BIBLIOGRAFIA p. 239 INTRODUZIONE I secoli successivi alla disgregazione dell’impero fondato da Carlo Magno, e precedenti alla “rinascita” dell’anno Mille, richiamano nell’immaginario collettivo un’età dominata dal chaos, dalla violenza, dalla dissoluzione di tutto ciò che faticosamente si era ricostruito dopo la fine dell’impero romano d’Occidente nel lontano 476, e dopo le cosiddette “invasioni barbariche” che come un vento impetuoso avrebbero spazzato via gran parte di ciò che la civiltà classica aveva prodotto. Anche per quanto riguarda il periodo successivo alla “rinascita” carolingia, tradizionalmente si assiste, infatti, a una riproposizione degli stessi luoghi comuni, secondo un’interpretazione ciclica della storia che sembra ripresentarsi ogni qualvolta vi siano trasformazioni che investano realtà politiche percepite come punti apicali nello sviluppo della civiltà umana. Il passaggio tra secolo IX e X, in particolare il periodo compreso tra la morte dell’ultimo carolingio, Carlo il Grosso (881-888), e l’ascesa al trono imperiale di Ottone I (962- 973) con la creazione di un nuovo impero occidentale, è caratterizzato da quelle che vengono tradizionalmente dipinte come “seconde invasioni” e da una situazione di anarchia politica dove il più forte prevale sul debole, in un’Europa quasi inselvatichita. Tale periodo viene, dunque, visto come un periodo di decadenza che inizierebbe ad affacciarsi già con la figura dell’ultimo sovrano carolingio, quando, l’11 novembre 887, giunse a Treviri per presiedere la Dieta che si sarebbe riunita il giorno seguente; «la decadenza intellettuale e fisica del corpulento imperatore era apparsa evidente a tutti, e gli umori dei convenuti facevano prevedere discussioni tempestose su tutto ciò che l’imperatore, ridotto ormai lo zimbello degli intrighi di corte, aveva o non aveva fatto»[1]. La deposizione di Carlo III, fu seguita dall’elezione, nei rispettivi territori, dei cosiddetti “re nazionali”, che si sarebbero installati sui frammenti di ciò che un tempo aveva costituito l’impero carolingio. Nel novero di tali sovrani, che la tradizione ci ha consegnato come re deboli, reguli, si inserisce la figura di un sovrano che resse il trono del regno italico in uno dei periodi più emblematici dell’età medievale, e nonostante tutto, ancora poco indagati dalla storiografia, vale a dire Berengario I. Nel periodo compreso tra l’888 e il 923 Berengario, marchese del Friuli, fu una delle maggiori figure, se non l’unica figura dominante del regno d’Italia. L’immediato periodo post- carolingio fu segnato, in particolare, dalla rivalità tra Berengario e Guido di Spoleto, «who were both typical products of a political transformation which had his roots in the hierarchical social order of the Frankish empire»[2]. Delle origini di Berengario la storiografia, specie italiana, ha per lungo tempo sottolineato quasi esclusivamente la provenienza straniera, evidenziando come la sua famiglia fosse originaria della regione del basso Reno; allo stesso modo, di Guido si valorizzava l’appartenenza a un gruppo parentale originario della Mosella. Entrambe le famiglie, dunque, provenivano dall’Austrasia, patria dei Carolingi, e a esse «la dinastia carolingia aveva affidato i due importanti ducati di confine, o marche, rispettivamente del Friuli e di Spoleto, via via consentendo che nell’uno e nell’altro ducato la successione avvenisse entro le due famiglie medesime»[3]. In tali anni la cancelleria regia avrebbe continuato a funzionare «ma non per redigere norme generali, bensì soltanto diplomi: privilegi che hanno destinatari singoli, i più disparati, chiese anzitutto e amici, nuclei di forza che il re cerca di collegare con il proprio potere»[4]. In tale “affannosa attività”, secondo Giovanni Tabacco, che tuttavia riconosce non essere un fatto del tutto nuovo, sembrerebbe risolversi ormai in massima parte il significato del regno italico. L’eterogeneità dei mezzi adoperati, degli individui e degli enti beneficiati da Berengario sarebbe, dunque, stata diretta principalmente a «garantire al re una rete di collegamenti» che integrasse «la collaborazione instabile degli ufficiali pubblici»[5]. Si assisterebbe, in particolare, a un «chiaro processo di dissociazione territoriale» che, «differisce dalle forme di sregolatezza proprie dell’età carolingia, per la consapevolezza con cui il regno accetta ora e promuove la formazione di nuclei di potere autonomi, là dove l’autorità riveli gravi lacune nel suo funzionamento»[6]; ciò che emergerebbe sembra dunque essere una radicale incapacità del potere pubblico di garantire la protezione territoriale. La debolezza del sistema, già palese in età carolingia, sarebbe ora aggravata dalla maggiore instabilità del potere regio e dalle rapide e profonde incursioni degli Ungari, che dall’898 alla metà del secolo X devastano l’intero regno d’Italia.[7] La difesa territoriale non sembra poter essere garantita dagli eserciti, poiché se da un lato questi ultimi appaiono paralizzati dal frequente contrasto tra i diversi candidati al titolo regio, dall’altro sono disorientati di fronte alle scorrerie che sfuggono alle forme di combattimento consuete al mondo franco. Di fronte a tali difficoltà si renderebbe dunque necessario fortificare il territorio in profondità. Al discredito del potere regio per l’inettitudine degli eserciti di fronte alle ripetute incursioni, si aggiunge l’inadempienza dei propri compiti istituzionali da parte di conti e marchesi, impegnati a proteggere i propri centri curtensi ma non borghi e città: il tutto avrebbe favorito l’insorgere dell’aristocrazia o di una fazione di essa e la costante ricerca di un re meno “inetto”, con il conseguente riaprirsi dei contrasti per la corona. Inoltre, di fronte all’insufficienza o negligenza degli ufficiali pubblici, sarebbero sorte le iniziative di incastellamento da parte di signori e gruppi di possessori, di comunità religiose, di cittadinanze rappresentate dai vescovi, inducendo il re stesso ad autorizzare e a promuovere l’incastellamento su aree di proprietà privata. Per quanto riguarda le stesse fortificazioni, tuttavia, «sorprende, quando tutto si voglia ricondurre agli Ungari e alle discordie del regno […] il carattere definitivo assunto da tali fortificazioni ufficialmente, come costruzioni appartenenti a chiese e a privati e come centri di organizzazione autonoma del territorio in perpetuo»[8]. Giovanni Tabacco giunge, inoltre, a sostenere che «le devastazioni ungare, così come quelle dei normanni in Francia fra IX e X secolo, provocano soluzioni verso cui già vi erano forti orientamenti»[9], e in tutto ciò si colloca l’attività della cancelleria regia nell’emanare diplomi, con la quale il regno, nello sforzo di sopravvivere, «riconosce ormai tutte le situazioni di fatto spontaneamente determinatesi, di cui esso viene a conoscenza, e contribuisce a definirle in termini di una novità ardita, cercando di cristallizzarle per collegarsi permanentemente con esse»[10]. Giuseppe Sergi afferma, tuttavia, che la scomparsa dell’attività legislativa nella forma dei capitolari non avrebbe comunque determinato una netta rottura con i modelli carolingi. I diplomi, specie quelli emanati da Berengario I, mostrerebbero come le concessioni di immunità non facessero più parte di un progetto coerente per governare l’Italia attraverso un network di alleanze; «Berengar accepted that parts of his kingdom would provide
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